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12-3-2008

 

“L’amore dello psicanalista” sarà una conferenza importante perché diremo di che cosa si tratta in una psicanalisi, cosa fa lo psicanalista. L’amore dello psicanalista è ciò di cui si cura lo psicanalista, e di cosa si occupa uno psicanalista? Del discorso naturalmente, delle parole, l’amore qui è inteso nell’accezione più ampia, come il prendersi cura di qualcosa, di qualcuno, lo psicanalista si prende cura sia di qualcosa sia di qualcuno. Prendersi cura significa esattamente fare in modo che la persona che si rivolge all’analista giunga a occuparsi del proprio discorso come della cosa più importante ecco perché l’analista si prende cura del discorso, che è la cosa più importante, è la massima ricchezza di cui dispone, abbiamo detto della ricchezza del discorso, vale a dire di ciò che il discorso contiene in sé, racchiude in sé, quando una persona parla dice più di quanto la persona immagina di dire in quel momento perché tutte le cose che sta dicendo hanno infinite serie di connessioni con altre cose che lo riguardano ovviamente e dalle quali questo discorso procede, cioè da tutte le premesse da cui muove questo discorso, il suo discorso. Queste premesse, queste condizioni che fanno muovere il discorso costituiscono come ho detto la ricchezza della persona perché è la sua storia, praticamente tutto ciò di cui è fatta, ciò che una persona decide oggi di fare non viene dal nulla ma da quella che comunemente si chiama la sua storia vale a dire da un’infinta serie di discorsi che gli appartengono e che sono appartenuti a quella persona. Dunque avere cura del proprio discorso nell’accezione di amare anche il proprio discorso significa sollecitare il proprio discorso, portarlo alle estreme conseguenze, interrogarlo, fargli dire tutto ciò che può dire senza limiti e cioè trarre da tale discorso una ricchezza infinita, questo è ciò che fa l’analista rispetto al proprio discorso naturalmente, cosa ne trae da un operazione del genere? Interrogando il suo discorso fino alle estreme conseguenze non c’è cosa che accada nei suoi pensieri che non possa essere interrogata e che non lo sia di fatto, ciascuna cosa viene interrogata rispetto al da dove viene, perché esiste, cosa la fa sussistere, quali sono le condizioni, le premesse, da cui procede il suo discorso e all’interno di quale gioco stanno funzionando, e questo gioco è costruito da quali regole? Ed è esercitato a fare tutto questo in modo tale che tutto ciò avviene in una sorta di automatismo, cioè si trova nella condizione di chi non può non ascoltare il proprio discorso, sempre e comunque e non potere non fare questa operazione pone l’analista in una condizione assolutamente particolare e cioè si trova nella condizione di non dovere, per esempio, credere a nulla, non avere nessun valore ché sa benissimo che qualunque cosa si trova a pensare vale all’interno del gioco in cui è inserita e non al di fuori, non ha un valore assoluto. È in definitiva quella persona che ha imparato a giocare con il proprio discorso, con i propri pensieri e questo significa ancora avere imparato che ciascun pensiero, ciascun discorso, qualunque cosa intervenga nel suo pensiero è all’interno di un gioco linguistico, non ha vita propria, e qualunque conclusione tragga, qualunque decisione prenda è comunque all’interno di un gioco linguistico il cui valore è dato unicamente dalle regole di quel particolare gioco linguistico che sta facendo e potremmo dire che vive solo di questo, non di altro, vive del discorso, vive del linguaggio, vive del pensiero non avendo più la necessità di credere in qualche cosa si trova preso in una libertà estrema totale e irreversibile, potremmo dire che non ha da rendere conto a nessuno, non c’è più nessuno a cui rendere conto e questo ha delle implicazioni naturalmente perché questa libertà assoluta in cui esiste è una libertà fatta di parole, è fatta della assoluta responsabilità di quello che dice e di conseguenza di quello che fa naturalmente, la conseguenza immediata è la cessazione, come dicevo prima, di credere qualunque cosa e di conseguenza della possibilità stessa di stare male, non è che non sta più male, non c’è più la possibilità, le condizioni per cui possa stare male, la condizione per stare male, per essere angosciati per qualunque cosa, preoccupati, disperati a seconda delle situazioni è credere che una certa cosa abbia un valore assoluto, di per sé, se questa cosa non ha più quel valore, se ha soltanto la sua validità all’interno di un gioco del quale gioco si conoscono le regole ecco che non ha più la possibilità di stare male per nessun motivo e a questo punto se proprio dovessimo trovare qualche cosa che abbia un valore per lui la dovremmo cercare nella condizione della sua stessa esistenza cioè nel linguaggio, nella sua struttura, nel suo funzionamento, nelle sue pieghe, nei modi in cui si articola di volta in volta o più propriamente nei modi in cui costruisce di volta in volta il discorso non fa più nient’altro se non questo, non gli rimane nient’altro se non la condizione stessa dell’esistenza, in un certo senso ha compiuta quell’operazione, compiuta e terminata, quell’operazione che da duemila e cinquecento anni il filosofi hanno imbastito più o meno rozzamente per cercare quello che loro chiamano l’essere vale a dire il fondamento di tutto ciò che è proprio, ciò che è assoluto, ciò che sussiste, permane, inesorabilmente sempre identico a sé, bene, ciò che risponde a questi requisiti è esattamente quella condizione per potere pensare una cosa del genere e cioè il linguaggio che è la condizione per pensare, per esempio, l’essere, potremmo dire che vivendo di linguaggio, vive unicamente di queste regole che sono quelle del linguaggio, le procedure che lo fanno funzionare, lui stesso diventa linguaggio, nient’altro che linguaggio, linguaggio che agisce, che opera continuamente ed è da questa posizione, dalla posizione del linguaggio che si può porre come analista. L’analista non occupa la posizione né dell’oggetto causa del desiderio, come voleva Lacan, né la posizione di sembiante, come voleva Verdiglione, occupa la posizione del linguaggio che interroga se stesso continuamente, solo da questa posizione può intervenire e da questa posizione interviene, il linguaggio che interroga se stesso è il linguaggio che riflette sulle proprie condizioni o più propriamente ancora sulle condizioni per cui il discorso che viene fatto è quello che è. L’analista occupa questa posizione ma non è a questo punto nemmeno più occupare una posizione, l’analista non è nient’altro che il linguaggio, la sua struttura, di fatto non ne occupa la posizione lo è e tanto basta. Da tempo andiamo dicendo che gli umani non sono nient’altro che ciò che dicono e l’analista non è diverso dagli altri, è esattamente quello che dice ma con la consapevolezza assoluta della condizione che insiste continuamente in ciò che sta dicendo, la condizione di ciò che sta dicendo, ovviamente, dalla quale posizione non può recedere in nessun modo neanche volendo, non lo può più fare, come dire che si trova ad avere passato una sorta di punto di non ritorno dove ciò che ha acquisito, questa consapevolezza totale e assoluta non ha più nessuna possibilità di recedere, non lo può fare, non può credere vero ciò che sa essere falso. Si può parlare di amore anche in questa accezione, come l’avere la massima cura, la massima attenzione, l’assoluta priorità per qualcosa, per qualcuno in questo senso, in questa accezione l’analista è l’unica persona che sia in condizioni di insegnare ad amare, perché a questo punto amare è avere cura della persona vale a dire del suo discorso perché la persona non è nient’altro che questo, non è un supporto per le proprie supposte mancanze o un argine, una stampella o un bastone su cui sorreggersi o una propria mancanza, non è niente di tutto ciò, non è nient’altro che un discorso e allora avere cura della persona è avere cura di ciò che dice, nient’altro che questo. Insegnare ad amare è insegnare a porsi di fronte alla persona non per quello che le proprie fantasie inducono a pensare che sia ma per quello che è e cioè quello che dice, cioè il suo discorso, nient’altro che questo, è l’unico modo perché quella cosa che comunemente si chiama amore possa in qualche modo darsi, agire, farsi, tolto questo, cioè se non si applica questo modo allora diventa quel gioco al massacro che ciascuno conosce “sei mio, io sono tua, se tu te ne vai allora faccio questo e allora poi faccio quest’altro” questa comunemente si chiama guerra, con strategie, tattiche, arretramenti, avanzate, ma naturalmente come in ciascuna guerra il più delle volte uno dei due contendenti perde, soccombe, in varie occasioni abbiamo detto che non è necessario che sia sempre assolutamente così e cioè che dei due uno debba sopravvivere e l’altro soccombere e l’unico modo perché questo non si verifichi è come dicevo prima che l’altra persona sia presa esattamente per quello che è e cioè come il suo discorso. Stiamo dicendo da tempo e per buoni motivi che ciò che andiamo dicendo, andiamo facendo, le cose che abbiamo elaborate, discusse, considerate e acquisite, tutte queste cose ci hanno portati a considerare le cose per quello che sono e cioè come elementi linguistici inseriti all’interno di atti linguistici, cioè giochi linguistici, nient’altro che questo, è a questa condizione che le cose diventano semplici, diventano leggere, diventano fattibili.

Tutte le cose che io ho detto adesso sono state annunciate, in qualche misura anticipate con la chiusura dell’ultima conferenza quando ho detto che l’analista era il migliore interlocutore, unico in realtà, l’unico che ascolta perché ha cura del discorso, non si occupa di altro, si occupa di ciò che si dice, dei pensieri, potremmo addirittura portare la cosa ancora oltre questo proprio in omaggio alla retorica della situazione e affermare con assoluta certezza che l’analista è l’unico in grado di amare. L’unico in grado di amare nell’accezione che indicavo prima vale a dire l’unico che sia in condizioni di occuparsi veramente della persona, di ciò di cui è fatto il suo discorso, quello che pensa, quello che dice, occuparsene ma in modo preciso, in un modo attento, in un modo consapevole in modo tale da porre la persona stessa che sta parlando nelle condizioni di potere intendere ciò che lei stessa va dicendo, di accorgersi dell’infinita ricchezza che possiede. In definitiva l’analista ama una persona perché la rende molto più ricca di quanto la persona pensava di essere e anche questo retoricamente funziona…

Intervento: però dipende anche dal discorso che la persona va facendo cioè non è che l’analista dice che cosa dire o che cosa fare…

Deve accorgersi lui stesso, questo discorso, di cosa è fatto, l’analista pone solo le condizioni perché questo possa accadere, è ovvio che non suggerisce niente, non ha niente da suggerire ma questo discorso che ascolta, proprio perché si prende cura di questo discorso lo invita, lo conduce in alcuni casi a prendersi lui stesso cura di sé, questo discorso che è poi la persona in definitiva, prendersi cura di sé vale a dire non la cosmesi ma ascoltarsi mentre parla, mentre pensa, e ascoltarsi mentre si pensa non è facilissimo perché il pensiero corre veloce, ogni cosa che si pensa viene data come vera naturalmente, se la penso è perché è così non prestando quindi nessuna attenzione a ciò che si dice, ma tutto passa inosservato, tutto viene pensato come se non valesse nulla, come se fosse sempre in funzione di qualche altra cosa da pensare, diceva Heidegger, ma non è proprio esattamente così perché il pensiero è in funzione di se stesso, così come il linguaggio naturalmente, non ha un obiettivo se non se stesso, proseguire se stesso quindi occuparsi del proprio discorso è intendere come il proprio discorso si sta costruendo, perché si sta costruendo in quel modo anziché in qualunque altro, che cosa mi sta dicendo oltre a ciò che io ho pensato, perché credo che sia vero? In definitiva compiere quell’operazione che caratterizza una psicanalisi e cioè intendere perché si pensano le cose che si pensano indipendentemente dal fatto che siano belle o brutte interessanti o risibili nobili o disdicevoli, non importa…

Intervento:…

Vengono intese, che è diverso, e per compiere questa operazione che non è facilissima molto spesso occorre il contributo di qualcuno che abbia smesso di disinteressarsi totalmente delle cose che pensa ma che abbia incominciato a prestare loro attenzione, ad averne cura, anzi a prestarne la massima attenzione solo a queste condizioni può fare in modo che altri possano accorgersi di ciò che stanno pensando e di conseguenza usufruire di tutta la infinita ricchezza della quale potrebbero usufruire se si accorgessero di possederla, ricchezza fatta di infiniti altri pensieri che si agganciano alle cose che sto pensando e alle quali non presto nessuna attenzione. Così come nella musica un orecchio non allenato e non abituato alla musica coglie pochissimo, un orecchio invece molto attento coglie infinite sfumature e può utilizzare infinite cose che all’altro passano totalmente inosservate. Nel caso del proprio discorso queste cose hanno molta più importanza perché riguardano la propria esistenza, diciamo che ne va della propria esistenza, prestare orecchio al modo in cui ciascuno esiste, in cui ciascuno vive…

Intervento: questa cosa farla da soli?

È arduo perché come accennavo ad un certo punto la persona mentre pensa, mentre parla si trova come travolta dalle cose che pensa e molto spesso quando parla è assordata dalla sua stessa voce che rimbomba dentro la testa, questo fa sì che in molti casi non si faccia nessuna attenzione a ciò che effettivamente sta dicendo perché queste parole hanno l’unico scopo il più delle volte di affermare sull’altro una supposta verità che deve essere imposta all’altro, comunicata, in quel momento la cosa importante per la persona non è affatto il suo pensiero né da dove viene, né che cosa lo supporta né quali sono tutte le implicazioni infinite che ha ma unicamente porsi nella posizione di colui che afferma la verità su qualcuno e cioè diventare importante o interessante per qualcuno, questo è l’unico obiettivo, essendo questo l’unico obiettivo qualunque altro cessa di sussistere. All’inizio di una analisi è ovvio che la persona comunque è presa, è travolta dalle sue fantasie, poi passo dopo passo incomincia a prestare attenzione a quello che dice sempre di più, fino al punto in cui non può più non farlo a quel punto potremmo dire che è diventato un analista se non può più non farlo in nessun modo, perché l’analista è caratterizzato proprio da questo: non potere non ascoltare comunque e sempre…

Intervento: pensavo al senso comune dell’amore come legame… quello che ha detto prima rende conto di questa fantasia di aver bisogno di qualcuno da amare, per esempio…

In questo caso è avere bisogno di un legame, sentirsi legati a qualcuno a tutti i costi…

Intervento: che poi è la manifestazione di quel potere di cui abbiamo sempre detto rispetto all’amore… però la questione che mi è più resistente in qualche modo perché l’amore è considerato comunque in maniera transitiva cioè l’amore è sempre nei confronti di qualcuno… nel luogo comune questo qualcuno è differente… lei diceva che ciascuno parla partendo dalla supposizione che ciò che dice è vero poi alla fine in che cosa si risolve questo? Si risolve che alle cose che si pensano che si dicono non viene prestata la sufficiente attenzione, non viene prestato ascolto a ciò che si pensa, a ciò che si dice perché si ritiene anche che non valgano, che non abbiano valore ecco che allora si cerca qualcuno, una persona da amare che è quella che dà valore invece a ciò che si dice e diventa assolutamente essenziale quella persona perché quella persona è ciò che in qualche modo riconosce come vero ciò che penso… trovo questo passaggio ancora poco chiaro…

Lo chiarisca…

Intervento: dal fatto che parlando o comunque pensando o comunque le cose sono considerate vere proprio per il fatto stesso di pensarle e dall’altra invece questa estrema insicurezza al punto che occorre ed è necessario che qualcuno invece giudichi questa verità come dire sì è vero perché lo sto pensando, lo sto dicendo quindi è vero… ha sempre bisogno di questa conferma, dicevamo questa necessità di potere, l’atto amoroso è fatto di questo il potere sull’altro significa in qualche modo imporre la propria verità e quindi questa verità trova una certificazione quanto meno nell’altro, è il passaggio da questa verità presunta a questa insicurezza che porta a questa necessità dell’altro poi alla fine…

Non sempre c’è questa insicurezza, prendete un paranoico, non ha alcuna incertezza del fatto che le cose che pensa siano vere ma la verità così come è comunemente intesa e cioè come il manifestarsi delle cose da sé ha questa caratteristica, e cioè di essere indubitabile, necessaria per cui se io conosco la verità allora questa verità occorre che sia riconosciuta da tutti, deve essere imposta così come avviene nelle religioni, ogni religione a modo suo deve imporre la sua verità perché se ciò che io penso è vero allora qualunque altra cosa che non collimi con quello che io penso è falsa e non può sussistere una verità perché questo sì mina in qualche modo la verità che io sostengo. Si sostiene la verità soltanto eliminando tutte le cose false che ci sono in circolazione per cui non è tanto un’insicurezza sulla propria verità ma il fatto che la propria verità deve necessariamente dominare su tutti e quindi si impone la verità sull’altro a tutti i costi…

Intervento: dal punto di vista dell’ossessivo la stessa cosa?… l’ossessivo cerca qualcuno… per fare il giochino però per mettere in atto tutti quei cerimoniali di cui vive…

L’ossessivo è sempre insicuro delle sue decisioni ma più che insicuro sospende tutte le sue decisioni, le congela in attesa che qualche cosa accada. Come dicemmo tempo fa l’ossessivo affida all’altro l’esposizione della verità per poterne usufruire, come dire? Lui mi dice come stanno le cose a questo punto sono io che ho il controllo su di lui perché lui si è esposto e io no, io ho continuato a tacere e quindi non sa quello che penso, molte volte non lo sa nemmeno l’ossessivo però l’idea è che tacendo nasconda i suoi pensieri, se uno tace è generalmente perché non pensa a meno che non abbia dei buoni motivi per farlo naturalmente…

Intervento:…

Certo una persona molto taciturna non è necessariamente una persona che pensa, può avere paura, se è ossessiva, per esempio, di esporre il suo pensiero “se dico quello che penso mi prenderanno subito in giro perché sicuramente le cose che penso sono ridicole”, l’ossessivo generalmente pensa così, per questo tace…

Intervento: questa è l’altra faccia del paranoico…

In certo senso, per questo spesso vanno a braccetto, uno comanda e l’altro obbedisce, spesso lui paranoico e lei ossessiva, lui offre quella sicurezza, quella stabilità, l’assoluta “consapevolezza” tra virgolette perché non è di fatto una consapevolezza ma appare molto consapevole, una persona che sa come stanno le cose, l’ossessiva invece non lo sa e si affida totalmente a lui…

Intervento: poi l’ossessivo lo capirà che…

Forse, può succedere certo ma non è così automatico. Ancora differente è la posizione dell’isteria, afferma continuamente di non sapere come stanno le cose, è sempre nel dubbio ma è un dubbio totalmente differente da quello ossessivo perché l’ossessivo nel dubbio si astiene e invece l’isteria fa, fa danni dopodiché si chiede se ha fatto bene o se ha fatto male, in genere avviene così…

Intervento: invece l’ossessivo non fa…

C’è l’astensione da tutto, però non è di questo che stavamo parlando ma dell’analista, di colui che non ha più bisogno di essere né ossessivo, né isterico, né paranoico, non gli importa più niente, una sola cosa gli interessa, ama una sola cosa: la condizione della sua esistenza…

Intervento: potremmo dire che e l’amore è un legame l’analista è legato al discorso…

È un modo un po’ improprio, in realtà non è che sia legato è il suo discorso…

Intervento: era per giocare con questo termine, lei proponeva del prendersi cura di qualcosa, di qualcuno non è proprio l’accezione più comune…

Però al negativo sì, per esempio se un uomo dicesse a una donna “ti amo ma non mi interessi” la donna avvertirebbe che c’è qualche cosa che non va, le verrebbe da pensare che è una contraddizione in termini perché se ama necessariamente prova interesse. Ecco perché parlavo di amore come l’interesse. Il prendersi cura di una persona generalmente ha varie accezioni, uccidendola per lo più, però in senso metaforico, non necessariamente in senso fisico però c’è un altro modo che è quello che indicavo di prendersi cura di qualcuno, e cioè prendersi cura di lui per quello che è necessariamente e cioè un discorso, se no si prende cura di altro e non si prende più cura del suo discorso e quindi a questo punto lascia che il suo discorso vada avanti per conto suo con tutti i problemi, le magagne, gli intoppi senza fare nulla per lui…

Intervento: il giudizio mi sembra importante però, si ascolta un discorso e si è sempre pronti nel luogo comune di giudicare…

Sì, stabilire se ciò che si è ascoltato è vero o falso certo, ecco invece l’analista non si occupa di una cosa del genere né ad un certo punto la persona stessa dovrebbe occuparsi di una cosa del genere cioè se ciò che sta dicendo è vero o falso, a meno che non stia facendo un’equazione, se no può essere vero o falso all’interno di un particolarissimo gioco di cui conosce le regole, nient’altro che questo, occorre conoscere immediatamente quali sono le regole del gioco che si sta facendo cioè del discorso che si sta facendo. Grosso modo questa è la traccia di ciò che dirò martedì.