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12-10-2016

 

Il discorso che sta facendo Heidegger intorno alla scienza è interessante per una serie di motivi di cui tra poco vi dirò. Pag. 81: Che cos’è che si annunzia nell’estensione e nell’approfondimento del carattere di istituto della scienza? Nient’altro che l’assicurazione del primato del procedimento rispetto all’ente che di volta in volta è oggettivato nella ricerca. (quindi questo per Heidegger è ciò che caratterizza la scienza, vale a dire il “primato del procedimento”, è dal procedimento che procede l’oggettivazione dell’oggetto, dell’ente) Lo sviluppo decisivo del carattere operativo della scienza crea pertanto un nuovo tipo di uomo: lo studioso scompare il suo posto è preso da ricercatore tutto impegnato nei suoi programmi di ricerca. Questi e non la coltivazione dell’erudizione caratterizzano l’orizzonte dinamico del suo lavoro (cioè non il sapere) il ricercatore non ha più bisogno di biblioteche personali è sempre in viaggio, delibera nelle riunioni eccetera /…/ Il ricercatore assume necessariamente e da se stesso la figura del tecnico nel senso essenziale del termine (qui mostra come la scienza sia diventata ricerca e lo scienziato ricercatore: da pensatore sia diventato un tecnico) Pag 83. Il conoscere come ricerca vuole che l’ente renda conto del come e del quanto della sua disponibilità per la rappresentazione. (occorre che l’ente venga rappresentato, nella ricerca una qualunque cosa deve essere rappresentata per quella che è e quindi poi manipolata eccetera) La ricerca decide dell’ente sia calcolandone anticipatamente il corso futuro, completandone il corso passato. La scienza diviene ricerca quando si ripone l’essere dell’ente in tale oggettività. (e cioè quando viene rappresentato) Questa oggettivazione dell’ente si compie in un rappresentare, in un porre innanzi (Vor Stellen) che mira a presentare ogni ente in modo tale che l’uomo calcolatore possa essere sicuro di sé, cioè certo dell’ente. (quindi lo pone innanzi in modo che sia calcolabile, solo a questo punto il ricercatore acquisisce la certezza. Abbiamo visto che questo calcolare non dice che cos’è la cosa ma è una delle procedure stabilite dal progetto, è ciò che rientra nel progetto, ciò che decide dell’ente e della sua esistenza. Quindi la scienza come ricerca si costituisce soltanto se la verità si è trasformata in certezza del rappresentare, cosa significa questo parlare della scienza come ricerca? Quando Heidegger parla di verità, intende l’λήθεια, il manifestarsi dell’ente nell’apertura dell’essere, quindi questa verità si è trasformata in un’altra cosa “in certezza del rappresentare”, quindi non è più un qualcosa che appare, che si svela, ma è la certezza che questa rappresentazione sia corretta) È nella metafisica di Cartesio che per la prima volta l’ente è determinato come oggettività del rappresentare e la verità come certezza del rappresentare stesso. (quindi l’ente come oggettività del rappresentare, quello che mi rappresento è la rappresentazione della cosa, e la verità è appunto l’adæquatio rei et intellectus, la conformità con ciò che rappresenta la cosa) Il titolo della sua opera principale suona Meditationes de prima filosofia (meditazione sulla filosofia prima) è la designazione aristotelica di ciò che più tardi sarà detta “metafisica”. Ma se la scienza come ricerca è una manifestazione essenziale del mondo moderno, ciò che costituisce il fondamento metafisico della ricerca dovrà prima di tutto e sin dalle origini costituire l’essenza del mondo moderno. (cioè il mondo moderno non è nient’altro che la metafisica, così come si è prodotta) Decisivo non è che l’uomo si è emancipato dai ceppi precedenti ma che l’essenza stessa dell’uomo subisce una trasformazione col costituirsi dell’uomo a soggetto. (è soltanto se c’è il soggetto che c’è l’oggetto contrapposto) Dobbiamo senz’altro vedere in questa parola subjectum la traduzione del greco ποκείμενον, la parola indica ciò che sta prima, ciò che raccoglie tutto in sé come fondamento, questo significato metafisico del concetto di soggetto non ha originariamente alcun particolare riferimento all’uomo e meno ancora all’io (la parola ποκείμενον per i greci antichi non si riferiva affatto all’uomo, al soggetto, lui traduce questa parola con “ciò che sta prima, che raccoglie tutto in sé come fondamento”, ricordate che il “raccogliente raccogliere” “λγειν”) Ma il costituirsi dell’uomo al primo e autentico subjectum porta con sé quanto segue: l’uomo diviene quell’ente in cui ogni ente si fonda nel modo del suo essere e della sua verità. (questo è Cartesio, cioè è il soggetto che a questo punto fa esistere e dà la certezza dell’oggetto) L’uomo diviene il centro di riferimento dell’ente come tale ma ciò è possibile solo se si trasforma la concezione dell’ente nel suo insieme. (vale a dire che questo ente anziché essere ciò che si manifesta nell’apertura dell’essere, cioè che esce dal nascondimento e viene incontro diventa un oggetto, io sono soggetto e lì l’oggetto) Riflettere sul mondo moderno significa cercare la moderna immagine del mondo, essa è chiarita mediante la sua contrapposizione a quella medioevale e a quella antica, ma perché l’interpretazione di un’epoca storica deve assumere la forma della determinazione di un’immagine del mondo? (qui inserisce un elemento importante, la questione dell’immagine del mondo che per i greci non c’era, non esisteva nonostante Platone parlasse di εδος, di immagine ma) Che cos’è un’immagine del mondo? una raffigurazione del mondo ma che significa qui “mondo”? e che significa “immagine”? “Mondo” è qui la denominazione dell’ente nella sua totalità. (cioè qualunque cosa rientra nel mondo) Il termine non equivale a Cosmo e a Natura. (infatti i greci avevano parole diverse) Del mondo fa parte anche la storia, tuttavia la natura e la storia sono importanti, questa denominazione “mondo” abbraccia anche il fondamento del mondo comunque sia inteso il suo rapporto col mondo. Col termine immagine si intende in primo luogo la riproduzione di qualcosa di conseguenza l’immagine del mondo sarebbe una pittura dell’ente nel suo insieme, ma l’immagine del mondo significa qualcosa di più, con essa intendiamo il mondo stesso l’ente nella sua totalità così come ci si impone nei suoi condizionamenti e nelle sue misure (qui sta parlando della scienza, ha appena detto che l’immagine è il mondo stesso, il mondo è un’immagine, ma di che? Immagine non significa qui qualcosa come imitazione ma ciò che è implicito nell’espressione “avere un idea fissa di qualcosa” fissarsi su qualcosa, è il significato di immagine che lui sta usando adesso immagine è avere un idea fissa di qualcosa, fissa inamovibile) il che significa: la cosa sta così come noi la vediamo. (avrete forse colto un richiamo a ciò che andavo dicendo due mercoledì fa, ma ne parleremo, l’idea fissa, qualcosa che deve essere fissato) Avere un’idea, immagine fissa di qualcosa significa porre innanzi a sé l’ente stesso così come viene a costituirsi per noi e mantenerlo costantemente così come è stato posto. Manca però ancora all’immagine, una determinazione essenziale, farsi un’idea fissa di qualcosa non significa soltanto rappresentarsi in generale l’ente ma anche porlo innanzi a noi come sistema cioè nell’unità di ciò che proprio di esso e si raccoglie in esso. (quando mi faccio un’idea fissa di qualche cosa questo qualche cosa comprende anche tutte le sue caratteristiche, proprietà eccetera) L’espressione “avere un’idea fissa di qualcosa” significa anche essere al corrente, essere pronto per orientarsi nella cosa, quando il mondo diviene immagine (con la scienza il mondo diviene immagine, è la scienza che ha bisogno che il mondo sia un’immagine, sia una rappresentazione di qualche cosa. Per il greco antico il mondo non era affatto un’immagine). Un mondo diviene immagine quando il mondo nel suo insieme è assunto come ciò in cui l’uomo si orienta e quindi come ciò che egli vuole portare innanzi a sé, avere innanzi a sé e quindi in un senso decisivo come ciò che vuol porre innanzi (ciò che vuole dominare, ciò che vuole porre innanzi a sé appunto rappresentarsi, quindi “rappresentarsi” qui scivola verso la questione della volontà di potenza, rappresentare qualche cosa in modo da vedere, fissare l’immagine, quindi controllarla) Immagine del mondo in senso essenziale significa quindi non una raffigurazione del mondo ma il mondo concepito come immagine. (che è diverso, uno può farsi una raffigurazione del mondo ma non lo concepisco come immagine, invece dice Heidegger “del mondo concepito come immagine” come dire che devo partire dall’idea che il mondo sia un’immagine, sicuro di questo allora lo concepisco come un’immagine) L’ente nel suo insieme è perciò visto in modo tale che diviene ente soltanto in quanto è posto dall’uomo che rappresenta e produce. (a questo punto l’ente viene posto dall’uomo, cioè l’ente è tale soltanto perché è concepito come un’immagine, è in questo modo che l’ente appare nel mondo moderno, non come poteva apparire nel mondo antico. Ci sta dicendo che l’ente ci appare come un’immagine) Il sorgere di qualcosa come l’immagine del mondo fa tutt’uno con una decisione essenziale attorno all’ente nel suo insieme, l’essere dell’ente e cercato e rintracciato nell’esser rappresentato dell’ente. (badate bene “l’esser dell’ente è cercato e rintracciato” in quanto esser rappresentato dell’ente, ciò che cerco è la sua rappresentazione, ciò che trovo è la sua rappresentazione) Ma quando l’ente non è interpretato a questo modo (cioè come una rappresentazione) il mondo non può divenire immagine e non è quindi possibile parlare di una immagine del mondo. (come dire che l’ente in quanto rappresentazione, in quanto immagine è un’interpretazione di qualche cosa, se io non lo interpreto a quella maniera allora il mondo non è immagine perché penso in un altro modo. È chiaro che non c’è la cosa che è quella che è e alla quale mi devo adeguare, ovviamente in ciascuna situazione si parla sempre del modo in cui io vedo le cose, cioè del progetto) Che l’ente sia fatto consistere nel suo essere rappresentato (dal soggetto sempre si intende, perché chi lo rappresenta è il soggetto) è cosa che da un carattere di assoluta novità all’epoca in cui ciò avviene (cioè il mondo moderno) le espressioni “immagine del mondo moderno” e “immagine moderna del mondo” esprimono in forme diverse la medesima cosa e alludono ad alcunché di impensabile nelle epoche precedenti (dice non è che l’immagine del mondo da medioevale che era divenga moderna, ma è “il costituirsi del mondo a immagine ciò che distingue e caratterizza il mondo moderno”, questo costituirsi del mondo come immagine non è stato un progresso, un cammino, a un certo punto il mondo si è costituito come immagine di qualche cosa allora a questo punto è come se fosse cambiata la prospettiva) L’ente non diviene essente per il fatto che l’uomo lo intuisca nel corso della rappresentazione intesa come percezione soggettiva, è piuttosto l’uomo a essere guardato dall’ente cioè dall’aprentesi all’esser presente in esso raccolto. (dice che l’ente non diventa essente cioè le cose non appaiono in quanto essenti per il fatto che l’uomo lo intuisca nel corso di un suo pensiero come una percezione soggettiva, no, dice è piuttosto l’uomo che è guardato dall’ente, questo naturalmente nella posizione di Heidegger “guardato dall’ente” nel senso che l’ente manifestandosi nell’apertura dell’essere mostra il progetto in cui è inserito e che lo fa essere quello che è) “Guardato dall’ente” compreso e mantenuto nell’aperto dell’ente, sorretto da esso, coinvolto nei suoi contrasti e segnato dal suo dissidio, ecco l’essenza dell’uomo nel periodo della grandezza greca (questa è la differenza tra il pensiero greco e il mondo moderno: il mondo moderno si è inventato il soggetto contrapposto a qualche cosa che ha chiamato oggetto, dopo di che ha immaginato che questo oggetto fosse una rappresentazione, un’immagine di qualche cosa e ha cominciato a manipolarlo. Per il greco antico non era affatto così) ecco perché questo uomo per attuare la sua essenza deve raccogliere λγειν, salvare σζειν l’aprentesi nella sua apertura, deve coglierlo salvaguardandolo e rimanere esposto alla dilacerazione del disordine ληθεειν. L’uomo greco è in quanto percepisce l’ente. (qui c’è la distanza immensa “l’uomo greco è in quanto percepisce l’ente”, capite che qui non c’è nessuna contrapposizione, l’ente appare, si manifesta ed è in questo manifestarsi dell’ente che l’uomo c’è, in questo lasciarsi portare in un certo senso dall’ente e quindi dall’essere, “l’uomo è in quanto percepisce l’ente” non in quanto si immagina un soggetto contrapposto all’oggetto che deve manipolare. È sempre Heidegger che sta parlando quindi quando lui dice che “l’uomo è in quanto percepisce l’ente” è da intendere che l’uomo è in quanto percepisce l’ente così come lo vede, e lo vede così perché preso all’interno del suo progetto, solo a questa condizione l’uomo conosce il suo progetto e quindi conosce l’essere, il progetto è l’essere) di conseguenza nella grecità il mondo non può divenire immagine (non può perché non è oggetto semplicemente quindi non c’è rappresentazione) Per contro il fatto che in Platone l’entità dell’ente si definisca come eidos – aspetto, è il presupposto storico e remoto operante una lunga e nascosta mediazione perché il mondo divenga immagine (dice che è stato Platone a dare l’innesco, ha posto le basi perché dopo, in seguito con tutta la metafisica si giunga alla scienza) Il tratto fondamentale del mondo moderno è la conquista del mondo risolto in immagine. (quindi il tratto fondamentale del mondo moderno è la conquista del mondo risolto in immagine) Il termine “immagine” significa, in questo caso, la configurazione della produzione rappresentante. (cioè di una produzione, produco questa immagine con la quale rappresento il mondo) In questa pro-duzione l’uomo lotta per prendere quella posizione in cui può essere quell’ente che vale come regola e canone per ogni ente (il soggetto) poiché questa posizione si garantisce, si articola e si esprime come visione del mondo il rapporta mento moderno all’ente al momento del suo sviluppo decisivo prende la forma di un confronto di visioni del mondo. /…/ Non certo di visioni qualsiasi ma solamente di quelle già connesse in modo radicale alle situazioni estreme dell’uomo per questa lotta fra visioni del mondo (anche lotta fra teorie, modo di pensare, religioni) e in conformità al senso di questa lotta l’uomo pone in gioco la potenza illimitata dei suoi calcoli della pianificazione del controllo di tutte le cose. (quindi il mettere in atto calcoli, tutte le cose che fa la scienza, la tecnica, hanno come obiettivo il porre in gioco una potenza illimitata) La scienza come ricerca è una forma indispensabile di questo insignorisi del mondo, è una delle vie lungo le quali il mondo moderno va verso il compimento della sua essenza con una risolutezza che sfugge agli interessati. (il compimento della sua essenza è la tecnica. Volevo riprendere un accenno che ha fatto all’inizio, ciò che sta dicendo qui Heidegger intorno alla scienza, del fissarsi dell’idea cioè dell’immagine di qualche cosa è la necessità di porre qualche cosa come un oggetto metafisico per potere procedere, qui Heidegger sta dicendo che la scienza, quindi la metafisica, non può non operare se non attraverso il fissarsi di una idea, cioè una rappresentazione, un rappresentarsi qualcosa. La domanda che ci si può porre è se anche quell’oggetto metafisico di cui parlavamo l’altra volta non sia in qualche modo il fissarsi di un’idea, cioè di un immagine nel senso più ampio del termine; quando io pongo una qualunque cosa, mercoledì parlavamo del desiderio, quando io lo pongo come un qualche cosa cioè come un oggetto metafisico, il desiderio non lo pongo più come un qualche cosa che si manifesta all’interno del mio progetto, ma lo pongo come un’idea fissa fuori dal progetto, un’idea fissa che è quella che è, cioè compio quell’operazione che qui Heidegger descrive come l’operazione che fa la scienza. D’altra parte la scienza per potere procedere deve fissare un aggeggio qualunque. La rappresentazione è l’idea fissa, la rappresentazione di qualche cosa è quella che è ed è l’idea fissa, ora per questo lui dice che per il greco antico non c’è immagine del mondo perché non c’è la rappresentazione, quindi non c’è l’idea fissa, ma al di là di questo la scienza ha bisogno di queste cose per bloccare, per fissare qualche cosa per poterlo manipolare, esattamente così come il discorso, il racconto, ha bisogno di fissare un elemento per poterlo usare, è questo ciò di cui stavamo parlando, se non lo fisso non lo posso usare. Ma fissandolo cosa accade di questo elemento? Ovviamente il più delle volte accade ciò che accade per la scienza, cioè credo veramente che quello sia la cosa, e si muove di conseguenza. Tenendo conto dell’impossibilità di uscire da questo procedere, il fissare qualche cosa come immagine quindi come rappresentazione è la condizione stessa per potere parlare. Quando Heidegger dice che il greco antico non pone il mondo come immagine ma lascia che la verità si manifesti nell’apparire dell’ente, nell’apertura dell’essere, cioè del progetto, si trova in quella posizione che è esattamente quella che voleva evitare, perché lui fissa un idea, fissa un immagine, l’immagine fissata è questa “il greco antico non aveva un immagine del mondo perché l’ente è l’ente che mi guarda” come diceva lui che poi riprese Lacan comunque “l’ente che mi guarda” quindi “io sono quello che sono in relazione con l’ente” in questo uscire fuori dal nascosto dell’ente, ma questa affermazione fissa un’immagine, per questo Heidegger si accorge che non riesce a uscirne fuori, che ci vuole ben altro che scrivere l’Essere con la barra, non può venirne fuori in nessun modo. Heidegger pensava di dare nomi diversi, lui pensava di non riuscire a venire fuori dalla metafisica perché le parole che utilizzava per descrivere le cose erano parole della metafisica, la questione non si risolve così ovviamente, cambiando le parole o inventandone di nuove. Già dicendo che l’essere dell’ente è il progetto in cui l’ente esiste sta ponendo l’essere come qualcosa, ponendo l’essere come qualcosa lo pone come un ente. Poniamola in questo modo, che per altro è una critica che è stata fatta a Heidegger, che comunque, se vogliamo parlare, l’essere dobbiamo porlo come ente, non c’è modo di uscirne, se voglio parlare di qualcosa devo fissarla come immagine, come rappresentazione, e allora devo bloccarla e solo allora posso farne qualche cosa, cioè posso usarla all’interno di una struttura, di una combinatoria. Come vedevamo due mercoledì fa, se io tenessi sempre conto, dicevamo “supponiamo che la parola abbia come referente soltanto un’altra parola” allora questa parola nel momento in cui si dice non è quella parola, e allora come la uso all’interno di una combinatoria se non è quella cosa. Quindi sono costretto a fissarla. L’altro mercoledì mettevamo a confronto Parmenide e Gorgia, dicevamo che non c’è l’uno senza l’altro perché Parmenide fissa “l’essere è e non può non essere” e chiuso il discorso, Gorgia dice “nulla è” però se fosse così come diceva Gorgia quello che ha detto non sarebbe mai potuto accadere, se è accaduto è perché non è esattamente così. Così come ciascuno di noi quando parla, quando dice che per esempio ciascuna cosa è differente da sé, se può dire questo è perché non è vero, o è anche, ma non soltanto, perché così questa proposizione sarebbe indicibile, non sarebbe mai esistita, perché il “sé” non esisterebbe quindi “differente da chi?” da niente, e allora è come se avessimo in effetti raggiunto un punto importante in cui ci è apparso molto chiaro il funzionamento del linguaggio, che per procedere è costretto a farsi un idea fissa di qualche cosa, dopo che si è fatto un idea fissa allora può procedere. È chiaro che tutto questo è soltanto un meccanismo niente, di più, però è quel meccanismo che ha costituito per millenni un problema insolubile per gli umani, il problema di sapere che cosa qualche cosa è, il problema della realtà ad esempio, realtà sulla quale ciascuno di noi si basa. Quando voglio accendermi una sigaretta prendo il pacchetto, prendo l’accendino mi affido a cose che sono considerate reali, tutta la mia vita è appoggiata su cose considerate reali, per esempio mi appoggio sul tavolo sapendo in un certo senso che mi sosterrà anziché precipitare, tuttavia nessuno è in condizioni di dire né che cosa sia la realtà né se la realtà sia, ciò non di meno ciascuno si affida su questo per tutta la sua vita. È singolare se ci pensate, perché è esattamente ciò che descrivevamo prima rispetto alla rappresentazione, cioè se io rappresento qualcosa do per acquisito che ci sia qualcosa che sto rappresentando, cioè che mi si presenti, lo do per acquisito, ma non è affatto così scontato, ma devo farlo se voglio fissare qualcosa. Il fissarsi di un’idea è questo. Gli umani vivono affidandosi a una realtà della quale né sanno che cosa sia né sanno se sia, eppure tutta la loro esistenza è fondata su questo, potrebbe apparire sorprendente. quindi il prossimo mercoledì affronteremo il capitolo successivo che parla dell’esperienza. Non stiamo facendo nient’altro che ciò che Heidegger ha suggerito di fare, cioè riprendere la domanda più antica, più essenziale e continuare a pensarla. Cos’è l’essere? Cos’è una qualunque cosa? Domanda che non ha risposta nel senso che non c’è modo di sapere che cos’è una qualche cosa, facevo l’esempio della penna, io posso dire di che cos’è fatta, di che colore, del peso, posso fare tutto quello che voglio ma tutte queste cose anche messe insieme non saranno mai la penna, ma che cos’ questa penna? È soltanto ciò che io mi rappresento? È soltanto qualche cosa che mi si presenta come immagine fissa? È possibile, c’è da rifletterci su questo.