INDIETRO

 

 

11-9-2013

 

La volta scorsa ci chiedevamo come mai il discorso non si arresta ogni volta che conclude. Una delle istruzioni che vengono trasmesse insieme con il linguaggio è che ogni cosa deve essere verificata dalla realtà, cioè da ciò che si incontra, allora, se deve essere verificata dalla realtà, tutto ciò che accade, qualunque cosa, deve essere controllato perché non vada a negare delle proposizioni già accolte. Ha questa esigenza di continuo controllo che ciò che accade non neghi le informazioni acquisite, da qui la necessità di tenere tutto sotto controllo, e quindi di un lavorio incessante, ininterrotto. A questo punto questa macchina, cioè il linguaggio, deve valutare incessantemente se le proposizioni che ha acquisite non sono contraddittorie rispetto a ciò che accade perché ciò che accade è la realtà, e la realtà è il vero con il quale ogni proposizione deve essere confrontata per potere essere utilizzata, che poi è questa la questione, se no se si rivela falsa cioè contraddice la realtà, quindi ciò che è pensata la verità, e non può più essere utilizzata. Allora ecco che il discorso è costretto a questo lavoro continuo, inarrestabile, che di per sé non sarebbe necessario se non avesse la necessità di questo controllo continuo con la realtà, però poi di fatto è incessante lo stesso, perché a questo punto continua a controllare altre proposizioni che vengono prodotte dal lavoro del linguaggio che produce altre proposizioni combinando le informazioni che ha insieme con altre, e queste nuove proposizioni devono essere vagliate e verificate in base a ciò che il discorso ha deciso essere, per esempio, una premessa universale come, per esempio, nel caso del discorso che stiamo facendo: qualunque affermazione si costruisca non deve contraddire la premessa da cui muoviamo, e cioè che qualunque cosa appartiene al linguaggio, se un qualche cosa non appartiene al linguaggio ecco che lì c’è un problema, perché sarebbe quell’elemento fuori dal linguaggio che in nessun modo può essere provato, quindi questa proposizione non può essere utilizzata in questo discorso. Un termine si mostra con un significato ma anche con un’infinità di significati, prendete il verbo latino fero,fers, tuli, latum, ferre che vuol dire “porto, portare” questo è il significato e dicevo che se si apre un buon dizionario di latino come quello lì, si trovano, sotto la voce fero, tre pagine di significati, come accade una cosa del genere Eleonora? Fero vuole dire “porto” e allora perché ci sono tre pagine di significati? Ci sono due aspetti perché possano esserci tre pagine di significati, occorre che ce ne sia uno di partenza che è quello che consente di utilizzare quella parola, se no non è utilizzabile, sarebbe come se quella parola io la pronunciassi in ungherese, consapevole che nessuno dei presenti parla ungherese, quella parola detta in ungherese non significa niente cioè non rinvia a niente, è un suono. Dunque se non ci fosse quel significato di ferre che dice che è uguale a “portare”, allora tutti gli altri significati non potrebbero darsi perché quel significato, che è poi quello di uso più comune, quello che viene utilizzato per lo più, quello che è stato stabilito essere quello che ha un maggior numero di occorrenze come significato. Questo ci induce a una considerazione che ha qualche interesse, e cioè che la prima cosa che è necessaria per il funzionamento di questa macchina che chiamiamo linguaggio è che di un termine venga stabilito qual è il suo uso, a questo punto il termine è utilizzabile, cosa vuole dire che è utilizzabile? Vuole dire che può essere utilizzato dai discorsi, proposizioni, racconti, storie varie in vario modo. Ciò che Freud dice della fantasia va proprio in questa direzione, perché con fantasia potremmo indicare “l’apparire di ciò che appare nel modo in cui appare”, vuole dire che a ciascuno appare in un certo modo che è diverso dagli altri, e così come la parola fero in latino in tutte le varie frasi che vengono riportate come esempio, ma anche un dizionario per quanto buono ne riporta un tot ma ce ne saranno uno sterminio di più, all’interno di ciascuna di queste frasi il significato si modifica, magari non di tanto, magari invece di tanto, ma si modifica ed è esattamente quello che dice Freud a proposito delle fantasie: è la sua fantasia cioè il modo in cui si costruisce qualcosa che determina il significato di quell’elemento in quel momento. Verdiglione a suo tempo diceva che le fantasie, le idee, sono operatori, la intendeva come un operatore logico, quello che in logica si chiama “connettivo”, cioè le idee connettono le varie affermazioni, e le connettono nel modo in cui le connettono e se consideriamo le fantasie, beh dicono del modo in cui vengono connesse e quindi strutturati i discorsi che sono sequenze di affermazioni in definitiva. Quindi volendo potremmo anche accogliere questa proposta di Verdiglione che credo forse vada anche un po’ al di là di quello che lui intendeva dire ma la cosa non ci interessa. Le affermazioni sono legate fra loro dall’idea, dalla fantasia e la fantasia è l’apparire di ciò che appare nel modo in cui appare, quindi le cose appaiono a ciascuno in un certo modo ma è questo modo che stabilisce qual è il significato di quel termine e, di conseguenza, della proposizione. Sappiamo dalla teoria composizionale che il significato di una proposizione è la somma dei significati dei singoli termini quindi a questo punto il significato della proposizione si modifica nel momento in cui si modifica il termine, che è poi la nozione di struttura, quella proposta da Benveniste, questo per dire come il significato vari incessantemente, come sia qualcosa che è sempre in movimento perché la fantasia muta in base a ciò che appare, solo che ciò che appare, appare nel modo in cui appare di volta in volta sempre differente, ed è differente perché inserito in una combinatoria differente. La cosa interessante è che questo giocare continuo dei significati è ciò che muove continuamente il discorso e rende impossibile stabilire, come vorrebbe invece la nevrosi, che le “cose stanno così”. Se noi volessimo immettere in una macchina Eleonora un lavoro del genere, cosa dovremmo dire a questa macchina perché si comporti così, più o meno come noi? E cioè pensi in modo squinternato, inconcludente, a vanvera senza nessun costrutto? Intanto per prima cosa dobbiamo dargli delle informazioni, per esempio torniamo all’esempio del latino fero che vuol dire “porto”, quindi deve utilizzare un termine, cioè sapere che un termine è utilizzabile perché ha un rinvio…

Intervento: fornirgli tutti i modi in cui può utilizzarlo…

Non puoi fare una lista esaustiva anche perché questa lista è sempre in movimento, sempre in fieri, cambia a seconda dei tempi (beh l’aggiorni) no, non c’è bisogno di fare una lavoro del genere, Turing avrebbe fornito una soluzione più semplice: anziché immagazzinare un numero sempre maggiore di elementi, costruire un algoritmo che consenta di giocare con un termine in tutte le varie posizioni in cui può giocare, e cioè dire alla macchina che quel termine può agganciarsi secondo certi parametri a un numero infinito di proposizioni, senza fare l’elenco di tutte le proposizioni. Un algoritmo è un metodo di calcolo, che rende il calcolo più semplice…

Intervento: per esempio volendo dare l’istruzione per il gioco che noi andiamo facendo a una macchina, il gioco che noi andiamo facendo afferma che qualsiasi cosa appartiene al linguaggio quindi è questo che determina il gioco…

Non può essere un’unica istruzione, però può essere quella istruzione alla quale tutte le altre affermazioni devono essere rapportate per essere accolte: se un’affermazione conclude che una certa cosa è fuori dal linguaggio non viene utilizzata. In una macchina tecnicamente non c’è questa istruzione, ma non c’è quell’istruzione che nega una cosa del genere, perché la macchina trae le sue condizioni di verità unicamente dalle regole che sono state immesse, non cerca niente fuori dalla macchina, di fatto è già funzionante a questa maniera mentre l’umano come abbiamo visto cerca la prova, la conferma dalla realtà, la macchina non ha bisogno della realtà ma semplicemente delle regole di calcolo che sono state immesse e solo quelle, non ha bisogno di altro. Basta solo un algoritmo che dica qual è l’utilizzabilità di un termine, e in base a quali criteri questo termine può essere utilizzato, dopo tutto quando si inventa un neologismo si fa un’operazione del genere, cioè si piega un termine e lo si aggancia ad altri termini ai quali prima non era connesso dicendo per quale via si è agganciato, si è aggiunto un elemento, e da quel momento questo elemento può essere utilizzato come neologismo tranquillamente mentre prima non aveva nessun aggancio con gli altri termini, dopo, a un certo momento gli si danno questi agganci e dopo ce l’ha. Si modifica la nominazione di un termine e lo si allarga per esempio ad altri significati, apposta c’è l’algoritmo, per limitare l’uso se no non ci sarebbe bisogno, l’algoritmo gli si fornisce una rosa di possibilità: ogni volta che trovi un elemento che richiama direttamente o indirettamente questo termine, questo termine può essere connesso in qualche modo a quell’altro termine. Prendi il significante “rosa”, non è soltanto connesso nel nostro dizionario personale a tutte le possibili varianti botaniche, “rosa” può essere un nome, può essere un gesto, può essere un sasso (la rosa del deserto) e quindi incomincia ad agganciarsi non solo a tutti questi altri elementi ma ad altri ancora che sono richiamati da questi. Per esempio “Rosa” è il nome di una donna che può richiamare il nome di una nonna, e quindi incomincia ad agganciarsi alla nonna e a tutto ciò che è agganciato alla nonna. Capisci che c’è un’estensione immensa nel giro di pochi secondi…

Intervento: queste connessioni sono insegnate…

Negli umani dici? Sì, ma vengono insegnate allo stesso modo, vengono insegnate perché quando insegnano la parola “rosa” intanto ti mostrano il fiore per esempio, fanno vedere qualche cosa o il fiore o la sua immagine…

Intervento: si dà un’idea di sensatezza? Come fa il linguaggio a riconoscere se questo è sensato, logico o illogico, naturale o innaturale?

Basta che le informazioni che possiedi non si contraddicano tra loro, allora è sensato…

Intervento: quando una persona “svalvola” è perché in quel momento si sta contraddicendo con qualche cos’altro…

Perché dici che “svalvola”, magari per lei non è “svalvolamento” sei tu che hai certi parametri e in base a certi parametri stabilisci che “svalvola” ma di per sé non significa niente una cosa del genere, e certo la macchina non “svalvola” e perché? E perché l’umano non lo segue in maniera meccanica potrebbe anche farlo, perché non lo fa? Cosa interviene? Dovresti sapere rispondere tenendo conto della teoria semantica avanzata da Freud, che è fatta di fantasie e quindi di cose che hanno valore, importanza, se qualcosa per qualche motivo ha più importanza di un’altra viene accolta lo stesso anche se contraddice la prima per il solo fatto che è più importante…

Intervento: dunque la macchina non potrà mai arrivare a pensare come l’uomo…

Infatti abbiamo detto che manca alla macchina la fantasia di potere, cioè l’esigenza di confrontare ogni cosa con la realtà, è questo che la rende differente dagli umani, e molto più affidabile per molti versi. Gli umani seguono le loro fantasie che come dicevamo prima cambiano continuamente, una persona ad un certo punto è convintissima di una cosa poi vede un dettaglio e parte tutta un’altra fantasia, si scatena un’altra fantasia e pensa tutt’altre cose…

Intervento: se la macchina non si confronta con la realtà allora la macchina non potrà mai pensare come un umano…

Ma glielo possiamo insegnare se vuoi, dicevo tempo fa, che ci sarà sicuramente qualcuno, perché gli umani sono fatti così, soltanto per il gusto di provare ad altri che lui è il più bravo di tutti, riuscirà a mettere in una macchina anche una cosa del genere, a quel punto la macchina penserà esattamente come gli umani.

Intervento: la fantasia è una combinazione, è ciò che consente la combinazione cioè è il connettivo adesso per accogliere l’ipotesi di Verdiglione…

Quello che dici non è errato, in effetti definendo la fantasia, come abbiamo detto prima, e cioè come ciò che appare nel modo in cui appare, il modo in cui appare è ciò che deciderà della conclusione e quindi del significato della proposizione in cui la fantasia è inserita, cioè la fantasia ti dice il modo in cui ti appare qualcosa. Se tu mi dicessi che quella sedia lì in realtà è il tuo bisnonno, direi che è una tua fantasia, perché a te appare così, a me no per esempio, ora il modo in cui ti appare quella sedia, cioè come il bisnonno, determina il significato del discorso in cui questa cosa è inserita, in questo senso dicevo prima che si può parzialmente utilizzare questa ipotesi di Verdiglione, cioè della fantasia come quella cosa che connette le varie affermazioni e determina alla fine come prodotto il significato di un discorso.

Intervento: l’altra volta lei parlava del motivo e diceva appunto che il motivo è quell’ “operatore” tra virgolette che consente ciascuna volta…

Il motivo è una fantasia, l’altra volta l’avevamo presa da un lato differente, sono due approcci leggermente differenti della stessa questione, il motivo è dato dalla fantasia, cioè dalla fantasia di potere, cioè dall’esigenza di concludere con un’affermazione che risulti vera e sia accolta come vera anche dagli altri, perché abbiamo visto la necessità del confronto con la realtà, e gli altri fanno parte della realtà e quindi devo chiedere sempre a Eleonora se dico bene o dico male…

Intervento: quindi è come se io dicessi che il linguaggio non si può fermare per questa necessità di verificare e dunque di creare fantasie…

Quando tu verifichi qualche cosa pensi che quella sedia sia la bisnonna, poi verifichi in base ad altre informazioni perché hai visto la foto della bisnonna, la raffronti alla seggiola, vedi che c’è una differenza e incominci a pensare che forse non è proprio la bisnonna, ora questo può, sì produrre certo altre fantasie, e allora dici “non è la nonna”. Ma che possa crearsi una fantasia è una possibilità non la vedrei come una necessità…

Intervento: non so se regge la conclusione di Verdiglione…

Ma possiamo farla reggere, o possiamo farla crollare se vogliamo, questo è uno dei vantaggi del sapere che ciò che si sta facendo è un gioco linguistico, cioè non ha un riferimento al di fuori del gioco e non dobbiamo confrontarlo con la realtà, per cui le cose effettivamente stanno così e quindi se diciamo cose che non si adattano al modo in cui “stanno le cose” ecco che siamo nell’errore. L’unico riferimento che possiamo stabilire in qualche modo è che, perché per il momento non abbiamo trovato controindicazioni, è che ciascuna cosa appartiene al linguaggio, quindi se verifichiamo che qualcosa che stiamo affermando dice il contrario di questo allora è complicato, perché questa cosa appare straordinariamente ardua da verificare, ma al di fuori di questo sono giochi linguistici. Quello che dovrebbe fare un’analisi è proprio questo, adesso per inserire un dettaglio, un elemento clinico, e cioè fare intendere che ciascuna cosa che la persona fa è un gioco, è un gioco perché essendo determinato da fantasie il significato è sempre in movimento, cambia continuamente, tutto ciò che afferma non ha un riferimento fuori da questo gioco, è lì si svolge tutto, quindi tecnicamente può fare qualunque cosa, può costruire qualunque cosa e il suo contrario, non avendo la necessità, salvo che per dei giochi linguistici che sono acquisiti e che servono per muoverci nell’ambiente in cui ci muoviamo, per cui se devi compre due bistecche di carne non vai dal tabaccaio, ti avvali di queste regole sapendo benissimo di che cosa sono fatte, regole stabilite per convenzione, per sveltire certe operazioni che facciamo tutti i giorni per cui di fatto anche comprendere e sapere perfettamente tutto ciò non è che modifica la tua esistenza, entro certi limiti, semplicemente sai, hai una sorta di consapevolezza di quello che stai facendo in ogni momento ma continui a utilizzare tutti gli infiniti giochi linguistici che si utilizzano durante la giornata.

Intervento: sicuramente il controllo che ciascuno intrattiene con la realtà e quindi con ciò che gli serve per affermare delle cose, viene allentato al massimo, e quando Freud parla di rimozione e dice del “dispendio” della rimozione è proprio questo controllo estremo sulle cose del mondo…

Certo, perché quando una persona costruisce il suo discorso senza sapere che è fatto di fantasie, immagina che l’ultima affermazione corrisponda alla realtà, ma anche questo confronto come avviene? Confronta che cosa? Confronta ciò che lui crede sia la realtà e sta qui l’inganno micidiale, e quindi costruisce un’altra credenza che dovrebbe verificare la prima. Eppure è così che funziona, e dopo un giro teoretico si torna alla questione clinica perché poi è lì la questione che in parte ci interessa, cioè trovare i modi perché la persona possa accorgersi che la sua chance è continuare a giocare. Quando uno conclude una certa cosa e crede che sia così smette di giocare in quella direzione, non gioca più e così diventa una cosa seria, seriosa, occorre “insegnare” tra virgolette a continuare a giocare in modo che ciascun discorso, ciascuna sequenza possa continuare a giocare e quindi a non arrestarsi, e quindi non attestarsi su qualche cosa che ha verificato con la realtà, cioè con un’altra fantasia.

 


 [D1]

 [D2]