INDIETRO

 

 

12-3-2014

 

Il lavoro che abbiamo fatto in questi anni non è semplice, abbiamo dovuto rimettere in discussione praticamente tutto, tutto ciò che gli umani hanno pensato. Occupandoci e interessandoci del linguaggio, del funzionamento del linguaggio, della priorità del linguaggio, abbiamo dovuto riconsiderare tutto ciò che il linguaggio produce e cioè domandarci che cosa fa il linguaggio quando costruisce qualcosa. Per fare questo ci siamo dovuti soffermare a lungo sul funzionamento del linguaggio, questione straordinaria questa; la questione del linguaggio comporta tanti aspetti, intanto come si svolge, come si produce, come si avvia, poi aspetti successivi e cioè la questione del significato, la questione della comprensione il linguaggio, cioè come avviene che delle sequenze siano riconosciute da altre sequenze, utilizzate da altre sequenze per costruirne altre ancora. La costruzione da parte del linguaggio di sequenze è una questione determinante, intendere e considerare che il linguaggio è una sorta di programma che costruisce sequenze è altrettanto importante. Queste sequenze che vengono costruire sono soltanto sequenze il cui unico scopo è quello di connettersi con altre e costruirne altre ancora, ma queste sequenze hanno una prerogativa: per potere proseguire, ciascuna volta una sequenza deve verificare non soltanto la coerenza con altre sequenze all’interno di un gioco in cui sono inserite, ma la verità di questa sequenza e cioè la possibilità di essere affermata e quindi di potere proseguire. È la “maledizione” tra virgolette di ogni discorso, di ogni teoria, il fatto che non sia possibile procedere teoricamente se non con affermazioni. Una affermazione è una proposizione generalmente, che deve essere riconosciuta come vera, sempre all’interno del gioco in cui è inserita ovviamente, quindi ogni affermazione accolta è considerata vera. Ciò che la rende vera non è tanto il non essere in contraddizione con la premessa da cui è partita, ma un riscontro con ciò che chiamiamo “la realtà”, e cioè con ciò che viene percepito dai sensi. Ciò che viene percepito dai sensi nel modo in cui viene percepito, è stato stabilito e deciso nel corso dei millenni come ciò che costituisce la realtà, e questo viene trasmesso insieme con il linguaggio, ciascuna affermazione deve poter essere verificata più o meno immediatamente con la realtà. Questo è interessante perché la proposizione che deve essere confrontata con la realtà potremmo domandarci “in che modo si raffronta a questa realtà?”, che è un’altra invenzione ovviamente; voglio dire, se io affermo: “questo è un orologio” cosa significa che verifico questa proposizione osservando questo aggeggio e riscontrando che è un orologio? Cosa significa questa cosa? Potrei anche non riconoscerlo, ma la proposizione afferma che questo è un orologio, in questo c’è qualcosa di complesso, perché diciamo che è un orologio in conseguenza di altre cose che non sono questo aggeggio, ma sono sequenze inferenziali, sono sequenze di significati una proposizione che afferma “questo è un orologio”. Questa proposizione, dicendo questo, che cosa fa esattamente? Lo riconosce? Prima di riconoscerlo occorre conoscerlo questo aggeggio, per conoscerlo deve inserire questo aggeggio all’interno di un gioco, all’interno di una combinatoria fatta di inferenze, di significati, di domande, di risposte, cioè all’interno di un gioco linguistico per farla breve. In questo modo conosce l’aggeggio, ma per conoscere l’orologio, questo aggeggio dicevo, occorre inserire questo aggeggio nel sistema linguistico. Fino a qui non abbiamo detto niente di che, ma la questione interessante che appare a questo punto riguarda il fatto che questi sensi di cui dicevamo prima, sembra che rilevino una presenza, una certa cosa che si vede, che si tocca eccetera, però come vedete la questione è più complicata perché se non interviene un insegnamento o una trasmissione se preferite, se non c’è una trasmissione di dati e di informazioni che dicono che c’è una certa cosa da vedere allora diventa improbabile che si veda qualcosa, tenendo sempre conto naturalmente che l’uso di questo verbo, come abbiamo già detto tempo fa, è un uso che facciamo linguisticamente. Il verbo “vedere” ha una valenza che è data da una serie di significati, di informazioni, di derivazioni, di inferenze che sono state acquisite tramite il linguaggio, la questione dunque è questa: c’è qualche cosa da vedere se tutte queste informazioni, questi dati, queste inferenze, derivazioni, non ci sono? Se tutte queste cose non ci sono non c’è neppure il verbo “vedere” ovviamente, a questo punto dire che vedo qualche cosa non ha nessun senso perché non c’è il verbo. Ovviamente si potrebbe affermare che in ogni caso gli occhi vedono, dimenticando immediatamente che abbiamo appena detto che non c’è questo verbo, quindi non può nemmeno dirselo, ma si potrebbe insistere dicendo che comunque tutto l’apparato preposto alla vista, l’occhio si chiama generalmente, la retina, la cornea eccetera, tutto ciò che funziona all’interno dell’occhio rileva una variazione di stato, una variazione cromatica, una variazione di movimento. Ora tutte queste cose appaiono naturali, cioè fornite da “madre natura” a tutti i viventi praticamente, grosso modo tutti gli esseri viventi hanno degli occhi fatti in un modo più o meno simile ma che hanno comunque la stessa funzione cioè di rilevare variazioni di movimento, di colore. Dunque è un fatto naturale, e su questo non possiamo fare niente, è la natura. Ora supponiamo che sia così, facciamo questa ipotesi, e cioè che sia un fatto naturale, e supponiamo dunque che gli occhi vedano, vedano cioè registrino, percepiscano più che registrare, variazioni di stato, come il colore, la forma, il movimento eccetera, e supponiamo ancora di essere più curiosi di coloro che affermano che è la natura che è così. Supponiamo dunque che sia così, ma ciò che i miei occhi vedono e cioè quell’informazione che a partire dal sistema visivo viene trasmessa al cervello, ciò che questi così detti occhi vedono che cos’è in effetti? Cioè la domanda potrebbe porsi così: “che cosa vedo esattamente quando vedo?”, la cosa in sé? Cioè quello che realmente è quella cosa che io sto vedendo? Se è così almeno “scientificamente” mettiamo scientificamente tra virgolette anzi occorrerebbe sempre metterlo fra virgolette, una cosa del genere dovrebbe potere essere provata, cioè che ciò che gli occhi vedono è esattamente la cosa, il problema è che in che modo io potrò stabilire che ciò che vedo è esattamente ciò che la cosa è, se non usando ciò stesso che stiamo vagliando, e cioè che la vista mostri ciò che è. Dovremo utilizzare un altro strumento che non è la vista, e esistono moltissimi strumenti che non sono la vista, per esempio telescopi, microscopi, aggeggi vari, spettroscopie di ogni sorta, genere e foggia certo, ma come avviene che queste cose abbiano un significato, un senso per noi? Perché noi vediamo attraverso l’aggeggio e in base a delle conoscenze stabiliamo, affermiamo delle conclusioni e quindi torniamo da capo, nel senso che per verificare se la vista vede le cose come stanno dobbiamo sempre usare la vista, cioè ciò stesso che abbiamo messo in discussione. Questo ci conduce a considerare che questa affermazione che dice che ciò che vedo mostra le cose così come stanno, è un’affermazione che in realtà non può farsi perché non abbiamo nessun modo per verificare che sia così, certo possiamo utilizzare questo sistema visivo per tante cose senza sapere però mai di fatto che cosa stiamo vedendo. Dico che in questo momento sto vedendo l’orologio, certo, ma sto soltanto facendo un gioco linguistico, cioè utilizzando una serie di cose che ho acquisite, cioè altri giochi linguistici alla fine dei quali posso affermare che questo è un orologio, ma all’interno di un gioco linguistico, in realtà io non so che cosa di fatto sto vedendo e neppure se sto vedendo, perché il “vedere” abbiamo detto prima, questo verbo è costruito di nuovo da giochi linguistici e cioè cose che sono state trasmesse, apprese, da significati, da inferenze, derivazioni di ogni sorta, quindi questo verbo che utilizziamo “vedere” o questo atto del vedere è una costruzione in realtà, potremmo dire che non c’è in natura, in natura non si vede niente, usando “natura” come una metafora di ciò che è fuori dal linguaggio, una sorta di artificio quindi altro gioco linguistico. Dicevo che tecnicamente non potrei neppure affermare di vedere, se non utilizzando questo verbo “vedere” come prodotto di un gioco linguistico, fuori da questo gioco linguistico in effetti non solo non c’è nulla da vedere ma non c’è neppure il vedere. Perché stiamo facendo questo discorso? Non per giungere a considerare che non c’è nulla da vedere, e che anche ci fosse qualcosa non la vedrei, non è tanto questo che ci interessa, quanto mostrare il modo in cui abbiamo costruito ciò che abbiamo costruito, e qual è la direzione che abbiamo seguita e per quale motivo siamo stati costretti a rimettere in discussione qualunque cosa. Queste domande ruotano intorno alla considerazione che gli umani non possono non parlare e che tutta la loro conoscenza procede dal fatto che parlano, cioè non c’è conoscenza fuori dal linguaggio. Abbiamo detto in che modo utilizziamo questo termine “linguaggio”, cioè come quella sequenza di istruzioni e di informazioni che consente la costruzione e la conoscenza di altre informazioni, queste informazioni le costruisce a partire dalla così detta realtà? No, non può farlo, non può farlo perché la così detta realtà non c’è prima che si formuli sotto forma di concetto, cioè sotto forma di atto linguistico. Questo è più complesso di quanto comunemente si intenda con “reagire a degli stimoli”: anche una lampadina lo fa, se lasciata cadere da un’altezza sufficiente su un pavimento si spacca, dunque reagisce a uno stimolo. Poiché non siamo ancora sicuri di sapere che cosa vediamo esattamente, ciò che abbiamo stabilito di dire nel caso in cui ci appare qualche cosa, questo è sempre conseguente a un gioco linguistico, la lampadina non si rompe se cade per terra se noi non lo diciamo, le parrà strana questa cosa Simona, ma se noi non lo diciamo che la lampadina cadendo per terra si spacca, ho appena affermato che la lampadina non si spacca, non solo, non c’è neanche la lampadina, non c’è la possibilità che qualcosa si rompa, non c’è neanche il concetto di possibilità, non c’è neanche qualcosa. Ma c’è qualcosa in più: la lampadina non si rompe perché di fatto non c’è nessun evento, cioè non accade niente. Mi rendo conto che ai parlanti una cosa del genere appare un’assurdità, ma perché appare un’assurdità? Per un motivo molto semplice: perché viola le regole del linguaggio. Affermare che una lampadina che cade per terra non si spacca viola, non le leggi della fisica, ma viola le regole del linguaggio, del linguaggio in questo caso di un gioco linguistico che è stato costruito dal linguaggio, questa violazione non è consentita perché fa parte di quelle regole che vengono trasmesse insieme con il linguaggio e che obbligano ciascun parlante a verificare la verità di quello che afferma fuori dal linguaggio, e cioè gli si insegna che questa verità viene dalla percezione dei suoi sensi. È un modo che ha consentito la costruzione di quella cosa che chiamiamo civiltà, così come ci appare oggi, come funziona oggi, nella quale siamo immersi ovviamente e della quale civiltà conosciamo benissimo le regole e le utilizziamo per muoverci all’interno di questo sistema, che è un altro gioco linguistico. Si tratta di giochi linguistici appunto, e se un’affermazione viola le regole di questo gioco linguistico che afferma che un’affermazione è vera, se collima con ciò che abbiamo imparato che i sensi ci trasmettono, sottolineo che abbiamo imparato che i sensi ci trasmettono, allora questa affermazione viene chiamata “assurda” e non viene utilizzata come tutte quelle affermazioni che violano le regole del gioco in cui sono inserite. Che non vengano utilizzate comporta che non abbiano nessun rinvio, è questa la follia: affermare cose che non hanno nessun rinvio. Eleonora, costruisci un’argomentazione che falsifichi tutto quello che ho detto, puoi o argomentativamente giungere ad affermare che le premesse da cui sono partito sono false o inconsistenti oppure utilizzando le stesse premesse da cui sono partito giungere a affermazioni opposte, generalmente sono i modi di falsificazione, sì c’è anche quello che dice che i passaggi non sono stati corretti e quindi la conclusione non è coerente. Potresti in effetti fare qualcosa muovendo dalle premesse da cui sono partito, e le premesse da cui sono partito sono prettamente linguistiche, e cioè i concetti come quello di “natura” di “percezione” di “visione” o altre storie sono costruiti linguisticamente utilizzando un sistema inferenziale, ora tu potresti dire che tutto ciò che ho affermato è derivabile a condizione che si accolga il fatto che qualunque cosa è costruito dal linguaggio e che di conseguenza compio un’operazione singolare: per dimostrare che qualunque cosa appartiene ad un gioco linguistico uso giochi linguistici. Questa dimostrazione è valida solo all’interno di un particolare gioco che noi chiamiamo “gioco linguistico”. Ammesso che tutto ciò che io ho detto sia corretto, comunque tutto questo è valido all’interno di un sistema che io ho deciso di chiamare “gioco linguistico”, ma questo ci dice che la validità delle mie affermazioni non è universale ma che tutto questo è un caso particolare, non ha nessuna validità universale, quindi non può essere affermato universalmente ma soltanto all’interno del gioco che io ho deciso di fare. In questo caso particolare la falsificazione di tutto ciò che ho detto non muove dalle premesse ma dal metodo, che è un altro modo ancora di falsificare, e cioè verificare che il metodo utilizzato è un metodo parziale, non è propriamente una falsificazione ma è una riduzione a un caso particolare; di fronte a un’affermazione universale è possibile costruire un’argomentazione che mostri che quella affermazione non è universale ma riguarda un caso particolare quindi non può essere affermato universalmente, non può valere sempre. L’argomentazione di Eleonora giungerebbe a dire che ciò che ho affermato è valido in un caso, ma non sempre, e a questo punto potrebbe dire che tutto ciò non ha una validità universale potrebbe costringermi a fare di meglio, e cioè a rendere una argomentazione universale, e non per un singolo caso specifico, ma per tutti i casi possibili. Certo per fare questo occorre conoscere bene come funziona il linguaggio, conoscere in modo soddisfacente la retorica, la logica, la filosofia del linguaggio, la linguistica, la semiotica, la semantica. Cosa vuole dire conoscerli in modo soddisfacente? Potere utilizzare queste informazioni tratte da queste discipline in modo da poterle interrogare, verificare l’attendibilità delle conclusioni cui giungono e poterle utilizzare per costruire altri giochi linguistici, utilizzarle quindi retoricamente, anche la logica può essere utilizzata retoricamente. Va precisato che Eleonora avrebbe potuto chiedermi a questo punto di formulare, di costruire una argomentazione che risulti universale anziché particolare, e avrebbe potuto sfidarmi a farlo, e se non lo posso fare allora rimane vero ciò che ha detto Eleonora e cioè che la mia argomentazione non è universale ma è particolare e tale rimane, cosa vuole dire che è particolare? Vuole dire che è limitata a un gioco linguistico, non coinvolge tutti i giochi linguistici possibili, passati, presenti e futuri. Questo che cosa ci consente di acquisire? Che qualunque cosa si costruisca, qualunque gioco si faccia è un gioco particolare e cioè non ha nessuna pretesa di universalità, ogni gioco è particolare, ma dicendo che è “particolare” noi inseriamo all’interno di questo un’altra questione ancora: quando parliamo di “particolare” usiamo un termine ovviamente, questo termine lo usiamo in una certa accezione, in questo caso l’accezione è quella che viene utilizzata quando si parla di quantificatori esistenziali, quegli indicatori che dicono che c’è almeno una cosa che ha o che non ha una certa proprietà. Questo significa che mi sto avvalendo in questo caso specifico di un particolare gioco linguistico, che è quello della logica formale, in particolare della teoria dei quantificatori, questo gioco che sto facendo non ha nessun riferimento a una realtà da qualche parte, è a sua volta un gioco linguistico cioè sto utilizzando un qualche cosa che è un altro gioco linguistico. Per fare questo gioco che ho fatto prima con Eleonora e la sua confutazione, la quale diceva che la mia argomentazione è valida solo in un caso particolare, lei ha utilizzato questo termine non specificando non solo che cosa intende con “particolare” o “esistenziale”, ma anche perché sta usando il termine “particolare” in quella accezione specifica, cosa che se fosse stata del tutto onesta avrebbe dovuto fare. Dunque la sua confutazione si avvale di un termine le cui proprietà non sono né naturali né sancite da chi sa chi, ma sono stabilite da un altro gioco linguistico. Vi rendete conto facilmente che ci si trova in una sorta di circolo vizioso, un cerchio, una struttura dalla quale non c’è nessuna uscita, qualunque cosa diciamo, controbattiamo, dimostriamo, confutiamo, rimaniamo sempre all’interno di un gioco linguistico perché rimaniamo all’interno dell’utilizzo di significati, di segni, di sensi che non sono quello che sono per volontà di dio ma conseguenze di altri giochi linguistici ancora: per confutare un gioco linguistico io devo usare un altro gioco linguistico o comunque utilizzare strumenti che sono stati prodotti da altri giochi linguistici, e da questo non c’è uscita. Questo è l’“insegnamento” in tutto ciò che stiamo dicendo da molto tempo, quando diciamo che non c’è uscita dal linguaggio diciamo esattamente questo, e cioè che non c’è uscita dal gioco linguistico e quella cosa che comunemente si chiama “realtà”, se non fosse inserita all’interno di un gioco linguistico, se non fosse stata costruita, inventata da giochi linguistici, non sarebbe mai esistita. Se non esistesse il linguaggio gli umani non sarebbero mai esistiti. Ho voluto precisare qualche passaggio ma in effetti sono cose che diciamo da molto tempo, che però sono importanti perché sovvertono radicalmente la psicanalisi, perché a questo punto ciò che è di rilievo è il fatto che una persona abbia l’opportunità di verificare, di constatare nel suo dire che tutto ciò che costruisce, affanni, paure, angosce, timori, tremori di ogni sorta sono giochi linguistici, e allora essendo un gioco è possibile giocarlo in accezione anche ludica, divertente, e cioè trasformare qualunque cosa che la persona faccia o non faccia in qualcosa di divertente, di soddisfacente, perché l’unica soddisfazione che può trarsi è dalla costruzione di giochi linguistici cioè da quelle cose che si chiamano sensazioni, emozioni, amori eccetera.