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12 febbraio 1998

 

Allora riprendiamo il discorso intorno alla retorica. Abbiamo detto che la retorica è in generale ciò che si dice, mentre la condizione del dire abbiamo indicato come la logica, meglio tutto ciò che attiene alle condizioni del linguaggio. La volta scorsa abbiamo introdotto una questione che  merita di essere proseguita, connessa con l’uso, oltre che l’abuso, parleremo poi anche dell’abuso... Dunque l’uso, intanto che cosa intendiamo con l’uso del linguaggio, dal momento che la domanda che potrebbe porsi immediatamente è se sia utilizzabile il linguaggio. Per questo dobbiamo chiarire che cosa intendiamo con uso ovviamente, che cos’è l’uso del linguaggio? E’ la sua esecuzione, né più né meno, dunque un elemento linguistico è tale perché ha un uso ma dicendo che ha un uso cioè è eseguibile non diciamo che necessariamente questo sia provvisto di senso di per sé, diciamo soltanto che nel suo utilizzo, cioè nel suo uso incontra un senso, anche se io dicessi la cosa più sconclusionata, dicessi boom! per esempio, questa cosa non ha nessun significato, nessun senso così rispetto ad un certo gioco ma comunque se è utilizzabile allora produce del senso. Cosa vuol dire che riproduce del senso? Vuol dire che questo elemento va a connettersi o è già connesso con altri elementi linguistici: abbiamo visto varie volte che un elemento linguistico è tale perché è inserito in una combinatoria cioè non potrebbe esistere da solo. Ora, dicendo che ciascun elemento linguistico è tale perché ha un uso, cioè è eseguibile, diciamo qualcosa che ha una serie notevole di implicazioni, ma prima ancora dobbiamo aggiungere un elemento e cioè dire che ciascun elemento ha un uso cioè è eseguibile in quanto esiste un gioco in cui è inseribile, anche se questo gioco viene creato dal suo stesso uso, perché è l’esistenza di questo gioco che in qualche modo lo rende eseguibile, lo rende utilizzabile. Qui ci accostiamo in un certo qual modo alle nozioni di intenzionalità di cui parlano in vari, anche Toulmin, anche Austin, però parlare di intenzione è ancora un po’ problematico forse sarebbe preferibile utilizzare un altro termine, dal momento che se parliamo di intenzionalità così come ne parlano i vari Austin e altri dobbiamo presupporre un soggetto provvisto di intenzione, cosa che non va affatto da sé. E allora l’unica cosa di cui potremmo dire, senza incappare in aporie sterminate, è che l’intenzione è del linguaggio, sarebbe una formulazione così un po’ animistica, io sarei più propenso a parlare di direzione, quindi di senso del linguaggio, senso proprio in accezione proprio letterale. Dunque, tempo fa vi ricordate a proposito della logica dicemmo che una parola è il significato, aggiungiamo adesso e rimaniamo sempre nelle due facce della questione, cioè della logica e della retorica  che sono imprescindibili, oltre che indivisibili, perché ciascun elemento linguistico oltre che essere il significato è l’utilizzo, cioè che ciascuna parola è il suo utilizzo, e questo rende conto dell’aspetto retorico. Se c’è un utilizzo allora questa parola è inserita all’interno di un gioco, potremmo dire che la parola è utilizzata da ciò in cui è inserita cioè dalla combinatoria. Dicendo che è il gioco che utilizza la parola, non qualcuno, poniamo l’accento su una struttura o meglio radicalizziamo la questione, possiamo porla così, grosso modo per indicare un po’ il funzionamento di tutto questo sistema, che un elemento è tale perché ha un utilizzo e quindi un rinvio ovviamente; riprendendo l’antica questione potremmo anche dire che è tale per un’altra, occorre che ci sia un’altra parola perché una sia tale, quando dicevo che una parola è tale se c’è qualcuno per cui lo sia intendevo dire qualcosa di molto simile che adesso stiamo precisando. A noi non tanto occorre che la parola sia tale per qualcuno, occorre che sia tale per un’altra parola e quindi ci sbarazziamo del qualcuno che è sempre molto problematico, o il soggetto ontologico o soggetto grammaticale, d’altro verso non è meno problematico. Dunque, la parola è tale per un’altra parola, vi rendete conto immediatamente di come funzioni il rinvio di un elemento linguistico ad un altro, vedete come non sia dato un elemento senza una catena in cui è inserito e allora dire che una parola è il suo utilizzo non è altro che ridire altrimenti che una parola è tale se inserita all’interno di una combinatoria niente più di questo, cercando così di porre la questione retorica in termini più radicali, più precisi anche per un verso. Tutto sommato ciò che è stato indicato come retorica, cioè quella che Roberto sta studiando per l’esame, è un aspetto particolarissimo di quella che qui intendiamo con retorica e cioè un uso particolarissimo di certe condizioni e per certi scopi. Ma stiamo fornendo un accezione molto più ampia di retorica, un po’ riprendendo nell’etimo tutto ciò che si dice, che scorre, dunque una parola è utilizzabile non da qualcuno ma da un’altra parola e questa è la sua prerogativa fondamentale. Ma a quali condizioni dicevamo forse all’inizio una parola è utilizzabile però a questo punto abbiamo già risposto e cioè una parola è utilizzabile per definizione, se c’è parola è perché è utilizzabile se  no non sarebbe tale. Risulta non semplice pensare le cose altrimenti, in termini più radicali. Dunque, pensate al rinvio, abbiamo visto nell’ambito della logica il rinvio non è altro che una parola necessariamente è connessa con un’altra ma per quanto riguarda la retorica, se abbiamo detto che la retorica riguarda l’utilizzo, allora la retorica non potrà dire null’altro che questo, che ciascuna parola è utilizzabile se e soltanto se esiste un’altra parola, ma siccome non può non esistere, potremmo dire che è utilizzabile soltanto in questo caso, con questa sorta di premessa che abbiamo fatto. Stiamo sempre più avvicinando la questione che forse risulta centrale, in tutta questa serie di incontri, e cioè un qualche cosa che da una parte renda conto in modo abbastanza preciso del  funzionamento del linguaggio, non soltanto per quanto riguarda l’aspetto logico, ma di quello retorico. Ma è soprattutto la possibilità di costruire proposizioni, la possibilità di costruire proposizioni che pur mantenendo un aspetto logico molto rigoroso diano la possibilità, fermo restando questo aspetto logico assolutamente rigoroso, è chiaro che ciascuno può dire tutto quello che gli pare ma incappa immediatamente in problemi, aporie, petizioni di principio, comunque in ogni caso in affermazioni gratuite. Eppure, avevamo detto che la retorica si occupa di questo, cioè dell’arbitrario, il che è vero ma per sapere che cosa è arbitrario occorre sapere che cosa non lo è, e in questo la retorica di cui stiamo parlando fornisce strumenti non indifferenti, consente di stabilire ciò che è arbitrario perché ha sempre presente e non può non averlo ciò che in nessun modo può esserlo. E in effetti tutto ciò che stiamo dicendo qui e altrove è arbitrario, come vi dicevo la volta scorsa. Affermare che non c’è uscita dal linguaggio non è necessario è arbitrario, che non ci sia uscita dal linguaggio è necessario, ma l’affermarlo no, è arbitrario. Può apparire un gioco di parole o un sofisma, probabilmente lo è anche, però d’altra parte è questo che stiamo facendo. Perché non fare sofismi? Quindi, dire che una proposizione è arbitraria non significa affatto che non sia rigorosa, che non si attenga a criteri molto precisi, dire che una cosa è arbitraria è semplicemente affermare che si sta dicendo, se si dice è arbitraria, che si dica non lo è, questo perché poteva apparire che l’arbitrario fosse quasi una cosa di second’ordine rispetto al necessario, no, forse occorre precisare questi due termini,  necessario è ciò che non posso negare, arbitrario è qualunque modo in cui io affermo, chiaro no il concetto fondamentale? Dunque, dicevo una parola è tale se è utilizzabile, e se è utilizzabile è una parola; qualunque cosa se ha un utilizzo è una parola, se non ha un utilizzo non è una parola, se non è una parola non esiste, non c’è. Quando io parlo di qualunque cosa, riprendiamo la questione dell’intenzione, anche precisandola nei termini che abbiamo detti prima, quando io parlo dunque di qualunque cosa, perché lo faccio? Adesso pongo questa domanda nei termini più ampi possibili, a che scopo? Si potrebbe rispondere immediatamente in un sacco di modi, per trasmettere informazioni, esprimere sensazioni, costruire mondi possibili, i motivi possono essere infiniti ma forse possiamo dire qualcosa di più e di molto più semplice, perché gli umani parlano? E’ una bella domanda e la risposta è semplicissima, talmente semplice, perché non possono non farlo. E perché non possono non farlo? Perché per potere non farlo, dovrebbero uscire dal linguaggio e non lo possono fare, né loro, né Roberto. Ecco, ora sembra in effetti una questione molto semplice e lo è, come tutto sommato tutto ciò che andiamo dicendo è straordinariamente semplice, il problema è che talvolta per potere dirlo in modo preciso occorre fare molti giri che appaiono o possono apparire complessi ma la questione è straordinariamente semplice. Non possono non farlo, dunque, perché sarebbero fuori dal linguaggio se potessero farlo, questo è l’unico motivo per cui gli umani parlano, l’unico motivo assolutamente indiscutibile, qualunque altro risulta opinabile, ma cosa comporta il fatto che non possano non farlo? Un sacco di cose, intanto rende conto immediatamente di che cosa sia più propriamente l’utilizzo di una parola a questo punto la risposta alla domanda “a che cosa serve una parola” viene quasi da sé a costruire tutte le parole. Qualcuno potrebbe domandare o domandarsi “a che scopo?”. Più che rispondere a questa domanda a questo punto saremmo costretti a domandare a che cosa serve il  linguaggio, e ci troveremmo in serie difficoltà a rispondere a questa domanda: oltre a proseguire se stesso c’è qualche altro scopo nella sua esistenza? Potremmo rispondere come fanno i computer, domanda non identificata, non senso, riformulare la domanda. Perché è un non senso? Perché domanda che cosa c’è al di là del linguaggio, che cosa lo governa e che cosa dia al linguaggio uno scopo, un significato, sarebbe come chiedersi qual è il significato del linguaggio. Domanda che, come facilmente avvertite non ha nessun senso oltre che nessuna possibilità di risposta, perché chiede che la risposta sia fuori dal linguaggio e allora non possiamo fare niente per lui.

 

- Intervento: Comunicare potrebbe essere fuori dal linguaggio?

 

No, potrebbe anche non essere fuori dal linguaggio ma comunicare può essere uno degli utilizzi eventualmente, però si innesca una sorta di regressio ad infinitum, se mi chiede “perché comunicare?” Per trasmettere informazioni? Perché trasmette informazioni. Perché, perché ... e andiamo avanti. Qui occorreva trovare qualche cosa che invece potesse funzionare da battuta di arresto, in modo da potere essere utilizzata e, in effetti, dicendo che il linguaggio serve unicamente a riprodurre sé stesso, diciamo qualcosa che può essere considerato strutturale al linguaggio dal momento che è esattamente quello che fa, si riproduce e non può non farlo dal momento in cui si instaura perché è la sua condizione di esistenza, riprodursi, in quanto non può cessare. Perché non può cessare il linguaggio una volta installato? Oppure perché può cessare? Perché per cessare dovrebbe comunque dire di cessare e quindi direi che per definizione una volta installato non cessa, ha questa prerogativa...

 

- Intervento:

 

possono esserci molti motivi per cui sorge una risposta ad una domanda sensata, può non cogliersi per esempio, quale sia il gioco che si sta giocando, questo per esempio impedisce di rispondere sensatamente a una domanda, così come una domanda connesso con l’ingegneria genetica non troverebbe in me una risposta tecnica, perché non conosco quel gioco...

 

- Intervento:

 

Ma...la risposta la forniamo, la questione che poni tu è la risposta alla domanda per esempio che chiede di porre qualcosa fuori dal linguaggio o di fare cessare il linguaggio...

 

- Intervento:

 

Perché è la forma del paradosso, cioè io potrei dire di ciò che è fuori dal linguaggio se e soltanto se fosse fuori dal linguaggio. In altri termini, ancora per dirla in modo più semplici, una domanda circa la possibilità di uscire dal linguaggio chiede in effetti una risposta che qualunque sia non può essere provata. Forse non è tanto che la domanda sensata non trova una risposta sensata, no, non trova una risposta che non sia negabile, pur essendo sensata, e qui sta forse la differenza, cioè qualunque risposta io dia sarà sempre comunque negabile. Tutto ciò di cui stiamo parlando ha a che fare con la retorica e cioè con tutto ciò che si dice, con il modo in cui le proposizioni vengono costruite. Qual è il modo che utilizziamo? A parte quello che ci insegna la sintassi, per esempio, perché se poteva apparire che una qualunque cosa potesse essere costruita poi di fatto risulta che invece le cose che possono essere costruite sono molto poche e sono molto poche perché la più parte appartiene ad un gioco che ha cessato di essere interessante. Un gioco cessa di essere interessante quando non soltanto se ne conoscono le regole ovviamente, ma quando è noto che oltre ad un certo punto non può andare e cioè non può costruire altre proposizioni oltre a quelle che ha costruito, ma non perché le trovi un limite in quanto tale ma perché questo limite più che essere trovato è già dato. Prendete il gioco che fa il discorso religioso, ha già dato un limite. E così infiniti altri.: se una persona fa un discorso in cui crede in qualunque cosa e cioè pone come assioma del suo discorso una sua superstizione, una cosa in cui crede, questo gioco cessa di essere interessante da proseguire perché questo assioma, questo principio che pone come fondamento contiene già il limite, il suo limite e quindi...

 

-         Intervento:

 

Certo, non lo è mai stato e questo che dici è interessante anche perché effettivamente la struttura del discorso è tale per cui al momento in cui si cessa o ci si accorge che un certo discorso è religioso o comunque autolimitante e quindi cessa di essere creduto, da quel momento è come se non fosse mai stato creduto in quanto non potrà mai più essere creduto, come se non fosse mai stato effettivamente...

 

- Intervento:

 

Come quando lungo l’analisi una persona ad un certo punto si accorge che le cose, il suo modo di pensare si modifica aggiungendo degli elementi a delle cose che pensava prima, cessano di essere pensati, non può più pensarli, e la struttura linguistica è molto simile a quella che impedisce di credere vero quello che si sa falso, una questione grammaticale... non è più fattibile. Le faccio un esempio, magari da ragazzino si divertiva a giovare con le figurine, Sivori allora ai miei tempi e si passavano le ore a giocare con le figurine, ora questa cosa non è più fattibile perché non c’è più la possibilità di fare una cosa del genere … quel gioco può non essere più fattibile ma non perché non ci siano le condizioni fisiche o materiali per farlo, perché ricreare quelle condizioni in cui, che né so giocare con le figurine Gimondi, immaginare di essere ciclista e altre fantasia ... cioè non è più riproducibile quella scena in cui da ragazzini si facevano queste operazioni, non esiste più, non è più ricostruibile in nessun modo, perché è cambiato un modo di pensare anche se io potrei mettermi lì ginocchioni sulla sabbia e tirare la pallina, ma non riuscirei più a ricreare quel modo di pensare quel gioco allo stesso modo...(....) No, adesso si poneva la questione in termini meno radicali per quanto riguarda un modo di pensare che variando impedisce l’accesso ad un modo precedente, poi sì ciascun istante non è riproducibile...

 

- Intervento: Non dovrebbe esserci mai stato interesse per un gioco…

 

Quello che tu dici è legittimo ma se così fosse, come tu dici, le religioni non sarebbero mai esistite. Il fatto che esistano e siano praticate dai più ci induce a riflettere meglio sulla questione, perché è vero, come dissi moltissimo tempo fa, è molto più sorprendente che la gente creda a qualcosa del fatto che non creda assolutamente a niente. Eppure, così avviene e un aspetto della ricerca che ci impegna è anche come avvenga una cosa del genere. Forse la riflessione intorno alla retorica potrà renderci conto, almeno in parte, di questo fenomeno così bizzarro e così paradossale tutto sommato, perché effettivamente al momento in cui si instaura il linguaggio dovrebbe cessare la possibilità stessa del pensiero religioso, dovrebbe per la sua stessa struttura escluderlo, renderlo impossibile, così come è impossibile uscirne, e quindi dovrebbe rendere impossibile il pensare anche di poterlo  fare. E invece no, questo avviene. Che accada di pensare che le cose debbano necessariamente stare in un certo modo o che ciò che io dico rappresenti un dato di fatto extralinguistico, tutto questo non dovrebbe essere pensabile, però accade e con questo occorre confrontarsi. Il cosiddetto luogo comune è il pensiero che pensa che qualcosa esista fuori dalla parola e lo utilizza per costruire proposizioni fondate su questo. Dobbiamo riflettere su questo, dicevamo che ciascuna parola è tale perché ha un utilizzo, questo utilizzo non è altro che il rinvio, ma chi opera questo rinvio, chi utilizza tutto questo sistema, questo apparato? Potrei dire io ma “io” è in prima istanza un elemento linguistico e come abbiamo affermato prima non ci resta che considerare che chi opera questo non sia altro che il linguaggio, questa struttura di cui stiamo valutando le condizioni. Dunque la parola è il suo utilizzo quindi non c’è parola che non rinvii necessariamente a un’altra, tuttavia si insinua proprio qui a questo punto un elemento che all’apparenza è molto bizzarro, adesso lo diciamo così in modo molto provvisorio poi man mano lo preciseremo: una sorta di sganciamento fra il linguaggio e la sua esecuzione, come se l’esecuzione del linguaggio, sganciata dal linguaggio, potesse essere attribuita a qualcuno. Adesso la cosa è ancora molto abbozzata e per molti versi ancora confusa ma forse qui avviene qualcosa di sorprendente, adesso dirla in modo semplice è complicato, però dirla in modo complicato è semplice... come se, dicevo, prendetela come una sorta di allegoria, man mano preciseremo, è come se il linguaggio si sdoppiasse. Affermare per esempio, io faccio questo, io faccio quest’altro, se voi riflettete bene, tenendo conto delle cose che abbiamo dette, è un non senso, questo io di cui sto parlando è un elemento linguistico, nient’altro che questo, è un rinvio, non potrei fare null’altro che affermare che il linguaggio sta facendo questo, il linguaggio sta... Eppure, eppure sarebbe teoricamente impedita la costruzione per esempio del soggetto grammaticale, uno sdoppiamento del linguaggio... ma perché questo possa avvenire o meglio questo avviene attraverso la struttura stessa del linguaggio né potrebbe essere altrimenti. Dunque quale aspetto, quale elemento del linguaggio non solo consente ma sembra abbia imposto questo sdoppiamento?

 

- Intervento: Perché ci sia contrapposizione fra un io e un tu....

 

Siamo ancora molto al di qua di questo. Che cos’è questo sdoppiamento di cui sto parlando in termini così molto rozzi? Abbiamo detto prima il linguaggio è la sua esecuzione però è difficile distinguere fra il linguaggio e la sua esecuzione, senza la sua esecuzione il linguaggio è nulla, il linguaggio che non è eseguibile d’altra parte cessa di esistere, eppure sono due aspetti. E’ un po’ ciò che stiamo indicando con logica e retorica, è  quasi come se il linguaggio parlasse se stesso, dicendo io faccio questo, io faccio quest’altro. In effetti, compie questa operazione però forse fra poco vedremo che non è esattamente così, vengono costruite delle proposizioni, cioè delle sequenze di significanti disposti in una certa combinazione, questo comporta la produzione di altre proposizioni,  vengono costruite altre proposizioni. Rispetto a quanto stiamo dicendo c’è questa sorta di sdoppiamento del linguaggio, comporta innanzi tutto che o meglio la costruzione di una catena, una catena che cosa fa? Oltre ad autoriprodursi costruisce per esempio immagini, che non sono altro che parole tutto sommato, il problema è come il linguaggio possa costruire un qualche cosa che possa consentire di pensare di uscirne, questa è la questione che ci stiamo ponendo, è tutt’altro che semplice da affrontare, da molto tempo stiamo seguendo senza sortire nessun effetto però hai visto mai? C’è sempre la volta buona. Proviamo ad andare per gradi, cominciando a chiederci che cosa ci stiamo domandando esattamente, siamo partiti dal luogo comune, dalla constatazione che esiste la religione per esempio, cioè esiste un modo di pensare siffatto che ha come assioma fondamentale il principio secondo il quale esiste qualcosa fuori dal linguaggio, e ciò che ci stiamo chiedendo è come questo possa avvenire. Bene, detto questo allora consideriamo non soltanto che cosa il linguaggio può fare, ma un aspetto particolare di qualcosa che può fare e cioè riflettere su se stesso, può fare questo? Intanto che cosa intendiamo che può riflettere su se stesso? Beh, innanzitutto che fa soprattutto o meglio può affermare delle cose intorno a sé, sempre tenendo conto che è il linguaggio che lo sta facendo, questione non marginale, non qualcuno ma il linguaggio. A questo punto la questione da una parte si complica tremendamente dall’altra si semplifica, si semplifica nel senso che la direzione della ricerca occorre che a questo punto vada intorno al senso. Dall’altro si complica immensamente in quanto, detto che occorre riflettere intorno al senso, c’è l’eventualità che la definizione che abbiamo fornita di senso non ci sia più sufficiente, il senso come la direzione. E’ vero, il discorso prende una direzione ma presa una direzione ciò che si è costruito a sua volta costruisce altre cose che potrebbero anche non essere soltanto una direzione ma qualcosa di più, perché, se fossero soltanto una direzione, in effetti noi continueremmo ad escludere la possibilità del discorso religioso, che ciascuna volta non è altro che una direzione che il discorso e quindi il discorso religioso viene eliminato per definizione e quindi o dobbiamo modificare questa definizione di senso oppure aggiungere dell’altro. Ciò che stiamo iniziando a fare non senza difficoltà è qualcosa che gli umani da 2500 hanno incessantemente cercato, cioè trovare dio è una bazzecola al confronto... Possiamo però aggiungere ancora qualche cosa, intanto però se ci sono contributi, sono disponibilissimo ad accogliere contributi che dir si voglia... E’ come se qualche cosa ad un certo punto si arrestasse, cosa che potrebbe apparire un controsenso ma diciamo “come se”,  l’altra volta dicevamo di una frase di senso compiuto, grammaticalmente ha un senso compiuto, “domani vado a....”, questo senso compiuto comporta una sorta di  arresto, ciascuna volta, come una frase musicale che in sé è conclusa, anche se chiaramente è inserita all’interno di un’armonia, una frase di senso compiuto, non è altro che un elemento abbiamo detto “di senso compiuto”. Forse è il caso di riflettere meglio su questa definizione “senso compiuto”, il senso cioè... Come  diceva Cesare la volta scorsa? Che non ha rinvii... dunque questa assenza di rinvio chiude è una chiusura e come tale cosa fa? Beh, che ne è di una frase che non ha rinvio, oltre a non essere utilizzabile? Non solo quella, no, c’è qualche cosa in più che ci sa sfuggendo, (non ha rinvio!!) No, è pensata come tale, forse abbiamo perso di vista un aspetto fondamentale, un aspetto fondamentale che forse potrà consentirci di proseguire in un modo differente, di nuovo come sempre è molto semplice, tutto il discorso che abbiamo costruito in questo periodo, abbiamo sempre detto che è un gioco fra tanti possibili che non è né migliore né peggiore di qualunque altro, ha soltanto questa prerogativa di non essere negabile, il che di per sé non significa niente. La domanda che ci stiamo ponendo forse è mal posta, come sia cioè possibile l’esistenza del discorso religioso, il gioco che chiamiamo tale, è mal posta perché è come se noi avessimo dato per acquisito che come spesso avviene nel discorso occidentale che da una parte c’è la verità e dall’altra l’errore il che non è. Il gioco che fa il discorso religioso è un gioco e cioè è un utilizzo del linguaggio che non è né migliore né peggiore di quell’altro che stiamo facendo, è differente esattamente come il gioco del bridge è differente dagli scacchi.

 

- Intervento: Io pensavo che non è l’arbitrarietà che consente il gioco…

 

Sì, certo, l’arbitrarietà è il gioco per definizione, e allora domandarsi come sia possibile il discorso religioso c’è l’eventualità che questa domanda possa darsi soltanto all’interno di un discorso religioso. C’è questa eventualità, su cui si tratta ancora di riflettere bene però....mi avete fatto strizzare il cervello...Cesare un obiezione...

 

- Intervento: Tutti i giochi sono discorso religioso, perché hanno delle regole…

 

Però un momento. O dà questa definizione come regola di un altro gioco e cioè che ciascun gioco è un discorso religioso, e allora va bene, però c’è l’eventualità che qualcuno gli chieda perché, che cosa intende esattamente con discorso religioso (un gioco con certe regole, è di nuovo una frase compiuta) Sì, però, certo, noi possiamo stabilire un gioco che abbia questa regola, la quale regola afferma che qualunque gioco per definizione è un discorso religioso, va bene, però ciò che stiamo andando facendo è il confrontarsi invece con un gioco differente, perché questo gioco che lei ha proposto è negabile. Se lei dà questa regola, affermando che tutti i giochi sono per definizione religiosi, io dico che non è vero, abbiamo buone probabilità entrambi di provare le nostre tesi, abbiamo soltanto inventato un gioco un po’ più divertente e che non è negabile ma ha questa prerogativa ma non è più vero. Occorre sempre tenere ben presente questa particolarità, ecco perché la domanda su come sia possibile l’esistenza del discorso religioso o se il linguaggio comporti o veicoli la possibilità stessa del discorso religioso di fatto potremmo anche dire che è un non senso, un non senso in una certa accezione per l’altra invece sì, se esiste è perché è nel linguaggio, se è nel linguaggio ha già un utilizzo se ha un utilizzo ha un senso, e bell’e fatto...

 

- Intervento: Non c’è il rischio di intendere se il gioco allora c’è qualcosa fuori dal gioco…

 

Sì, possiamo dirlo, tutto ciò va benissimo nel senso che io posso affermare che se per esempio c’è il gioco allora c’è anche il non gioco, l’ho affermato e non è successo niente. Ma dipende perché se io con non gioco intendo ciò che è fuori dal linguaggio allora sì posso affermarlo ma affermandolo mi trovo di fronte ad una affermazione paradossale, semplicemente, che non fa male a nessuno il paradosso però se si intende proseguire in una certa direzione può bloccare il percorso, abbiamo risolto un problemino…

 

- Intervento:

 

Forse può riflettere su che cosa sia un principio che pone il linguaggio come principio, dipende da che cosa intendi... ma tieni sempre conto e questo ti sbarazza da ogni problema che affermare che il linguaggio è ciò che non può non essere è soltanto non negabile, non è vero, non è la verità. Certe volte si fa questa sovrapposizione, è solo non negabile, tutto lì, non negabile per altro all’interno di un certo gioco neanche in tutti. Certo, è un gioco abbastanza ampio perché in effetti tutto il discorso si regge su alcuni principi che abbiamo individuati, uno di questi è il terzo escluso, o è necessario o non lo è, se non lo è, è arbitrario e quindi puoi farne a meno, come? (....) E’ che questo gioco che stiamo facendo non è compatibile con la nozione di verità o di vero così come sono state tramandate, c’è una sorta di incompatibilità e se si tenta di farle convivere si creano una serie di problemi, di che natura vedremo nel prossimo incontro.