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11  Novembre  1999

 

 

Il discorso isterico desidera in prima persona. Il discorso ossessivo desidera facendo in modo che sia l’altro a costringerlo a desiderare qualcosa.

Intervento: Ecco, il desiderio dell’altro in questi due discorsi. Perché, per esempio, emerge anche in analisi, questa questione dell’essere desiderato è essenziale, no? Si tratta o di provocarlo in qualche maniera, c’è anche l’aspetto della seduzione, è importante perché in questo modo si provoca il desiderio dell’altro, quindi questa necessità dell’altro che desidera.

È più sul versante del discorso ossessivo o su quello del discorso isterico? Perché Freud poneva l’essere amato più verso il discorso ossessivo. C’è qualcosa per cui è il desiderio dell’altro che funziona, il proprio desiderio non interviene mai. Come se il proprio desiderio fosse il desiderio dell’altro.

Non interviene mai in nessun discorso, c’è sempre un problema rispetto alla responsabilità. Il discorso isterico, il desiderio, sì, è suo certo, è lei che desidera, ma perché c’è questo altro elemento che la costringe e che bisogna soddisfare. Quindi lei desidera, compie questa cosa che deve essere compiuta. Assolutamente. Mentre il discorso ossessivo non si espone mai, è un altro modo per non esporsi. Anche il discorso isterico, se volete, non si espone. Agisce sempre per conto di questa altra cosa che s’impone, che lei deve fare assolutamente. Infatti in analisi occorre che giunga a considerare che è lei che lo vuole. Rispetto a ciascun discorso l’analisi giunge a questa istanza, cioè l’accoglimento del proprio desiderio, la responsabilità di ciò che si dice.

Però, certamente il discorso ossessivo passa attraverso invece, è sempre una costrizione anche qui, è l’altro che deve costringermi a fare ciò che io voglio fare.

E faccio in modo che lo faccia, stando in attesa che l’altro si muova, muovendosi mi costringerà a fare questa cosa. Adesso schematizzo molto, ma è sempre, come dire, una sorta d’imposizione che nel discorso isterico viene da qualche cosa che lei avverte che deve essere fatta assolutamente, e nel discorso ossessivo, invece, la aspetta dall’altro, è in attesa.

Il discorso ossessivo provoca perché l’altro costringa, il discorso isterico non provoca nulla perché la costruzione c’è già, è già presente, nel discorso ossessivo, no.

Nel discorso isterico è già tutto presente, vive nel presente. Il discorso ossessivo più nel futuro.

Intervento:…

Provoca perché l’altro reagisca e costringendolo a fare delle cose. Ma è una provocazione molto diversa quella del discorso isterico da quella del discorso ossessivo., badate bene, totalmente diversa.

Il discorso isterico provoca di petto proprio, apertamente e senza mezzi termini.

Intervento:…

Il discorso ossessivo no, non affronta mai di petto, sempre per vie traverse.

Intervento: L’astuzia.

Si, esatto. Mentre il discorso isterico no.

 

Intervento...

 

Mentre questo è totalmente assente nel discorso isterico. Il discorso ossessivo fa in modo che l’altro lo costringa. In questo modo rimane coperto, difficilmente si scopre il discorso ossessivo, è sempre ben protetto. Il discorso isterico la prima cosa che fa è esporsi. Infatti ve ne accorgete quando c’è una persona che si trova nel discorso isterico perché si mette in mostra, subito. Il discorso ossessivo esattamente il contrario, fa in modo di non essere osservato. Vedete il caso tipico tra un isterico ed un ossessivo. L’isterica si mostrerà in tutti i modi, tutti quelli che conosce, farà in modo che proprio non possiate non vederla, la fanciulla del discorso ossessivo, invece, la vedrete in un angolino che cerca di non essere vista. Ve ne accorgete subito.

Intervento:…

Sì, certamente. Adesso parlavo dell’aspetto seduttivo nei confronti dell’altro.

Intervento: Se questa seduzione raggiunge un risultato...

Sì. Nel discorso ossessivo? Il discorso ossessivo, beh, allora si fa...dipende dalla reazione dell’altro. Perché se l’altro lo aggredisce allora si fa piccolo, piccolo, se l’altro si fa piccolo allora cerca di ridurlo a nulla. Perché l’altro è sempre una figura problematica, e deve comunque essere eliminato. Se voi considerate tutti i discorsi, ciascuno a modo suo, cerca la distruzione dell’altro. Perché è sempre l’altro depositario, in un modo o nell’altro. A seconda del tipo di discorso, il proprio desiderio, abbiamo visto anche nel discorso paranoico la funzione fondamentale che ha l’altro in quanto colui che, essendo da addestrare, mantiene in vita le paranoie, senza questo la paranoia cessa di esistere. E, quindi, il suo desiderio, quello dell’altro nel discorso paranoico deve essere educato, tu devi fare le cose che io so che per te sono buone, no? Quindi va addomesticato. È sempre una sorta di eliminazione dell’altro che, dicevo, è una figura complessa nei vari discorsi. Perché, da una parte, è lui che supporta il desiderio, dall’altra, supportandolo, è un pericolo. Deve essere comunque sempre controllato, perché è come se gli si mettesse nelle mani la propria esistenza. I modi differenti di compiere questa operazione stabiliscono la differenza nei vari discorsi.

Ma da una parte deve essere eliminato, dall’altro sostenuto. Questo è sempre un grosso problema nei confronti dell’altro nei vari discorsi.

Nel discorso isterico è depositario di questa necessità esterna sempre estrema, sempre impellente, sempre necessaria. Nel discorso ossessivo non è altro che la proiezione del proprio desiderio, io non posso desiderare, faccio in modo che sia lui a desiderare per me o a costringermi a fare questa cosa, per cui se la faccio non è più perché la voglio io ma la vuole lui.

Intervento: Come se dovesse ricevere un’autorizzazione.

Sì. Il discorso isterico dice voglio, il discorso ossessivo dice posso? Anzi, più propriamente, il discorso isterico dice: DEVO, il discorso paranoico dice: VOGLIO.

Intervento: Perché fare tutte queste proiezioni sull’altro? Che scopo hanno?

Perché se non lo facessi allora tutto ciò che io dico mi appartiene, tutto ciò che è intorno a me mi appartiene. Appartenendomi non ha altro referente all’infuori di me, quindi a quello che dico, cioè si trova davanti alla questione linguistica. Dico delle cose di cui sono responsabile. Ora, questa responsabilità è ciò che il discorso occidentale ha cercato di eliminare. Uno dei motivi è che soltanto attraverso questa eliminazione è possibile governare, per esempio, e, quindi, se una cosa del genere cessasse di esistere tutto il sistema occidentale crollerebbe, dovrebbe essere ricostruito altrimenti.

Intervento: Ma perché fa così paura una cosa del genere, tutto sommato?

Perché se sono io responsabile di quello che dico allora sono solo con il mio discorso, e non posso più fondarmi su tutto ciò che il discorso occidentale può. Tutte le cose in cui credo, i miei tic, le mie superstizioni subito precipitano nel nulla. È lo stesso motivo per cui le persone credono, per cui esiste il discorso religioso. Perché se tutto crolla, tutto precipita il discorso si ferma, la parola si ferma e io muoio. È costruito perché il discorso possa proseguire in questa superstizione che afferma che se non c’è qualcuno che dirige , che controlla il discorso si arresta.

Intervento:…

La supposizione che esiste qualcosa fuori dal linguaggio è autocontraddittoria. Se è autocontraddittoria comporta che da una parte bisogna mantenerlo e dall’altra che si distrugga. Per raffigurare questa sorta di autocontraddittorietà.

Freud la descrive nel saggio “L’Io e l’Es”, e anche e soprattutto nella psicologia delle masse. La funzione del capo. È emblematico quello scritto per intendere come funziona qualunque stato, qualunque governo. Da una parte, il governante capo deve essere inseguito finché non commette il primo errore, dove viene ucciso.

Intervento:…

Gli umani hanno soltanto un unico riferimento di cui dispongono e che è la parola, quindi la cosa che possono naturalmente temere, se gli è consentito di farlo, è che la parola cessi. È l’unica cosa di cui dispongono. Questa è l’unica paura che possono avere, ma possono nel senso che è l’unica della quale abbiano qualche strumento.

E, quindi, la paura è che il discorso si fermi. Non è che muore perché il discorso si ferma, ma la morte non è altro che l’arresto del discorso, non è raffigurabile in nessun altro modo. E cioè la paura di non potere più parlare, la parola non c’è più. Questa è la morte, l’unico modo di potere pensarla, attraverso il linguaggio. Tutto è stato costruito per evitare che il discorso, la parola si fermi.

Tutte questa figure. Ora, sì, certo la parola non si ferma, in ogni caso, però se gli umani non avessero questa paura non sarebbero governabili, molto probabilmente. O non nella misura in cui questo avviene.

L’abbiamo detto anche tempo fa se facesse presa su vasta scala il discorso che stiamo facendo l’ordinamento sociale precipiterebbe, non sarebbe più sostenuto. Si sostiene su questo, sul fatto che qualcuno si fa garante del fatto che la parola non finirà mai. E, tutto si tiene in piedi molto probabilmente su questa paura. Tolta questa paura...

Una persona non è più governabile.

È previsto benissimo, senza la paura non si governa. Senza il senso di colpa e tutti gli annessi e connessi. È una questione di cui si può anche tenere conto nella pratica analitica. Tenere conto cioè che la paura che una persona enuncia, esprime, manifesta, è la paura che il discorso si fermi. Se voi pensate bene, gli umani vivono del e nel linguaggio, non possono fare altrimenti. Quindi tutto ciò di cui dispongono è una costruzione del linguaggio.

Fuori dal linguaggio non c’è niente. Pertanto l’unica paura che possono avere è di essere fuori dal linguaggio. La morte non è che questo: l’assenza di parola. Non possono, come dicevo prima avere paura di nient’altro.

La paura della morte è una costruzione consentita dalla struttura linguistica che consente di pensare la morte, ma viene pensata attraverso l’unico strumento che gli umani posseggono, cioè il linguaggio.

Quindi è l’assenza del linguaggio che raffigura la morte.

Intervento:…

La genialata della chiesa quale è stata? Di tutte le chiese d’oriente e occidente? Voi morite tranquillamente, ma la parola continua, perché continuerete a parlare con Dio e con i santi. E questo in tutte le religioni. Tutte sono fondate su questo, la morte non fa cessare la parola. Non posso evitarla nel cagnolino, o si trova con le famose sessanta vergini...

Intervento:…

No, nessuno si pone la domanda in questi termini.

Intervento:…

A quel punto, lei, Cesare, può domandare, e allora? Supponiamo che sia come dici tu, e allora che succede?

Intervento:…

Come dire che un’analisi riesce laddove s’installa la certezza inesorabile che la parola non si fermerà, in nessun modo. Che non c’è nulla al mondo che la possa fermare. A questo punto cessa di avere qualunque paura. Chiaramente occorre esplorare tutte le varie fantasie che rivestono una cosa del genere.

Però occorre che giunga a questo, cessare di aver paura che la parola si fermi. A questo punto cessa anche la paura della morte, e di qualunque altra cosa.

Per questo il discorso che facciamo è il più sovversivo che mai sia stato inventato, anche le più feroci rivoluzioni ristabiliscono sempre ciò che hanno distrutto, per una questione psichica, sempre Freud descrive bene in Totem e Tabù. Il senso di colpa per aver ammazzato. Io ho una persona che detesto a morte, prendo la rivoltella e gli sparo in testa. Dopo, questa persona cessa di essere un nemico e diventa un santo, comunque una persona che va rispettata, È un luogo comune che dice che i morti diventano migliori, Ecco, questo è il motivo per cui anche le rivoluzioni più feroci, dopo la rivoluzione più feroce segue un periodo di restaurazione, sempre.

La restaurazione perché si deve espiare questo crimine che si è compiuto, invece in questo caso no; non c’è nessun senso di colpa, nulla da espiare.

Quello che fa la nevrosi, la grande rivoluzione, cioè cerca sempre qualche cosa, un rivolgimento definitivo, in modo che la vita cambi finalmente.

Intervento:…

A volte basta uno schiaffo. A me è successo una volta. Era la cosa migliore che potessi fare in quel momento. Ho fatto questo perché mi sembrava il sistema più spiccio, però ha funzionato, nel senso che ha fatto da argine nel momento in cui non c’era più nessun punto di tenuta. Intanto la violenza del gesto e, poi, un po’ come avviene per i bambini, no? Si psicotizzano molto frequentemente, molto facilmente.

Intervento: Come nello shock, spesso uno schiaffo è utilissimo ad interrompere uno stato emotivo.

Perché costituisce da una parte un argine a questa caduta senza freni, dall’altra c’è il contatto fisico che in alcuni casi funziona e dall’altra ancora il fatto che con questo gesto la persona è interessata a me, non è solo e abbandonato. Il contatto fisico rimarca questo aspetto. È un modo per far sentire la presenza, in casi proprio di psicotizzazione, adesso non è che sia una legge, mi è successo una volta e basta, però...

Sono luoghi comuni e come tali vanno presi, ovviamente. Il fatto che in alcuni casi ci sia una richiesta, occorre che ci sia l’interesse da parte di qualcuno, devo sentire che ci sono per qualcuno, in qualunque modo e a qualunque costo, anche in quel modo lì, va bene.

Intervento: In questo caso sembra una richiesta.

Sì, sì. È una cosa del genere. È quasi come se la persona chiedesse di essere fermata.

Intervento: Ci sono dei casi in cui lo schiaffo non serve assolutamente a nulla. Parlavo di una psicosi descrittivamente dove già Freud diceva che non c’è possibilità di contatto con una persona così.

Occorre il modo per instaurare un contatto.

Intervento: Ma la persona dello schiaffo era una nevrotica normale o che?

Sì, sì. Era una psicotizzazione dove qualunque intervento era assolutamente inutile, era partita in quarta. Proprio si vedeva che non riusciva più a fermarsi, a contenersi.

La questione della psicosi è ancora tutta da affrontare, perché in alcuni casi non c’è nessun aggancio possibile e lì bisognerebbe inventare qualcosa, ma non è facile. Perché è come, una struttura molto simile in alcuni casi di psicosi, al fondamentalista cattolico, non vede e non sente ragioni, è assolutamente inaccessibile, per quell’aspetto. Lo psicotico estende poi a buona parte della sua esistenza, forse c’è qualche cosa che lascia da parte e su quello bisogna lavorare, ma come il fondamentalista è assolutamente inattaccabile, non c’è verso. È la stessa struttura.

Intervento: Io ricordo un paranoico che stava delle ore davanti ad un muro a fissarlo e non c’era modo di smuoverlo. Qualche argomento c’era dove si diceva ma tu non hai mantenuto la tua parola d’onore di fronte a quella cosa li allora s’incrinava un momento, poi subito a fissare.

Allora abbiamo dato questo titolo che non ricordo più, le sante e le streghe e il sottotitolo è tecnica analitica nel discorso isterico.

Bene ci vediamo giovedì prossimo.