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12 giugno 2019

 

Fenomenologia dello spirito di G.W.F. Hegel

 

C’è una cosa importante che Hegel sta dicendo qui, verso la fine della Prefazione: la questione della dialettica. Lui parla di soggetto-oggetto, ma lui pone una questione importante, cioè, questo oggetto, di fatto, è nella coscienza. È questa la realtà, sarebbe il Sé, cioè la sintesi tra l’in sé e il per sé. Noi, però, possiamo fare un passo in più, tenendo conto che questo movimento è il movimento della parola: è la parola che è divisa, che apre un’apertura, uno spazio tra il dire e ciò di cui questo dire, dice. Ovviamente, c’è una relazione tra questi due momenti. Possiamo anche usare le parole di Hegel: considerare il dire e il ciò sui cui dice come due figure, che però diventano momenti di un intero, in cui il dire e il ciò di cui si dice si compiono in una sintesi: dico qualcosa e questo qualche cosa – l’in sé, il dire – non è altro che un movimento verso ciò di cui il dire dice. Questo movimento porta il dire fuori da sé, cioè, lo sposta verso qualche cosa che è altro da sé, perché il dire non è ciò di cui il dire dice, sono due cose diverse, sono due figure che diventano due momenti, ma rimangono due figure distinte, non succede mai che l’una trapassi nell’altra, che si annulli nell’altra, ma rimangono. Questa Aufhebung, questo oltrepassamento, di cui parla Hegel, non è altro che il rilevare questa distanza, questa apertura, prodotta dal funzionamento del linguaggio, e di condurla a qualche cosa che definisce il linguaggio, perché il dire, da sé, in quanto tale, cioè, l’in sé senza un per sé e senza tornare sull’in sé, non è niente, come dice Hegel, è nulla. Occorre questo movimento ed è attraverso questo che io conosco le cose. Ricordate il titolo, La scienza dell’esperienza della coscienza: rendersi conto di come funziona la coscienza, che peraltro deve passare dalla semplice coscienza alla scienza. Questo ci mostra molto bene e in atto il funzionamento del linguaggio, ci mostra questo movimento; il linguaggio è movimento, se non fosse movimento non esisterebbe. Questo sembra che Hegel l’abbia inteso, anche se ovviamente non parla mai di linguaggio; allora non si poneva nemmeno la questione; però, di fatto, quando parla di coscienza, di conoscenza, parla di linguaggio, perché senza linguaggio non c’è nessuna coscienza, nemmeno conoscenza. Dicevo che rende conto di questo movimento, ma in questo movimento c’è l’apertura, c’è la distanza, ed è questa apertura che consente al linguaggio di funzionare, cioè il passaggio dall’in sé al per sé. Però, se si fermasse al per sé… proviamo a usare i termini di de Saussure: se il significante, muovendosi verso il significato, se non incontrasse un ritorno su di sé rimarrebbero due istanze separate. È chiaro che il significante è quello che è perché ha un significato, perché questo significato ritorna sul significante e lo rende significante, letteralmente, nel senso di participio presente del verbo significare, cioè che significa qualcosa. Come vedete, questo movimento si incontra ovunque, laddove c’è qualcuno che sia in condizione di pensare si accorge che senza questo movimento, cioè senza questo spostamento del dire verso il ciò di cui si dice, non c’è nessuna possibilità di conoscenza, perché non ci sarebbe il linguaggio, semplicemente: il linguaggio è questo movimento. Andiamo a pag. 47, punto 56. La natura di ciò che è, è di essere, nel proprio essere, il proprio concetto… Più chiaro di così! La natura di ciò che è… Con ciò che è intende qualunque cosa. Quello che è, è in quanto concetto. …e in ciò sta, in generale, la necessità logica; essa sola è il razionale, il ritmo della totalità organica… Hegel intende il termine organica nel senso tradizionale del termine, cioè come un intero cui tutte le parti concorrono; oggi si direbbe strutturali all’intero, nel senso che se si modifica una si modifica tutto quanto. …essa è sapere del contenuto, non meno di quello che il contenuto sia concetto ed essenza; - ovverosia, soltanto essa è l’elemento speculativo. Questo tipo di conoscenza che è quella che procede dalla dialettica, da quel movimento di cui ha parlato in tutte queste pagine. La concreta figura, movendo se stessa, fa di sé una determinatezza semplice;… La figura, che non è ancora momento dell’intero, potete intenderla come l’astratto di Severino. Non è esattamente così, ma giusto per dare l’idea. …si eleva quindi a forma logica, ed è nella propria essenzialità; il suo concreto esistere non è che questo movimento, ed è immediatamente esistenza logica. Per usare i termini di de Saussure, il concreto esistere del significante è quello di essere significato; quindi, il significante si pone come significato e essere significato lo fa essere significante. È questo il movimento. È perciò inutile addossare dall’esterno il formalismo al contenuto concreto… Cioè: immaginare che sia possibile dall’esterno, cioè dal di fuori di questo movimento, quindi, dal di fuori del linguaggio, trovare un qualche cosa che renda conto del linguaggio. …questo è, in lui stesso, il passare nel formalismo, il quale però cessa di essere formalismo esteriore, giacché la forma è essa stessa il connaturato divenire del contenuto concreto. Sta dicendo che è in questo movimento che il contenuto diventa il concreto. Contro la scienza dice ancora Tale natura del metodo scientifico, per cui esso da una parte non è separato dal contenuto, dall’altra determina da se stesso il proprio ritmo, ha, come si è già ricordato, la sua peculiare rappresentazione nella filosofia speculativa. – Quello che qui si dice, esprime invero il concetto, ma non ha maggior valore di una anticipata asseverazione. La verità di essa non sarebbe al suo posto in questa esposizione che, almeno in parte, ha carattere narrativo. Né alcuno potrebbe più efficacemente confutarla controasserendo che la cosa non sta così, ma in questo e in quell’altro modo; riesumando e ricantando viete rappresentazioni, presentate come verità inconcusse e notorie; o imbandendo e asserendo qualche novità, tratta fuori dal reliquiario dell’intuizione divina. Nel Capitolo IV, punto 58, dice Nello studio della scienza tutto sta quindi nel prendere su di sé la fatica del concetto. Prendere su di sé la fatica del concetto significa, per dirla con Heidegger, mettere a tema e problematizzare qualcosa; non soltanto enunciarlo ma interrogarlo. Da qui la fatica del concetto: quando io dico qualche cosa occorre che io cominci a domandarmi di cosa sto parlando quando parlo di quella cosa, e perché sto parlando in quel modo, che cosa mi supporta nel dire ciò che sto dicendo, quali argomentazioni sto utilizzando. È questa la fatica del concetto. La scienza richiede attenzione intorno al concetto come tale, e intorno alle determinazioni semplici, come quelle, per es., dell’essere-in-sé, dell’essere-per-sé, dell’eguaglianza con se stesso, ecc.; esse sono infatti puri automovimenti che si potrebbero chiamare anime, se il loro concetto non designasse qualcosa di più elevato che non quelle. Parlando di essere in sé, di essere per sé, ecc., si parla di un automovimento, di qualcosa che è sempre in movimento, cioè, non sono elementi statici: l’in sé, così come il per sé, non è immobile, è movimento. Adesso parla del raziocinare. Lui distingue tra ragione raziocinante e ragione speculativa. La ragione raziocinante è quella prettamente logica, quella che vuole arrivare alla verità senza tenere conto della speculazione, cioè senza tenere conto della fatica del concetto. …il raziocinare è la libertà staccata dal contenuto, è un fatuo aggirarsi al di sopra di esso; a questa fatuità si addossa il compito di abbandonare tale libertà; il compito non già di essere un arbitrario principio motore del contenuto, anzi di calare in esso quella libertà, di farlo muovere mediante la sua propria natura, - ossia mediante il Sé in quanto non gli appartiene, - e di contemplare questo movimento. Come che si immagina che le cose siano quello che sono per virtù propria e non perché la coscienza le rende quello che sono. Poco più avanti. L’intendere che il contenuto non sia così o così, è il meramente negativo; è il punto supremo che non va oltre sé verso un nuovo contenuto;… Se è meramente negativo è lì, è falso e sta lì e, quindi, non va oltre, verso un nuovo contenuto, che si produce come risultato del movimento che dal negativo torna verso il positivo, cioè ciò che si è posto. Il positivo va inteso in questo modo, come ciò che si pone. …anzi, per avere ancora un contenuto, si deve raccattare qualche cos’altro, donde che sia. Cioè: è costretto a pensare a un qualche che è fuori del linguaggio, fuori da questo movimento, che non è altro che il movimento della parola. È la riflessione dell’Io vuoto, la fatuità del suo sapere. Ma tale fatuità non dice soltanto che è futile quel contenuto, ma che lo è anche un tal modo di intendere: esso è infatti il negativo che non scorge in sé il positivo. Il negativo in quanto staccato dal positivo, da ciò che si sta ponendo; quindi, è messo lì, immobile, il caput mortuum, di cui parlava. Poiché questa riflessione non consegue la sua stessa negatività a mo’ di contenuto… Non prende il negativo come il contenuto della parola. …essa non è affatto nella cosa, ma sempre oltre; con l’affermazione del vuoto essa s’immagina quindi di esser sempre più in là che non una riflessione ricca di contenuto. Invece, come si è mostrato sopra, nel sapere concettivo il negativo appartiene al contenuto stesso e, sia come suo immanente movimento e determinazione, sia come loro intiero, è esso stesso il positivo. Il negativo è esso stesso il positivo, perché la condizione affinché il positivo possa essere quello che è. Torniamo all’esempio della parola. Il dire non c’è senza il ciò che dico, perché se dico, dico necessariamente qualcosa; il ciò di cui dico è il negativo rispetto al mio dire, nel senso che è un’altra cosa, si oppone; ma senza questo altro, senza il negativo, senza questa opposizione, non c’è neanche il mio dire, perché il mio dire deve tenere conto di questo negativo per potere essere quello che è, per potere essere qualcosa. Preso come resultato, ciò che da questo movimento sorge, è il negativo determinato e quindi, altrettanto, un contenuto positivo. Questo negativo lo determino, lo indico in quanto qualche cosa, un qualche cosa di cui devo tenere conto; in quanto tale è un positivo, qualcosa che si pone. Ma se si considera che un tale pensare ha un contenuto, sia esso contenuto di rappresentazioni o di pensieri, o della loro mescolanza, si vedrà come esso abbia anche un altro lato che gli rende difficile l’atto concettivo. La natura caratteristica di questo lato è in stretta interdipendenza con la sopra rilevata essenza dell’idea, o, meglio, esprime l’idea stessa, in quanto essa appaia come movimento, che è atto dell’apprendere per pensieri. Cos’è l’idea? Sta dicendo che l’idea è questo movimento; è l’atto dell’apprendere, ma l’atto dell’apprendere non è altro che l’atto che compie il mio dire nella direzione del ciò di cui dico, è in questa direzione che va. In questo movimento, ci sta dicendo Hegel, è l’idea, l’idea di qualcosa; noi pensiamo attraverso idee. Come dunque nel suo comportamento negativo, di cui si è testé discorso, il pensiero raziocinante è esso medesimo il Sé nel quale il contenuto ritorna;… Il pensiero raziocinante immagina che il Sé sia un qualche cosa che non è il risultato di un movimento ma qualcosa per se stesso. …così, per contro, nel suo conoscere positivo, il Sé è un soggetto rappresentato al quale il contenuto si riferisce come accidente e predicato. Quindi, il contenuto è qualche cosa che si riferisce a un accidente, non a qualcosa che è necessario perché il Sé possa esistere, è qualcosa che gli si appiccica. Questo soggetto costituisce la base alla quale il contenuto viene legato e sulla quale il movimento corre su e giù. Diversamente nel pensiero concettivo: poiché il concetto è il Sé che, proprio dell’oggetto, si presenta come il divenire di quest’ultimo, il Sé non è un quieto soggetto che, immoto, sostenga gli accidenti;… Qui Hegel è chiarissimo. Il concetto è il Sé che, proprio dell’oggetto, si presenta come il divenire di quest’ultimo. Cioè: il soggetto non è altro che il divenire dell’oggetto. Come diviene l’oggetto? Torniamo all’esempio di prima: questo oggetto, cioè ciò di cui dico, diviene il mio dire. Capite benissimo che senza il mio dire non c’è ciò di cui dico, ma senza ciò di cui dico non c’è neanche il mio dire. In questo modo, dice, il soggetto non è un soggetto quieto, a cui possono capitare o no delle cose, ma è il risultato di un movimento. …è anzi l’automoventesi concetto che riprende in sé le sue determinazioni. Automoventesi: si muove da sé, non c’è qualcosa che lo muova. L’automoventesi del mio dire, che si riprende in quanto diventa ciò che sto dicendo; a questo punto diventa il Sé, perché a questo punto effettivamente il mio dire dice qualcosa. In tale movimento vien travolto anche quel quiescente soggetto; questo penetra nelle differenze e nel contenuto e, invece di starsene immoto di fronte alla determinatezza, la costituisce piuttosto;… Sta dicendo che è il soggetto che costituisce la determinatezza. Tenete conto che ha appena detto che il soggetto non è qualcosa di immoto; il soggetto è il fare, il mio fare, o, per dirla alla Heidegger, è il progetto, il mio essere sempre progettato. Il saldo terreno che il raziocinare ha nel soggetto quiescente,… Soggetto quiescente: io sono qua e conosco quella cosa là. …vacilla dunque; e soltanto questo movimento diviene l’oggetto. L’oggetto, per Hegel, è questo movimento, non è la cosa in sé, un quid; l’oggetto è il movimento stesso. Il soggetto che riempie il proprio contenuto cessa di scavalcarlo, né può avere altri predicati e accidenti. Il soggetto riempie il proprio contenuto attraverso questo movimento, cioè il ciò di cui dico riempie il mio dire. In effetto quindi il contenuto non è più predicato del soggetto, ma è la sostanza, l’essenza e il concetto di ciò intorno a cui verte il discorso. Si immagina generalmente che il contenuto sia il predicato del soggetto. Hegel dice: no, il contenuto, anziché essere ciò che se predica del soggetto, è la sostanza, è l’essenza stessa, dice: è il concetto di ciò intorno a cui verte il discorso. È una nozione di sostanza che, ovviamente, non è quella che la filosofia prima di lui ha sempre posto. Qui la sostanza è pensata come movimento, come il risultato di questo movimento. Il pensare per rappresentazioni si dirige, per sua natura, secondo accidenti o predicati e a ragione va oltre di quelli, perché non sono che predicati e accidenti;… Del soggetto si può predicare quello che si vuole; una volta che si è predicato è come se si andasse oltre il soggetto. Ad esempio, Giuseppe mangia la marmellata. Il fatto che ci sia un Giuseppe viene sorpassato, aggirato dal fatto che sta mangiando la marmellata; a quel punto è questo che conta. … ma esso viene ora frenato nel suo corso; giacché ciò che nella proposizione ha la forma di predicato, è la sostanza stessa. Qui c’è una questione abbastanza complessa. Dice che questo pensare viene frenato nel suo correre sempre avanti, immaginando che il soggetto abbia dei predicati che gli si appiccicano come se fossero delle cose esterne a lui. Dice che viene frenato in questa corsa perché, dice, il concetto di ciò intorno a cui verte il discorso. Cosa vuol dire questo? Che ciò che si pone come il predicato è la sostanza, cioè il risultato di un movimento. Dire che Giuseppe mangia la marmellata di per sé non sarebbe nulla se non fosse che il predicato – il suo mangiare la marmellata – diventa la stessa sostanza, diventa ciò che rende sostanziale questa proposizione. Vi faccio un esempio più semplice: immaginate questa proposizione come il concreto, di cui parla Severino. Dire che la forma di predicato è la sostanza stessa è come dire che questi elementi non sono più isolabili in quanto predicati di un soggetto, per cui il predicato è l’azione che fa il soggetto; ma sono nel concreto, e cioè questo predicato è quello che è nel concreto. Ricordate la proposizione “questa lampada che è sul tavolo”: il fatto di stare sul tavolo non è qualche cosa che si appiccica alla lampada. È questo che Hegel intende con sostanza, è il concreto, l’intero, per cui “questa lampada che sul tavolo” è il concreto, l’intero che non è, quindi, isolabile con soggetto e predicato. Subisce esso, per raffigurarcelo così, un contraccolpo: comincia dal soggetto, come se questo stesse a fondamento; ma poi, dato che predicato è anzitutto la sostanza, trova che il soggetto è passato a predicato e che, con ciò, è tolto; e dacché ciò che sembra sia il predicato è divenuto una massa totale e indipendente, il pensiero non più errare liberamente qua e là; anzi è trattenuto da una tal pesantezza. Sta dicendo che si pone il soggetto come punto di inizio – io penso -, come se, dice Hegel, stesse a fondamento. Qui sta criticando Cartesio. Si passa, quindi, al predicato; una volta che si è passati al predicato, del soggetto che ne è? È tolto, perché in questo passaggio, in questo andare dal soggetto al predicato, una volta che è arrivato al predicato toglie il soggetto. Dice dacché ciò che sembra sia il predicato è divenuto una massa totale e indipendente, il pensiero non più errare liberamente qua e là: se il predicato mi dice che cos’è il soggetto, a questo punto il soggetto diventa il predicato. A è B: una volta che sono arrivato alla B so che cos’è la A, e a questo punto la A non mi interessa più. Altrimenti il soggetto è da prima posto a fondamento come il Sé oggettivo e fisso; di qui il movimento necessario procede verso la molteplice varietà delle determinazioni o dei predicati;… Il soggetto fisso che predica sulle varie cose. …qui al posto di quel soggetto subentra lo stesso Io che sa, ed è il vincolo dei predicati non che il soggetto che li sostiene. Se io pongo le cose in questa maniera, il soggetto diventa l’Io che sa, perché conosco il predicato perché predico di questa cosa certe determinazioni e, quindi, so; sempre fuori della dialettica, naturalmente, per cui, di fatto, secondo Hegel, non so niente; è solo qualche cosa che si è appiccicato al soggetto ma che ha escluso la fatica del concetto. Ma mentre quel primo soggetto entra nelle determinazioni stesse e ne è l’anima, il secondo Soggetto, quello che sa, trova tuttora nel predicato quel primo soggetto col quale vuole già avere chiusa la partita e oltre il quale vuole essere tornato in se stesso;… C’è il primo soggetto, quello immobile, fisso, che si rivolge al predicato – soggetto che predica le varie determinazioni; poi, c’è l’Io, che sarebbe il soggetto che sa. Quindi, c’è un primo soggetto che entra nelle determinazioni, e poi un soggetto che sa a questo punto delle varie determinazioni. Ma, dice, il secondo soggetto, quello che sa, trova nel primo soggetto il predicato. Vediamo di rendere la cosa più semplice utilizzando Peirce. Il primo soggetto è la A. La A muove verso B, in quanto suo predicato. A questo punto il primo soggetto, la A, trova un secondo soggetto, che è quello che sa che la A è B, e immagina a questo punto di avere confermato il primo soggetto, attraverso questo movimento, che non è un vero e proprio movimento ma un andare verso qualcosa e stabilirlo. Punto 61. Quanto sopra si è detto può venire formalmente riespresso dicendo che la natura del giudizio o proposizione in generale (natura che implica in sé la differenza di soggetto e predicato) viene distrutta dalla proposizione speculativa; così la proposizione identica in cui trapassa la prima contiene il contraccolpo a quel comportamento. Qui sta ponendo una questione interessante, perché in questo giudicare, di cui parlava prima, cosa accade esattamente? Dice la natura del giudizio o proposizione in generale (natura che implica in sé la differenza di soggetto e predicato) viene distrutta dal fatto che soggetto e predicato non sono più disgiunti, non sono più figure ma momenti di un intero. il soggetto, che vorrebbe scindersi dal suo predicato, si ritrova invece, così dice Hegel, preso in un movimento, che è quello del pensiero speculativo, in cui il predicato ritorna sul soggetto, però modificandolo. Lui parla di primo soggetto, di secondo soggetto, ma in realtà potremmo dire che è lo stesso soggetto ma in quanto modificato dal fatto che il secondo soggetto ritorna sul primo. Questo sapere in effetti modifica, perché se io dico che A è B, una volta stabilita la B, cioè il predicato di A, viene modificata anche la A, la A diventa cioè un’altra cosa, perché non è più isolabile ma esiste soltanto in questa relazione con B. Ecco perché dice che viene distrutta dalla proposizione speculativa. La proposizione speculativa, che è quella che avanza Hegel, distrugge questa idea che sia possibile scindere il soggetto dal predicato. Il soggetto va verso il predicato e il predicato torna nel soggetto; il secondo soggetto torna indietro e modifica il primo. Quindi, parlare di soggetto e predicato, che, se vi ricordate, era la questione che poneva Severino… non sono la stessa cosa, perché uno è soggetto e l’altro predicato; lui utilizzava quel suo sistema: (A=B)=(B=A). Hegel è più semplice: dice che questa idea di poter separare soggetto e predicato viene distrutta dal fatto che, una volta che ho stabilito la B, questo modifica la A; la A non è più la A di prima, prima che ci fosse questa uguaglianza. È la stessa cosa che dice Peirce, quando dice A è B o A=B: una volta che ho stabilito questa relazione, A e B non sono più la stessa cosa di prima. Dicendo che A è B, la A non è più quella di prima, non è più isolabile da questa relazione; la A è quella che è in quanto presa nella relazione. …così la proposizione identica in cui trapassa la prima contiene il contraccolpo a quel comportamento. La proposizione identica, quella che vorrebbe stabilire un’identità tra soggetto e predicato, contiene questo contraccolpo, questo ritorno, per cui la A e la B non sono più la stessa cosa. Tutta la Fenomenologia dello spirito vuole dire questo: qual è il modo in cui facciamo esperienza della coscienza? Solo attraverso questo movimento ci rendiamo conto della coscienza, ci rendiamo conto che siamo linguaggio; soltanto in questo movimento, in cui viene distrutta l’idea che il mio dire sia altro da ciò che dico, oppure che il mio dire possa stabilire con certezza una certa cosa o che le cose esistano fuori dal mio dire. Ciò che dico, qualunque cosa sia, fosse anche questo posacenere, è all’interno di questo gioco in cui il mio dire trova il ciò di cui dico; ponendo, quindi, un’obiezione a tutto il realismo… È il linguaggio ciò per cui qualcosa mi si dà, per cui qualche cosa mi appare, indipendentemente dal modo in cui mi appare; ma se mi appare è perché c’è il linguaggio, c’è questa distanza che la parola inaugura tra il dire e il ciò di cui dico; senza questa distanza non c’è niente, cessa il linguaggio e, di conseguenza, a seguire cessa tutto. Un tale conflitto della forma di una proposizione in genere e dell’unità del concetto che distrugge quella forma… L’unità del concetto distrugge la forma, perché la forma diventa un momento del concetto e, quindi, non è più la forma di prima. …è simile a ciò che nel ritmo ha luogo tra il metro e l’accento; il ritmo risulta dalla librantesi medietà e unificazione del metro e dell’accento. Pensate a una poesia: c’è il metro ma poi c’è anche l’accento; l’accento è il punto dove cade la battuta. Similmente anche nella proposizione filosofica l’identità di soggetto e predicato non deve annientare la loro differenza espressa nella forma della proposizione; anzi la loro unità deve risultare come armonia. Rimangono figure ma in quanto momenti di un intero, cioè, rimangono figure, non è che svaniscono l’una nell’altra. La forma della proposizione è il riapparire del senso determinato, cioè l’accento che ne distingue il contenuto;… Lui usa l’accento come metafora per indicare la determinatezza di qualche cosa. L’accento sarebbe il determinare qualche cosa. …che pertanto il predicato esprima la sostanza, e che il soggetto s’immerga pur esso nell’universale, ecco l’unità in cui quell’accento si smorza. Questo accento, cioè la determinatezza di un qualche cosa, si smorza, nel senso che non diventa caput mortuum ma è viva, fa parte di quell’unità in cui l’accento si smorza, cioè, perde la sua rilevanza, perché all’interno di un intero. Cerchiamo di render chiaro il già detto mediante qualche esempio. Nella proposizione: Dio è l’essere, predicato è l’essere, ed ha un significato sostanziale, nel quale il soggetto si scioglie. Cioè: dicendo che Dio è l’essere, l’essere diventa la sostanza della proposizione e la parola Dio si scioglie in questa sostanza, perché diventa l’essere. Come dire A è B: B è ciò che è la A, e la A si scioglie; ma sappiamo che lui non parla mai di questo scioglimento perché le figure rimangono figure, anche se momenti di un tutto. Qui “essere” non dev’essere il predicato, ma l’essenza; con ciò Dio sembra cessar di essere ciò che egli è mediante la posizione della proposizione, ossia il soggetto fissato. Il pensare, anziché progredire nel passaggio dal soggetto al predicato, dato che il soggetto va perduto, si sente piuttosto frenato e risospinto al pensamento del soggetto, sentendone la mancanza. Dio è l’essere, certo, ma l’essere è Dio. È come se volesse tornare indietro per salvare questo Dio che sembrerebbe scioltosi nell’essere. …o, dacché il predicato fu espresso esso stesso come un soggetto, come l’essere, come l’essenza che esaurisce la natura del soggetto, il pensare trova il soggetto immediatamente anche nel predicato; e ora, invece di aver raggiunta la libera posizione del raziocinare, andando, nel predicato, in se stesso, il pensare è ancora immerso nel contenuto o, per lo meno, è presente l’esigenza di essere immerso in esso. Togliendo il movimento è come se si dovesse fissare ora l’uno e ora l’altro, solo che fissato uno scompare l’altro e viceversa; devo trovare un modo per fare esistere entrambi. Egualmente se si dice: l’effettuale è l’Universale, anche qui l’effettuale, in quanto soggetto, sfuma nel suo predicato. L’Universale non deve avere soltanto la significazione del predicato, quasi che la proposizione venga a dire che l’effettuale è universale; anzi l’Universale deve esprimere l’essenza dell’effettuale. Quando dico che una cosa è quell’altra, quest’altra deve dire l’essenza della prima. Il pensare quindi, allorché, trovandosi nel predicato, vien rinviato al soggetto, perde la sua solidificata base oggettiva che nel soggetto aveva, e nel predicato non torna in dietro in se stesso, bensì nel soggetto del contenuto. Il pensare, quando si trova nel predicato: quando A è B, A si trova nella B ma viene rinviata al soggetto, alla A. Quindi, il predicato perde la sua solidificata base oggettiva che nel soggetto aveva. Qual è la sua solidificata base oggettiva? Il dire che una cosa è questo, cioè che A è B: Ma com’è che perde questa sua solidità oggettiva? Perché il predicato non torna indietro in se stesso, ci dice, bensì nel soggetto del contenuto. Potremmo dirla così: il pensare muove verso il predicato ma, andando verso il predicato, non torna indietro in se stesso bensì nel soggetto del contenuto, cioè ritorna nella A. Quando io dico che A è B passo dalla A alla B; la B è il predicato e questo predicato vorrebbe consolidarsi come qualcosa di oggettivo, ma come fa a consolidarsi come qualcosa di oggettivo se dipende dalla A, che lo fa esistere? Torniamo all’esempio iniziale del dire e del ciò di cui dico. È come se il ciò di cui dico volesse consolidarsi per conto suo senza il mio dire, come se il significato volesse porsi senza il significante. Ovviamente, non può, non può esistere il significato senza il significante, non può la B esistere senza la A. Questo per indicare sempre il movimento; tutte queste cose fanno parte di un movimento. La cosa che sta continuando a dirci è che è impossibile isolare gli astratti da concreto senza che questo concreto si disgreghi; ma non può disgregarsi perché gli astratti vivono di questo concreto. È questo l’apparente paradosso: gli astratti non esistono senza il concreto. Quindi, ponendo la questione distinguendo soggetto e predicato… il soggetto, sì, si muove nel predicato, ma questo predicato non c’è senza il soggetto; una volta che ho posto il predicato non ho tolto il soggetto, non si è dissolto. Se io dico che A è B, la B non dissolve la A ma, anzi, si instaura a questo punto una relazione tra B e A che rende questi due elementi indissolubili, li pone cioè in un concreto, li pone in un movimento dialettico. È una parte complessa questa, ma se pensate a tutto ciò, in effetti non fa altro che continuare a dire è che devo tenere conto di questo movimento se voglio avere coscienza delle cose, sennò non ne ho coscienza. Coscienza nel senso di co-scienza, cioè, averne scienza. Semplicemente le percepisco, ne ho coscienza nel senso in cui tutti siamo coscienti, ma non abbiamo scienza, cioè non sappiamo che cosa sta accadendo, non sappiamo perché pensiamo come pensiamo, non sappiamo perché diciamo le cose che diciamo; ci accorgiamo che succede qualche cosa, ma è tutto lì… e questa non è la filosofia per Hegel, la filosofia è speculativa, cioè deve pensare, farsi carico della fatica del concetto, quindi, interrogare il concetto. Questo è l’obiettivo di Hegel.