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12 dicembre 2018

 

La struttura originaria di E. Severino

 

Severino ci sta introducendo alla questione dell’implicazione. L’implicazione è importante. Ogni considerazione, ogni giudizio, ogni affermazione, quindi, ogni pensiero, è fatto di implicazioni: se questo allora quest’altro. Ciò che a lui interessa per il momento è valutare un aspetto, e cioè considerare di una certa proposizione quali sono le costanti e quali le variabili. Le costanti sono tutte quelle cose che appartengono necessariamente alla proposizione, che sono cioè necessariamente implicate e che non possono non esserci. Le costanti sono quei momenti che sarebbe contraddittorio negare. Le varianti non sono immediatamente contraddittorie appunto perché, essendo varianti, possono esserci come possono non esserci. Severino fa la classificazione generale delle costanti. Siamo a pag. 287, paragrafo 3. Dice che si danno due tipi di costanti del significato S (S è una proposizione qualunque). Si danno due tipi di costanti del significato S – il discorso può, anche qui, essere esteso ad ogni significato -: a seconda che una costante appartenga alla significanza di S come predicato di S, oppure vi appartenga senza valere come predicato di S. Intanto, comincia a stabilire che alcune costanti appartengono a S in quanto predicate da S e che altre appartengono a S pur non essendo predicate da S. Fa un esempio. Ad esempio, i significati: “Includente ogni parte dell’immediato” e “Parte dell’immediato” sono entrambi costanti di S (appartengono necessariamente); ma mentre il primo appartiene alla significanza di S… La frase “Includente ogni parte dell’immediato” è un giudizio, un’apofansi, e quindi in questo caso appartiene alla predicazione.  Nel secondo caso, cioè la frase “Parte dell’immediato”, non si tratta propriamente di un giudizio, non è un’apofansi, è qualche cosa che appartiene immediatamente alla significanza di S, perché se si parla di “parte” si parla, per esempio, di totalità, non è possibile parlare di “parte” senza alludere a una totalità. In questo senso lui distingue le costanti che sono predicate dalla proposizione e le costanti che appartengono alla proposizione ma che non sono predicate. Infatti, in una proposizione qualunque non necessariamente viene predicato, di questa proposizione, che le sue parti facciano parte del tutto, non predica questo, predica altre cose; però, questa affermazione è inclusa nella proposizione originaria, le appartiene ma non è predicato. Potremmo anche farla più semplice. “Questo è di vetro”: predico di questa cosa il fatto di essere di vetro, ma che questo sia questo non lo sto predicando, non lo sto dicendo, però è implicito. È questa la differenza tra ciò che viene predicato e ciò che invece appartiene al significato. …pensare la totalità senza pensarla come inclusiva della parte non è pensare la totalità. Se penso la totalità, se penso a questo aggeggio, lo penso in quanto qualcosa. Si può dunque dire: tutti i predicati L-immediati o L-mediati… I predicati L-immediati sono quelli che non si possono negare salvo trovarsi immediatamente in una autocontraddizione. Per esempio, negare che questo sia qualcosa è immediatamente autocontraddittorio, ma negare che sia rotondo non è immediatamente autocontraddittorio, occorre valutare. … tutti i predicati L-immediati o L-mediati di un significato sono costanti di questo significato … ma non tutte le costanti di un significato sono predicati di questo. Dicendo che questo oggetto è di vetro non sto dicendo che questo è questo, però, se lo negassi, mi autocontraddirei immediatamente. Sì che dire che un significato è implicato, L-immediatamente e L-mediatamente, da un cert’altro significato, o che la posizione di quello è implicata dalla posizione di questo – sì che quello è costante di questo – è cosa diversa dal dire che un significato è predicato, L-immediatamente o L-mediatamente, di un cert’altro significato. Abbiamo detto che L-immediatamente sta per immediatamente evidente, incontraddittorio; mentre, si ha L-mediatamente quando occorre una riflessione, una considerazione. Paragrafo 4. La totalità dell’immediato (il fenomeno, ciò che appare, il concreto) è dunque costituita, in quanto orizzonte dell’immediatezza, da un sistema di implicazioni posizionali aventi valore analitico (L-immediate), e da un sistema di implicazioni posizionali F-immediate espresse da proposizioni sintetiche a posteriori. La totalità dell’immediato, dice, è costituita da un sistema di implicazioni che sono immediatamente evidenti e che è autocontraddittorio negare, e poi anche da un sistema di implicazioni F-immediate, cioè il fenomeno, che si mostrano nel fenomeno ma che sono espresse da proposizioni sintetiche a posteriori. Le proposizioni sintetiche a posteriori, come abbiamo visto, sono quelle non immediate ma mediate dall’esperienza. Quando si parla di F-immediato, Severino si riferisce all’esperienza. Per quanto riguarda questo secondo sistema di implicazioni, si osservi che tra due determinazioni qualsiasi (varianti o costanti) della totalità dell’immediato sussiste infatti in ogni caso quel tipo di relazione posizionale, per cui esse si implicano di fatto: l’implicazione consiste appunto nel fatto … che sono entrambe immediatamente presenti. Ogni determinazione immediata implica pertanto F-immediatamente, ossia secondo un’implicazione di fatto, ogni altra determinazione immediata. A pag. 289, paragrafo 5. …si consideri il sistema delle implicazioni posizionali che, dal punto di vista dell’immediatezza, hanno valore di sintesi a posteriori. Quindi, un sistema di implicazioni che poniamo come sintesi a posteriori, cioè, implicazioni che derivano dall’esperienza: il fatto di vedere che è rotondo non appartiene immediatamente a questo oggetto (posacenere), è una considerazione che faccio io. Come paradigma di tutti i termini … di questo sistema, può essere adoperata la proposizione: “La posizione di Y è implicante la posizione di Z”. Come dire, se Y allora Z. si dirà dunque che il progetto della posizione di Y come non implicante la posizione di Z, non appare immediatamente … come contraddittorio. Non appare immediatamente contraddittorio perché che Y implichi Z è stato detto che ha valore di sintesi a posteriori, quindi non lo so immediatamente. Pertanto, negare questa cosa non è autocontraddittorio. Per Severino è sempre fondamentale giungere a qualcosa che sia non contraddittorio. Pertanto, non appare immediatamente come contraddittorio nemmeno il progetto che la posizione di Y implichi la posizione di Z. Non è immediatamente contraddittorio né che non la implichi né che la implichi. Questa implicazione, che si presenta in questo secondo lato del progetto, ha una duplice valenza, a seconda che 1) l’implicazione progettata abbia lo stesso valore dell’implicazione che sussiste tra Y e Z in quanto questi due termini sono di fatto implicati… Un aspetto è questo: c’è questa implicazione. Se io dico che c’è questa implicazione allora c’è questa implicazione. …oppure che 2) l’implicazione sia progettata come avente valore tale che appaia autocontraddittorio che Y sia posto anche se Z non è posto. Quindi, o dico che questa proposizione implica necessariamente, oppure dico che non si sa se la implica oppure no. …si osservi che, in relazione alle implicazioni posizionali aventi valore analitico -… Aventi valore analitico sono quelle che indicano l’appartenenza necessaria di una costante alla proposizione. …si consideri ad esempio un’implicazione tra la posizione di S a la posizione di una sua costante s -, la convenienza L-immediata della posizione dell’implicazione di s, alla posizione di S, importa che i termini o i momenti dell’autocontraddizione determinata dalla negazione che la posizione di S implichi la posizione di s, siano dati dalla affermazione della posizione di S… Non è niente altro che dire che se la posizione di S importa una costante s analiticamente, allora negare che la costante s appartenga alla proposizione S è autocontraddittorio. Andiamo a pag. 292, dove al punto d) dice che non ci sono soltanto proposizioni analitiche e sintetiche a posteriori ma anche quelle sintetiche a priori. Abbia visto che le proposizioni sintetiche a priori sono quelle che implicano necessariamente ciò che è implicato ma questo implicato non vi appartiene propriamente. Facevamo l’esempio della matematica: due più due fa quattro è una proposizione sintetica a priori perché non è frutto dell’esperienza, è frutto di qualcosa che ho imparato, ma non è neanche implicito nel due il fatto che, sommato a un altro due, faccia quattro, non è analiticamente derivato. Il paradigma di queste proposizioni è dato dalla proposizione: “La posizione di Y implica necessariamente la posizione di Z”, o: “La (progettata) posizione di Y implica necessariamente la non posizione di Z” – dove la “necessità” è data, nella prima proposizione, dal prodursi della autocontraddizione m qualora si neghi l’implicazione, e nella seconda proposizione dal prodursi della autocontraddizione m’ qualora l’implicazione sia affermata. Questa distinzione, che fa Severino e che può apparire irrilevante, sarà utile poi, più avanti, quando si tratterà di vedere più precisamente quando io posso dire che una certa cosa ne implica un’altra e quando, invece, dire questo comporta una contraddizione, e cioè non lo posso dire. È questo che a lui interessa, arrivare a questo risultato. Andiamo a pag. 305, paragrafo 11, Nota 2°: Estensione del piano mediazionale. Il piano mediazionale è quel momento in cui c’è una mediazione, non è immediatamente evidente. Il piano mediazionale che si ottiene per l’accertamento della necessaria implicazione o esclusione posizionale di Z parte di Y, non è la totalità del piano mediazionale. In altri termini, le proposizioni sintetiche a priori sopra considerate sono risultato di una elaborazione logica di proposizioni sintetiche a posteriori, sia nel caso la sintesi a posteriori venga accertata come necessaria … sia nel caso che venga necessariamente negata. A pag. 306, paragrafo 12. a) Se la proposizione: “A è B” è sintetica a priori… Cioè, non lo so per esperienza ma è necessaria che sia così. …significa che A è ciò cui conviene essenzialmente B… Sottolinea essenzialmente e non necessariamente. (stante appunto che la negazione di questa convenienza è autocontraddittoria);… Se io nego che due più due fanno quattro mi metto in contraddizione con tutto il sistema della matematica. …sì che pensare A senza saperlo come B, significa non pensare A. d’altra parte, la posizione di questa appartenenza di B all’essenza di A – onde B appare come costante di A – è risultato di una mediazione;… Occorre che ci sia un punto di passaggio tra A e B per potere dire che B appartiene essenzialmente ad A. La cosa non è immediatamente evidente, non è frutto dell’esperienza, quindi, ci vuole qualche altra cosa. …e cioè la semplice analisi di A non è in grado di rilevare B come costante di A. come dicevamo prima, io posso analizzare il numero due finché voglio ma non arrivo a dire che due più due fa quattro senza una mediazione di qualche cosa. Il passaggio della L-immediatezza, stando sul piano della quale non si vede che B sia costante di A… Perché, se vedo due, non mi appare immediatamente che se aggiungo un altro due fanno quattro. …al piano della L-mediazione, nel quale B è rilevato appunto come costate di A, è determinato dalla posizione di un termine M – il medio -… A questo punto, per sostenere la sintesi a priori, inserisce l’intervento di un termine medio, che chiama M. …che appaia L-immediatamente come costante di A, e del quale B appaia L-immediatamente come costante. Quindi, pone un termine che appartenga ad A necessariamente, come costante di A in modo che non possa togliersi dalla A, ma al tempo stesso, che cosa fa? Di questa costante di A, lui dice che a questa costante appartiene B. quindi, la costante appartiene ad A, cioè non può togliersi da A, ma questa costante a sua volta ha una prerogativa particolare, e cioè che la B è una costante della costante precedente, di M, appunto. M, il termine medio, sarebbe la costante di A, che appartiene quindi ad A necessariamente, e B appartiene a quella costante. In altri termini, B può appartenere all’essenza (alla definizione) di A, solo in quanto B appartenga all’essenza di un significato M, che appartiene all’essenza di A. pertanto B conviene ad A non in quanto A è A, ma in quanto l’analisi di A ha rilevato M come appartenente all’essenza di A. Il fatto che A sia B non dipende, nel caso della sintesi a priori, dal fatto che A sia A. Se dico che A è B si sa che è necessario che A sia A, altrimenti che cosa è B? Ma è necessario che ci sia questo passaggio intermedio, cioè, c’è un qualche cosa che è costante di A, che appartiene ad A, e a questo qualche cosa appartiene B. A pag. 309. d) Appare, da quanto si è detto, che la mediazione logica sussiste soltanto in relazione ai momenti astratti del significato concreto, e non in relazione alla concretezza semantica come tale. Questo che cosa ci dice? Ci dice che io posso parlare di implicazione, cioè da una cosa ne posso trarre un’altra, soltanto se astraggo dal concreto. Questo perché nel concreto tutti questi elementi, sì, ci sono ma non in quanto astratti, in quanto individuati astrattamente, ma fanno parte del tutto concreto, e sappiamo che il concreto precede l’astratto. Questa, peraltro, era la posizione di Hegel, che dovremmo rileggere prima o poi in quanto è fondamentale rispetto a tutto il pensiero occidentale. L’implicazione mediazionale tra A e B è cioè l’implicazione tra due momenti astratti del significato concreto costituito dall’implicazione tra A, M, B. Questi tre momenti, A, M e B, nel concreto non sono astratti, sono un tutto, un tutto concreto; quindi, questa implicazione è possibile soltanto se di questo concreto faccio un astratto. Cosa che, peraltro, la logica formale fa continuamente. Lo dicevamo forse l’altra volta: nell’implicazione “se A allora B” la logica considera la A e considera la B, cioè dà un valore alla A e un valore alla B, vero-falso, dopodiché attraverso un calcolo giunge a considerare se la proposizione è vera o falsa. Astrae gli elementi da questo concreto, che è la relazione tra A e B, relazione come un tutto. Solo a questa condizione la logica può operare ciò che opera: a condizione di astrarre dal concreto. Quindi, la logica compie un’operazione che non tiene conto del fatto, come già diceva Hegel, che il concreto precede l’astratto, ché solo a questo punto è calcolabile perché fino a che lo considero un concreto, un tutto, non posso calcolare nulla, mi si presenta semplicemente come un fenomeno nella F-immediatezza. La F-immediatezza è fatta, sì, di queste cose ma ciò che appare, l’immediato, il tutto, il concreto, è la relazione; soltanto astraendo, quindi in un secondo momento, io posso isolare i termini A e B e, quindi, inserirli all’interno di un calcolo, come fa la logica, attribuendo valori ad A e B, vero o falso, ecc. Questa concretezza semantica è data dallo stesso sviluppo dell’analisi (in quanto la convenienza di M ad A è posta per analisi di A, e la convenienza di B a M è posta per analisi di M). Questa concretezza semantica, cioè il valore semantico, è data dall’astrarre questi elementi dal concreto. Si dirà allora, in generale, che la totalità del mediare… Ricordate che M è un mediatore tra A e B, media perché è un pezzo della A, ma questo pezzo della A contiene anche la B, o è un pezzo della B, a seconda dei casi. …è lo stesso sviluppo totale dell’analisi. Cioè, un’analisi non è niente altro che questo: mediare tra elementi in relazione tra loro e cogliere quali elementi ci sono in comune tra un elemento e un altro o quali elementi sono implicati, e cioè occorre valutare ciascuna volta quali sono, ad esempio, le costanti di A, perché soltanto se trovo una costante di A posso prendere questa costante come medio e verificare se questo medio contiene oppure no B. Ma è sempre un’analisi, un qualche cosa che si produce in seguito all’astrazione. Ciò significa che la forma del sapere necessario è l’analisi, la distinzione tra proposizioni analitiche e sintetiche a priori essendo una distinzione interna all’orizzonte dell’analisi. Quindi, la forma del sapere necessario è l’analisi, cioè questa operazione di astrazione dal concreto. È, in effetti, la condizione del sapere, è da lì che sorge il sapere, dal momento in cui incomincio ad analizzare ciò che mi appare concretamente. Che è esattamente ciò che fa la scienza, ma la questione importante è che, compiendo questo, la scienza si è dimenticata che questi elementi, con cui ha a che fare, sono elementi che fanno parte di un tutto, di un concreto. Ora, uno potrebbe dire: che importanza ha questo, e cioè che facciano parte del tutto? Se sono singoli elementi, io li tratto come mi pare. Sì e no. Sì, perché è così che, in effetti, accade; no, perché ciascuno di questi elementi, facendo parte del tutto, e qui torna Heidegger, fanno parte di un mondo. Astrarli, che cosa comporta? Pur essendo l’astrazione la condizione di ogni sapere, come dice giustamente qui Severino, astrarli comunque significa immaginare di poterli togliere dal mondo. Il fatto è che proprio perché sono inseriti in quel mondo sono quella cosa che sono; quindi, se astraggo dal concreto, sì, certo, a questo punto posso avviare un’analisi, posso avviare una serie di operazioni lungo le quali troverò delle cose, non importa quali, ma tutte queste cose che troverò saranno comunque vincolate dal fatto che ciascuno di questi elementi è quello che è perché inserito nel tutto, non c’è fuori da questo tutto, dal mondo. Io stesso non ci sono fuori del mondo, sono nel mondo, di cui sono fatto, peraltro. Il mondo è fatto chiaramente anche di storicità: che un certo elemento venga considerato in un certo modo, lo viene considerato in quel modo oggi, mille anni fa veniva considerato in un altro modo e tra un milione di anni molto probabilmente verrà considerato in un modo differente ancora.

Intervento: Non si modifica il mondo astraendo questi elementi?

Sì e no. Certo, si modificano nel senso che ogni volta che io astraggo degli elementi, una volta che questi elementi sono astratti, è come se io stesso, che li considero, dovessi riconfigurarmi. Una volta riconfigurato mi approccio a questi elementi in un altro modo. Questa modificazione, questo circolo ermeneutico, avviene incessantemente, è ininterrotto. Da qui anche la storicità, cioè il fatto che gli elementi con il tempo si sono modificati. Come abbiamo detto tante volte, anche la lingua italiana cambia, si modifica lentissimamente perché propriamente non ha una ragione per cambiare, va bene così com’è, eppure cambia: già come parlavano i nostri padri non è più come si parla oggi. Questo modificarsi avviene, secondo Severino, per una analisi che viene fatta astraendo dal concreto, però, è un’astrazione che non può non farsi: quando parlo individuo qualche cosa, ciò che mi appare è un conto ma, una volta che mi approccio a questo qualcosa che mi appare, cosa voglio fare? Voglio modificarlo, questo qualcosa mi modifica e, quindi, io torno a modificare l’analisi. È il circolo ermeneutico.

Intervento: Nel momento in cui estraggo qualcosa dal mondo per esaminarlo, devo comunque tenere presente la relazione, la sua connessione con il mondo.

Sì, dovrebbe. Tenere conto di questo già modifica le cose. È un’operazione che, per esempio, la logica non fa, e nemmeno la scienza: se lo facesse cesserebbe di fare quello che fa. Ciascun parlante è in un certo senso “costretto” parlando a dimenticare o a non tenere conto che sta parlando. Ogni volta che affermo delle cose le stabilisco, dico che “è così” ogni volta che implico qualche cosa. Al di là del fatto che queste implicazioni siano o no contraddittorie, affermo qualche cosa, stabilisco qualche cosa, dico “è così”. Certo, posso crederci oppure no, ma non posso non farlo. Quindi, non solo la scienza ma qualunque parlante è costretto a fare una cosa del genere, sennò cessa di parlare. Se ogni volta che dice una qualunque cosa prende ciascun singolo elemento e comincia a considerare quell’elemento in tutte le possibili derivazioni, significati, ecc., allora cessa inevitabilmente di parlare. Tutto questo è importante perché consente di tenere conto, anche se poi di fatto è come se non ne tenesse conto, però è possibile farlo. È chiaro che non lo faccio ma c’è questa possibilità, c’è questa apertura, ed è questa apertura che mi consente di non credere a ciò che sto affermando come se ciò che affermo fosse la descrizione dello stato delle cose, per cui le cose stanno così come penso io. Non lo posso pensare perché se analizzo la cosa, proprio nei termini di Severino, so che questa concretezza semantica, questo significato che io do alle cose è dato dall’analisi dei singoli elementi che io ho astratto dal concreto. Astraendoli dal concreto, io compio quell’operazione che abbiamo visto sin dall’inizio. Ricordate l’esempio della lampada sul tavolo? Ecco, se io voglio spegnere quella lampada, allora devo astrarre dal concreto, devo in un certo senso analizzare, anche se non mi rendo conto ma devo compiere questa operazione di astrazione della lampada dal concreto, e quindi considero questa lampada non più come la lampada che è sul tavolo e la spengo. Severino poi prosegue. Se A è concretamente pensato, ovvero se ne è sviluppata l’analisi, A è lo stesso AMB, sì che la proposizione: “A è B” è analitica. Sta dicendo che se A è concretamente pensato… Beh, dice, il concreto è il tutto. No, bisogna fare attenzione ai termini, dice “è concretamente pensato”. Dice che se io penso concretamente alla proposizione “questa lampada che è sul tavolo”, il fenomeno, allora analizzo, per il solo fatto di pensarla. Pensandola devo analizzare, cioè per pensarla devo isolare gli elementi. Il pensare è una cosa, il fenomeno un’altra, il fenomeno è ciò che appare, ciò che viene in luce. Pensare è diverso, pensare comporta l’astrazione. Infatti, dice, lo rileggiamo, A è lo stesso AMB, cioè la relazione tra A e B, sì che la proposizione: “A è B” è analitica. Questa operazione è quella che facemmo qualche tempo fa, sempre relativamente alla proposizione “questa lampada che è sul tavolo”, quando dicevamo che questa proposizione mostra semplicemente il fenomeno, poi astraggo e allora mi occupo di una cosa e dell’altra. Però, in questa proposizione concreta, mi accorgo se pensata, e infatti ci accorgemmo, che quando dico “questa lampada” dico “questa lampada che è sul tavolo”. All’interno di questa proposizione la lampada è solo “questa lampada che è sul tavolo” e nessun’altra. In questo senso la proposizione “A è B” è analitica, cioè appartiene necessariamente, non c’è una possibilità che questa lampada non sia questa lampada, ma questa lampada è “questa lampada che è sul tavolo”. Quindi, questa lampada appartiene necessariamente al fenomeno che mi appare come “questa lampada che è sul tavolo”. È all’interno di questa analiticità che si rileva che mentre M conviene L-immediatamente ad A… Abbiamo visto che M è una costante di A, quindi, vi appartiene necessariamente. …anche in quanto A è assunto come momento astratto… Appartiene perché? Perché ogni volta che analizza un qualche cosa deve astrarre, non può non farlo. Come faccio a parlare della lampada se non la astraggo da “questa lampada che è sul tavolo”? (onde questa convenienza dà luogo a una proposizione analitica stricto sensu); viceversa B conviene immediatamente ad A, solo in quanto A sia assunto come significato concreto (la concretezza è tale in relazione ad A come momento distinto da MB), ossia come determinato da M; sì che la convenienza di B ad A, inteso come momento astratto, è mediata da M. Sta soltanto dicendo che nella prima parte della proposizione M conviene ad A immediatamente, gli appartiene immediatamente, mentre B non appartiene ad A immediatamente. Perché? Perché c’è di mezzo M. Tutto qui. Adesso esplora la duplice valenza di un significato, ma questo lo vedremo mercoledì prossimo.