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12-2-2014

 

Wittgenstein si chiede: è vera la legge naturale per cui se due poli si avvicinano scocca la scintilla? È necessaria questa implicazione? È necessario che sia così? Ovviamente questo procede dall’osservazione e procedendo dall’osservazione non può essere necessario. Esiste questo fatto realmente che se due poli si avvicinano fanno scoccare la scintilla? Cosa significa porsi questa domanda? Innanzi tutto occorre che io abbia già stabilito che avvicinando due poli scocca la scintilla, faccio un esperimento e allora vedo che scocca la scintilla, lo faccio una volta, due, tre, quattro vedo che scocca la scintilla e allora dico che è una legge di natura, la legge di natura funziona così, sono tutte leggi induttive, però tradurre questo in una forma universale non è possibile, non è possibile perché non c’è una verifica assoluta, universale, e cioè che tutte le volte scocchi la scintilla, occorrerebbe avere una verifica, se vogliamo utilizzare questo gioco particolare, cioè quello della scienza, che controlli tutti gli eventi precedenti, da quando esiste l’universo, tutti quelli presenti, tutti quelli futuri, allora è vera questa sua formulazione che per tutte le x, se (fx) allora (yx). C’è un quantificatore esistenziale, cioè c’è un caso in cui questo si verifica, ma di sicuro non possiamo porlo come un caso universale. È il problema che si incontra sempre quando si deve affermare qualcosa, è il problema della scienza, ma non soltanto, di qualunque teoria; una teoria procede per affermazioni, però queste affermazioni devono essere universali e qui in effetti non ha torto, ma non ha neanche ragione, una teoria, come dicevo, non può non affermare qualcosa, affermandola la afferma in modo universale nel senso che deve trarre, così come fa qualunque teoria, deve trarre da eventi particolari una legge universale, perché non può una teoria, né scientifica né altro, farsi su eventi particolari, non ci sarebbe nessuna possibilità di stabilire una legge ma soltanto una sequenza di eventi, una sequenza di congiunzioni di quantificatori esistenziali: $x, $x1$xn, però alla fine che ce ne facciamo? Occorre un qualche cosa, un metodo che consenta di trasformare questa sequenza di congiunzioni di quantificatori esistenziali in una legge universale, se no non è utilizzabile, non serve a niente. Dicevo che è il problema di ogni teoria, e anche il motivo per cui la scienza ha avuto così tanto successo. L’idea è che una affermazione, un quantificatore universale, dica effettivamente come stanno le cose, perché dice che tutte le volte che si verifica quell’evento allora succede quest’altra cosa, per tutte le x se (fx) allora … La questione che Wittgenstein non ha risolto, né lui né nessun altro, perché è come se fosse paradossale in un certo senso, comporta il fatto che occorre un’affermazione universale ma questa affermazione universale non può essere universale, cioè occorre che lo sia per potere affermare qualcosa ma non può essere universale. Questa è una questione notevole che ha indotto alcuni a considerare che una qualunque teoria non è altro che un discorso retorico: un quantificatore universale ha una funzione non logica ma retorica, cosa significa questo? Significa che è una sorta di finzione, cerco di fare un esempio tratto dalla psicanalisi, che bene o male in qualche modo ci interroga. “Se c’è un atto di parola allora interviene la rimozione”, noi possiamo porlo o come un’affermazione universale oppure come un’affermazione esistenziale, se è un’affermazione universale allora significa che ogni volta che c’è una parola allora c’è la rimozione, detto in altri termini non può darsi il caso in cui ci sia una parola e non ci sia rimozione, oppure, se la poniamo in termini esistenziali, allora esiste un caso in cui c’è la parola e c’è la rimozione, questo comporta anche il caso in cui ci sia la parola ma non ci sia rimozione. Se io costruisco una teoria utilizzando il quantificatore esistenziale non posso costruire la teoria, perché c’è un caso in cui avviene questo, e allora? Cosa vuole dire? C’è anche un caso in cui non succede. Per essere meno ingenui di fronte a una teoria occorre trovare un contro esempio, una contro argomentazione; un contro esempio non è nient’altro che un caso, quindi un’affermazione esistenziale, che nega il quantificatore universale, per tutte le x (fx), ma vi è una x tale che non (fx). Non posso costruire una teoria in questa maniera, non posso costruire una teoria basandomi su affermazioni esistenziali, ma posso costruirla solo se ho a disposizione delle affermazioni universali. Detto questo, cosa diciamo quando diciamo per tutte le x (fx)? O per tutte le x se (fx) allora (gx)? Stiamo dicendo che non può verificarsi nessun caso in cui questo non avvenga, perché è per tutte le x, non per qualcuna. Ma soffermiamoci un momento proprio sul quantificatore “per tutte le x” che cosa significa esattamente? A questo punto abbiamo a disposizione tutte le x, cioè tutti i casi che sono esistiti, che esistono e che esisteranno oppure faccio una costruzione, e cioè stabilisco che per ogni volta che succede una certa cosa p allora ne succede un’altra q, ma è una cosa che io stabilisco, che non ha nessun riferimento con nessuna realtà da nessuna parte, in base a che cosa lo stabilisco? Unicamente per potere affermare ciò che mi piace affermare, se a me piace pensare che ogni volta che c’è un atto di parola c’è la rimozione, allora è ovvio che lo pongo sotto forma universale, e cioè decido che tutte le parole sono prese nella rimozione, perché? Perché sì. In effetti non ho un’argomentazione valida per sostenere una cosa del genere, non potrei averla perché dovrei avere tutte le parole pronunciate da tutti gli umani da quando esistono, tutti i presenti e tutti quelli che verranno…

Intervento: si può fare un contro esempio che invece neghi che per ogni atto di parola c’è la rimozione?

Sì e no, perché se io decido che in ogni atto di parola c’è la rimozione, lo pongo d’autorità, non ho in effetti un’argomentazione che lo sostenga, è come l’affermare l’esistenza di dio, non posso provarla, ma non posso neppure negarla, come posso negare che questo pacchetto di sigarette sia dio? In base a che cosa? Non lo posso fare perché la premessa su cui si basa il sillogismo che consente questa affermazione non ha nessuna validità, è come dire che è un giudizio estetico “mi piace pensare così”, se affermo che la cioccolata è più buona delle lasagne al forno non ho un criterio…

Intervento: mi scusi, però qui stiamo parlando di atto di parola, che differenza c’è fra l’affermare che ogni atto di parola esige la rimozione, e affermare che qualsiasi cosa è un atto linguistico perché affermare il suo contrario è contraddittorio?

Qualsiasi cosa è un atto linguistico, se intendiamo con atto linguistico qualunque cosa che gli umani possano compiere, allora sì, negarlo è contraddittorio, però anche questa affermazione potrebbe non essere necessaria, se non è necessaria allora è un altro gioco linguistico, essendo un gioco linguistico segue le regole di cui è fatto o con cui è fatto, per cui non c’è in effetti un’affermazione, nessuna affermazione che possa essere a buon diritto considerata universale, non c’è. L’idea che esista un universale procede dal fatto che sono costretto, se voglio affermare qualcosa, ad affermarlo sotto questa forma perché un’affermazione dice che le cose stanno così, ma questa affermazione può essere colta o all’interno di un gioco linguistico, e cioè che dice che se si desse il caso per cui le cose stessero come io sto dicendo allora ne seguirebbe questo. Se io stabilisco che quattro assi battono due jack allora se mi trovo in una partita di poker e posseggo quattro assi e il mio avversario due jack e andiamo a vedere allora vinco. Qui vediamo come funziona l’universale, perché affermando che in una partita di poker se io ho quattro assi e l’altro due jack allora io vinco la partita, sto facendo un’affermazione universale, nel senso che se sto giocando a poker non può verificarsi che se io ho quattro assi e lui due jack io non vinca la partita, perché sono le regole del gioco, e allora l’universale ha una validità unicamente all’interno del gioco in cui questo universale è inserito. Dunque se per tutte le x, se (fx) allora (gx), allora se è vero che per tutte le x (fx) allora posso dare una regola tale per cui segue (gx). Un’affermazione universale dicevo prima, è una finzione, nel senso che “finge” di dire qualche cosa che ha valore universale e cioè valido sempre e comunque, cioè è vero sempre e non può essere altrimenti che così, però sappiamo che questa affermazione non può essere sostenuta. Oppure finge che sia così ma non lo è, come i quattro assi del poker, è vero all’interno di un gioco: se stabilisco questo certo gioco, all’interno di quel gioco funziona così e non può non funzionare così perché le regole affermano esattamente questo. Poniamo la cosa in termini ancora più radicali: prendete per esempio i connettivi, sappiamo che una delle regole del gioco, in questo caso linguistico, è che la “e” non può essere intercambiabile con la negazione, con il “non”, se no non funziona più niente, questa è una legge di natura? Certo che no, sono soltanto regole per fare funzionare un certo gioco che è quello che noi chiamiamo “linguaggio”, che poi noi si abbia solo questo, questa è un’altra questione che non ci interessa, ma non per questo è meno gioco di qualunque altro. Dunque i connettivi non possono essere scambiati, cioè è necessario che siano quello che siano unicamente all’interno del gioco linguistico, non significa assolutamente niente fuori dal gioco linguistico che costruiscono, e cioè quella cosa che chiamiamo “linguaggio”. Quando Wittgenstein si se la proposizione “se viene allora gli dirò …” è un’implicazione materiale, ovviamente no, non è necessario che se verrà allora dirò qualche cosa, perché appunto è un proposito, una promessa, ma se io ponessi questa promessa, questo proposito come necessario e cioè come qualcosa che non può non accadere allora sì, sarebbe una implicazione materiale, perché non potrebbe darsi che non succeda questo, ora comunemente non è considerata così perché una promessa non è qualcosa di necessario, e neanche un proposito, ma se fosse un giuramento? Già cambierebbe, un giuramento solenne e assoluto, allora sì, perché non potrebbe non avvenire quel fenomeno, quell’evento, cioè nel caso che lui venga allora necessariamente io gli dirò quello che ho da dirgli. Questo è un altro modo per dire che tutto dipende dalle regole del gioco in cui qualche cosa è inserita, e non c’è in questo caso, come ha immaginato la logica e in particolare la filosofia analitica, un meta gioco che sia più vero di altri, anche le proposizioni che afferma la filosofia del linguaggio, che afferma la logica stessa non rappresentano una necessità di natura, sono giochi linguistici, alcune regole sono necessarie per fare funzionare il linguaggio, ma qualunque gioco necessita di regole per farlo funzionare, non c’è un gioco che non abbia delle regole che lo facciano funzionare perché non sarebbe un gioco, non sarebbe niente, un gioco è determinato proprio da questo e in questo Wittgenstein non aveva torto, sono delle regole. Le regole non sono naturali, non sono necessarie, sta qui l’intoppo per tutti: queste regole sono arbitrarie. Sono assolutamente arbitrarie cioè non rispondono a nessuna necessità, è necessario che ci siano delle regole perché ci sia un gioco, ma anche questo è l’applicazione di un gioco linguistico “l’affermare che ci siano delle regole perché sia un gioco” cioè se decidiamo che un gioco è fatto in un certo modo allora necessita di regole, ma anche questo è un altro gioco linguistico e le regole che vengono stabilite ciascuna volta sono sempre arbitrarie, però se voglio fare un gioco devo avere delle regole, perché? Perché è il gioco linguistico in cui io mi trovo che mi costringe a fare questo, ma anche questo non è necessario, è arbitrario, solo che mi trovo all’interno di questo gioco linguistico e faccio così, esattamente come qualcuno che si trova al tavolo di poker si attiene alle regole del poker. Per tornare a Wittgenstein, anche lui si perde dietro questioni che sono facilmente risolvibili. Sta cercando una soluzione immaginando, sperando, che ci sia qualcosa di naturale, di universale, di necessario al di fuori del gioco, come abbiamo appena detto è necessario che un gioco sia fatto da regole, ma questo è necessario all’interno di un altro gioco, perché ci siamo occupati di macchine ad un certo momento? Proprio di fronte all’arbitrarietà delle regole del gioco, dopo avere considerato che qualunque regola si stia seguendo questa regola è sempre arbitraria e le macchine seguono delle regole lucidamente, freddamente, ma assolutamente arbitrarie. Sull’arbitrarietà delle regole ci sarebbe molto da dire ovviamente perché è una questione di fondamentale importanza, dire che ciascuna regola comunque è sempre arbitraria, cioè che non esistono regole necessarie è un po’ il discorso che, anche se non in questi termini, fa Feyerabend: non c’è nulla di universale che costringa se non delle regole, ma queste regole sono arbitrarie, se invece queste regole si fanno passare come necessarie, come naturali, allora c’è la possibilità di costruirci sopra il potere ed è per questo che Feyerabend accosta la scienza al potere, la scienza non è altro che il discorso del potere, discorso che il potere utilizza per stabilirsi, una volta c’era dio, c’era la religione che garantiva tutto. Si gioca su una questione che è straordinariamente semplice, bisogna però coglierla, e cioè che qualunque cosa è un gioco linguistico e che questo gioco linguistico è determinato da regole arbitrarie, totalmente arbitrarie, è questo che squassa ogni possibilità di costruire un discorso che valga più di un qualunque altro, perché dare un valore è un altro gioco linguistico fondato su niente, su decisioni arbitrarie. La questione dell’arbitrarietà è importante e meriterebbe di essere considerata molto attentamente, perché è proprio lì che interviene la questione del potere. Le regole sono arbitrarie ma non casuali, pur essendo arbitrarie non sono casuali, e questa è la cosa più interessante che ha detto Freud, queste regole arbitrarie diceva lui procedono da fantasie, sono le fantasie che determinano le regole, nient’altro che fantasie. La logica formale, la filosofia del linguaggio, è una fantasia? Certo che sì, a meno che qualcuno non sia in condizioni di stabilire con assoluta certezza che le regole su cui si fonda siano necessarie, ma non lo può fare. Siccome siamo giunti a considerare che ogni fantasia è una fantasia di potere, ecco che l’arbitrarietà delle regole diventa importante ed è una cosa sulla quale dovremo lavorare perché che è determinante.