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12-11-2014

 

Da E. Severino, Fondamento della contraddizione

 

Non tramonta la contraddizione C che, a partire da Struttura Originaria, è costantemente presente nei miei scritti; ossia non tramonta la contraddizione che è tale non perché il suo contenuto sia l'errore e il contraddittorio, e dunque il nulla, ma perché è la forma astratta della verità, è la stessa verità del destino, ma in quanto astratta, ossia è il destino della verità in quanto presenza finita dell'apparire infinito della totalità dell'essente e pertanto del destino della verità.

 

 Sta dicendo che la contraddizione C si distingue dalla contraddizione normale, quella di cui ci siamo occupati sempre, perché dice che il contenuto della contraddizione normale è il nulla, se io dico (a e non a), il contenuto di questa cosa è nulla, per Severino e anche per Aristotele, ma dice che la contraddizione C è la forma astratta della verità, è la stessa verità del destino cioè degli “Eterni”, e l’identità a sé di ogni elemento, e questo destino della verità in quanto presenza finita (conclusa) dell’apparire infinito della totalità dell’essente e pertanto del destino della verità, come dire che riguarda una presenza finita all’interno di un qualche cosa che invece è infinito, cioè la totalità degli essenti.

 

La contraddizione C è il destino della verità, in quanto apparire finito dell'infinito - e il destino accoglie la terra, ossia tutto ciò che sopraggiunge senza fine nell'eterno cerchio finito del destino -; giacché anche se la terra allarga all'infinito quel cerchio, in esso non appare la totalità infinita dell'essente, non appare il destino in quanto già da sempre accoglie in sé tale totalità, e pertanto essa, sì, appare - ogni essente appare nel suo appartenerle -, ma non appare nella concretezza totale delle sue determinazioni; sì che ciò che appare come totalità non è la totalità, appare e come totalità e come non totalità. E anche ogni determinazione che appare nell'apparire finito del destino e della terra non appare nella totalità delle sue relazioni alla concreta totalità infinita delle determinazioni; ossia anche ogni determinazione che appare, appare e come ciò che essa è (ad esempio come questa stanza illuminata, che è una delle determinazioni della terra) e non come ciò che essa è - giacché questa stanza illuminata è ciò che essa è solo nella sua relazione alla totalità infinita delle determinazioni dell'essente, la quale non appare nell'apparire finito (e tale relazione è necessaria, perché ogni determinazione è un eterno, da cui nessun'altra determinazione può prescindere). La contraddizione C è appunto questo apparire della totalità e delle determinazioni dell'essente, dove ciò che appare appare nel suo essere e non essere ciò che esso è.

Ma, stiamo dicendo, questa contraddizione non ha come contenuto il contraddittorio e il nulla: nonostante il suo esser costituita dalla convinzione che questa stanza illuminata è e non è questa stanza illuminata, o che questo essente è e non è questa stanza illuminata. Tale contraddizione è infatti costituita, da un lato, dall'apparire di questa stanza che è illuminata (o da questo essente che è una stanza illuminata), e, dall'altro lato, dal non apparire di tutto ciò che è necessariamente implicato dall'essere questa stanza illuminata - il non apparire, cioè, per il quale questa stanza illuminata non mostra ciò che in verità (ossia nell'apparire infinito del destino della verità della totalità concreta dell'essente) essa è, e, non mostrandolo, essa appare nel suo non esser questa stanza illuminata. Appare questa stanza illuminata, e insieme appare nel suo non poter essere ciò che essa mostra di essere cioè questa stanza illuminata. Con la terminologia di Struttura Originaria, la contraddizione C è costituita dall'apparire di una determinazione astratta e dall'apparire dell'assenza (cioè del non apparire) del concreto a cui il significare di tale determinazione rinvia e a cui è necessariamente unito (dove la determinazione è “astratta”, appunto perché è astratta, separata, isolata dal concreto).

Questa contraddizione è oltrepassata (questa è la soluzione che offre Severino al problema) non già negando che questa stanza sia illuminata (o che questo essente sia una stanza illuminata): nel cerchio finito dell'apparire del destino questa contraddizione sarebbe oltrepassata con l'apparire infinito della concreta totalità dell'essente con la quale questa stanza illuminata è in relazione. Sarebbe oltrepassata - diciamo -, perché è contraddittorio che la totalità infinita dell'essente abbia a entrare nel cerchio finito dell'apparire (in Essenza del Nichilismo, “Il sentiero del Giorno”). In questo cerchio, questa contraddizione è oltrepassata, nel senso che il suo oltrepassamento è un cammino infinito, un indefinito allargarsi del cerchio finito - sì che la contraddizione del finito, in quanto finito, permane all'infinito nel suo esser oltrepassata all'infinito. E permane all'infinito nel cerchio finito, mentre in questo cerchio rimane nascosto quell'eterno che è l'oltrepassamento già da sempre compiuto della contraddizione C, e che già da sempre appare nell'apparire infinito della concreta totalità dell'essente (l'apparire infinito essendo peraltro l'eterno apparire dell'eterno oltrepassamento della totalità della contraddizione. La contraddizione C è la condizione del costituirsi della forma normale della contraddizione - cioè della forma dove il contenuto della contraddizione è il nulla. Infatti la forma normale della contraddizione - l'errare che ha il proprio fondamento nell'isolamento della terra - può costituirsi solo in quanto non appare il destino della totalità infinita e concreta dell'essente. Non nel senso che sia questo non apparire in quanto tale a implicare l'errare - giacché la verità originaria è il cerchio finito dell'apparire del destino, ed è questo cerchio, che è la negazione dell'errare, a implicare necessariamente l'essere dell'apparire infinito del destino - ossia l'essere che in tale cerchio si manifesta solo astrattamente (o la cui concretezza si nasconde). Il non apparire della totalità concreta non implica, in quanto tale, l'errore, perché nel cerchio finito del destino la totalità concreta non appare, e tuttavia tale cerchio non è un errare, ma è la negazione originaria dell'errore, ossia è la dimensione la cui negazione è autonegazione.

 

Severino sta facendo una considerazione che è centrale nella sua teoria o in parte della sua teoria, e cioè sta considerando che esiste una sorta di contraddizione, che lui chiama “contraddizione C”, che è la condizione della contraddizione normale. La contraddizione normale è affermare di ciò che è che non è e di ciò che non è che è, ma c’è una contraddizione dice lui più originaria. Questa contraddizione muove dall’idea che ci sia un tutto, che esista un tutto e che qualunque cosa, qualunque essente appare all’interno di un tutto, voglio dire che un qualunque essente che appaia non appare in quanto isolato dal tutto, ma appare all’interno di un tutto. L’idea di Severino è che ciò che appare, appare nel concreto. Ciò che appare è ciò che appare qui e adesso, ma il tutto, all’interno del quale il concreto appare, invece non appare: “questa penna appare nel concreto” il tutto all’interno del quale questa penna esiste è invece astratto, non è concreto, non appare. Qui abbiamo una posizione che per molti versi abbiamo già considerata, e cioè che un elemento è quello che è in quanto è all’interno, Severino dice di un tutto, ricordate che tutto ciò che afferma la semiotica da De Saussure a Hjelmslev, a Greimas, dice qualcosa di molto simile anche se il modo in cui ne parla Severino è all’interno di un ambito filosofico metafisico, cosa che non accade con la semiotica. La questione che sta affrontando Severino non è così lontana, sta dicendo che ciò che appare, l’elemento, l’essente, è quello che è in quanto può essere determinato, perché è all’interno di un tutto che invece risulta indeterminato, astratto, quindi ciò che appare, il concreto, non potrà mai essere un tutto nel senso che, potremmo anche dirla così, è come se il tutto promettesse di essere ciò che in realtà non riesce mai a essere, perché questo tutto di che cosa dovrebbe essere fatto? Della totalità dei concreti, e cioè il tutto è ciò di cui possiamo dire che non manca di alcunché, questo è il tutto generalmente. Però di questo tutto, che dovrebbe essere fatto dalla totalità degli essenti, non appare mai. Per Severino l’“apparire” è una nozione importante, l’apparire è ciò che “appare” appunto cioè emerge e che consente la conoscenza per esempio, dunque ciò che appare è sempre un frammento del tutto e, secondo Severino, per quanti tanti essenti ci siano, la quantità di questi essenti non sarà mai il tutto: il cerchio si allarga per comprendere altri essenti all’infinito. Quindi la totalità non sarà mai raggiunta di fatto, quindi in che cosa consiste la contraddizione C? Per Severino, quella che è condizione di qualunque contraddizione pensabile “la contraddizione C è costituita dall’apparire di una determinazione astratta di questo tutto e dall’apparire dell’assenza del concreto a cui il significare di tale determinazione rinvia e a cui è necessariamente unito”, come dire che questo tutto che è fatto di una determinazione astratta perché non appare se non in un frammento, questo tutto per essere qualche cosa deve apparire, cioè deve essere concreto, ma ciò che è concreto non può apparire se non all’interno di un tutto che è astratto. È questa la contraddizione: perché appaia il concreto è necessario che questo concreto sia debitore di un tutto, e questo tutto astratto non può esserci se non appare, ma ciò che appare è una determinazione concreta quindi una parte del tutto; per dirla in termini ancora più semplici, ciò che appare, il concreto, è al tempo stesso l’astratto e il concreto, perché non può essere senza l’astratto, ma l’astratto non può essere senza il concreto. Questa è la contraddizione C teorizzata da Severino. Come questa contraddizione apparentemente insanabile può essere risolta? All’infinto. Cioè non ha una soluzione finita, ha una soluzione infinita nel senso che mano a mano che questo cerchio si espande, il cerchio del concreto, diciamola così, si espande e quindi tende all’infinito, quindi è all’infinito che tutti i concreti coincideranno con la totalità. Ora c’è un problema come vi accennavo la volta scorsa: ponendo la contraddizione C come condizione della contraddizione che chiama “contraddizione normale” compie un passo che è arduo, perché se teniamo conto di ciò stesso che lui afferma rispetto alla contraddizione normale, ci troviamo nella condizione di obiettare che qualunque concetto si abbia di “tutto” di “concreto” di “astratto” eccetera, questo concetto deve necessariamente non essere contraddittorio, il che ci porterebbe a concludere, al contrario di ciò che afferma Severino, che la contraddizione normale è la condizione della contraddizione C. Certo è un testo di metafisica, e lui pone il tutto come un essente, come qualche cosa che è, ma perché sia, sia il tutto, cioè l’astratto, che il concreto, entrambi questi due essenti, ciascuno dei due è necessario che sia quello che è, e cioè occorre che il concreto abbia una sua determinazione per potere essere considerato come contraddittorio, nel senso della contraddizione C, rispetto al tutto. Per cui ci sarebbe questa situazione bizzarra per cui la necessità della contraddizione normale sembra irrinunciabile anche per potere pensare, perché è questa la questione, per potere conoscere. Riprendendo Aristotele pone la contraddizione come base, come fondamento della conoscenza e cioè perché possa darsi la conoscenza è necessario che un elemento sia determinato e cioè non sia contraddittorio e cioè non affermi di sé di non essere sé. Quindi affermare che la contraddizione C è condizione della contraddizione normale “potrebbe”, dico potrebbe, anche essere visto come una contraddizione, nel senso che per potere costruire una conoscenza che consenta di pensare a un tutto, a un astratto, a ciò che appare, all’apparire stesso perché ciò che appare non è ciò che non appare, e quindi in questo caso Severino si trova in una situazione difficile da sbrogliare. Il “tutto”, l’“astratto”, l’“apparire”, il “concreto”, sono concetti, con i quali è molto più difficile giocare per quanto riguarda il significato di quanto invece sia farlo con simboli, così come accade nella logica formale, se io scrivo “se A allora B”, A e B sono simboli, variabili enunciative, ma hanno un significato, questi elementi, che è prodotto dalle condizioni di verità dei singoli elementi, qui invece sono concetti quindi questioni molto difficili, più complicate da maneggiare, mentre possiamo dire che “A” è “A”, mentre quando io definisco il tutto o l’astratto o il concreto eccetera sono costretto a fare intervenire molti altri concetti che possono rendere la vita complicata. Quando Severino definisce il “tutto” come ciò che non manca di alcunché, la nozione di “mancanza” di “alcunché”, di “ciò”, questi concetti rinviano a loro volta ad altre cose per cui porre una cosa del genere come originaria mi para azzardata, non dico che sia impossibile, ma sicuramente azzardata, oltre il fatto, come dicevo prima, che la contraddizione che lui chiama “normale” non può per ciò stesso che lui dice, non può essere secondaria rispetto alla contraddizione C dal momento che è la condizione della conoscenza. Anche ponendo il tutto come un ché di metafisico in ogni caso occorre conoscerlo, occorre considerarlo, pensarlo, e tutte queste operazioni sono possibili per ciò stesso che lui, sulla scorta di Aristotele afferma, e cioè che si dia la condizione della conoscenza, e cioè che un termine sia quello che è. Ciò che muove Severino a fare questa congettura è l’idea che, mentre la contraddizione normale produce il nulla, la contraddizione C no, perché i due elementi non si annullano ma permangono. Questo a suo avviso è ciò che renderebbe la contraddizione C condizione della contraddizione normale, però è discutibile per i motivi che abbiamo visti, anche il fatto che questa contraddizione non sia l’“errare”, come dice lui per la contraddizione C, perché non c’è il nulla, questo di fatto non dovrebbe comunque indurre a pensare che la contraddizione C sia antecedente o comunque condizione della contraddizione normale, anche perché questa contraddizione C non è il nulla se e soltanto se si intendono i concetti che lui utilizza per definirla nel modo che lui utilizza, che non è così automatico. È un problema che si trova nel testo di Severino, non sto dicendo che Severino abbia sbagliato, semplicemente ha posto una questione come a lui pareva, e poi c’è sempre l’aspetto fantasmatico di cui forse vi accennavo e cioè che finché si parla di teoria altrui è come se si fosse in qualche modo giustificati a trovare il “cavillo”, si è molto attenti e molto rigorosi, quando si vaglia una teoria altrui, mentre con la propria si tende spesso ad essere più generosi e accondiscendenti. Questo è l’aspetto fantasmatico, non sto dicendo che intervenga, ma può intervenire in una teorizzazione. Ho voluto leggervi queste pagine perché Severino rimane comunque un abilissimo argomentatore, la capacità che ha di concettualizzare dei pensieri e delle questioni risulta notevole. Lui qui rileva un'altra contraddizione, che poi lui la ponga come “originaria”, su questo si può discutere. A me interessava perché anche lui si accorge che l’elemento, cioè quel “concreto” che appare all’interno di un tutto astratto, questo elemento da solo, senza il tutto che lo sostiene non esiste, non esiste l’apparire di questo essente qualunque esso sia. Essente è il participio presente di “essere”, indica ciò che è qualunque cosa, questo gesto è un essente, tu Simona sei un essente, ciò che pensi è un essente, ciò che non ti ricordi è un essente per dare un’idea della vastità, cioè la totalità degli essenti è la totalità di tutto il pensabile, che esiste, e anche di ciò che non esiste, non solo, ma che non può esistere, come diceva Meinong, anche quello per lui era un essente. Anche Meinong è un metafisico, anche l’oggetto che non può esistere in nessun modo, anche quello a modo suo esiste come non esistente, quindi è un essente. L’elemento quindi non esiste al di fuori della combinatoria all’interno della quale è inserito, questa è la direzione che ormai moltissimi hanno intrapresa perché appare ineluttabile, da qui delle contraddizioni ovviamente. Questa di Severino è una, però anche quella che abbiamo enunciata varie volte, e cioè che ciascun elemento è necessario che sia identico a sé, ed è necessario che sia differente da sé, e cioè potremmo porre come principio tanto il principio di non contraddizione quanto il principio di non identità. Principio di non identità “A, se e soltanto se, non A”. Principio di non contraddizione: non (A e non A). Questi due principi che sono tra loro contraddittori cioè il principio di non contraddizione e il principio di non identità si escludono, questi due principi sono irrinunciabili entrambi, stanno funzionando entrambi, sono necessari per il funzionamento del linguaggio. Questo potrebbe anche indurci a pensare che c’è una contraddizione a fondamento di tutto, ma non è propriamente così. Questo modo di porre la questione è come se non avesse alcuna possibilità di superarsi, è un impossibile, e cioè la coesistenza del principio di non contraddizione e principio di non identità che appare non superabile. Naturalmente è superabilissima se non si pongono entrambe le cose come entità metafisiche e cioè entità che devono la loro esistenza a se stesse e non a una struttura linguistica. Il modello di ogni contraddizione è quella proposizione che afferma di sé di essere fuori dal linguaggio, questo è il modello di ogni contraddizione: una proposizione non può dire di sé di essere fuori dal linguaggio e qualunque cosa io formuli dicendo che è fuori dal linguaggio è una proposizione, che è uno dei modi in cui si mostra l’impossibilità di uscire dal linguaggio, però dicevo, se, tanto il principio di non contraddizione quanto il principio di non identità non vengono posti come entità metafisiche, cioè come se vivessero di una vita propria ma semplicemente come formulazioni che vengono costruite allo scopo di far funzionare quel sistema operativo noto come linguaggio, allora è ovvio che devo identificare, devo determinare un elemento per poterlo utilizzare, ed è ovvio che per poterlo utilizzare deve essere inserito all’interno di una combinatoria. Se io lo determino lo identifico, ma se questo elemento fosse, per ipotesi assurda, fosse svincolato, non correlato a tutto il resto, allora se questo elemento fosse identificato e determinato ma non  connesso con altri elementi, primo non sarebbe un elemento linguistico e, secondo, questo sarebbe una ulteriore contraddizione perché sto definendo qualche cosa e per definirlo necessito di altri “eterni”, di altri elementi, e quindi non posso identificare qualche cosa senza questi altri elementi, quindi se lo determino e lo identifico è necessariamente all’interno di un sistema di relazioni.