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11 settembre 2019

 

Fenomenologia dello spirito di G.W.F. Hegel

 

La ragione osservativa. Qui Hegel fa un discorso interessante perché tutto ciò che dice giunge a mettere in discussione in buona parte il fondamento dell’occidente, e cioè l’osservazione. Ciò che dice, anche se non lo dice espressamente, è che chi osserva è la ragione. Se è la ragione che osserva allora l’osservazione non è della cosa ma è della ragione stessa: la ragione osserva se stessa mettere in atto una serie di procedure che appartengono alla ragione, non alla cosa.

Intervento: Non è il soggetto che osserva?

In questo caso il termine “soggetto” è piuttosto vago. Hegel parla di ragione, di autocoscienza, parla molto poco di soggetto. Dire che è la ragione che osserva è come dire che l’osservazione, quindi ciò che osservo, è il risultato di un processo intellettuale. Ciò che osservo, e questo lo diceva già nelle prime pagine, appartiene alla coscienza. Per questo non fa questa distinzione cartesiana fra soggetto e oggetto; per Hegel soggetto e oggetto sono lo stesso. Sta qui l’innovazione di Hegel rispetto a tutta la filosofia che lo ha preceduto: soggetto e oggetto sono lo stesso, cioè, non sono disgiungibili. Soggetto e oggetto sarebbero i due astratti di un concreto, dove il concreto è la ragione, è l’autocoscienza. Soggetto e oggetto sono due momenti dove l’oggetto dilegua nel soggetto; a questo punto, questo il soggetto non è più soggetto. Tutto il discorso che sta facendo qui va anche in questo senso, a mostrare che l’osservazione, invece, vuole proprio fare questo, e cioè cogliere l’astratto astraendo dal concreto. Ma questa operazione, ci dirà lui, non è possibile, perché se io prendo l’astratto, astraendolo dal concreto, tolgo da questo elemento separato il negativo, tolgo cioè quell’altro da sé che fa esistere il sé in quanto tale. È come se togliessi il per sé dall’in sé, il significato dal significante, per dirla in termini semiotici. Quindi, questa operazione di astrazione per Hegel non porta a nulla; è un’astrazione che può farsi, anzi, si fa continuamente, tutta la dottrina dell’osservazione, su cui peraltro si fonda la scienza. Scienza non nell’accezione di Hegel, dovremmo parlare di scientismo per distinguere, la nozione di scienza in Hegel è un’altra cosa. Dunque, lo scientismo si fonda sull’osservazione, cioè sulla possibilità di astrarre un elemento dal concreto, ma, astraendolo dal concreto, questo elemento non è più quell’elemento di cui mi sto occupando, è un’altra cosa. Per tornare all’esempio, ormai celebre, “questa lampada che è sul tavolo”: se mi metto ad analizzare la lampada, questa lampada che io analizzo, dopo averla astratta dal concreto, non è “lampada che è su tavolo”, non è più quella “lampada che è sul tavolo”, ma è un’altra cosa. Questa è la difficoltà della scienza, dello scientismo, e cioè che nell’occuparsi di qualche cosa, quindi nell’astrarlo dal concreto, trasforma questa cosa in un’altra cosa da quella che vuole osservare, cioè, osserva altro da ciò che vorrebbe osservare. Siamo a pag. 214, Punto 24. Hegel tratta dell’organico. Un oggetto che sia tale da avere in lui il processo della semplicità del concetto, è l’organico. L’organico ha in sé la semplicità del concetto, è un concetto semplice. In quest’assoluta fluidità è risolta… Quando Hegel parla di fluidità parla del movimento dialettico. …quella determinatezza ond’esso sarebbe solamente per Altro. La cosa inorganica ha a sua essenza la determinatezza e, quindi, può costituire la pienezza dei momenti del concetto soltanto insieme con un’altra cosa, e va, perciò, perduta tosto che entri nel movimento;…  È sempre per qualche altra cosa, quindi, la cosa si dilegua perché è per un altro. …invece nell’essenza organica tutte quante le determinatezze, ond’essa è aperta per un altro, sono collegate sotto l’unità organica (che è) semplice; nessuna che si rapporti liberamente ad altro, sorge come essenziale; e quindi l’organico si mantiene nel suo stesso rapporto. L’organico è fatto di una serie di elementi dove ciascuno si rapporta a un altro ma all’interno di un tutto organico. Un secolo dopo hanno chiamato questa cosa “struttura”, dove un elemento non può essere tolto dalla struttura senza che questo elemento cambi, diventando un’altra cosa; è quello che è soltanto all’interno della struttura. Questo per incominciare a dire delle cose sul fatto che l’osservazione di un elemento non porta a cogliere l’essenza di quell’elemento. A pag. 216, Punto 26. Il rapporto, del quale si è qui sopra discorso, dell’organico con la natura degli elementi, non esprime l’essenza dell’organico stesso;… Questo rapporto dell’organico con i vari elementi non esprime l’organico, l’organico è un’altra cosa. …questa essenza è invece contenuta nel concetto finalistico. Invero a questa coscienza osservativa… L’osservazione è uno dei modi per esercitare la ragione, anzi, è il primo modo; poi, parlerà di altri. …quel concetto non è l’essenza propria dell’organico; anzi, a quella coscienza medesima il concetto cade fuori dell’essenza, e quindi è poi soltanto quell’estrinseco rapporto teleologico. Sta dicendo che questa idea di porre l’essenza come il fine di qualche cosa, non è che porti molto lontano perché questo finalismo cade fuori dell’essenza, non è l’essenza, propriamente. A pag. 217, Punto 27. Bisogna ora vedere più da vicino questa determinazione com’essa è in sé e come è per l’istinto della ragione, al fine di rendersi conto di com’esso vi si rinvenga, senza però conoscersi nel suo rinvenirsi. Il concetto finalistico, adunque, al quale si innalza la ragione osservativa, è altrettanto presente come un effettuale, allo stesso modo che l’effettuale è ad essa consaputo concetto:… Questo finalismo è un effetto, è qualcosa che accade. … né è un rapporto esterno di questo effettuale, anzi la sua essenza. Non è questo rapporto esterno la sua essenza. Essendo effettuale, si effettua, quindi, non è un’essenza; l’essenza non è qualcosa che si effettua, è qualcosa che necessariamente è. Che questo effettuale, il quale è esso stesso un fine, si rapporti secondo un fine ad altro, significa che il suo rapporto è un rapporto accidentale, rispetto a ciò che i due termini sono nella loro immediatezza; nella loro immediatezza sono entrambi indipendenti e reciprocamente indifferenti. Dice: gli elementi non riusciamo a coglierli, però proviamo a cogliere questo tutto attraverso la finalità. Ma, dice Hegel, anche la finalità è qualcosa di accidentale e, quindi, non è un’essenza. Ma l’essenza del loro rapporto… Cioè, il rapporto accidentale e i termini nella loro immediatezza. …è diversa da ciò ch’essi sembrano essere, e il loro operare ha un altro senso da ciò ch’esso è immediatamente per il percepire sensibile; la necessità in ciò che accade è nascosta e si mostra soltanto alla fine,… Questo nel finalismo: la necessità si mostra soltanto alla fine. …ma in modo che la fine indica quella necessità essere anche il primo. Questo è ciò che fa Hegel: è ciò che interviene alla fine che fa essere l’inizio quello che è. Così anche nel finalismo: non è propriamente un’essenza perché è soltanto qualche cosa che accade e quando accade allora, e solo allora, posso giustificarne l’esistenza. Questo per il fatto che dalla fine posso stabilire l’inizio. …rifacendoci dal cominciamento, questo, nella sua fine o nel resultato del suo operare non fa altro che ritornare a se stesso; e quindi il cominciamento si mostra tale a se stesso, da avere se stesso a sua fine. Questo cominciamento si mostra come cominciamento soltanto a ritroso; soltanto alla fine è possibile stabilire il cominciamento. Che è esattamente l’opposto di un processo, per esempio, scientista, quello empirico-deduttivo: si parte da un elemento e poi, attraverso una serie di passaggi, si giunge alla sua fine. Hegel ci sta dicendo che non è così propriamente che funziona: è soltanto dalla fine che io posso intendere qualcosa del cominciamento, perché finché non sono arrivato alla fine non posso sapere che cosa è il cominciamento; posso immaginare ma soltanto alla fine io che veramente è l’inizio, che quella cosa è il cominciamento. Dunque, ciò ch’esso raggiunge mediante il movimento del suo operare è lui stesso; e che esso raggiunga soltanto se stesso, è il suo sentimento di sé. Così è bensì presente la differenza di ciò ch’esso è e di ciò ch’esso cerca; ma si tratta solo della parvenza di una differenza; e così esso è concetto in lui stesso. In questo modo, dice, è presente la differenza di ciò che esso è e di ciò che esso cerca, perché ciò che è, dice Hegel, non è ciò che cerca. Ciò che cerca è la fine, ma questa fine non è il cominciamento, perché soltanto quando arrivo alla fine so qualcosa del cominciamento. Ma non diversamente è costituita l’autocoscienza… Infatti, si costituisce esattamente così. …anch’essa consiste nel distinguersi da sé in modo che nello stesso tempo non ne derivi differenza alcuna. Essa perciò nell’osservazione della natura organica non trova nient’altro che tale essenza;… Cioè: l’autocoscienza continua a trovare se stessa. …essa trova sé come una cosa, come una vita; ma fa ancora una differenza tra ciò ch’essa stessa è e ciò che ha trovato; - ma si tratta di una differenza che non è tale. Questo è forse il punto cruciale di tutto questo capitolo: l’autocoscienza, in questo processo in cui vuole cercare la cosa, alla fine trova, e può soltanto trovare se stessa. Perché? È semplice, l’ha detto: perché soltanto alla fine io posso trovare il cominciamento, ma questo fine che cos’è se non qualcosa che io ho posto, qualcosa che l’autocoscienza ha posto. Quindi, ciò che io trovo è sempre e soltanto l’autocoscienza, nient’altro che questo. A pag. 219, Punto 29. Considerata più da vicino, questa determinazione, che la cosa è fine in lei stessa, si trova anche nel concetto di essa. La cosa conserva sé; il che significa anche la sua natura esser tale da occultare la necessità, e da presentarla nella forma di rapporto accidentale; infatti la sua libertà o il suo esser-per-sé consistono appunto nel comportarsi verso il necessario come se questo fosse qualcosa d’indifferente; la cosa si presenta quindi essa stessa come alcunché siffatto il cui concetto cade fuori del suo essere. Questo è il modo in cui si mostra, ma non è così perché, dice, Non diversamente la ragione ha la necessità d’intuire il suo proprio concetto come se questo fosse qualcosa d’indifferente;… Come se, dice, ma non è così. …di intuirlo, cioè, come cosa, come un alcunché verso cui essa è indifferente, e che, quindi, da parte sua è indifferente verso di lei e verso il proprio concetto. Tutto sta in questo “come se” cadesse fuori del concetto, ma non cade fuori del concetto. Non può cadere fuori del concetto perché l’incominciamento è sempre e comunque nella coscienza. Questo lo avevamo visto quando parlava all’inizio dell’in sé che si muove verso il per sé e poi torna all’in sé: il cominciamento è l’in sé, è il significante, è ciò che si dice, lì c’è il cominciamento. Ora, io posso anche pensare che questo cominciamento, ciò che si dice, il significante, abbia come oggetto ciò che vuole dire, e che, quindi, sia fuori, ma, ci dice Hegel, non può essere fuori perché questo oggetto, che è ciò di cui si dice, in questo caso il fine, ciò che cerco, che cos’è propriamente? È qualcosa che soltanto dà un significato al cominciamento. Ha un’altra funzione, il significato ha un’altra funzione, quella di dare al significante il suo significato, cioè, rendere il significante quello che è. A pag. 221, Punto 21. Ma questa unità dell’universalità e dell’attività… Cioè: di ciò che è fisso, universale, per sé. …non è per questa ragione osservativa. La ragione osservativa non coglie questa unità; non la coglie perché la ragione osservativa vuole cogliere l’elemento separato, astratto. …e ciò perché quell’unità è essenzialmente il movimento interno dell’organico e può venir intesa solo come concetto. Se non la intendo come movimento ma come due astratti, fermi, fissati, bloccati, immobili, non colgo niente. …ma l’osservare cerca i momenti nella forma dell’essere e del restare; e poiché l’Intiero organico consiste nel non avere né far trovare in sé i momenti in tal guisa, la coscienza trasforma l’opposizione in un’opposizione tale che sia conforme al suo punto di vista. Questa opposizione, che si integra nella sintesi e che è ciò che consente di vedere l’intero, il concreto; questa unità, questo concreto, non lo posso vedere se mi fisso su elementi che sono in opposizione tra loro e presi come astratti. E, allora, la coscienza, non potendo cogliere questa unità, trasforma l’opposizione in un’opposizione tale che sia conforme al suo punto di vista, cioè gli dà il significato che le pare, ma senza cogliere l’intero. Qual è il significato che le pare? È quello che fa lo scientismo, cioè, immagina che l’elemento astratto, separato, sia l’universale, che ciò che trova sia l’universale, cioè sia la verità, mentre è soltanto il momento di un processo dove la verità non è altro che questo processo, questo movimento. È chiaro che tutto ciò lo scientismo lo deve eliminare: la verità deve essere fissata su qualcosa che è separato, astratto. A pag. 222 parla di opposizione tra interno ed esterno. L’interno sarebbe l’essenza, l’esterno la forma, quella che è in relazione con il mondo. …l’opposizione è quindi ormai un’opposizione puramente formale, i cui lati reali hanno a loro essenza un medesimo in-sé; ma in pari tempo, poiché interno ed esterno sono anche realtà opposta, e poiché essi per l’osservare sono un diverso essere, all’osservare stesso pare che ciascuno di essi abbia un contenuto peculiare. Infatti, Hegel giunge a dire che interno e esterno sono lo stesso, a ogni mutamento dell’uno corrisponde il mutamento dell’altro, e cioè non c’è la possibilità di isolare l’uno dall’altro. Questo ha delle implicazioni notevolissime. Pensate, per es., in ambito medico, all’anatomia: dicendo Hegel che non c’è differenza tra interno e esterno, che sono lo stesso, dice che ciascun mutamento dell’esterno, dell’umore, comporta un mutamento interno, e che queste cose vanno di pari passo. È chiaro che a questo punto non posso più considerare l’interno come qualcosa di separato dall’esterno, ma sono costretto a considerarli come un processo incessante, in cui ciascuno muta mentre muta anche quell’altro. La legge vorrebbe, invece, stabilire un rapporto fisso tra interno ed esterno, in questo caso. A pag. 223. La legge, come rapporto di quell’interno a questo esterno, esprime così il suo contenuto prima nella rappresentazione di momenti universali o di essenze semplici, poi nella rappresentazione dell’essenza divenuta effettuale o della figura. Che cosa fa la legge? Prima esprime questa relazione tra i due come un omento universale; poi, nella rappresentazione dell’essenza divenuta effettuale. Da una parte è essenziale, dall’altra è inessenziale; da una parte è necessaria, dall’altra è contingente. A pag. 224, Punto 37. L’altro significato di questi elementi organici, in quanto essi, cioè, vengon presi come l’esterno, è il modo loro figurato secondo il quale essi sono dati come parti effettuali, ma in pari tempo anche universali… Come dicevamo prima, sono un effetto ma anche universali. … ossia come sistemi organici; e cioè la sensibilità, intesa così all’ingrosso come sistema nervoso, l’irritabilità intesa come sistema muscolare, e la riproduzione come organi della conservazione dell’individuo e della specie. Le leggi caratteristiche dell’organico riguardano quindi una relazione di momenti organici nel loro duplice significato, che è quello di essere ora una parte della figurazione organica, ora fluida determinatezza universale, pervadente tutti quei sistemi. Ci sta continuando a dire che non possiamo considerare un elemento senza il suo altro. Ciascun elemento, tolto l’altro, cessa anche lui di essere quello che è. A pag. 225, Punto 40. È resultato avere valore di legge la relazione che la proprietà organica universale in un sistema organico si sia trasformata in una cosa… Questo fa la legge: trasforma una relazione in una cosa; quindi, blocca la relazione. …in modo da avere in questa la sua figurata impronta; per tal modo quella proprietà e quella cosa sarebbero entrambe la medesima essenza, la quale una volta sarebbe presente come momento universale, e un’altra volta come cosa. La legge vuole porre uno di questi due elementi cancellando l’opposizione, cancellando il negativo, cancellando il movimento. Ma si ritrova questa legge a essere continuamente rimbalzata da una parte all’altra; da una parte considera la sua proprietà come universale, ma questa universalità è data da che cosa? È data da momenti particolari, da elementi singoli. Ora, a un certo punto dice che l’unico elemento che sembra fissare questa relazione è il numero, il numero nella sua determinatezza. Il problema è che il numero risulta inessenziale per la relazione, non cade nella relazione, cioè, nella legge, ma è un’altra cosa rispetto alla legge. Questa inessenzialità del numero fa sì che tutto ciò che lo scientismo ha immaginato di poter stabilire, attraverso tutte le varie incursioni nell’aritmetica, sia vano, perché il numero rimane sempre inessenziale rispetto alla relazione di cui è fatta la legge, legge che vorrebbe togliere questa relazione, questo movimento, per renderla una cosa stabile, fissa. A pag. 228, Punto 43. Se, infine, invece di mettere in rapporto tra loro sensibilità e irritabilità, si mette la riproduzione in rapporto con l’una o con l’altra di esse, allora viene anche a mancare l’occasione di questo legiferare… Sta sempre parlano del tentativo di stabilire una legge che governi questo movimento. …perché la riproduzione non sta con quei momenti in una opposizione qual è quella dell’uno verso l’altro; e poiché tale legiferare si fonda su questa opposizione, viene qui a mancare fin la parvenza del suo aver luogo. La legge stabilisce delle fissità. Per stabilire qualcosa di fisso deve eliminare ciò che le si oppone. Questo è necessario per la legge, deve essere così, ma, dice, rispetto alla sensibilità e all’irritabilità, dove l’una appare in opposizione all’altra, però aveva che sollecitano l’una si sollecita anche l’altra e, quindi, non sono in opposizione; tanto più non sono in opposizione con la riproduzione, che non c’entra niente. Quindi, ci sta dicendo che a maggio ragione non è possibile stabilire nessuna legge intorno all’organico, al corpo: non esistono leggi intorno al corpo, o all’organico in generale. A pag. 230, Punto 46. Ovvero, mentre l’idea astratta dell’organismo è espressa veracemente in questi tre momenti… Sensibilità, irritabilità e riproduzione. …solo in quanto essi non sono qualcosa d’immoto, essendo anzi soltanto momenti del concetto e del movimento; l’organismo stesso, come figurazione, non è invece inquadrato in tali tre distinti sistemi come l’anatomia li ha elencati. In quanto tali sistemi debbono venir trovati nella loro effettualità e legittimati mediante questo trovare, deve si anche rammentare che l’anatomia non presenta soltanto tre siffatti sistemi, ma molti altri ancora. Quindi, a parte ciò, il sistema sensitivo deve avere in generale un significato del tutto diverso da quello che vien chiamato sistema nervoso;… Perché il sistema nervoso non è localizzabile nei nervi che trovano i medici. …il sistema irritabile ne deve avere uno del tutto diverso da quello del sistema muscolare, e il sistema riproduttivo ne deve avere uno non meno diverso da quello degli organi di riproduzione. Nei sistemi della figura come tale l’organismo viene inteso secondo il lato astratto della morta esistenza; e i suoi momenti così presi appartengono all’anatomia e al cadavere, non già alla conoscenza né all’organismo vitale. Come parti morte essi hanno, anzi, cessato di essere, perché cessano di essere dei processi. Ci sta dicendo che non soltanto il sistema nervoso, così come è studiato dall’anatomia, non rende conto dei processi della sensibilità, ma preso isolatamente nemmeno esiste, perché esiste soltanto in relazione con gli altri elementi, esiste preso in questa dialettica. Se è fuori da questa relazione anche il sistema nervoso non esiste, non c’è. Poco più avanti. L’essenziale dell’organico, dato che questo è in sé l’universale, consiste anzi in generale nell’avere i suoi momenti altrettanto universali nell’effettualità, di averli cioè come processi penetranti per tutto; ma non consiste nel dare in una cosa isolata un’immagine dell’universale. Questo è ciò che tenta lo scientismo: dare in una cosa isolata l’immagine dell’universale, dare, per es., nella fotografia dei nervetti l’immagine universale della sensibilità, oppure da una radiografia del cervello l’immagine del pensiero. Punto 48. Per tal guisa, nell’organico va senz’altro perduta la rappresentazione di una legge. Vale a dire, tutte queste cose ci dicono che non è possibile stabilire nessuna legge, perché la legge muove da elementi astratti dal concreto e li fissa immaginando che ciascuno di essi sia l’universale; ma l’universale è l’intero, è l’intero organico, che è in continuo movimento. La legge vuol cogliere ed esprimere l’opposizione come lati quieti, e in essi la determinatezza che è il rapporto reciproco. L’interno, cui appartiene l’universalità apparente, e l’esterno, cui appartengono le parti della figura quiescente, dovrebbero costituire i lati corrispondenti della legge; ma tenuti così reciprocamente separati, perdono il loro significato organico; e alla rappresentazione della legge sta proprio a fondamento che i suoi due lati abbiano un indifferente sussistere per sé essente…  È contraddittorio: la legge vuole che ciascuno di questi elementi sussista per sé, mentre, come abbiamo appena visto, ciascun elemento, preso per sé, fuori dal concreto, dall’intero, non c’è. Ma ogni lato dell’organico consiste anzi nell’essere in lui stesso universalità semplice nella quale è risolta ogni determinatezza, nonché nell’essere il movimento di questa risoluzione. Ciascuno di questi elementi è in quanto è preso nel movimento. A pag. 233. Ma poiché appunto l’oggetto unifica immediatamente l’unità organica, l’infinito togliere o l’assoluta negazione dell’essere, con il quieto essere;… I due lati: da una parte l’elemento universale e dall’altra, invece, il movimento. Questi due lati vanno tenuti distinti nella scienza. …e poiché i momenti sono essenzialmente puro passare, così non resulta nessuno di siffatti lati nell’elemento dell’essere, quali per la legge vengono richiesti. La legge vuole che ciascuno di questi elementi sia per conto suo, che esista per sé, mentre ci sta che no, non esiste per sé. A pag. 241. Punto 60. Se invece consideriamo quest’altro lato dell’inorganico non come processo ma come quieto essere, allora esso lato è la coesione ordinaria, è una proprietà sensibile semplice postasi da un lato di contro al momento dell’esser-altro, che lasciato libero e scomposto in molte proprietà indifferenti, rientra, come il peso specifico, in quelle molte proprietà stesse;… Parla del peso specifico come uno degli elementi che dovrebbero essere qualcosa di universale, cioè, dare l’essenza della cosa, cosa che non avviene, ovviamente. A pag. 244 dice qualcosa che è un po' una summa di quanto detto prima. Ma l’organico è una singolarità che è essa stessa pura negatività e che perciò in se stessa cancella la determinatezza fissa del numero, la quale conviene all’essere indifferente. Questo è importante. Dice che l’organico è una singolarità che è pura negatività. Cosa vuol dire che è pura negatività? Vuol dire che è quella che è in quanto negazione di ciò che non è, e quindi è in quanto pura negatività. E, allora, dice, il numero che funzione ha, il numero che dovrebbe stabilire la proprietà particolare di qualche cosa? Essendo pura negatività cancella la determinatezza fissa di qualche cosa; nella negatività non c’è più nessuna determinatezza fissa perché ciascuna determinatezza è quella che è in relazione al movimento dialettico. Ma se ciascuna cosa è quella che è in relazione a un movimento dialettico, allora qualunque determinatezza fissa scompare; quindi, si perde anche l’utilità del numero. A pag. 245. Il genere, come organismo effettuale, si fa semplicemente rappresentare da un sostituto. Sarebbe il numero, in questo caso. Ma il sostituto, cioè il numero che sembra segnare il passaggio dal genere alla figurazione individuale, e offrire all’osservazione entrambi i lati della necessità, intesa e come determinatezza semplice e come figura sviluppata, progredita fino alla varietà; il numero designa piuttosto l’indifferenza e la libertà reciproca dell’universale e del singolo che dal genere viene abbandonato a una differenza priva d’essenza qual è quella della grandezza, ma che tuttavia, essendo qualcosa di vitale, si dimostra altrettanto libero anche da questa differenza. Qui “libero” è da intendersi nell’accezione per cui qualcosa non è vincolato a qualche altra cosa. Quindi, ci sta dicendo che il numero designa l’indifferenza dell’universale e del singolo, mentre, la legge voleva invece bloccare questa relazione, attraverso il numero, ma questo numero è totalmente indifferente a questa cosa, non ha nulla a che fare con loro. A pag. 247, Punto 65. Da ciò consegue che nell’esserci il quale ha una figura, all’osservazione può svilupparsi soltanto la ragione come vita in generale;… L’esserci, nell’accezione heideggeriana del termine: l’uomo così come accade. All’osservazione può svilupparsi soltanto la ragione come vita in generale, all’osservazione si sviluppa soltanto la ragione. È ciò con cui ho esordito: è la ragione che vede le cose. Punto 66. Oltre al fatto, dunque, che nella natura organica la ragione osservativa giunge soltanto all’intuizione di lei stessa… La ragione osservativa, cioè, io voglio osservare, e che cosa trovo? Me che osservo. L’unica cosa cui giunge non è altro che l’intuizione di me in quanto ragione che osserva. …come vita universale in generale, alla ragione medesima l’intuizione dello sviluppo e della realizzazione di quella vita diviene possibile soltanto secondo sistemi distinti in guisa del tutto universale, la determinazione o essenza dei quali non sta nell’organico come tale, anzi nell’individuo universale; e, - subordinatamente a queste differenze della terra, - l’intuizione dello sviluppo e della realizzazione di quella vita diviene possibile soltanto secondo distribuzioni in serie che il genere tenta di fare. Mentre, dunque, senza la vera mediazione che è per sé, l’universalità della vita organica nella sua effettualità deve precipitare immediatamente nell’estremo della singolarità, la ragione osservativa ha dinanzi a sé come cosa soltanto l’opinare;… Se lo astraggo dall’intero, dice, precipita immediatamente nella singolarità; la ragione osservativa ha dinanzi a sé come cosa soltanto l’opinare. Questo perché, come abbiamo visto, questo elemento astratto dall’intero non ha nessuna possibilità di essere inserito in una legge; quindi, posso soltanto opinare, pensare che sia così. …e se pur essa ragione possa avere l’ozioso interesse di osservare questo opinare, essa deve limitarsi alla descrizione e alla narrazione di opinioni e di capricci della natura. Quindi, c’è il passaggio dall’apparente scientificità alla retorica, all’opinare. Tale libertà dell’opinare, che nulla ha di spiritualità, offrirà invero embrioni svariatissimi di leggi, tracce di necessità, accenni a ordinamenti e a classificazioni, rapporti buffi e appariscenti. Tuttavia nel rapporto dell’organico con le differenze dell’inorganico, differenze date come poste nell’essere: elementi, zone, climi, ecc., l’osservazione, per quel che concerne la legge e la necessità, non va oltre il grande influsso. Non va oltre la chiacchiera. Così, dall’altro lato, dove l’individualità non ha il significato della terra… La terra sarebbe l’universalità. …anzi dell’Uno immanente alla vita organica … – dall’altro lato all’osservazione non è possibile fare un passo oltre i garbati rilievi, gl’interessati rapporti, le amabili offerte al concetto; ma i garbati rilievi non sono per nulla sapere della necessità, gli interessanti rapporti si arrestano all’interesse, mentre qui l’interesse non è altro che l’opinione intorno alla ragione; e l’amabilità con cui l’individuale accenna a un concetto è quella amabilità da bambini che quando in sé e per sé pretende di avere qualche valore, è anche fanciullesca. Se, quindi, non vogliamo attenerci all’opinare, alla retorica, non potremo fare altro che considerare che tutto il mio osservare le cose non è nient’altro che la ragione che osserva: Ma che cosa osserva? Osserva forse qualcosa che è fuori di sé? Se non può osservare nulla che sia fuori di sé, allora la ragione osserva se stessa osservare. Non può fare altro. Osservandosi osservare, non fa che cogliere la sua essenza, che è quella di essere ragione, cioè movimento che va dall’in sé al per sé e ritorna all’in sé. Fa questo e non può uscire da questo, perché soltanto questo è l’intero, la verità, e cioè questo movimento dialettico in cui ciascun elemento è preso, per cui ciò che osservo, credendo di osservare la cosa, non è altro che il mettere in atto la mia ragione che osserva se stessa.