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13-2-2008

 

Sandro Degasperi legge alcuni brani dal testo di Diego Marconi “Per la verità”.

 

È un modo molto semplice di parlare della verità: la realtà ci dice non è nient’altro che lo stato delle cose, le cose stanno in un certo modo e se si afferma che stanno in quel modo allora si dice la verità, indipendentemente dal fatto che la si conosca oppure no, per esempio, io non so qual è il numero dei suoi capelli in questo momento però, dice lui, sicuramente questo numero è un numero N per cui se affermo che è un numero N allora ho detto la verità. Tutto qui, non ha detto nient’altro che questo. Poi si dilunga, tutti gli accademici lo fanno, parlano lungamente di ciò che altri hanno detto, generalmente fanno solo questo…

Intervento:…

Occorre confutare in modo preciso ciò che afferma e cioè giungere a una proposizione che nega quello che lui sostiene. Mettiamola così, supponiamo che il numero dei suoi capelli sia N, allora secondo Marconi e la più parte delle persone per avere la certezza occorre contarli tutti, dopodiché una volta che si è stabilito che questo N corrisponde per esempio a tre milioni allora affermare che ha 300.000 capelli è vero. Questo è il suo concetto di verità. Ora la questione è questa: quando affermo che Stefania ha tre milioni capelli in testa che cosa ho fatto esattamente? Mi sono attenuto a un criterio, naturalmente quello aritmetico, ora il criterio aritmetico è un gioco oppure è una descrizione assoluta delle realtà delle cose? Se è un gioco allora è un criterio al pari di qualunque altro e il fatto di avere stabilito dopo averli contati uno a uno che sono tre milioni non è altro che attenersi, come diceva lo stesso Wittgenstein, alle regole che io ho stabilito per decidere una cosa del genere, oppure l’aritmetica è il criterio che definisce come stanno le cose e questo occorre provarlo, come lo si potrebbe provare? Naturalmente a questo punto occorre un altro criterio che giustifichi il fatto che l’aritmetica renda conto di come stanno le cose necessariamente, altrimenti affermando che Stefania ha tre milioni di capelli in testa non significa niente, e pertanto a questo punto si compie, come fa lui in definitiva, un atto di fede e cioè le cose stanno così, questa è la realtà, ma è un atto di fede ché gli passa nemmeno per la mente di provare una cosa del genere e cioè che sia effettivamente necessario questo, oppure si comincia con i criteri: abbiamo utilizzato il criterio dell’aritmetica, bene! Ci vuole un altro criterio che giustifichi quello dell’aritmetica ma poi come sappiamo che questo criterio sarà vero a sua volta? Si incappa in quello che lui cerca di evitare assolutamente e cioè il relativismo, e così via all’infinito. Non c’è nessun criterio, c’è l’atto di fede, le cose stanno così ma non è possibile provarlo in nessun modo. Ma se affermo che Stefania ha trecentomila capelli in testa cosa ho fatto? Mi sono attenuto a un criterio che ho deciso di utilizzare per il conteggio di queste cose, ma chi mi garantisce che questo criterio sia quello necessario, assoluto, vero al di sopra di ogni sospetto? Nessuno. Quindi come la mettiamo? Questo gioco lo abbiamo considerato tanto tempo fa, questo gioco dei criteri “quale criterio utilizzerò?” È per questo che abbiamo reperito l’unico criterio che è quello che ci consente di costruire qualunque criterio, appunto il linguaggio di cui si diceva in varie occasioni, al di fuori di questo, cioè di questa struttura che consente di costruire qualunque criterio, qualunque criterio io decida di utilizzare anche quello aritmetico oppure l’osservazione o quello che mi pare rimangono arbitrari cioè non sono, come direbbe lui, giustificabili in nessun modo e se non è giustificabile dire che “è vero” è un atto di fede, né più né meno: io credo che sia così e tanto basta. Ciò che lui indica con giustificabile da quanto mi è parso di intendere da quello che Sandro ha letto è un tipo di inferenza noto come abduzione, cioè che muove da premesse probabili per giungere a una certezza, sicuramente una certezza sui generis. Ci sono tre tipi di inferenza comunemente considerate: la deduzione, l’induzione e abduzione. Ora vi faccio un esempio a meno che tutti sappiano distinguere la deduzione, l’induzione e la abduzione, faccio un esempio molto facile: tutti i fagioli di questo sacchetto sono bianchi, questi fagioli vengono da questo sacchetto, quindi questi fagioli sono bianchi – deduzione. Induzione: questi fagioli vengono da questo sacchetto, questi fagioli sono bianchi, tutti i fagioli di questo sacchetto sono bianchi. L’abduzione: Tutti i fagioli di questo sacchetto sono bianchi, questi fagioli sono bianchi, questi fagioli vengono da questo sacchetto, cosa che non è necessariamente, è un ipotesi, è possibile. L’abduzione è quella che viene utilizzata per giustificare qualcosa, è il sistema che viene utilizzato, per esempio, in tutte le indagini, si parte da qualcosa di certo dopodiché si considera la possibilità che questo qualcosa appartenga a qualcosa di certo e si conclude che è certo anche lui, ma l’unico criterio che offre una certezza logica è la deduzione perché è quello che non consente errori, tutti le altre sono ipotesi. La deduzione comporta invece la certezza cioè non può essere altrimenti che così, detto questo possiamo tornare alla questione che affronteremo la volta prossima, ma che in ogni caso verte su questo sul fatto che è possibile una alternativa sia al relativismo, allo scetticismo o all’atto di fede, è possibile costruire qualcosa di assolutamente certo e indubitabile.