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12-12-2000

 

Avete riflettuto sulla questione posta martedì? (la questione dell’immagine) cos’è un’immagine? Cosa ne dice il luogo comune, cioè il discorso filosofico…

Intervento: qualcosa che comunque ha un referente al di fuori di sé, se è immagine di qualcosa il suo referente è fuori di sé

Nel luogo comune è una rappresentazione mentale, una rappresentazione non è altro che la vivificazione di un oggetto in sua assenza, quindi l’immagine è la rappresentazione però naturalmente il luogo comune suppone che l’immagine sia sempre riferita a qualche cosa, cioè sia sempre la rappresentazione di una cosa la quale cosa pare, sempre nel luogo comune, fuori dal linguaggio, in caso contrario sarebbe una rappresentazione di parola nella migliore delle ipotesi, però che cos’è una rappresentazione di parola? È una costruzione ovviamente, in questo senso l’immagine è una costruzione quindi una proposizione la quale proposizione descrive un’altra proposizione che sarebbe l’oggetto, ora ci sono alcune regole del gioco nel discorso occidentale che operano una distinzione tra ciò che è immagine e ciò che è reale, cioè fra la rappresentazione di una cosa e la cosa che è rappresentata, quale sia l’utilità di questa regola del gioco adesso poco ci interessa però pare essere una regola del gioco, che non ha al di fuori che essere una regola del gioco nessun altro fondamento. In effetti escludendo così come abbiamo fatto in modo definitivo la possibilità che qualcosa sia fuori dalla parola, la stessa immagine non può che ovviamente essere nella parola (l’immagine sembra una procedura perché crea immagini) andrei cauto a dire che è una procedura, per il momento ho detto che è la regola del gioco che ci siano immagini, certo ci sono delle situazioni in cui potrebbe apparire essere fuori dal linguaggio come per esempio in una sorta di riconoscimento, Cesare incontra un amico e lo riconosce per strada, lo riconosce dalla sagoma magari è anche a distanza, però, però ciò che a noi interessa e ciò da cui dobbiamo sempre muovere e questo dobbiamo tenerlo sempre a mente non è mai la posizione in cui dobbiamo giustificare il fatto che qualcosa sia fuori dal linguaggio ma dall’asserzione necessaria e inesorabile che qualunque cosa venga affermato essere fuori dal linguaggio è autocontraddittoria. Questo sbarazza di molte obiezioni una delle quali è per esempio il mio cane mi riconosce eppure il cane è fuori dal linguaggio dunque è riconoscimento pertanto l’immagine che lui ha di me non è nel linguaggio… certo tutto il discorso sull’immagine ché tantissimo si è detto sull’immagine in effetti verteva sempre su un qualche cosa che riecheggia la definizione che diede poi Aristotele, il quale non distingueva l’immagine dall’immaginato se non dal fatto che nell’una non c’è la materia e nel secondo sì, per lui non c’era nessun altra differenza, comunque un modo di qualche interesse di porre la questione e molti al giorno d’oggi la pongono in modo molto meno interessante, dire questo è un modo che può indurci a supporre che fra l’immagine e il suo oggetto, come dice Aristotele se la differenza è secondo la sostanza e quindi la materia e quindi nel secondo caso cioè nel caso dell’oggetto avviene un gioco differente la cui regola è che questa cosa abbia la materia, temo che non si possa dire molto di più, l’immagine è costruita dalla parola esattamente così come fa la catacresi o più propriamente l’ipotiposi, volevo dire l’ipotiposi, la catacresi non c’entra niente, l’ipotiposi quella figura retorica che mostra ciò di cui parla (la catacresi invece la esaspera?) no la catacresi è un abuso… le gambe del tavolo… provare a considerare dunque come una ipotiposi cioè dunque come una figura retorica, posta in questi termini la questione si fa più interessante e quindi si sfronda di tutte le disquisizioni inutili, su differenza, su materia, su oggetto, su rappresentazione ecc… ma pone la figura retorica come le altre e quindi necessariamente un atto linguistico, in questo caso l’immagine in quanto è figura retorica può consentirci quanto meno di avviare il discorso in una direzione precisa, per costruire argomentazioni che possano distogliere i più dalla supposizione assolutamente infondata e infondabile che ciò che si osserva sia fuori dalla parola ché è questo l’obiettivo, l’abbiamo sempre saputo che l’immagine non è fuori dalla parola però occorre trovare qualche cosa che renda un’argomentazione robusta e persuasiva, detto ciò che abbiamo detto, occorre appunto costruire questa argomentazione da dove muovere? (come distinguere poi la realtà dall’immagine che è un’altra figura retorica?) (veramente l’immagine è la realtà) (sì, però la realtà e l’immagine nel discorso in cui ci troviamo giocano giochi diversi e ruoli diversi, per cui se mi trovo a parlare di immagine non mi trovo a parlare della realtà) sì però è quello che afferma il luogo comune noto, a noi interessa trovare qualche cosa che possa incominciare a costruire un’argomentazione che possa smuovere il luogo comune e allora da che cosa incominciare a muovere? vi viene in mente qualcosa, una considerazione, un accenno anche… strettamente connesso con ciò che si vede nel luogo comune è accostato la nozione di esistenza, quindi ciò che vedo esiste, ciò che non vedo non so, può esistere o non esistere, ciò che vedo esiste cioè nell’accezione più bieca ciò che cade sotto i sensi in particolare sotto il senso della vista e parrebbe che anzi la stessa nozione di esistenza appare dipendente dalla vista “se vedo qualcosa allora esiste” qualunque cosa vi viene in mente ditela, stiamo cominciando a riflettere sulla questione, cosa può indurre la visione all’atto di parola? Cesare cosa sta pensando? (…) cos’è che la persuaderebbe di una cosa del genere? (…) certo infatti si suppone sempre nel luogo comune che le cose che sogno alla notte non esistano, è stato un prodotto dell’immaginazione o esiste nella mia immaginazione che è considerato un grado inferiore di esistenza….si considera generalmente che secondo l’antica dottrina dell’emanazione la vista percepisca gli oggetti in quanto gli oggetti emanano qualcosa, hanno almeno la loro esistenza perché se dovesse crollare questa dottrina dell’emanazione allora se l’oggetto non emana niente allora è una pura e semplice costruzione ma anche in quel caso una costruzione a partire da che? I più accaniti dicono supponiamo che sia una costruzione ma la costruzione a partire da che cosa? su che cosa?, su cosa costruisco sul nulla e perché? Supponiamo che questa proposizione sia la mia costruzione, perché avrei costruito una cosa del genere? Perché in quella maniera? Come dire che se parlo di costruzione allora sì e faccio tutta una mia considerazione ma comunque a partire da qualcosa che c’è, è un po’ la teoria, in parte, del decostruttivismo di Derrida, o comunque della scuola francese, dell’impossibilità di interpretare un testo, se non posso interpretare il testo che cosa interpreto? Quindi occorre che qualcosa ci sia ma questo qualcosa che c’è, proviamo a seguire questa via, cosa sarebbe? Qui la questione è complessa ché il rischio di tornare all’elemento fuori dalla parola è continuo, potente, supponete questa obiezione: qualunque cosa parli, parlo comunque di un altro atto linguistico, quest’altro atto linguistico parla di un altro atto linguistico ma occorre che ad un certo punto questi atti linguistici muovano da qualche cosa, faccio un altro esempio, io parlo del posacenere, il posacenere è un atto linguistico ma come si è creato questo atto linguistico? che si chiama posacenere e che pare rappresentare questo oggetto anziché un altro come se avesse dovuto prendere le mosse da un oggetto, da un qualche cosa, questa è una delle obiezioni più potenti, alla quale obiezione dobbiamo rispondere in modo adeguato, cosa risponderemmo a questa obiezione? (se non ci fossero questi termini che ci fanno usare il posacenere non ci sarebbe nessun portacenere) sì però questo non risponde completamente alla questione, ché il nostro obiettore potrebbe dire: quando parlo di portacenere parlo di qualche cosa o non parlo di nulla? Se parlo di qualche cosa parlo di un termine? Di una proposizione, questa proposizione parla di qualche cosa o non parla di nulla, parla di qualcosa e quindi all’infinito atti linguistici e cioè il posacenere non c’è, in un certo senso, questo lo dobbiamo considerare molto attentamente perché è un’obiezione molto frequente, sì è una questione da considerare molto bene. Cesare cosa sta pensando? Potremmo dire che sta spegnendo la sigaretta dentro ad un atto linguistico (quando si danno dei nomi alle cose è per convenzione direi…..chiaramente sono atti linguistici a noi serve dire portacenere perché un determinato oggetto per convenzione) un determinato oggetto, quindi questo oggetto c’è (è una costruzione) (ogni volta che si costruisce qualcosa questo qualcosa c’è, l’atto linguistico stesso diventa un qualcosa che emana l’atto linguistico per cui inevitabilmente diventa escluso dalla parola, un qualcosa che esiste, non è una pedina per giocare ma diventa la realtà, diventa extralinguistico, non è un termine che ci serve per giocare dei giochi ma l’atto linguistico diventa la pietra… ogni volta che parliamo questo parlare diventa come quando parliamo del drago, la parola può descrivere un drago, la parola può descrivere la parola, senza considerare che il drago serve per giocare un certo gioco, è come se ciascuna volta che si parla ciò che si dice diventi sostanza anche se sappiamo che il drago è una figura immaginaria cioè senza sostanza, non c’è nessuna differenza non sono pedine di un gioco per giocare, c’è l’atto linguistico, c’è la costruzione che interviene e si pone come un termine stabilito, una volta che è parlato che è usato dal parlane è come se assumesse una sorta di sostanza ed è proprio per questo che è così difficile giocare il gioco che ci fa esistere….il fermare il discorso avviene proprio perché esiste l’atto linguistico, non è qualcosa che ho definito e che continua a definire e quindi a giocare, definizione e gioco è un atto linguistico come la deduzione che è qualcosa che esiste di per sé, non una invenzione del parlante della quale usa per fare un ben definito gioco…) (se io costruisco un oggetto che non esiste e gli do un nome x e parlo con delle persone ecco io ho costruito un oggetto, per convenzione diventa nominato cioè non ha niente di ontologico e qualcosa che io tramite il linguaggio ho costruito e non c’è sostanza) potrebbe farsi un’obiezione ho usato sì il linguaggio certo per considerare e riflettere, però ho utilizzato della materia che ho elaborato e considerato che è fuori dal linguaggio è stato uno strumento per compiere delle modifiche si potrebbe obiettare (sì però anche la materia è un oggetto o qualcosa che io ho usato) sì certo bisogna trovare argomentazioni molto semplici, molto immediate è chiaro che facendo tutta una costruzione a partire dalla Seconda Sofistica e considerando una quantità enorme di cose si può giungere alla considerazione che inesorabilmente è un atto linguistico, stiamo cercando qualcosa che non necessiti necessariamente di una cosa del genere, quindi stavo dicendo che la costruzione di proposizioni che rendano il discorso molto rapido e molto semplice è difficile in effetti però è questa la scommessa, se, se tutta la questione di cui diceva anche Beatrice riguarda la impossibilità di accedere al sistema operativo, cioè al linguaggio. A partire da questo è stato possibile costruire la civiltà per esempio perché in effetti se riflettete l’eventualità di una civiltà fondata sulla presenza del linguaggio come sistema operativo sarebbe stata totalmente differente, una civiltà dove non è possibile la costruzione di una struttura religiosa, non è possibile proprio strutturalmente la possibilità di credere in una qualunque cosa se non all’interno di un gioco sapendo perfettamente e non potendo non sapere che si tratta di un gioco particolare, vi rendete conto immediatamente quanto sarebbe stato differente, non è avvenuto così ovviamente ma questo ci lascia supporre che qualche cosa nel linguaggio impedisca tale accesso cioè a se stesso e in effetti per giungere a questa considerazione abbiamo dovuto compiere non pochi giri, non poche riflessioni come dire che eliminare tutte quelle proposizioni che impediscono l’accesso al linguaggio e queste proposizioni sono quelle fatte della realtà e il modo in cui siamo giunti a tale risultato è stato quello di porre delle domande ma porre le domande che non si fermavano mai senza ritrarsi come hanno fatto molti di fronte alla regressio ad infinitum, per esempio, è sempre stata una sorta di spada di Damocle, la regressio ad infinitum perché di qui non si può passare, noi invece l’abbiamo presa sul serio come dire non è che di lì non si può passare ma che di lì non c’è utilizzo, non essendoci utilizzo occorre cercare altrove (non intendo che di lì non c’è utilizzo) la regressio ad infinitum? Tornare indietro all’infinito (è trovare degli elementi che continuano ad imporsi, sì, tornare indietro all’infinito è una ricerca delle cause, potrebbe essere che un termine rimanda ad un altro termine) allora non è una regressio, ma un processo, pro-cedere (è auspicabile che ad un certo momento ci sia processo) questo è un altro discorso, la questione della regressio ad infinitum posta dal discorso occidentale non è utilizzabile e infatti non viene utilizzata, la regressio ad infinitum come ricerca della causa ultima, tornando indietro fino ad arrivare alle cause, ma se per noi ha funzionato questo sistema forse è questo che dobbiamo utilizzare dal momento che è stato questo a consentirci di accedere al sistema operativo e cioè al linguaggio, non fermarci di fronte alle domande difficili, continuare ad interrogare, però ciò che ci ha distinti da altri che pure hanno compiuto questa operazione è interrogare lo stesso interrogare che stavamo facendo, forse è questa la via, forse è questa la direzione che dobbiamo seguire anche per consentire ad altri di avvicinarsi a questo discorso, cioè occorre che l’interrogazione si volga su se stessa, perché se non si volge su se stessa, moltissimi lo hanno fatto continuare a interrogarsi, anche logici, senza sosta trovando un’infinità di cose ma questa interrogazione non ha mai interrogato, come dire ciò da cui muovo per interrogare ha qualche fondamento o non ne ha nessuno? Le domande che mi sto facendo hanno un senso o sono assolutamente strampalate? Se sì quale e come lo so? Ecco che a questo punto il discorso cambia, allora sì può intervenire questa ricerca dei fondamenti che poi ci ha condotti al linguaggio come sistema operativo, come è inesorabile a questo punto forse abbiamo a disposizione un sistema, un metodo che va affinato certo (queste regole per restringere il campo d’azione…ci sono molte regole che intervengono perché questo discorso possa proseguire, la regola che impone: a cosa serve ciò che su cui mi sto interrogando in questo gioco che sto facendo?…) sì questo gioco che dobbiamo instaurare è quello che consente alla persona che si pone questa domanda di porsi immediatamente quella successiva cioè “a cosa serve domandarmelo” ed esattamente a questo punto che si instaura quella che tempo fa chiamavamo infinitizzazione del discorso (l’altra volta si parlava di quel logico Ajdukiewjcz…) Che giocava con delle proposizioni e cercava una risoluzione tuttavia cioè cercava di disconnettere delle proposizioni che paiono legate per decreto divino, non riuscendo a trovarla perché erano proposizioni universali e come tali ferme e immobili con una carattere magico, in questo discorso mancavano delle regole per cui questo discorso potesse volgere in un altro modo, come dire che cosa sto giustificando quale realtà sto giustificando per cui se dico che mi do una martellato sul dito non posso non dire che mi fa male? A cosa mi serve compiere tutta questa operazione? Il gioco di queste proposizioni nel suo discorso, questo per avere accesso al sistema operativo perché poi lui appunto stava parlando di proposizioni e queste proposizioni le lasciava lì senza un utilizzo) sì, è questo che ci ha consentito il passo fondamentale tener conto di ciò che stavamo “utilizzando” tra virgolette per fare quelle considerazioni e quindi che cosa comportasse parlare del linguaggio ovviamente attraverso il linguaggio, come di una qualunque altra cosa e quindi è possibile che troviamo ciò che andiamo cercando reperendo delle domande adatte, domande pilotate ovviamente, che obblighino ad una certa risposta, come dicevo prima ripercorrendo un po’ il tragitto che abbiamo fatto che ha consentito a noi di giungere ad un certo punto, solo che queste domande noi ce le si poneva mano a mano nel corso degli anni, forse è possibile porle molto rapidamente, domande la cui risposta è quasi obbligata. Questo è possibile, in effetti le argomentazioni migliori sono sempre riuscite in questo modo ponendo delle domande cioè costringendo la persona a rispondere in un certo modo e una volta che ha risposto in un certo modo è come costretta ad accogliere la sua risposta e quindi c’è già un elemento, può non essere sufficiente però è forse quel passo che crea curiosità, il famoso primo elemento che è indispensabile per poter avviare un discorso (utilizzare le sue affermazioni) sì non è semplice se pensate per esempio che per poter compiere una operazione del genere rispetto a ciò di cui si parlava all’inizio cioè delle immagini, vi rendete conto della difficoltà della questione però è possibile. Il sistema della domanda e risposta è vecchio come il mondo, è stato utilizzato dai sofisti e dai retori per lo più allo scopo di giungere più rapidamente alla persuasione cioè facendo dire alla persona stessa la cosa che si voleva che dicessero, non c’è dubbio che retoricamente è un sistema potente, ma va maneggiato con cura nel senso che se non lo si possiede con notevole certezza o capacità, non solo infatti alludevo a questo tipo di pericolosità utilizzato dall’altro per rovesciare tutta la frittata, e se è sufficientemente abile può farlo e a questo punto togliendovi di mano questa arma vi lascia nei guai, per questo occorre che sia costruito in modo molto robusto, molto efficace e quindi suggerisco di inventare, di farvi anche dei dialoghi, monologo, ma sotto forma di dialogo in cui come facevamo tempo fa avete di fronte un interlocutore e dovete persuaderlo, quindi il vostro pensiero va a tutte le possibili obiezioni e l’intendimento è quello di giungere il più rapidamente e il più efficacemente possibile al risultato che volete ottenere e cioè l’accoglimento da parte dell’interlocutore di qualcosa che è ineluttabile che non è soltanto un artificio retorico ovviamente ma che ha alle spalle un’argomentazione innegabile, come dire abbiamo un’argomentazione ottima si tratta di trovare un sistema per esporla….che è poi è il progetto che avemmo all’inizio di questa estate era un buon intendimento e rimane poi sempre in definitiva questo aspetto cioè affinare sempre l’argomentazione, è ciò che continuiamo a fare è ciò che abbiamo fatto in tutti questi mesi, per fare questo occorre che un’argomentazione preveda tutte le possibili obiezioni dalla più banale alla più sofisticata e oltre a questo ovviamente costringere all’assenso, però non una costrizione logica, una costrizione retorica che è differente. La costrizione retorica è una costrizione per cui l’altro giunge a pensare che è stato lui a giungere a quella conclusione e quindi l’accoglie necessariamente. Per quanto riguarda l’immagine abbiamo detto l’essenziale, si tratta di affinare le argomentazioni, però affermare che l’immagine è una figura retorica pare essere non negabile (è non negabile ma occorre porla in termini di persuasione, si può anche dire che l’immagine è una deduzione, l’immagine è qualcosa di cui il parlante fruisce parlando) e quindi? (non può non fruire di immagini che sono a sua disposizione come parlante, però mi pare che portare una persona ad affermare una cosa del genere non è facile) la argomentazione può avere questo avvio cioè ciò che vedo è diverso se so ciò che vedo o è la stessa cosa? se non so che cos’è ciò che vedo è esattamente la stessa cosa di quando so che cos’è, o cambia? Adesso faccio un esempio molto banale, come dire incominciare il primo passo a porre l’eventualità che ciò che vedo non sia sempre esattamente la stessa cosa, ora è chiaro che questo comporta ancora molte obiezioni, ché io posso vedere cose diverse per motivi disparati però qui può essere possibile proseguire un’argomentazione e giungere al punto in cui vogliamo, ad esempio adesso la dico in un modo molto banale: ma se in varie occasioni l’ho visto in un modo diverso come faccio a saper che è la stessa cosa? posso affermarlo con assoluta certezza? Se sì come? È chiaro che posso affermarlo con assoluta certezza solo se utilizzo alcune regole dei giochi, che ne so? La misurazione per esempio però anche qui il discorso da farsi è ancora lungo, però può già essere una traccia niente di più però una traccia per giungere poi in pochissime battute mostrare come l’ipotiposi mostrano ciò che vanno dicendo, la mostrano immediatamente come qualcosa che non può essere altrimenti. Abbiamo una settimana per rifletterci grazie e buona notte.