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12 novembre 2025

 

Gregorio di Nissa Teologia trinitaria

 

La domanda che ci siamo posti spesso è come sia stato possibile che a un certo punto il pensiero sia scomparso dalla faccia della terra: il pensiero dei grandi pensatori, Parmenide, Eraclito, Zenone, Anassimandro e tutti gli altri. Certo, c’è stato il neoplatonismo, il cristianesimo, è vero. Questo modo di pensare ha eliminato il pensiero teoretico. Dicevamo forse qualche tempo che il teatro greco che non finiva mai con un “e vissero tutti felici e contenti”, ma era la catastrofe finale. Una catastrofe, che è come dire che non c’è salvezza. Era questo il messaggio: non ci si salva. La questione è che in seguito a questo il cristianesimo, cioè il neoplatonismo, ha eliminato il pensiero teoretico, cioè, la ricerca. In fondo tutti gli antichi, a modo loro, cercavano l’essere, l’esistenza, la verità; poi, con il neoplatonismo, la verità è diventata verità rivelata, quindi non era più da cercare. La funzione del pensiero teoretico con il neoplatonismo è scomparsa; anzi, interrogare la verità epistemica, cioè Dio, è diventata blasfemia. Quindi, non si poteva più interrogare ma soltanto contemplare, contemplare la verità epistemica, cioè Dio. Come se a un certo punto il pensiero teoretico fosse stato sostituito, nel passaggio alla verità rivelata, dalla contemplazione estatica. Contemplazione estatica che però esiste ancora oggi. Quando qualcuno afferma qualcosa, in effetti, lo afferma non per interrogare, non lo problematizza, nell’accezione heideggeriana del termine, ma lo contempla: è una contemplazione della verità. Ciò che si fa, potremmo dire dal cristianesimo in poi, non è altro che contemplare la verità, perché si è cessato di interrogarla. Interrogarla, come dicevano prima, è diventata una blasfemia; sarebbe come mettere in discussione Dio. E mettere in discussione la verità - che poi di volta in volta cambia, ma non importa - viene visto ancora oggi come una sorta di blasfemia. Questa contemplazione è la contemplazione del bello. Qui la questione si fa complessa perché contemplare il bello, che poi è il bello assoluto, quindi, la verità, quindi Dio, necessita che questo bello sia identico a sé, inamovibile, assoluto, sia appunto Dio. Non è possibile gioire di un bello che cambia continuamente, devo fermarlo, devo determinarlo, devo stabilire che è quello, e allora posso goderne. E qui si apre una questione importante. Pensate alle cose che piacciono, che sono considerate belle. Queste cose fino a che punto hanno a che fare con l’estasi mistica? Ciascuna volta in cui ciascuno è rapito dal bello, potremmo addirittura dire che sta vedendo Dio, sta vedendo il bello assoluto, sta vedendo l’Uno. Questa è una questione complessa, ma a mio parere di straordinaria importanza. Intanto, perché porterebbe a una riscrittura totale di tutta la storia dell’estetica. L’estetica si fonda, per usare i termini di Aristotele, sull’ήδονή senza λύπη, senza i molti. L’ήδονή è il piacere e la λύπη il dispiacere. E allora il bello, l’ήδονή, sarebbe, in effetti, senza la λύπη, cioè senza i molti, sarebbe l’estasi mistica, la contemplazione dell’Uno, direbbe Plotino.

Intervento: Un essere rapiti….

Essere rapiti da un ritorno all’Uno, o essere di fronte all’Uno, cose del genere. Infatti, in Gregorio di Nissa, non in questo ma nell’altro testo Il grande discorso catechetico, pubblicato dalla UTET, a un certo punto pone un’etimologia, vera o falsa non si sa, di θεός, Dio, che lui fa derivare da un verbo greco, θεάομαι, da qui deriva anche teoria, θεωρεν. Θεάομαι significa vedere, osservare, guardare, contemplare. Sto dicendo che, tolto il pensiero teoretico, c’è la contemplazione, c’è l’estasi mistica, c’è il qualche cosa che è quello che è, in quanto non ci sono più i molti e, quindi, è contemplabile. Quindi, deve essere immobile, deve essere identificato e determinato come assoluto, perché non ci devono essere i molti, perché se è identico a sé i molti sono scomparsi. È come se ogni volta in cui, per esempio, si pensa o si dice “io vedo come stanno le cose” è come se stessi vedendo Dio. Perché, anche tenendo conto di quello che poneva Zenone, che dice: io posso anche vedere qualcosa ma non so cosa vedo, nel senso che non lo posso misurare, non lo posso matematizzare; quindi, posso anche dire di vedere, sì, certo, e poi? La cosa si ferma lì, perché non ha modo di essere misurata, di essere calcolata. Dicevo che mi è parsa importante tutta la questione che riguarda non soltanto l’estetica, ma l’estasi. E quando si pensa all’estasi, si pensa a Santa Teresa, a Giovanni della Croce, a questi personaggi. L’estasi mistica, cioè, la contemplazione di Dio, della realtà epistemica, è ciò che accade quando ci si trova in assenza di pensiero teoretico, cioè la cosa non interroga perché non ci sono i molti, quindi non c’è niente da interrogare.

Intervento: La verità si sente….

Sì, esattamente. E, infatti, se la sento non può essere altrimenti che così, è indiscutibile. Lo diceva già Plotino: lo sento e, quindi, non c’è niente da interrogare. In fondo, lo si dice ancora oggi, per esempio rispetto alla scienza: lo dice la scienza, per cui non è che possiamo interrogare, è così e basta. Oppure, tutte le verità che si affermano continuamente sono tutte poste come le verità epistemiche, che producono ήδονή, quella soddisfazione che si ha nel momento in cui si annuncia la verità, la soddisfazione di avere eliminato i molti, cioè di aver eliminato il fastidio, di avere eliminato il disagio, di avere eliminato tutto ciò che l’interrogazione si porta appresso. Perché è l’interrogazione, lo sapevano bene gli antichi, che crea inquietudine: la tragedia greca termina con una grande inquietudine, un massacro generale, finisce malissimo, cioè sta dicendo che i molti non si tolgono, la λύπη, il disagio, il malessere, permane. E questo è strettamente connesso con il pensiero teoretico, perché il pensiero teoretico interroga e per interrogare è necessario che ci siano i molti. I molti ci sono sempre, mentre laddove si afferma qualcosa con certezza i molti è come se fossero scomparsi. Scomparendo i molti cessa il pensiero teoretico. È questa l’operazione compiuta dal cristianesimo: ha cancellato il pensiero teoretico: non c’è più niente da interrogare, cioè, noi sappiamo come stanno le cose, sappiamo che c’è Dio, perché ci sono gli apostoli che lo testimoniano. Stavo pensando questo perché, in effetti, riflettendo su ciò che accade nel singolo, oltre a ciò che accade in generale... che poi ciò che accade non è nient’altro che esercizio della volontà di potenza messa in atto con i mezzi e gli strumenti che l’epoca, il periodo storico, offre. Oggi la propaganda ha mezzi per manifestarsi che solo cinquant’anni fa non c’erano. La volontà di potenza utilizza chiaramente tutti questi strumenti, ma sempre a vantaggio dell’estasi mistica, cioè della contemplazione, della contemplazione del bello in fondo, perché l’idea di dire la verità ha a che fare con il bello, con qualcosa che essendo vero è anche bello. Lo avevano inteso anche la scuola di Chartres, XIV secolo più o meno.

Intervento: La propaganda…

Lo spettacolo, cioè, l’osservare. L’osservare è effettivamente il contemplare, fa parte della contemplazione. Basta vedere uno che guarda la televisione: è in estasi. Così come quelli che guardano il telefonino: sono in piena estasi mistica, perché lì c’è il bello, c’è il vero, lì c’è la soddisfazione, perché il bello e il vero sono la soddisfazione, sono l’ήδονή, che è stata raggiunta eliminando il pensiero teoretico, eliminando tutto il pensiero, potremmo dire, preplatonico, cancellandolo totalmente, in modo che non ci sia più nulla da interrogare.

Intervento: C’è una sorta di abdicazione dalla responsabilità…

Questione portata all’estremo, per esempio, dall’islamismo. Qualunque cosa accada, è Dio che lo vuole. Questo è importante perché il pensiero greco preplatonico, potremmo chiamarlo così, invece sottolineava l’aspetto della responsabilità, cioè del pensiero, cioè, tu sei responsabile del tuo pensiero. Addirittura, Aristotele parlava del pensiero che pensa se stesso come la cosa più importante, più degna di essere pensata. Io che penso, come faccio a pensare? A quali condizioni penso? Cosa sto pensando? Perché? Lì non c’è nessuna estasi mistica, non c’è nulla da osservare, c’è da interrogare, c’è da pensare. Le due cose si oppongono, o c’è l’una o c’è l’altra. E il cristianesimo ha operato questo miracolo attraverso l’inserimento di questa fantasia di potenza potentissima, ne parla già Paolo, cioè fornire a ciascuno l’opportunità di giudicare gli altri senza potere essere lui giudicato.

Intervento: Questa è una caratteristica del monoteismo. Penso all’ebraismo.

Sì, certo. Il cristianesimo viene da lì in fondo. Si continua ancora oggi a leggere la Bibbia, che è stata scritta da Mosè sotto dettatura.

Intervento: Gesù dice che non c’è più niente da aspettare, perché la verità è questa.

Esatto, perché è arrivato Cristo, mentre gli altri lo aspettano ancora. Cristo è arrivato e ci ha salvati. Ci ha salvati, cioè, ci ha dato la possibilità di ritornare all’Uno, tornare a Dio dopo la morte; mentre con il neoplatonismo il ritorno all’Uno era sempre desiderato ma mai raggiunto, il cristianesimo inserisce questo elemento: bisogna attenderlo perché arriverà. Il cristianesimo l’ha reso possibile. L’estasi coinvolge tantissimo aspetti. Coinvolgendo l’idea di verità coinvolge in fondo ciascuna affermazione che si ponga come verità. Io so come stanno le cose perché le vedo: in quel momento sta vedendo Dio, non sta vedendo le cose, quelle non le vede, non ha la più pallida idea di che cosa siano. Quindi, è Dio che si vede nell’estasi mistica. Porre la questione in questi termini rende conto anche dell’attrazione che ha, perché l’estasi mistica produce un grandissimo godimento, perché si ha l’idea di vedere la verità, quindi di vedere il tutto, di sapere il tutto, di conoscere il tutto: è da lì che sorge questo enorme godimento. È stata questa lettura, non solo dei teologi ma della patristica greca e latina, a porre questa questione. In effetti, il cristianesimo si fonda sull’estasi, cioè, sulla contemplazione, già con Plotino. Contemplare, ma contemplare che cosa? Contemplare la verità. Dio è verità, l’hanno chiamata Dio, va bene, ma è la verità epistemica, è quella cosa che è quella che è, che per ciascuno funziona come riferimento o come referente a ogni sua affermazione. In caso contrario, ogni affermazione non sarebbe una contemplazione della verità ma un problema da pensare: questa è la differenza sostanziale.

Intervento: Ciò a cui non si rinuncia è il godimento che offre il sapere come stanno le cose.

Sì, mentre il pensiero teoretico lo mette in gioco, toglie l’assoluto, quindi, toglie la possibilità di un godimento tutto, dell’intero.

Intervento: Come si produce questo godimento...

Necessita chiaramente della costruzione di un nemico. Il nemico sono i molti, naturalmente, cioè, chi in qualche modo impedisce o minaccia il godimento. Gli umani sono maestri nel creare nemici, non hanno problemi in questo senso. Il disagio compare nel momento in cui non c’è più l’ήδονή, cioè, non c’è più l’estasi mistica. Se non c’è l’estasi mistica c’è la tragedia. I greci in fondo pensavano che la tragedia avesse alla fine, perché alla fine c’era la catarsi, c’era comunque un’idea di possibile salvezza in qualche modo, che poteva avvenire anche attraverso la punizione di sé. Si sono resi conto gli antichi della potenza della λύπη rispetto all’ήδονή; ciò che è mancato da sempre è l’accorgersi che sono la stessa cosa, sono due momenti della stessa cosa, e che non si può togliere l’uno senza togliere l’altro; come diceva Aristotele rispetto alla δύναμις e all’ἐνέργεια, la potenza e l’atto: ciascuno dei due non è toglibile. E questa è la cosa forse più difficile da avvertire, e ancora più da accogliere, e cioè che ciascuna cosa è sempre e comunque altro da sé, non è soltanto quella. Magari è anche quella, sì, insieme a un’infinità di altre cose, ma il fatto che sia anche quella, insieme a infinite altre cose, la rende un qualche cosa che è da pensare, perché non è qualcosa su cui fare affidamento in modo definitivo, per cui le cose stanno così. Sì, come dicevo, magari possono anche stare così, forse, non sappiamo, ma di sicuro non stanno solo così. Non possono stare solo così, perché ciascuna cosa ponendosi pone anche la sua alterità, necessariamente, proprio per la struttura del linguaggio, per come il linguaggio funziona. Se dico, dico qualcosa: questo qualcosa è già altro rispetto al mio dire, ma i due non sono separabili. Potremmo quasi dire che con il cristianesimo si è instaurata l’estasi mistica, e da lì non ci si è più mossi, si è rimasti in contemplazione della verità: prima era Dio, poi è diventata la natura, poi è diventata la scienza, poi è diventata la finanza, ecc., comunque è lo stesso.

Intervento: C’è sullo sfondo questo pensiero di salvezza, perché la verità salva.

Certo. Cristo che cos’è venuto a fare, sennò? Sì, salva, cioè, elimina i molti, elimina il fastidio, e finalmente la felicità. Era Agostino, mi pare, che diceva del ritorno all’Uno, a Dio, qualcosa che tranquillizza, il ritorno al conosciuto, al domestico, alla quiete. Il ritorno alla quiete, alla quiete assoluta, dove non c’è più nulla che dia fastidio. Si tratta di cogliere questi aspetti in ciascun atto di parola, perché ciascuna volta in cui si afferma qualche cosa è sempre in agguato, per così dire, questa estasi mistica, cioè, questo godimento che attrae, che seduce, che rapisce. Il rapimento, in effetti, è l’estasi, un portare fuori. Tutta la teologia è anche questo, cioè, una propaganda per cessare di praticare il pensiero teoretico a vantaggio della contemplazione, cioè, dell’estasi mistica. Come dire: non preoccupatevi della ricerca della verità, come facevamo in antichi, la verità l’abbiamo stabilita, trovata.

Intervento: In questo essere rapiti, soggiogati, c’è questa potenza che uno avverte e rispetto alla quale non può fare nulla…

Soggiogati, sottomessi. D’altra parte, la propaganda serve a questo. Per questo la retorica aveva una branca, la stilistica, il parlare bene. Parlare bene affascina, costruire il discorso in modo tale che sia gradevole, piacevole all’udito. Lo diceva anche Gregorio di Nissa quando dava i suoi suggerimenti. Un bel discorso affascina, una bella costruzione del discorso, più che il contenuto, è la costruzione delle frasi che rapisce, perché ciascuna frase è bella, quindi, si pone già come vera perché è bella; e questa frase è costruita in modo tale da portare chi l’ascolta ad attendere la frase successiva, che sarà altrettanto bella, che sarà altrettanto vera. Ciascuna proposizione ben costruita, ben detta, ben formulata, allude a un’altra proposizione altrettanto bella, che si aspetta perché produce godimento, perché la proposizione bella è vera, quindi io acquisisco il vero e, quindi, acquisisco potere; in fondo, è questo che seduce. Sedurre, rapire, sottomettere, in fondo sono tutti aspetti della stessa questione, non c’è molta differenza. Ma questo potrebbe essere anche un modo per proseguire la lettura dei padri della Chiesa, tenendo conto della portata dell’estasi mistica nel loro discorso e dell’importanza che ha la contemplazione. D’altra parte, lo dicono loro stessi, quando uno arriva davanti a Dio, che cosa fa? Lo contempla, è la contemplazione della verità epistemica, cioè il potere assoluto: è la conoscenza, quindi il potere su tutto. Paolo diceva anche questo: la conoscenza di tutto, perché Dio è tutto, se io sono con lui conosco tutto; quindi, posso giudicare tutti senza essere io stesso giudicato, perché io parlo in nome di Dio, ciò che io dico procede dalla contemplazione di Dio, cioè dalla verità; quindi, chi può giudicarmi? Pensate ai dibattiti è esattamente questo che si fa: tutti giudicano tutti, non c’è nessuno che pensi qualche cosa, è solo un giudicare. Come dire: io contrappongo la mia visione, la mia estasi mistica, il mio Dio - in fondo, si tratta sempre di questo - il mio Dio è più Dio del tuo. È sempre la guerra di una verità contro l’altra, perché ciascuno è preso in questa estasi. E questo rende anche conto del fatto che chi pensa, in effetti, già per i padri della Chiesa, è un blasfemo, perché chi pensa, chi interroga, interroga che cosa? La verità, ma se la verità è Dio allora significa mettere in discussione Dio, e questa è una blasfemia. Ancora oggi è rimasta questa idea. Chi pone domande, chi accenna anche solo al pensiero, immediatamente viene ostracizzato, in tutti gli infiniti modi che oggi ci sono per eliminare qualcuno, magari non fisicamente, ma quanto basta per renderlo inoffensivo.

Intervento: Un po’ come se fosse inutile…

Infatti, è inutile. Perché cercare la verità se ce l’abbiamo già? È Dio la verità, quindi cosa stiamo cercando? Per questo gli intellettuali, cioè i pensatori di una volta, sono scomparsi: perché non servivano più. A che cosa serve uno che si interroga, come Parmenide, che si interroga sull’essere, sull’esistenza, sulla verità? Non serve a niente perché ce l’abbiamo già. E, quindi, sono scomparsi, scomparsi perché non avevano più credito, perché chi si mette nella posizione del detentore della verità mal sopporta chiunque metta in discussione il suo potere. Hanno fatto in modo di rendere il blasfemo immediatamente un nemico, così come Eunomio per Gregorio di Nissa, era la peste assoluta. La domanda era: se sono tre, come è possibile che l’uno generi l’altro ma sia la stessa cosa? Se lo ha creato, allora è un’altra cosa, non è più lui, quindi la sostanza non è una: tre ipostasi e tre sostanze. Un pandemonio. Probabilmente, non tanto per la questione trinitaria in sé, ma perché questa cosa insinuava il pensiero laddove il pensiero non deve esserci più e, quindi, poteva invogliare altri a incominciare a pensare, cioè, a interrogare.

Intervento: È come se il processo di pensiero fosse stato giustificazionista. Non interrogava ma doveva giustificare certe proposizioni, diciamo, universali.

No, mai interrogare. In fondo, quello che hanno fatto i padri della Chiesa è giustificare Dio, giustificare la Trinità, giustificare il parto della Vergine Maria, che ha partorito vergine; giustificare anche la Bibbia là dove dice cose come il Dio che ha creato la sua creatura maschio e femmina, un transessuale, lo ha creato a propria immagine e somiglianza; e allora? Quindi, occorre giustificare queste affermazioni. Il primo è stato Filone a dare l’avvio: Dio non può avere detto questo, quello che ha detto deve essere giustificato, cioè reso giusto, reso retto, reso accettabile, accettabile dal canone stabilito, in quel caso dal Concilio di Nicea. È dopo Filone e poi dopo Agostino, dopo tutti i padri della Chiesa, che è sorta l’ermeneutica, e cioè la necessità di interpretare ciò che va contro quello che dico io. Che poi è diventata una tecnica argomentativa, anche retorica: sì, ho detto questo, però con questo io intendevo quest’altro. Tutto questo anche per porre la Bibbia come quell’oggetto che non doveva più essere interrogato, ma poteva solo essere contemplato, cioè, osservato, con osservanza appunto. Osservare in italiano ha un duplice significato: quello di guardare attentamente, ma anche di attenersi a un codice, di attenersi alle regole, alle leggi, ecc.

Intervento: Ciò che fa funzionare il tutto è l’idea che una verità esiste. È quella cosa di cui parlava anche Vico. La verità è attuale, è nelle cose che si producono, non c’è una verità prima.

Il fatto è che non c’è neanche dopo, neanche in queste cose che si producono. Perché questo è un altro modo per inserire comunque la verità. Come dire, non c’è una verità assoluta, c’è una verità relativa, però c’è. L’importante è che si mantenga questa credenza che una verità ci sia, che ci debba essere, come diceva quel tale: la verità c’è, non sappiamo dove, però ci deve essere. Per lo stesso Popper la verità c’è. Come fai a saperlo? Chi te l’ha detto? E, poi, cosa intendi con verità? Qualunque cosa tu intenda devi pensare che questa cosa sia vera. Ma se ancora non abbiamo il concetto, non abbiamo la verità, come possiamo stabilire se ciò a cui ti trovi di fronte è vero oppure no? Non abbiamo modo, ecco la tragedia greca, la catastrofe. E allora, ha detto bene Aristotele, e allora ci rimane la doxa, ci rimane quello che pensiamo, che crediamo, che immaginiamo, ma sapendolo, sapendo quello che stiamo facendo. Non possiamo uscire da lì, lui lo ha detto bene. L’universale, lo stesso necessario, il concetto di necessario non c’è, c’è la doxa; però, bisogna saperlo. Per esempio, Mendelson nel suo libro Logica matematica pone il problema dell’induzione e della deduzione, la necessità di porre queste due inferenze come teoremi, cioè, come veri; perché non basta una deduzione, occorre che la deduzione conduca alla verità, sennò cosa me ne faccio? Però, tutto quanto è sorretto dall’induzione, e l’induzione non è altro che analogia, la quale è somiglianza, è similitudine: questo somiglia a quest’altro, ecc. Questo è il fondamento di tutto, perché l’analogia non è nient’altro che doxa, e cioè è quello che sembra, che appare. Ma ancora tenerne conto, cioè saperlo, è questo che forse si oppone all’estasi mistica, e cioè che questa verità che contemplo non è altro che doxa. Dio stesso è doxa, è analogia. Lo dicono anche loro: le cose che diciamo di Dio le diciamo per somiglianza, cioè con l’analogia, con ciò che vediamo, cioè come gli uomini: se hanno una testa, un corpo, due gambe, anche Dio sarà così, se ha fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza, sarà fatto così anche lui. Viene da chiedersi perché mai Agostino abbia evocato questo passo, questo verso della Bibbia, dove Dio appare descritto come un transessuale. Bastava semplicemente non citarlo, ma lui lo ha fatto per indicare la necessità assoluta di interpretare, cioè dell’esegesi. Ogni cosa deve essere interpretata e quindi riportata al codice corretto. L’esegesi, l’ermeneutica porta a questo: qualunque cosa viene riportata a ciò che si ritiene essere vero. La questione della doxa è stata, come tutto Aristotele, molto sottovalutata. Lui stesso non è che si soffermi un granché. Dice che, sì, c’è la doxa, e a questo punto è inutile andare oltre perché si troverà sempre soltanto altra doxa. Bene, però ci sarebbe stato da discutere un po’ di più, a mio avviso; e, invece, lo lascia perdere anche lui. Probabilmente, dava fastidio anche a lui, chi lo sa. Perché si tratta a quel punto di trarre le implicazioni, le conseguenze di una cosa del genere. Lui è nato come platonico, sapeva come pensava Platone: l’idea, l’universale. L’universale come lo costruiamo? Con l’analogia. E, quindi, lì ha fatto a pezzi Platone totalmente, perché se non c’è l’universale non c’è l’idea, e quindi tutto il discorso, tutta la teoria delle idee di Platone, viene giù come un castello di carte. È una questione su cui merita di riflettere, di lavorarci su, proprio per via delle implicazioni che magari non vediamo o che ci sfuggono. Si tratterebbe di vedere bene le implicazioni del fatto che c’è solo doxa: l’unico modo di conoscenza che abbiamo è la doxa, non ce ne sono altri, non possono essercene. Cosa comporta questo? Una serie infinita di cose devastanti.

Intervento: Quando lei dice che abbiamo a che fare solo con la doxa a me viene in mente che abbiamo a che fare solo con ciò che si dice.

Sì, certo. E ciò che si dice è solo doxa.

Intervento: Però, a questo punto, nel momento in cui parliamo di una verità epistemica, parliamo di qualche cosa che si pone fuori dal linguaggio, fuori da ciò che si dice.

Esatto. La definizione, ciò che lei sta descrivendo, è fuori naturalmente, però è la condizione di tutto, è l’ineffabile che è la condizione del dicibile. Solo se ciò che dico è vero posso imporlo agli altri e posso quindi goderne.

Intervento: Occorre tenere conto di questo aspetto del godimento.

Sì, è importante. Infatti, della verità non importa assolutamente niente a nessuno. È il godimento che produce il pensare di possederla che mette in moto tutto, e cioè il πάθος, come diceva Aristotele, questa sensazione di onnipotenza, di avere ragione, di potere quindi giudicare tutti e non poter essere giudicato perché io parlo in nome della verità. Sto pensando agli undici famosi punti di Göbbels. In fondo, anche quelli invitano alla contemplazione, cioè: le cose stanno così. La propaganda è sempre questo, un invitare alla contemplazione, un sedurre verso la contemplazione, che già seduce perché la contemplazione significa vedere la verità, vedere il tutto, vedere come stanno le cose.