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11-6-2014

 

L’intendimento di Greimas è costruire una semantica strutturale, quindi intendere come sono fatte le parole e quali sono gli elementi che si connettono e come si collegano e per quale motivo. Che è la cosa che ha interessato da sempre anche noi. Prendete un lessema qualunque, “testa”, in questo lessema, questo vocabolo, qual è il nucleo semico? Per Greimas il nucleo semico è la minima unità di significazione, cioè ciò che il vocabolo “testa” non può non essere. Dicevamo che occorre che un lessema, un termine, un vocabolo, una parola possa essere utilizzata, quindi deve avere un rinvio ovviamente perché è un segno comunque, e lui Greimas proviene da De Saussure e quindi anche per lui la parola è un segno. Ciò che non può non dirsi di testa è “parte del corpo”, meno di questo non possiamo dire. Questo elemento minimo di significato, il nucleo semico, è la più piccola parte, che più piccola non si può ridurre, perché se no si perde il significato, non significa niente. Però un lessema non è fatto solo di questo, un lessema dice delle cose, quando dico “testa” dico tante cose, posso usare questa parola in tanti modi, e allora non c’è solo il nucleo ma ci sono i semi contestuali, cioè altre unità di significazione che si agganciano al nucleo, quindi nucleo semico + semi contestuali danno il lessema. La parola è fatta di questo. I semi contestuali sono fatti in modo tale che forniscono al lessema una sorta di ambito entro il quale questi semi possono essere utilizzati, se io dico per esempio “tavolo”, un sema contestuale può riguardare l’orizzontalità, può riguardare la consistenza, ma non può riguardare per esempio il sema “verticalità”, questo lo esclude perché un tavolo non è verticale. Avvertite già che c’è un qualche cosa che potrebbe essere problematico: questi semi contestuali in effetti da dove arrivano? Per Hjelmslev è qualche cosa di aprioristico, per Greimas no, lui cerca di intendere non tanto da dove arrivano ma come si connettono fra loro, e arrivano dal contesto, arrivano da tutte le informazioni che la persona ha acquisite mano a mano che ha imparato il linguaggio, cioè mano a mano lo ha implementato con nuove informazioni, viene da lì, non c’è nulla al di fuori di questo. Questi semi contestuali non sono naturali, vengono dall’uso. Per esempio il lessema “alto” ha dei vari semi contestuali che sono per esempio la “dimensionalità”, la “spazialità”, eccetera cioè tutto quello che può essere applicato al nucleo semico. Chi stabilisce che cosa può essere applicato? Questo Greimas non lo dice comunque dice che il lessema non ci appare più come una semplice collezione di semi cioè di altri elementi più piccoli, ma come un insieme di semi collegati tra loro da relazioni gerarchiche. Nella relazione gerarchica c’è un primo, un secondo, un terzo a seconda dell’importanza della cosa, della connessione, per esempio il sema più importante in un tavolo è l’orizzontalità poi altri semi gerarchicamente vengono dopo, come il fatto che sia di legno per esempio, dice la comunicazione è un atto e soprattutto una scelta all’interno dell’universo significante a partire dal quale essa opera, la comunicazione sceglie ogni volta determinate significazioni e ne esclude altre, essa rappresenta quindi l’esercizio di una certa libertà ma di una libertà limitata. Questo per lui è importante, il fatto che non qualunque sema possa intervenire come sema contestuale all’interno di un lessema, di una parola, una qualunque, perché alcuni hanno una relazione fra loro oppositiva, per esempio “verticalità” non può comparire nel lessema “tavolo”, non può comparire, lo esclude. Il lessema è fatto del nucleo semico più i semi contestuali, il semema è l’effetto di senso che si produce dal nucleo semico insieme con i semi contestuali, è sempre connesso, perché non esiste il sema da solo è sempre preso in una rete gerarchica di connessioni il nucleo semico la cui combinazione con i semi contestuali provoca sul piano del discorso quegli effetti di senso che abbiamo indicato come sememi, questi sono gli effetti di senso. Se io insieme con il nucleo semico “testa” cioè parte del corpo, metto “testa di un palo”, “avere debiti fin sopra la testa” eccetera, qui “testa” ovviamente comporta dei semi contestuali ciascuna volta differenti, i quali però hanno tutti una gerarchia rispetto al nucleo semico, sono collegati con il nucleo semico, da qui l’idea di Greimas che dice che c’è libertà parlando, ma non assoluta. Possiamo costruire rubriche di segni per esempio “estremità” + “superiorità” + “verticalità”, questi comportano appunto la testa di un palo, abbiamo qui tre semi, dice lui, però per esempio in “ testa di una trave”, “testa di un canale”, “stazione di testa” allora qui i semi contestuali variano, c’è sempre “estremità” ma non più “superiorità” né “verticalità” ma c’è il sema “anteriorità”, “orizzontalità”, eventualmente “continuità” e così via, in altri casi ancora come “vettura di testa”, “testa del corteo”, “perdere la testa”, il primo è sempre l’estremità”, che è un po’ il nucleo semico. Adesso io dico cose che a Greimas magari non piacerebbero tanto, ma è per renderla più facile. A questo nucleo si aggiungono di volta in volta la “superiorità” e la “verticalità” oppure l’“anteriorità” + “orizzontalità” + “discontinuità” come “vettura di testa”, c’è sempre l’“estremità” la testa, il nucleo semico, poi l’“anteriorità” perché la vettura è davanti, c’è l’ “orizzontalità” le vetture sono orizzontali, più la “discontinuità” perché le vetture possono essere discontinue. Questo per dare una prima idea di come si sta muovendo Greimas: la testa può avere come sema anche la “sfericità”, per esempio un pomello, questa analisi del nucleo semico di “testa” permette, nell’ipotesi che sia stata condotta correttamente, di gettare un po’ di luce su quello che abbiamo designato forse impropriamente col nome di “nucleo” di un lessema. Il nucleo quale si presenta nel nostro esempio specifico non è né un sema isolato né un semplice raggruppamento di semi ma una costellazione di semi che va dalle varie manifestazioni possibili della struttura elementare ai gruppi strutturali più complessi e che collega tra loro semi appartenenti a semi in una certa misura indipendenti, per esempio “estremità” e “superatività” sono semi autonomi, “estremità” non comporta la “superatività” (stare di sopra), quindi dice che sono semi autonomi eppure fanno parte, pur essendo autonomi, diceva prima, che non siano disposti in una gerarchia ma sono autonomi riferibili cioè a due categorie semiche non necessariamente concatenate: “estremità” e “superatività” non sono concatenate, non dipendono l’una dall’altra, designeremo un simile nucleo semico caratterizzato da relazioni gerarchiche tra i semi che lo costituiscono e tale da non superare le dimensioni del lessema come una figura nucleare semplice. Adesso parla di figura nucleare dove insieme con il nucleo semico ci sono altri semi contestuali che però fanno parte del nucleo semico, cioè sono inscindibili in un certo senso dal nucleo semico che lui chiama a questo punto non più nucleo semico ma “figura nucleare semplice” introducendo un nuovo concetto operativo diremo quindi che i semi i quali nella manifestazione sono formatori di figure nucleari rinviano a sistemi segnici di particolare natura, l’insieme dei quali costituisce il livello semiologico dell’universo significante, cosa vuol dire? Che tutti questi semi che in qualche modo fanno parte in modo solidale con il nucleo semico, che a questo punto è una figura, la chiama lui, cosa fanno? Rinviano a sistemi segnici di particolare natura, connessi in qualche modo con la figura nucleare ovviamente, l’insieme di tutto questo costituisce il livello semiologico dell’universo significante. Lui distingue fra livello semiologico e livello semantico, il livello semiologico è quello di questi raggruppamenti di semi, semi contestuali insieme col nucleo semico, che a loro volta comportano altri semi all’interno eccetera, tutto questo è il piano semiologico fatto esclusivamente di segni, non ci sono significati ancora, infatti lui lo distingue dal piano semantico dove intervengono i significati, all’inizio di questo capitolo avevamo definito in via provvisoria il semema come combinazione del nucleo semico e dei semi contestuali, cercando di precisare ulteriormente questa definizione abbiamo poi tentato di comprendere meglio il nucleo semico a cui abbiamo dato il nome di figura nucleare, ci resta ancora da precisare la condizione degli elementi del contesto che entrano a costituire il semema perché sia un’unità di significazione entrano molti altri semi inesorabilmente. Ciò che hanno in comune con le isotopie, dei gruppi e un sema in comune ovviamente, per esempio parla di “abbaiare” questo nucleo semico può connettersi con semi contestuali come il “cane”, la “volpe” e lo “sciacallo” e quindi il primo sema è “animale” ma può anche attribuirsi agli esseri umani all’uomo per esempio “Diogene, questo ambizioso che abbaia” potremmo dire che le due classi sono caratterizzate ciascuna dalla presenza di un sema comune alla classe nella sua totalità, nel primo caso si tratterà del sema “animale”, nel secondo caso del sema “essere umano”. Per lui è fondamentale perché lui spiega tutto attraverso la presenza di un sema nucleare o di una figura semica come la chiama adesso, come elemento che connette una certa catena con un’altra, hanno in comune questo, poi lo vedremo meglio quando farà degli esempi su barzellette eccetera, questa prima formulazione permette come si vede di confermare la nostra definizione del lessema il quale appare così come un modello virtuale che sussume l’intero funzionamento di una figura di significazione ricoperto da un formante dato un elemento che dà forma ma anteriore a qualsiasi manifestazione del discorso il quale da proprio conto può produrre solo semi particolari. Qui torna a quello che diceva prima rispetto alla libertà, cioè quando io parlo dico delle cose queste cose ovviamente hanno un nucleo semico, dei semi contestuali, però mentre io sto parlando molti di questi semi non sono presenti in quello che dico, ma sono presenti comunque, per farla breve è la distinzione che faceva De Saussure fra Langue e Parole, la Langue è l’universo di tutte le possibili combinazioni di semi, la Parole è l’esecuzione che quindi sceglie un sema e scarta gli altri, diceva De Saussure nella lingua non ci sono se non differenze, a questo punto possiamo renderci conto della funzione esercitata dal contesto inteso come unità del discorso superiore al lessema cioè ciò entro il quale il lessema è situato, in un universo, esso costituisce un livello originario di una nuova articolazione del piano del contenuto infatti il contesto al momento stesso in cui si realizza nel discorso, il contesto cioè questo universo di cose, funziona come un sistema di compatibilità e incompatibilità fra le figure semiche che ammette di unire o meno, e si intenda per “compatibilità” il fatto che due nuclei semici possono combinarsi con un medesimo sema contestuale, per esempio due nuclei semici uno era “testa” l’altro “tavolo” mettiamo, ci sono dei semi contestuali che possono essere comuni a entrambi ecco che allora avviene questo fenomeno, e cioè la connessione fra i due nuclei semici che è possibile soltanto se c’è un sistema di compatibilità che in questo caso è determinato da dei semi contestuali, in questo caso, può essere altro però occorre che ci sia questo elemento comune a entrambi. “Classemi” sono classi di semi, qui fa una generalizzazione mentre le figure semiche semplici o complesse, nucleo semico, dipendono dal livello semiologico globale livello di segni, di cui costituiscono le articolazioni particolari pronte a inserirsi nel discorso come dire son tutti lì pronti in attesa che qualcuno parli, permettetemi questo , i classemi dal canto loro si compongono in sistemi di carattere diverso e appartengono al livello semantico globale, il manifestarsi del quale garantisce l’isotopia dei messaggi e dei testi ora lui sta dicendo che c’è una connessione strettissima tra il piano semiologico e quello semantico perché sono i classemi, cioè questi gruppi di sememi che formano il discorso e il significato, che a questo punto è del discorso, ma non più del sema, introducendo due livelli di significazione (semiologico e semantico) nella divisione dell’universo significante intendiamo soprattutto sottolineare la reciproca autonomia di questi livelli stessi, resta comunque inteso che i due livelli considerati insieme costituiscono l’universo immanente della significazione, il quale è anteriore di diritto alla manifestazione di discorso degli elementi costitutivi suddetti. C’è un richiamo alla questione che poneva Hjelmslev del Sistema e del Processo, della Langue e della Parole poi grosso modo queste strutture sono le stesse che si ripetono con nomi diversi, perché ciascuno le chiama come vuole lui, con delle varianti ma l’impianto è quello. Ecco qui parla del simbolismo il campo semiologico costituisce ora il punto d’incontro di molte delle scienze umane, ci sembra opportuno quindi insistere sull’anteriorità logica e insieme sull’autonomia della struttura semiologica per precisare le posizioni di una semantica strutturale soprattutto nei confronti delle ricerche che si ispirano alla psicologia fenomenologica o genetica e possono spesso sembrare parallele alle nostre, pensiamo ai vari lavori sul simbolismo sulla sua natura, sulle sue origini eccetera … Qui c’è una problematica, stiamo parlando del simbolismo il problema riguardo alla natura simbolica della poesia, del sogno e dell’inconscio, quella specie di stupore di fronte all’ambiguità dei simboli, l’ambiguità stessa ipostatizzata in concetto esplicativo e l’affermazione del carattere ineffabile del linguaggio poetico, della ricchezza inesauribile del simbolo mitico, inducono persone acute come Lacan o Duran a introdurre nella descrizione della significazione giudizi di valore e a stabilire distinzioni tra “parola vera” e “parola sociale” tra una semanticità autentica e una semiologia volgare ma la semantica che intende essere una scienza dell’uomo cerca di descrivere dei valori e non di postularli. Sta dicendo che Lacan postula un valore rispetto al sogno, a qualche cosa che veicola un significato particolare ma lo ha postulato, il problema non potrebbe essere neppure formulato in questi termini, se invece di chiedersi perché una parola abbia vari sensi e come una parola possa significare una cosa e il suo contrario, si prendessero le mosse da una descrizione semiologica per studiarne poi le varie manifestazioni, ci si renderebbe allora conto che un simbolo eminentemente poetico non è poi molto diverso, non funziona diversamente da un lessema qualunque di una lingua naturale qualunque, come per esempio il nostro “testa”, si giungerebbe in altri termini a quella verità suggerita dal buon senso secondo cui tutto ciò che fa parte del dominio del linguaggio è linguistico, possiede cioè una struttura linguistica identica o suscettibile di confronto e si manifesta attraverso il formarsi di connessioni linguistiche determinabili e in larga misura determinate. Per questa via si arriverebbe forse a smitizzare quel moderno mito anagogico, l’anagogia è quella figura retorica per lo più che allude a qualche cosa di superiore, infatti Dante nella Divina Commedia parla di quattro livelli di lettura c’è quella letterale, quello politico, quello morale e infine quello anagogica, quello anagogico è quello spirituale, quello che guarda verso dio, mito anagogico per cui nel linguaggio ci sarebbero zone di mistero e zone di chiarezza /…/ Si tratta di un problema filosofico non più linguistico che il “fenomeno linguaggio” (non struttura) in quanto tale sia misterioso, ma non vi sono misteri nel linguaggio, il pezzo di cera di Cartesio non è meno misterioso del simbolo della luna, la semantica strutturale deve procedere a un’analisi dello stesso genere gli effetti di senso, i sememi, continuano certo a esistere in ambedue i casi ma il nuovo piano analitico della realtà, si tratti di chimica o di semiologia, non è per questo meno legittimo. Questo è importante, se qualche cosa è nel linguaggio è nel linguaggio, anche qualche cosa di poetico o di onirico, Verdiglione stesso ne parlava come l’indicibile ma no, dice Greimas, se è nel linguaggio è dicibile, e non è lontano da ciò che diceva anche Wittgenstein rispetto alla filosofia (lui parla di descrizione semiologica, ma la descrizione di qualsiasi cosa descriva procede dal significato). Greimas divide i due piani ma a scopo puramente descrittivo appunto, non è che si possono dividere, la descrizione semiologica è quella che facevo prima di “testa” che ha un nucleo semico più i semi contestuali e questo forma il semema, poi ci sono i classemi che sono classi di semi che si agganciano, e questa è una descrizione semiologica, ci siamo sforzati di dimostrare il simbolismo sotto qualunque forma appaia non si distingue di per se stesso dalle altre manifestazioni della significazione e che la sua descrizione è oggetto della medesima metodologia, questo crea un problema alla psicanalisi perché a questo punto il contenuto onirico può e deve essere reperito ovviamente attraverso una descrizione semica, semiologica, è ora opportuno precisare che sarebbe invece erroneo assimilarlo, parla del simbolismo, senz’altro al modo di esistenza delle strutture semiologiche benché per certi aspetti ad esso vi si avvicini, se il simbolismo per esistere come tale deve appoggiarsi al livello semiologico cioè deve dire qualche cosa esso costituisce pur sempre un riferimento ad altro ad un livello del linguaggio distinto dal livello semiologico, si potrebbe dire che il livello semiologico costituisce una sorta di significante, immagina questo, una sorta di significante che ha assunto entro un quadro anagogico qualsiasi, cioè un riferimento a qualche cos’altro, articola il significato simbolico e lo organizza in reti di significazioni differenziate cioè lo organizza come se questo “anagogico” di cui sta parlando avesse di per sé delle relazioni, magicamente. Il modo di esistenza del livello semiologico ci risulta, si tratta di un insieme di categorie di sistemi semici che si collocano e possono essere colti a livello della percezione, dice lui, paragonabile in sostanza alle percezioni visive e schematiche degli uccelli … Che permettono agli uccelli stessi di riconoscere i loro nemici o i loro amici in base alle opposizioni, “collo lungo” “coda corta” ecco lui dice che il livello semiologico è qualcosa del genere, cioè questa sequenza di semi è come se venisse riconosciuta in base a delle opposizioni come rinvio automatico a qualche cosa, la cosa potrebbe essere discutibile. L’eterogeneità del discorso l’isotopia del messaggio questo è un capitolo abbastanza importante: per meglio inquadrare i livelli operativi a livello semantico del contenuto, dobbiamo ritornare alla manifestazione della significazione (semema: sema nucleare + sema contestuale) e cercarvi le condizioni strutturali del funzionamento del discorso, in realtà quest’ultimo rivela non appena si cerchi di penetrarlo elementi apparentemente contraddittori, come spiegare il fatto che un insieme gerarchico di significazioni produca un messaggio isotopo? Isotopia dal greco: iso – stesso, topos – luogo, cioè hanno lo stesso luogo, cioè riferiti a uno stesso ambito una cosa infatti è certa, sia che si intraprenda l’analisi del discorso dall’alto, partendo da una “lessia” – discorso- definita come unita di senso, sia che si affronti l’ordinamento delle unità sintattiche più ampie partendo dalle unità costitutive minime, inevitabilmente si pone il problema dell’unità del linguaggio discutibilmente colto come un insieme di significazione, un discorso è un insieme di significazione, lui prima l’ha scomposto in pezzetti e adesso si chiede: come è possibile che da tutti questi pezzetti si costruisca un discorso che ha un suo senso, che non è necessariamente il senso dei pezzetti? Per dirla in modo rozzo la scuola linguistica danese ha affrontato correttamente il problema proponendo di fondare l’isotopia del messaggio sulla ridondanza delle categorie morfologiche, “ridondanza delle categorie morfologiche” che sono le categorie di forma, cioè assonanze, paronomasie, tutte queste cose provocano una ridondanza perché si ripetono, e questa ridondanza è necessaria alla comprensione del discorso infatti le unità sintattiche che sono di natura gerarchica, perché sono di natura gerarchica? Nome, predicato, complemento oggetto, di specificazione, proposizione principale, dipendente, subordinata, questa è una gerarchia sintattica, le unità gerarchiche sono di natura gerarchica se no non funzionerebbero, funzionano anche come schemi entro i quali vanno a collocarsi le iterazioni delle strutture morfologiche eccetera richiama alla concordanza soprattutto in latino, per esempio se un sostantivo è un accusativo singolare anche il suo aggettivo dovrà essere un accusativo singolare tali ridondanze grammaticali può già servire da modello per una comprensione dell’isotopia semantica del messaggio lui sta dicendo che perché questo messaggio, un discorso, venga capito occorre che ci sia un’isotopia, cioè che ci sia qualche cosa che rende il tutto omogeneo in qualche modo e cioè fare capire che si sta parlando di qualche cosa anziché di tutto e di niente, che è importante quando si fa un discorso ora scegliamo una storiella quanto mai normale. Brillante serata mondana molto elegante con invitati sceltissimi, ad un certo punto due di loro escono a prendere un po’ d’aria sulla terrazza “bella serata” fa uno dei due “ottima cena e che toilette” l’altro “questo poi non lo so non ci sono stato”. Qui gioca ovviamente l’equivoco di “toilette” che può essere inteso sia come abiti delle donne che come il gabinetto. Il primo intendeva toilette come abiti e l’altro intendeva toilette come gabinetto, e dice che non c’era stato. La storiella come miliardi di altre comporta un certo numero di tratti formali costanti, comporta obbligatoriamente due parti: il racconto presentazione e il dialogo, il racconto presentazione prepara la storia, è un breve racconto che stabilisce un piano omogeneo di significazione una prima isotopia, dice in quale contesto si svolgerà la cosa all’interno di quest’ambito e quindi questa è un’isotopia, il dialogo è il procedimento che utilizza la storiella e spezza l’unità di essa opponendo bruscamente una seconda isotopia alla prima, era chiaro che il primo tizio è all’interno di un’isotopia “belle toilette eccetera” il secondo, invece spezza questa continuità e introduce una seconda isotopia perché la “toilette”, per lui è all’interno di un altro contesto, non più bei vestiti delle signore ma “luogo di decenza”. Le due isotopie però, perché funzioni la storiella devono essere collegate, perché se invece di dire “no, non ci sono stato” avesse risposto “la petroliera si trova nel mezzo dell’Atlantico” certo che è un’altra isotopia, ma cosa vuol dire? Le isotopie sono collegate tra di loro da un termine connettivo comune, nei casi più semplici giochi di parole, doppi sensi eccetera l’identità o la semplice somiglianza del formante basta per collegare le due isotopie, non ci si deve chiedere se il formante “toilette” (in questo senso formante, cioè forma dell’isotopia) che ricopre due sememi diversi possiede una figura semica comune o meno (e in effetti ha due sememi diversi, noi diremmo due significati, per attenerci a quello che dice Greimas, due effetti di senso diversi) il piacere della spiritosaggine sta nella scoperta di due isotopie diverse all’interno di un racconto ritenuto omogeneo, dunque la battuta spiritosa considerata come genere letterario, porta a livello della coscienza le variazioni delle isotopie del discorso, variazioni che nello stesso tempo si finge di dissimulare mediante la presenza del termine connettivo – nella nostra storiella il formante collettivo era “toilette” è questo l’elemento che mostra due sememi differenti e quindi due isotopie - nelle barzellette il frequente uso di “racconti presentazione” basta a mostrare il bisogno in chi le racconta di rassicurare il proprio uditorio, il narratore fissa solidamente il piano isotopo del discorso stabilendo per prima cosa un contesto ampio in cui egli può introdurre poi una nuova isotopia – quella cosa che solitamente si chiama creare l’attesa- la gente seria infatti sa sempre o crede di sapere di che cosa si sta parlando, mentre il dialogo umoristico è caratterizzato dall’uso parallelo e successivo di più isotopie, è perciò evidente l’importanza del problema della separazione delle isotopie e del riconoscimento delle dimensioni e dei contesti isotopi, esso costituisce anzi una delle difficoltà non ancora risolte nel campo della traduzione automatica – ai suoi tempi, qui si parla la pubblicazione è del 66 e allora l’informatica era proprio ai primi balbettii però già si ponevano delle questioni di traduzione automatica, come fa una macchina a capire tutte queste cose? Bisogna mettercele dentro in qualche modo, a un certo punto parla dell’espansione, di come un elemento possa espandersi quindi acquisire, inglobare in un certo senso altri classemi, altri gruppi di semi, l’espansione non è quindi la proprietà sintattica del discorso che consente l’aggiunzione di determinazioni successive per mezzo di termini manifestati l’uno dopo l’altro, ma è la proprietà del normale funzionamento del discorso, essa assume tutto il suo significato solo quando una sequenza in espansione viene riconosciuta come equivalente di una unità di comunicazione sintatticamente più semplice, tale equivalenza tuttavia è sempre possibile benché non sempre sia manifestata dal punto di vista lessicale, costituisce lo scarto strutturale che definisce il funzionamento metalinguistico del discorso – cioè dice c’è il piano letterale e uno metalinguistico, come diceva Freud, e lui lo cita tra poco “piano manifesto e piano latente” quello latente non c’è, non si vede. L’espansione è una definizione diversa dalla denominazione: prendete le parole crociate, le parole crociate vi forniscono delle definizioni di cui bisogna trovare la denominazione “lo è Elisabetta d’Inghilterra” “regina”, “Elisabetta d’Inghilterra” dovrebbe essere la definizione ma non è propriamente una definizione perché di Elisabetta ce ne sono dio solo sa quante, come fa a funzionare nelle parole crociate? Perché a uno viene in mente in quella situazione, mentre sta facendo le parole crociate, gli viene in mente la parola “regina”? adesso vediamo di arrivarci. Tutte le definizioni come “competizione” equivale a gara sportiva, “tugurio” equivale a abitazione misera, “balletto” equivale a danza figurata, “voglia” equivale a desiderio non sempre soddisfatto, “mare” equivale a distesa d’acqua, che non sono nuclei semici, badate bene, perché qui il nucleo semico, per esempio di competizione, potrebbe anche essere “gara sportiva” ma non necessariamente, potrebbe anziché “gare” mettersi “attività fisica”. Il nucleo semico è quella cosa della quale non si può dire di meno, per cui la denominazione comporta sempre un impoverimento semico in confronto alla definizione. Adesso arriva la parte che a noi interessa di più. Interessano qui quelle situazioni in cui si manifesta appunto, si mostrano i due piani, il piano manifesto e il piano latente ed è qui che ne parla e fa l’esempio: lui parte dalla definizione obliqua e cioè sono circonlocuzioni figurate, perifrastiche che occorre ricondurre a un piano isotopo di significazione e fa subito l’esempio in francese “colui che regna nei cieli – di Bossuet, un predicatore cattolico- e da cui dipendono tutti gli imperi, al quale soltanto spetta la gloria, la maestà e l’indipendenza, è anche il solo che si gloria di imporre la legge ai re, e che si gloria di dar loro, quando a lui piace, grandi e terribili lezioni.” Di chi sta parlando? Di dio. Dio sarebbe la denominazione di tutte queste parole. – è facile dire che questa definizione giacché si tratta veramente di una definizione può essere condensata sotto forma della denominazione “dio”, ma tali condensazioni è evidente per noi solo in quanto dà per presupposta la conoscenza anteriore alla descrizione di una certa civiltà cristiana e monarchica, in altri termini di un universo semantico immagazzinato -- se no non significa niente --- tali non sono tuttavia le condizioni normali della descrizione del contenuto e i vari procedimenti di analisi sono destinati per definizione a prescindere dal sapere innato, e qui ci avviciniamo alla questione della psicanalisi, diremo che una simile definizione è obliqua, perché presuppone la possibilità di stabilire l’equivalenza con la denominazione essendo insufficiente la base classematica a partire soltanto o quasi soltanto dagli elementi specifici, e cioè se noi consideriamo soltanto i semi, il nucleo semico quali sono i semi contestuali alla fine non riusciamo a capire che sta parlando di dio, sappiamo i significati di tutte le parole, tutto quanto, ma non riusciamo a capire che sta parlando di dio se non abbiamo questo universo che si chiama conoscenza. Poi un secondo esempio sembra un indovinello “Un colpo di lingua le fa chiudere una chiacchierata spesso familiare”. Il problema preliminare è il seguente: è possibile analizzare una simile definizione – lui la pone come una definizione di cui bisogna trovare la denominazione come avviene nell’indovinello - giungendo ad identificare il termine denominatore che la condensa? E se no quali sono le ragioni della sua illeggibilità? Per trovare una risposta tentiamo un’analisi formale della definizione, questa si presenta come una proposizione e comporta la funzione f che fa chiudere, tre agenti: x le (a lei) y una chiacchierata spesso famigliare, z un colpo di lingua. Per mettere in evidenza il tipo strutturale della definizione procediamo per prima cosa da alcune trasformazioni, l’elemento generico che ha il compito di stabilire l’equivalenza con la denominazione è presente nella definizione sotto forma di “le” anaforico, e comporta solo il classema agente - questo “le” non sappiamo chi sia, sappiamo solo che è un agente, qui parla di classema agente non più di semi contestuali perché è un insieme di semi contestuali che lui chiama “classema” – dato che la funzione f  “fa chiudere” comporta il sema fattivo, cioè fare qualcosa è possibile trasformare x che è un falso destinatario, il “le” in un destinatore soggetto, si ottiene così l’enunciato incompleto “x chiude y” ma la trasformazione della funzione f da fattiva in non fattiva è possibile solo se contemporaneamente si trasforma l’agente z presente come soggetto in circostante adiuvante, per cui si arriva all’enunciato completo che assumerà allora la forma “x chiude y per mezzo di z”. Come si vede la definizione così trasformata presenta molto più chiaramente la nuova variante della definizione obliqua, la base classematica ci è insufficiente per stabilire cosa vuol dire, vi è specificata non più per via di qualificazione ma di predicazione, prima era una qualificazione, qualificava il “tipo di colpo” per esempio “colpo di lingua” poi qualifica che cosa? “La chiacchierata spesso famigliare” qui abbiamo tolto le qualificazioni, le classificazioni ma abbiamo inserito le predicazioni, cioè “x chiude y per mezzo di z” ché sono predicati. Dicevamo che “chiudere” può significare sia “concludere” per esempio “concludere una chiacchierata” sia “serrare” chiudere la bocca le difficoltà di lettura delle sequenze sono dunque di due generi: primo, la definizione in quanto contesto non è isotopa sta parlando di cose diverse, “la chiacchierata famigliare”, “chiudere”, “lingua” sono tutte isotopie diverse non siamo in grado di postulare il resto dell’enunciato come invariante per nessuno degli elementi costitutivi dell’enunciato assunto come variabile, la registrazione dei classemi riconosciuti in genere per la loro ridondanza è perciò resa impossibile, cioè non riusciamo da questa cosa, essendoci assenza di ridondanza di elementi, a capire di che cosa sta parlando, poi x chiude y, y sarebbe “una chiacchierata spesso famigliare” con “un colpo di lingua” la quale resterebbe ancora predicativa cioè obliqua, supponendo che la definizione di y ci riveli il termine denominatore della chiacchierata spesso famigliare, che è “lettera”, la definizione obliqua “x chiude la lettera con un colpo di lingua” ci rivelerebbe probabilmente il suo segreto. “Il colpo di lingua le fa chiudere una chiacchierato spesso famigliare” la chiacchierata spesso famigliare è la lettera, il colpo di lingua è la lingua che passa sulla colla della busta, e questo era il significato nascosto, perché così d’acchito non dice nulla. Perché dice se è vero che un semema qualunque si definisce come un gruppo semico suscettibile di addizioni semiologiche che ne variano l’espressione si può sempre aggiungere qualcosa purché ci sia una connessione gerarchica esso è anche caratterizzato dalla totalità delle sue determinazioni possibili cioè dall’insieme di qualificazioni che gli si possono attribuire, cioè da tutti i semi contestuali che gli possiamo appiccicare o dall’insieme di predicazioni che esso ammette, in questo caso le affermazioni sugli oggetti simbolici del mondo sono praticamente in numero infinito, una definizione di parole incrociate del tipo “lo era Nerone” questo rimanda se si vuole a “tiranno” ma può corrispondere a molti altri epiteti, nomi, denominazioni, quante cose poteva essere Nerone? Infinite. Qui siamo proprio nel nucleo del funzionamento del linguaggio e stiamo vedendo nel dettaglio, anche se io salto infinite cose, e cioè il funzionamento del singolo vocabolo, come a un certo punto questo vocabolo significhi delle cose o possa significare cose diverse. Abbiamo sempre detto che, a seconda di come si inserisce questo elemento cambia il significato, lui sta vedendo in termini molto precisi qual è il meccanismo che consente tutto questo.