12 giugno 2024
Plotino Enneadi
Per Plotino l’Uno è ciò che dà ordine alle cose, e dall’Uno procedono le altre due ipostasi, l’Intelletto e l’Anima. La questione dell’ordine è una questione molto importante e penso che in parte abbia contribuito al successo di Plotino. L’ordine dell’universo, del cosmo, di tutto quanto, è ciò che garantisce la loro consequenzialità: c’è un ordine, quindi, a un antecedente segue un conseguente. Aristotele, invece, che dell’Uno non sapeva bene cosa farsene, ci dice che non c’è nulla, in realtà, che garantisca questa consequenzialità.
Intervento: Anzi, diceva esplicitamente che bisognava crearselo l’uno con l’induzione.
Sì, e infatti usa la parola ύπάρχειν, perché il fatto che una cosa inerisca un’altra non è provabile. Così come non è provabile il fatto che all’1 segue il 2, ma è un comando. Mentre in Plotino questa consequenzialità, questo inerire di una cosa all’altra, diventa un fatto naturale. Anche in quel caso, naturalmente, non c’è nessuna prova, però cerca di imporre l’idea che questa consequenzialità ci sia, che comunque ci sia un ordine nelle cose e che, dunque, sia possibile costruire una teoria. Senza la presupposizione di un ordine naturale delle cose, la teoria non ha nessun senso, perché la teoria, qualunque teoria, non è altro che l’esibire una serie di conseguenze naturali delle cose: questo, quindi quest’altro, quindi quest’altro, ecc., quod demostrandum erat. Il che potrebbe non essere così semplice. L’Uno di Plotino – lo vedremo man mano, anche perché è una questione complessa – è in un certo senso ciò che consente la costruzione di ciascuna teoria. Naturalmente, la cosa si può estendere alla costruzione di qualunque affermazione: è come se qualunque affermazione presupponesse un ordine, sennò non posso affermare niente. Ciascuna parola è quella che è in virtù di altre parole, quindi è quelle altre parole. Non c’è qui un ordine, non c’è nessuna consequenzialità, ma una co-appartenenza. Non è che ci sia prima uno e poi l’altro, questo lo diceva già Aristotele: nell’entelechia i due termini si co-appartengono, non c’è prima uno e poi l’altro, non c’è prima la δύναμις e poi l’ἐνέργεια. Ora, si pone una questione, e cioè questa idea che esista un ordine nelle cose è ciò che fa da supporto a qualunque teoria e, quindi, a qualunque affermazione. Però, è possibile procedere senza costruire teorie? Definiamo la teoria. Nella sua accezione più comune la teoria è una sequenza di proposizioni, connesse tra loro da una relazione di consequenzialità, tale per cui l’ultima affermazione è quella che mostra uno stato di cose. Questo nell’accezione più ampia. A questo punto appare difficile non costruire una teoria, una Weltanschauung, una visione del mondo. La costruzione di teorie appare inevitabile se voglio affermare una qualunque cosa su qualche cosa, perché questa cosa, che affermo su un’altra cosa, è quella cosa che mostra come è quell’altra cosa. La teoria fa questo: mostra come una certa cosa debba accadere date certe condizioni. Se accetto l’aritmetica con le sue regole, allora 2+2 fa 4. Ecco, allora, la portata del lavoro di Plotino. Lui è come se avesse detto che per pensare, per costruire cose, occorre Dio, cioè, occorre l’Uno, occorre che ci sia un ordine naturale, sennò non è possibile la consequenzialità, l’inferenza. È come se Plotino avesse mostrato che si pensa teologicamente, cioè, ogni pensiero è fondamentalmente teologico. Questo ci aveva portato, l’altra volta, a dire che in fondo tutto il pensiero, da Aristotele in poi, fino ad oggi che parliamo, tutto il pensiero è sempre stato inesorabilmente teologico, cioè, si è sempre fondato su Dio come garanzia, come garanzia che le cose siano in un certo modo. Ma questa garanzia è data dall’ordine naturale delle cose. C’è un ordine, Dio non gioca ai dadi. Così, invece, con Plotino sorge il concetto di causa, il principio di ragione. Non che non esistesse prima, ma lui lo santifica, lo pone come qualcosa che viene da Dio. Ora, che cosa comporta o comporterebbe una cosa del genere? Perché da ciò che sto dicendo, ogni dire, ogni affermare, ogni discorso presupponga un Dio, lo presupponga se e soltanto se ciò che io affermo deve essere necessariamente vero; solo allora necessita di un Dio, sennò è un racconto al pari di qualunque altro; può essere più interessante, meno interessante, ma rimane nell’ambito di una sorta di mito, ma non nell’accezione negativa, anzi, assolutamente positiva. Μῦϑος in greco antico è il racconto, non è altro che questo, un racconto. La parola μῦϑος non comporta né il vero, né il falso, né il reale, è un racconto. Quindi, da qui anche tutte le questioni della verità, della necessità, sorgono, neoplatonicamente, cioè da Plotino, diciamola così in modo un po’ buffo, come attrezzi del pensiero teologico. La verità assoluta, la verità epistemica, che, sappiamo bene, non esiste, così come non esiste Dio, naturalmente, per lo stesso motivo, nella stessa maniera: è un’invenzione, appunto, come Dio, e serve alla stessa funzione, da garanzia, cioè, serve a imporre ciò che affermo. Sappiamo che della verità importa assolutamente niente a nessuno, ma importa quando io voglio imporla; se dico la verità è per imporla, cioè per modificare qualcuno, quindi, modificare un ente, se vogliamo dirla tutta, a mio piacimento, naturalmente. Tutto ciò che ha a che fare con l’assoluto, con il necessario, con la verità epistemica, tutte queste cose necessitano di un Dio. Anche l’assoluto, con il necessario. Se qualcosa è necessario, significa che non può essere altrimenti da come è, quindi deve essere identico a sé, e per essere identico a sé non deve essere in relazione ad altro, perché sennò la relazione lo modifica. Quindi, è irrelato, e irrelato significa che è fuori del linguaggio; il linguaggio è relazione e, pertanto, se è irrelato non è linguaggio.
Intervento: Però ne parliamo.
Sì, perché parlandone lo inseriamo immediatamente in una relazione, cioè lo significhiamo, lo determiniamo; determiniamo qualcosa che noi diciamo non essere determinato, ma per poterlo dire dobbiamo determinarlo. È per questo che non esiste l’indeterminato in quanto tale. Questo per dire come, in effetti, tutto il discorso di Plotino punti a costruire un qualche cosa, a introdurre un ordine naturale delle cose, che è quello che consente poi di costruire qualunque teoria, quindi, qualunque discorso; consente di costruirlo sempre nell’accezione che dicevamo prima, cioè come necessario, come vero, vero inteso in senso epistemico e non come un racconto. Basterebbe già quello che diceva Aristotele dell’implicazione, dell’inerenza: non è provabile, per cui devo imporla. E questo rovina totalmente la teoria di Plotino, il quale diceva di avere letto Aristotele, come non si sa… senz’altro attraverso emendamenti. La consequenzialità, c’è nel senso che la usiamo, ma è un arbitrio, un abuso. C’è una parola in retorica che indica l’abuso nel dire: catacresi. Si parla delle gambe del tavolo, ma è un abuso, perché il tavolo non ha gambe propriamente, ha dei supporti. Quindi, dicevo, questo distrugge tutta le Enneadi di Plotino perché, togliendo la consequenzialità, dice che non c’è nessun modo per cui dall’Uno si passi all’Intelletto e all’Anima, salvo l’ύπάρχειν, il comando. Questa processione, che avverrebbe naturalmente, per cui l’Uno a un certo punto deborda e produce tutte queste altre cose. È come se Plotino avesse stabilito la necessità dell’Uno per potere affermare delle cose; se non c’è l’Uno, non c’è un ordine, ma senza un ordine come compio le mie inferenze? Non lo posso fare. Però, come vi dicevo, avremo modo di esplorare ulteriormente la cosa. Ma vediamo se Plotino ci dice qui qualche cosa di utile. A pag. 353. Da quel mondo vero ed uno trae infatti la sua esistenza questo mondo che non è veramente uno; questo è multiplo e divise in molte parti separate ed estranee tra loro; e più non regna sola l’amicizia, ma anche l’odio in causa della separazione spaziale... Si sono allontanati dall’Uno, sono diventati molti: questo è Platone. …e così ogni cosa, perché imperfetta, è necessariamente nemica di ogni altra. È imperfetta perché allontanandosi dall’uno… È poi la teoria cristiana: il male non è altro che l’allontanamento da Dio, quindi, dal Bene. Ogni parte, infatti, non basta a se stessa, ma, pur abbisognando di essere conservata da un’altra, è poi nemica di quella da cui è conservata; questo mondo non è sorto per un atto di riflessione dell’Intelligenza sulla necessità di crearlo… No, perché per Plotino non c’è nessuna necessità, sennò non è un Dio, non è l’Uno. …ma deriva dalla necessità della seconda natura… Cioè, dell’Intelletto, non dell’Uno. …poiché quel mondo intelligibile non era tale da essere l’ultimo degli esseri. Infatti, esso è il primo ed ha molta potenza, anzi tutta: possiede dunque la potenza di produrre un altro essere senza lo sforzo di produrlo. Se facesse uno sforzo, non da se stesso né dalla sua essenza trarrebbe tale potere, ma sarebbe simile a un artigiano che non ha da sé il potere di produrre, ma lo acquista ottenendolo da un apprendimento. L’Intelligenza dando qualcosa di se stessa alla materia… L’Intelligenza sarebbe la seconda ipostasi. …produce tutte le cose serenamente e immobilmente: e ciò che essa dà è la ragione che procede dall’Intelligenza. La ragione, l’ordine.
Intervento: È soprattutto da rimarcare questo “immobilmente”.
Sì. In effetti, il movimento è un grosso problema. Ricordiamoci delle parole di Aristotele nel De anima: ogni cosa procede dall’entelechia, tutto procede dal movimento tra un elemento e la sua negazione. Dall’Intelligenza, infatti, procede la ragione e sempre procede fino a che l’Intelligenza sia presente negli esseri. /…/ Questo universo non è, come quello intelligibile, Intelligenza e ragione, ma partecipa di Intelligenza e di ragione. Esso ha bisogno di armonia perché vi concorrono l’Intelligenza e la necessità; questa lo trae verso il male e lo porta verso l’irrazionalità, essendo essa stessa irrazionale; però, l’Intelligenza domina sulla necessità. Il mondo intelligibile è soltanto ragione e non potrebbe nascerne un altro che fosse soltanto ragione; se nasce un’altra cosa, questa sarà necessariamente inferiore e non pure ragione. /…/ Nessuno può, se non ha torto, disprezzare questo mondo... Qui ce l’ha con gli gnostici, naturalmente. …quasi non sia bello e il migliore degli esseri corporei, ed accusare chi è causa della sua esistenza. Questa è la posizione degli gnostici: questi dei hanno creato questo mondo infame e, quindi, che razza di dei sono? Anzitutto, esso (mondo) esiste necessariamente e non deriva da un atto di riflessione, ma da un essere superiore che genera per natura, un essere simile a se stesso; e se anche fosse stata prodotto per un atto di riflessione, chi l’ha prodotto non avrebbe da vergognarsene: poiché il tutto che egli ha prodotto è bello e sufficiente a se stesso, unito a sé e a tutte le sue parti, grandi e piccole, in modo ugualmente conveniente. Se tutto procede dall’Uno, e l’Uno è il Bene, ciò che procede all’Uno non può essere male. Per Plotino, lo aveva già detto, è impossibile pensare una cosa del genere. Se c’è il male è perché gli umani, per motivi che stanno in loro, si allontanano dal bene, perdono la diritta via, o perché sviati da qualche cosa o distratti da questo o da quello, o mal consigliati. Insomma, è sempre colpa di qualcuno, perché gli umani tendenzialmente optano per il bene. A pag. 357. Il movimento deve venire dall’immobilità, dalla vita che è in sé stessa una vita diversa, una specie di soffio infaticabile che è come il respiro della vita immobile. Tra i viventi sono necessari i conflitti e le distruzioni, poiché essi sono nati e non sono eterni. E sono nati poiché la ragione occupa tutta la materia e tutti li contiene in sé, essendo essi lassù nel cielo intelligibile: donde verrebbero se non fossero là? I torti che gli uomini si fanno reciprocamente hanno la loro causa nel desiderio del bene; ma per incapacità di raggiungerlo essi escono di cammino e si urtano l’un l’altro. Coloro che agiscono male hanno il loro castigo poiché le loro anime vengono danneggiate dalle loro cattive azioni e poste in un luogo inferiore, perché nulla sfugge all’ordine scritto nella legge dell’universo. /…/ L’ordine non nasce dal disordine… Questo è un punto importante. …né la legge dall’illegalità... Come pensa qualcuno. …cosicché le cose migliori nascano dalle peggiori e per queste vengano all’esistenza, ma per l’ordine che vi è stato introdotto. Il disordine c’è perché c’è l’ordine, perché c’è la legge e la ragione c’è l’illegalità e l’irragionevolezza, ma perché le cose desiderano possedere il meglio producano le peggiori, ma perché le cose che desiderano possedere il meglio non possono riceverlo o per la loro natura o per varie circostanze o per altri ostacoli. Quindi il movimento deve, lui lo precisa, deve venire dall’immobilità. Questo è fondamentale. La posizione di Aristotele, per cui ogni cosa viene dal movimento, mostrando di fatto in cosa consiste questo movimento, viene cancellata. Per lui potenza e atto si co-appartengono, e questa co-appartenenza è quella che genera il movimento; potremmo dire più appropriatamente, il movimento che c’è tra il dire e il detto. Ciascuna parola, per essere una parola, deve essere determinata, da altre parole, quindi, quella parola è quella parola in quanto è altre parole: ecco il movimento, questa sorta di “oscillazione”, tra virgolette perché non è che oscilli propriamente. È questo il movimento, per Aristotele è questo, non ce ne sono altri, è a partire da qui che sorge tutto, in quanto sorge la possibilità stessa di parlare e, quindi, tutto quanto a cascata. Quindi da una parte Plotino e l’Uno, che deve essere immobile e da lì crea il movimento, come lo crea non è dato da sapere; dall’altra, Aristotele, per il quale il movimento è il movimento che c’è parlando, che c’è nell’atto di parola tra un elemento e la sua determinazione, che è la sua negazione, perché la sua determinazione non è la parola precedente. Ed è questo il motivo per cui, almeno in parte sicuramente, Plotino è costretto quasi a dire che il movimento “deve” venire dall’immobilità; non dice che il movimento viene dall’immobilità, no, deve venire dall’immobilità, solo a questa condizione riesce a mantenere intatto l’Uno. Altrimenti, l’Uno procederebbe anche lui dal movimento, quindi, avrebbe una causa e non sarebbe più l’incausato, l’incorruttibile, l’indicibile, l’ineffabile. A pag. 359. Se dunque le anime possono essere felici anche in questo mondo e se alcuni non sono felici, non bisogna accusare il luogo, ma la loro incapacità a combattere valorosamente dove sono proposti i premi alla virtù. Qui è sempre contro gli gnostici, che sono il suo obiettivo preferenziale. Infatti, come la Ragione del mondo si serve degli esseri che si corrompono per la generazione di altri… Però, non è spiegato perché questa ragione dovrebbe generare altre cose, che se ne fa? È un po’ come Dio, che crea gli umani per essere adorato. Perché? Infatti, nulla sfugge al suo dominio - così anche quando il corpo ha un malanno e l’anima che ne soffre viene indebolita, ciò che è colpito dalle malattie e dal male è subordinato ad un altro concatenamento e da un altro ordine. Nulla sfugge all’ordine, che poi è diventato cristianesimo: ogni cosa che accade è nella volontà di Dio, quindi, non è male; se noi lo consideriamo male è perché non riusciamo a vedere il disegno di Dio. A pag. 361. …rispetto al bene ci sono degli esseri inferiori gli uni agli altri, ed essi, pur avendo nel bene, da cui differiscono la causa della loro esistenza, divengono ciò che sono allontanandosi da lui. Ecco il concetto, che poi diventa, nella trilogia trinitaria medioevale, un concetto fondamentale, e cioè il male – da dove viene il male? –, è la teodicea, la giustizia divina. Se Dio è giusto perché c’è il male? È nel suo disegno, noi non lo vediamo, non lo percepiamo, ma è nel suo disegno, e anche questo ha un ordine. Dire che ha un ordine o ha una causa, un principio, è la stessa cosa. Poco più avanti. Se dunque noi affermiamo che questo universo dipende da una Intelligenza il cui potere penetra ovunque, bisogna cercare di mostrare come ogni cosa sia come deve. C’è un ordine cosmico, tu non lo vedi ma c’è. Come l’Uno; nessuno lo vede ma c’è. A pag. 363. Resta da cercare come queste cose siano ben ordinate e come partecipino dell’ordine o, altrimenti, come queste cose siano un male. In ogni essere vivente le parti superiori, il viso e la testa, sono le più belle, ma non sono tali le parti mediane e inferiori. Gli uomini sono nella regione media e inferiore del mondo, in alto sono il cielo e gli dei che esso contiene; gli dei e il cielo che circonda il mondo formano la maggior parte del mondo, la terra sta al centro e non è che un astro qualunque. Ci stupiamo che negli uomini ci sia l’ingiustizia, poiché giudichiamo che l’uomo sia la cosa più preziosa dell’universo e l’essere più saggio di tutti. Invece, egli sta in mezzo tra gli dei e le bestie, e inclina verso gli uni e verso le altre; alcuni assomigliano agli dei, altri alle bestie, la maggioranza sta nel mezzo. E poi conclude qui a pag. 365. I cattivi comandano per la viltà dei loro sudditi: ed è giusto così, non il contrario. Anche questo rientra nell’ordine delle cose. Si parte dall’idea, dalla presupposizione che esista un ordine: ogni cosa trova il suo principio di ragione, che è l’Uno, o Dio. A pag. 369. Sì, gli uomini sono cattivi involontariamente… Non può ammettere che si possa desiderare il male, non è possibile. …Poiché l’errore è involontario, ma ciò non impedisce che essi siano esseri che agiscono da se stessi: di conseguenza, siccome agiscono di per sé, anche per ciò errano e non errerebbero affatto se non fossero loro ad agire. Ecco il libero arbitrio. Il libero arbitrio è già posto da Plotino in termini abbastanza precisi. Perché gli uomini possono fare il male? Perché, se non lo potessero fare, allora sarebbero sottomessi a una necessità, a un volere che non è in loro e quindi non agirebbero liberamente, non sarebbero liberi. Sono liberi, quindi, possono agire anche per il male. Agiscono per il male, però, quando qualche cosa li fa deviare dalla diritta via, ché sennò naturalmente tendono al bene, proprio per questo ordine universale, perché c’è un ordine universale che governa anche le persone che fanno il male, dopo tutto. A pag. 365. Ma c’è nell’universo una vita multiforme che produce tutti gli esseri e li foggia nelle loro varie forme di vita e non cessa mai di produrre questi belli e graziosi giocattoli viventi. Gli uomini si armano gli uni contro gli altri perché sono mortali; e i loro ordinati combattimenti, che assomigliano a danze pirriche, ci mostrano che gli affari degli uomini sono semplicemente dei giochi e che la morte non è nulla di terribile; che morire nelle guerre, nei combattimenti è anticipare un po’ il termine della vecchiezza, e partire più presto per ritornare poi nuovamente. Ma se rimanendo vivi perdono i loro beni, conosceranno così che quei beni non appartenevano a loro e che è risibile un possesso per gli stessi ladri quello che può essere tolto anche a loro da altri; ed anche per coloro che non ne vengono spogliati, il possesso diventa peggiore della spogliazione. Curiosamente, vedete che qui, in effetti, sta riprendendo delle questioni gnostiche, e cioè la terra, il mondo, tutte queste cose qui sono risibili; che è quello che dicevano gli gnostici: sono risibili per gli gnostici a fronte della divinità che loro devono raggiungere, devono essere; per Plotino risibili rispetto all’Uno, al Bene assoluto. Però, di fatto, dice la stessa cosa: questo mondo è risibile, è una sciocchezza. A pag. 377. Diciamo dunque di nuovo e con maggiore chiarezza che cosa è la Ragione e come è giusto che essa sia tale. Questa Ragione – si abbia audacia, perché così forse arriveremo allo scopo – non è la pura Intelligenza o Intelligenza in sé (la seconda ipostasi), nemmeno è l’anima pura, ma ne dipende ed è come un raggio luminoso uscito dall’una e dall’altra: l’Intelligenza e l’anima che si conforma all’Intelligenza generano questa Ragione che è una vita, la quale possiede segretamente una ragione. Questa è la definizione di ragione secondo Plotino: una luce che si effonde dall’intelletto e dall’anima. Dunque, questa Ragione procedente dall’Intelligenza… Per Plotino la Ragione non è un’ipostasi a sé stante, ma procede dall’Intelligenza, cioè della seconda ipotesi. Dunque, questa Ragione procedente dall’Intelligenza una e dalla Vita una, ambedue perfette, non è in sé una Vita una né una Intelligenza, una, non è del tutto perfetta né si dà tutta intera alle cose alle quali si dà. Ma opponendo tra loro le parti, e creandole perciò difettose, produce un motivo e un principio di guerra e di lotta; e così essa è un tutt’uno pur non essendo un’unità indivisibile. Qui è la ripresa di Platone: i molti sono il male; dove ci sono i molti c’è conflitto, e dove c’è conflitto c’è male. Plotino cerca di dare una ragione, di trovare un principio di ragione alle cose; quindi, anche al fatto che ci sia il male: il male c’è perché ci sono i molti. Ora, le domande che verrebbero da fare a Plotino sono innumerevoli. A pag. 379. …e l’universo è d’accordo con se stesso, anche se le parti sono spesso in lotta tra loro, poiché l’universo è secondo Ragione; ed è necessario poi che quest’unità della Ragione derivi dai contrari, poiché questa contrarietà dà ad essa la sua consistenza e quasi l’essere suo. Qui è ambigua la cosa: Plotino ammette il molteplice, lo ammette tranne che nell’Uno. È soltanto l’Uno che è esente dalle lotte intestine causate dai molti. Dove ci sono i molti c’è lotta, c’è conflittualità, perché ciascuno è sempre in difetto rispetto all’Uno, ed essendo in difetto rispetto all’Uno, si irrita di questa cosa e questa irritazione va a scapito del vicino, perché è colpa sua. A pag. 387. Tutto deriva da un’unità e tutto, per una necessità naturale, vi ritorna, cosicché anche cose diverse e persino contrarie, qualora derivino da un’unità, sono tratte insieme verso un ordine unico. Vedete come insiste la questione dell’ordine e come quest’ordine sia strettissimamente connesso all’Uno. Se c’è l’Uno c’è ordine, se non c’è l’Uno non c’è ordine. Senza l’Uno il disordine, il caos, c’è Democrito: la casualità totale, cioè l’assenza totale di ogni principio di ragione. Se non c’è il principio di ragione allora non posso costruire nessun discorso che sia vero, cioè non posso costruire un discorso da imporre sugli altri, non posso farlo accettare da altri perché, per essere accettato da altri, occorre che questi altri in un certo qual modo partecipino di quell’ordine, cioè, ammettano quest’ordine. E perché lo ammettono con tanta facilità? Perché ciascuno, per potere affermare quello che afferma, ha bisogno di quest’ordine, di questa consequenzialità. delle implicazioni, delle inferenze. Se mangi la marmellata allora la mamma muore. Questa inferenza molto semplice, molto stupida, che però mostra, in effetti, quasi l’ineluttabilità della consequenzialità e ne mostra in modo evidente, in questo caso, la assoluta arbitrarietà: difficile dimostrare la consequenzialità di questi due eventi. Ma è altrettanto difficile, anzi, impossibile dimostrare questa consequenzialità tra qualunque elemento e il suo conseguente. È impossibile, Aristotele lo sapeva bene e, infatti, usa la parola ύπάρχειν, perché non c’è un altro modo. A pag. 391. Comincia con una domanda. Se dunque non è in tutti, è forse perché non è il solo principio? E perché non è solo? In alcuni esso è solo e la loro vita è conforme ad esso, mentre le altre parti persistono quanto è necessario. La causa di ciò va ricercata sia nella organizzazione corporea, che fa cadere nell’impurità, sia nel dominio dei desideri; insomma, la causa va necessariamente ricercata nel substrato corporeo. E allora sembra che questa causa non sia più quella nella ragione seminale, ma piuttosto nella materia; e in tal modo non la ragione domina, ma la materia e poi il substrato, così come è stato conformato. La materia, cioè il non-essere per Plotino, il punto più basso della gerarchia. Quella materia che per essere il punto più basso ed essere così disprezzata da Plotino, deve passare attraverso una delle infinite emendazioni del testo di Aristotele: per Aristotele non esiste materia senza forma, non c’è, non si dà; per Plotino sì, la materia esiste di per sé ed è il non-essere. Per Aristotele, la materia è la forma e la forma è la materia. Lo chiamava sinolo, appunto, tutto assieme. Non è possibile separare le cose, e questo è importante e fondamentale in Aristotele; ed è la cosa che è stata probabilmente emendata più fortissimamente di qualunque altra: la co-appartenenza di due elementi, sempre, se c’è uno c’è altro. È la concretezza di Aristotele, per lui tutto procede dal movimento. Ciò di cui deve occuparsi il fisico è il movimento, ma questo movimento, che non è determinabile in alcun modo, da dove scappa fuori? L’unico movimento di cui da cui possiamo partire è il movimento tra potenza e atto, dalla co-appartenenza di potenza e atto, dal dire e ciò che il dire dice. Da lì nasce tutto. Questa sua frase nel De anima è fondamentale perché dice che da lì nasce tutto, ha origine tutto. Come abbiamo visto, invece in Plotino il movimento procede dall’immobile, dall’Uno, che deve essere immobile, perché, se fosse in movimento, sarebbe relazione, mentre è irrelato. Questo passaggio è fondamentale: per Aristotele l’Uno non è possibile, proprio per questo motivo, perché l’Uno per Aristotele è l’entelechia, e l’entelechia è relazione fra due elementi, non è irrelato, anzi, è proprio relazione.