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11-10-2001

 

Il discorso religioso elimina tutto ciò che può distruggerlo cioè distrugge tutto ciò che rileva il suo funzionamento

 …(gli umani affermano il vero) sì, dicevamo così , e in effetti si terminava ponendo una questione, una questione colossale e cioè se in effetti gli umani da quando esistono cioè da quando esiste il linguaggio non abbiano fatto nient’altro né possano fare nient’altro, solo questo, che continuare ad affermare delle cose, programmati per fare questo, nient’altro che questo, una bella questione, da quando esistono non hanno potuto in nessun modo, né potranno farlo in seguito, cioè non possono fare altro che questo continuare ad affermare qualcosa e cioè mettere in atto il li linguaggio, che come abbiamo visto l’altra volta o forse quell’altra, è fatto di questo sembra non potere fare nient’altro che questo, aggiungendo qua e la degli elementi però appare questa la sua struttura fondamentale, costruire proposizioni che concludano per poter costruirne un’altra che concluda, per potere costruirne un’altra che concluda, per potere costruirne un’altra che concluda, per potere costruirne un’altra che concluda, possiamo andare avanti all’infinito… a che scopo? Nessuno, proseguire se stesso, come abbiamo visto in varie circostanze e d’altra parte non possiamo affermare null’altro, qualunque cosa affermassimo di ideologico sarebbe assolutamente gratuito, arbitrario, potrebbe essere qualunque cosa e il suo contrario indifferentemente ed è curiosa questa struttura per cui in effetti possiamo considerare vero solo ciò che il linguaggio ci considera l’affermarlo tale nient’altro che questo per cui dire che è vero ciò che il linguaggio ci consente di affermare tale è l’unica cosa che possa dirsi perché abbia qualche senso. Per cui, il corollario, che cosa è vero? Ciò che il linguaggio consente di poter affermare essere tale, ma che cosa il linguaggio consente poter affermare essere tale? Questa è la questione, ciò che non è autocontraddittorio, parrebbe… perché? Perché è vero ciò che non è autocontraddittorio, perché è una regola del linguaggio cioè il linguaggio funziona così oppure è una stupidata e adesso andiamo a vedere se il linguaggio funziona così oppure no, cioè se ciò che abbiamo affermato ha qualche interesse oppure è una cretinata qualunque (come talvolta accade) allora cosa vuol dire autocontraddittorio? (intanto) che afferma di sé di essere vero e falso simultaneamente, oppure paradossale cioè che afferma di se che è vero se e soltanto se è falso. Sappiamo che il linguaggio costruisce queste proposizioni la questione è questa se può continuare a funzionare in seguito a queste proposizioni oppure è costretto ad abbandonarle e seguire un’altra via, perché se è costretto ad abbandonarle allora sì le costruisce certo ma non può proseguire in quella direzione, può proseguire nella direzione di un’autocontraddizione o di un paradosso? Se sì, come? Parlo di struttura di linguaggio e quindi in termini logici non retorici, la retorica non ha nessun problema a continuare anzi…secondo la logica può proseguire? Se sì, come? Questa è la questione alla quale dovremo rispondere, può proseguire un discorso che afferma di sé di essere vero e falso simultaneamente? La questione può anche porsi in questi termini può concludere? Non può concludere è in sospeso perché non trova una conclusione, per questo i paradossi sono delle armi micidiali se usate opportunamente contro qualcuno perché lo si lascia come sospeso a mezz’aria non va da nessuna parte. Un’autocontraddizione, un paradosso escutono la conclusione, fanno questo, impediscono la conclusione. Dunque torniamo al vecchio Aristotele il principio del terzo escluso: non sia mai che ci siano simultaneamente A e non A, non sia mai perché se ci fossero non ci sarebbe più una direzione, non essendoci una direzione non c’è una conclusione, e abbiamo provato in modo inattaccabile che la conclusione è parte strutturale del linguaggio, se dunque non c’è la conclusione il linguaggio si arresta perché non può essere senza conclusione, si blocca e per la sua struttura non è previsto che si blocchi, e pertanto deve proseguire, come proseguire di fronte ai paradossi? In linea di massima facendo come se non ci fossero, buona parte del discorso religioso anzi nella sua totalità compie questa operazione elimina tutto ciò che può distruggerlo e cioè tutto ciò che pone l’accento o rileva il funzionamento di un sistema operativo, lo elimina, dice che non c’è, non c’è nessun sistema operativo, c’è qualcuno, un entità che provvede a tutto e a tutti. Come sia stato possibile credere una cosa del genere? Come sia, non è questo che adesso ci interessa. Allora dunque per costruire qualcosa di vero il linguaggio deve utilizzare la sua struttura e non può fare altrimenti e la sua struttura è tale che deve eliminare tutto ciò che è autocontraddittorio perché in questo caso non potrebbe concludere, non potendo concludere il linguaggio si blocca e non potendo bloccarsi il linguaggio non può andare da quella parte, ecco perché dicevo è vero ciò che non è autocontraddittorio ma ciò che non è autocontraddittorio all’interno del linguaggio è unicamente ciò che il linguaggio può affermare di sé e cioè affermare la sua esistenza, questa è l’unica cosa che non è autocontraddittoria in nessun modo, e tutto ciò che viene affermato di seguito risulta non autocontraddittorio che è esattamente il percorso che abbiamo fatto in questi ultimi anni, continuare a produrre affermazioni che muovono dalla tautologia principale, se si muove da una tautologia e si procede in modo deduttivo si continuerà a produrre proposizioni necessariamente vere. (come dire partendo da una premessa vera se si procede deduttivamente segue una conclusione vera) ma siamo partiti dicendo che gli umani non fanno nient’altro che questo e adesso stiamo aggiungendo qua e la qualche elemento per vedere se è effettivamente così ché se fosse così sarebbe mica un’affermazione da poco, dice: è un’affermazione, certo, in effetti non è che possiamo uscire dal linguaggio, ma stiamo considerando che il linguaggio è effettivamente strutturato in questo modo ci costringe a procedere per affermazioni cioè dire che la vita di una persona non è altro che questo, una sequenza di affermazioni cui il linguaggio la costringe, poi che cosa affermi per il momento questo è assolutamente indifferente però appare fortemente strutturata in questi termini tutta la questione e abbiamo anche visto che lo scopo di questa sequenza di affermazioni non è altro che il proseguimento del linguaggio stesso, nient’altro che questo, però a questo punto si installa una questione retorica perché un’affermazione anziché un’altra? Ché questa è una questione retorica alla logica non interessa assolutamente niente dire che cosa lui afferma, assolutamente niente, per il funzionamento del linguaggio è sufficiente che io compia affermazioni, nient’altro che questo ma quali, perché una persona crede in una certa cosa anziché in un’altra? Ad esempio…in una prima approssimazione perché ha compiuto un percorso tale per cui è giunto alla possibilità di poterla affermare, se riesce ad affermarla generalmente ci crede, qui ovviamente intervengono molte cose in ambito retorico delle quali ci dovremo occupare delle emozioni, delle sensazioni, di tutto ciò che la retorica in genere costruisce. La retorica è fatta per questo, in buona parte per produrre emozioni, sensazioni…pensate a come si costruisce un film è fatto per questo per produrre emozioni, sensazioni se non lo va a vedere nessuno lo scopo svanisce, stessa cosa quando si parla, si discute, c’è un crocchio di persone c’è uno che sta facendo delle affermazioni che immagina producano delle sensazioni nell’uditorio, almeno questo, che pensino che sta dicendo delle cose importanti, vere e farà di tutto per corroborare ciò che ritiene vero con argomentazioni che ritiene forti il più possibile. Allo stesso modo anche una superstizione viene corroborata da una serie di cose ciascuno fa di tutto per trovare buone argomentazioni che supportino le cose in cui crede ma di nuovo come si costruisce una credenza, una superstizione? Come accade che da degli elementi che una persona dispone ad un certo punto si arrivi in una direzione anziché in un’altra? Vediamo di prendere la questione più semplice, come accade che uno ad un certo punto si trovi a credere in Allah anziché in Dio? Come accade? La questione sembra piuttosto semplice perché la mamma glielo ha insegnato, il papà ha cominciato a portarlo alla Mecca anziché in Vaticano, gli ha insegnato il Corano anziché il Vangelo e lui ha accolto questa cosa, una spiegazione legittima, lui l’ha imparato, ha imparato che bisogna pensare così, certo. Anche una persona che ha paura del buio ha imparato questo? Può darsi, anche una persona che teme di essere abbandonata? Una persona che ha delle fobie, che crede qualunque cosa l’ha imparato? (ha accolto comunque questo luogo comune) c’è questa eventualità che l’abbia imparato, che si attenga scrupolosamente a ciò che ha imparato, ancora una volta Wittgenstein ha colta la questione in termini interessanti, dice “come so che questa è la mia mano?” l’ho imparato, non ci sono altri motivi, lo so perché l’ho imparato. Se fosse così per esempio per tutto ciò che Freud ha descritto intorno alle nevrosi, se fosse qualcosa che si è imparato e alla quale ci si attiene così come ci si attiene a qualunque cosa che si è imparata? il fatto che la terra ruota intorno al sole, con i vari pianeti ecc… che un oggetto se lasciato cadere, cade (…) com’è che si impara qualcosa? È una questione molto interessante questa cui sto cominciando ad accennare il fatto che una nevrosi si impari per esempio è una questione che può apparire bizzarra, che si impari così come si impara il tedesco, c’è l’eventualità che si impari allo stesso modo, stessa questione di cui si diceva giovedì scorso che cos’è la realtà, le cose che mi circondano le ho imparate, tutto ho imparato comprese le nevrosi, ho imparato anche quella, non è che vengano da chissà che cosa, magari accade che uno ci deva anche studiare per diventare nevrotico in un certo senso. Dunque com’è che si impara qualcosa? Dedicandocisi, in sostanza acquisendo gli elementi di cui è fatta quella cosa, quegli elementi che altri affermano essere fatta, c’è qualche cosa qui bizzarro, sto dicendo che tutto ciò che la persona sa lo sa perché l’ha imparata e se io so, come accade in alcuni casi, che per esempio tutti mi odiano su tutto il pianeta, come lo so? Se lo so è perché l’ho imparato non c’è niente da fare, l’ho imparato in qualche modo e cioè l’ho acquisito da delle fonti. E qui vi accorgete della portata della retorica che in una certa sua parte fa questo cioè da attendibilità a delle fonti, certo uno che dice “tutto il pianeta ce l’ha a morte con me e mi vuole uccidere” da quale fonte può avere attinto per affermare una cosa del genere? Nessuna visto che nessuno gli ha detto una cosa del genere, come si è creata una idea simile? Come l’ha imparato tutto questo? (Ha interpretato certi modi di dire) certo, sì è molto complicata la questione anche perché per imparare qualche cosa occorre una motivazione per farlo, no? Io imparo che il fuoco brucia e sono fortemente motivato a impararlo per evitare di bruciarmi un’altra volta per esempio, ci sta sfuggendo qualcosa…siamo partiti dal fatto che gli umani durante la loro esistenza non possono nient’altro che produrre affermazioni una dietro l’altra perché il linguaggio è fatto così perché lo costringe a fare questo ci resta da intendere retoricamente, e questo in ambito retorico che cosa muove e spinge verso una affermazione anziché un’altra, tutto ciò che gli umani hanno considerato la realtà, la verità, i valori ecc.ecc come una cosa acquisti valore o se volete dirla tutta come si costruisce una credenza, potremmo considerare retoricamente come si costruisce come se volessimo farlo, come se volessimo per esempio costruire in Cesare una superstizione, come si fa? Tecnicamente non è difficilissimo però in questo caso si muoverebbe da un qualche cosa che Cesare già sa, che cosa gli umani già sanno? Che esiste la realtà e che è fuori dal linguaggio cioè sanno che esiste una certa cosa che si comporta in un certo modo, noi possiamo riferire che per loro funziona così cioè che è fuori dal linguaggio perché se non fosse fuori dal linguaggio non si comporterebbe in quel modo è questo ciò che già sanno la realtà, la realtà delle cose e quindi ciò che dovremmo fare in modo che Cesare creda è qualche cosa che è simile, molto simile a ciò che già crede, indurlo a pensare che ciò che noi vogliamo che lui creda è ancora più reale, è così che funziona esattamente come una conversione religiosa, uno passa dal cristianesimo all’islamismo perché a quel punto crede che Allah sia più vero di Cristo, una cosa del genere, e quindi deve passare attraverso un’operazione simile, pensare che quest’altra cosa è più vera, più reale. Quand’è che una cosa è più reale? Consideriamo quando una cosa è reale e poi vedremo quando è più reale, quand’è che una cosa si considera reale? Generalmente quando soddisfa le regole che sono quelle che ho imparato per distinguere ciò che è reale, ma forse non è solo questo, qui interviene il concludere di cui dicevamo originariamente rispetto alla logica, però qui dobbiamo affrontarla in termini retorici come se, adesso la dico in termini un po’ buffi, come se qualcosa consentisse di concludere di più e meglio di un’altra cosa; sì uno crede in una certa cosa anziché in un’altra sicuramente la ritiene più vera per qualche motivo e quindi più reale esattamente come una conversione religiosa ma a quali condizioni può ritenere una cosa più vera? Che sia una migliore conclusione, qual è una migliore conclusione? (…) diventa o un passaggio precedente o una conclusione falsa quindi viene abbandonata certo (comunque la conclusione è reale) perché una persona cambia idea? Possiamo metterla così se preferite (…) perché è più soddisfacente (…) certo è evidente sono intervenuti nuovi elementi però occorre che degli elementi possano essere accolti come nuovi elementi, ho l’impressione che la questione sia molto semplice ma ci sfugga qualcosa (…) ma prenda il caso di una conversione dal cristianesimo all’islamismo anche il cristianesimo consente di trarre una quantità di conclusioni né più né meno dell’islamismo però perché una persona si converte? perché avviene ad un certo punto che Allah sia più vero di Cristo? Perché? Sono due fesserie entrambe ma ad un certo punto uno dice no questo è migliore, cosa interviene a persuaderlo in una direzione anziché in un’altra, adesso stiamo prendendo casi particolari per trovare qualcosa di molto generale (…) potremmo dire che qualcosa soddisfa di più (…) sì il fatto che offre nuove sensazioni ma c’è l’eventualità che nuove sensazioni si profilino perché si profilano nuove verità…tra l’altro la sensazione è l’idea di aver reperito la nuova verità? O qualcosa del genere oppure no? Ci stiamo avventurando in un campo piuttosto complicato (…) anche perché se non fosse sarebbe arduo trovare alla sensazione, forse più l’emozione, una volta avevamo definito la sensazione come la percezione di una differenza, non è un granché però per il momento può bastare, no, l’emozione è qualcosa di più in accezione sì di una differenza alla quale si aggancia una fantasia, la sensazione no (si aggancia una fantasia che è qualcosa che per la persona funziona e quindi il come parlare di nuovo?) dobbiamo di nuovo definire tutto, cioè le definizioni di cui disponiamo non sono più sufficienti la fantasia qua non significa che non è precedente a niente né quelle conosciute ci offrono il minimo aiuto. Già sarebbe un passo avanti in modo preciso e cioè se ciò che comunemente è inteso come emozione, sensazione non sia nient’altro che il reperimento o l’idea, la possibilità del reperimento di una conclusione, della verità il più delle volte si pone così. Lodari? (un enunciato psicotico “tutto il mondo mi odia”, questo però per dire che in relazione allo psicotico basta dire la parola odiare e non si sa che cosa ne può venir fuori l’altro mi odia oppure sono io che odio, però quello che importa è la parola odiare, se non ci fosse prima il significante, la parola, il linguaggio, non ci sarebbe il soggetto, l’oggetto… non ci sarebbe una posizione definita, perché le posizioni non sono tali ma si apprendono in conseguenza) sì, c’è una cosa che in tutta la tradizione psicanalitica ha avuto una funzione notevole che mi ha sempre lasciato molto perplesso e cioè questo dell’impossibilità, una persona vuole fare una certa cosa ma non la può fare, perché? C’è qualcosa qui di bizzarro perché sì opinare una cosa del genere però, però ho sempre incontrato obiezioni, elaborazioni insufficienti ad una cosa del genere il cosiddetto impedimento…tutta la teoria della rimozione se ci pensate bene mi pare piuttosto nebulosa, è fondato proprio su questo su qualche cosa che non può essere voluto, perché glielo ha ordinato il medico? Perché in fin dei conti? Perché se no che succede? E allora? Non è così semplice la questione, no, è una questione che sia appunto da mettere in discussione perché non regge più, non sta più in piedi….sembra la favoletta di Cappuccetto Rosso (avevamo definito l’emozione come l’attrazione di qualche cosa) ma sì pare che gli umani siano attratti in linea di massima, si certo anche qui è una questione che avevamo formulato tempo fa se noi affermassimo che l’emozione non è altro che il concludere qualcosa ci troveremmo di fronte a delle incongruenze (parliamo della rimozione o dell’emozione) l’emozione (avevo capito rimozione) ne sto parlando, perché non tutto ciò che io concludo produce quella cosa che generalmente è chiamata emozione occorre che abbia delle prerogative delle caratteristiche e quindi non è sufficiente, però in ambito logico occorre che ci atteniamo rigorosamente a un modo di procedere, la retorica a cosa ci serve? a ciò per cui è stata inventata e cioè a persuadere, a costruire argomentazioni persuasive, può accadere che ci siano cose che non ha nessun interesse esplorare, può accadere non sto dicendo che sia così, ma che abbiano un’unica utilità nel proseguire ad elaborarle, svolgerle quello di trovare argomentazioni persuasive nei confronti di un eventuale possibile ipotetico uditorio, la questione che sto ponendo è questa è possibile giungere a una conclusione inesorabile domandandosi perché la persona crede in una cosa anziché in un’altra? È possibile dimostrare perché io preferisco la cioccolata all’amarena? No. Posso solo prendere atto che io preferisco la cioccolata, posso interrogarmi sul perché io preferisco la cioccolata e se ho voglia posso trovare alcune migliaia di interpretazioni, e di queste interpretazioni cosa me ne faccio? Sono il motivo per cui mi piace la cioccolata? Forse. Bisogna andare molto cauti rispetto ad affermazioni che non possono essere provate, molto cauti la facilità di cadere in stupidaggini di proporzioni bibliche è altissima. Già (se intervengono elementi ed io non ho necessità di provare il mio piacere, lo accolgo ed a questo punto non è un elemento fermo nel mio discorso che assorbe tutto il mio interesse, non ho paura di distruggerlo perché è un elemento fra altri elementi) sì qui chiaramente tutta la questione analitica tradizionale viene abbandonata, non si tratta più di reperire dei motivi, una persona fa delle cose o meglio si possono anche fare se una persona vuole farlo lo faccia pure ma si troverà di fronte a una infinitizzazione di motivi…attenerci sempre a ciò che non può non essere, dobbiamo attenerci sempre a questo, il resto possiamo utilizzarlo ma a scopo retorico cioè per persuadere, per costruire delle argomentazioni nient’altro che questo ma è assolutamente inutilizzabile il perché una persona fa in un modo anziché in un altro, non può essere provato né da lui né da nessun altro e pertanto ci interessa molto poco a meno che questo sia un mezzo utilizzato retoricamente per indurre questa persona a considerare che, questo sicuramente non è semplice, che non può fare nient’altro che produrre affermazioni e che in definitiva non fa altro che parlare perché è questa la sua chance, attenerci a quanto affermato da tempo cessare di avere bisogno di credere in qualcosa, nient’altro che questo, temo che non possiamo fare molto di più (stavo pensando alla questione dell’apprendimento) questa è una questione da considerare (sto pensando che ciò che si apprende tutto sommato non siano altro che regole) soprattutto, senza regole non si può giocare (intendere la regola rispetto a un gioco) non sono sicuro che riflettere sulla questione dell’apprendimento ci porti a qualcosa di interessante però si può fare (…) parlare non è altro che porre in essere delle regole in questo senso anche un computer impara, si attiene alle regole e le pone in atto e quindi gioca quel gioco, non c’è molto da aggiungere per il momento. Possiamo fermarci qui per il momento.