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11 maggio 2022

 

Aristotele Retorica

 

Questa sera iniziamo a leggere la Retorica di Aristotele, ma iniziamo dagli eleati, che precedono Aristotele. Perché dagli eleati? Perché gli eleati, anche se non lo hanno detto propriamente ma lo si può trarre dal loro pensiero, è come se avessero detto: badate, ogni volta che si parla si spalanca un abisso senza fine. Questo è come se avesse dato avvio alla retorica. Certo, gli eleati e i sofisti utilizzavano la retorica, ma in modo differente da come la pose Platone e poi, ancora di più, da Aristotele. I sofisti, e soprattutto gli eristi, avevano come obiettivo mostrare ciascuna volta all’interlocutore l’abisso in cui si trovava parlando. La retorica, invece, sorge dall’idea di potere illudere di chiudere questo abisso. E sta in questo la sua potenza, la sua capacità di persuadere: nell’idea di potere chiudere questo abisso e, di conseguenza, dominare l’ente. Io posso dominare l’ente solo se pongo un rimedio a questo abisso. Il potere della retorica consiste nel fornire questa illusione di dominare l’ente. Come? Del modo racconta in parte Aristotele, solo in parte. All’inizio dice che la retorica è analoga alla dialettica, distingue i vari discorsi della retorica, quello giudiziario, quello deliberativo, quello epidittico o parenetico, quel discorso volto a elogiare qualche cosa. Quindi, il discorso giudiziario, rivolto al passato, per es. un crimine commesso; quello deliberativo, rivolto al futuro, ciò che occorrerà fare al meglio per ottenere un certo risultato; quello epidittico, rivolto al presente, elogiare qualche cosa per qualche motivo. Aristotele fa queste divisioni, come sapete, lui è un classificatore. Ma c’è una cosa che dice e che è molto interessante; dà una definizione di retorica, non è la migliore ma la più interessante, e cioè la retorica allestisce uno spettacolo. La retorica fa questo: mette in scena uno spettacolo, attraverso le parole o, se sono a disposizione, le immagini. A che scopo? L’obiettivo della retorica è paralizzare, bloccare il pensiero, possiamo aggiungere, critico. In che modo? Attraverso lo spettacolo. Lo spettacolo fa questo, è un divertimento, letteralmente di-verte, cioè, porta fuori. La retorica allestisce uno spettacolo che ha l’obiettivo di impedire di pensare, cioè, di impedire di porsi domande, di interrogare. Bloccare il pensiero è la prima cosa da fare per persuadere, cioè, occorre eliminare tutti i pensieri contrari. L’extrema ratio è la censura, ma prima si tenta di eliminare il pensiero critico indicando la direzione che deve essere seguita, cosa che, per esempio, fa il discorso deliberativo. Quindi, ciò che la retorica mette in atto, e su questo Platone non aveva torto, anche se lo diceva per tutt’altri motivi, mette in atto un inganno, cioè mostra una direzione, impedendo al contempo di prendere una qualunque altra direzione. Questa cosa non avviene con i sofisti, loro non fanno assolutamente una cosa del genere, mostrano l’abisso; poi, cosa uno ne vuole fare sono affari suoi. Loro lo mostrano, c’è: parlando si crea questa cosa. Ma questa cosa che si crea, questo abisso, è un problema per la retorica. La retorica vuole persuadere, ma come faccio a persuadere qualcuno se questo qualcuno ha già presente l’impossibilità di cogliere l’ente per se stesso? La retorica fa questo, vuole mostrare qual è il vero ente. Da qui, anche se non propriamente per Platone ma sicuramente per Aristotele, la retorica ha una funzione educativa: mostra la via giusta. Per Platone era la dialettica a fare questo. Questo aspetto, che non è mai stato considerato, appare invece determinante, e cioè, torno a dire, che la retorica sia uno strumento, una tecnica, per non pensare, per blandire il pensiero, in modo da poterlo manipolare più facilmente. Ci occuperemo tra breve di quegli undici punti che pose Goebbels per la propaganda, che sono di grandissimo interesse retorico. Goebbels era stato ministro della propaganda nazista dal 1933 al 1945 e fu un genio della propaganda, tanto che ancora oggi, senza dirlo naturalmente, vengono utilizzati tutti i suoi punti, uno per uno, e posti in atto perché sono di una straordinaria efficacia. Ne dico solo uno: individuare più elementi o più persone e porli come un unico individuo contro cui scagliarsi; tante persone che pensano in modo diverso, che però pensano in modo contrario a come voglio io, devono essere identificate in un unico modello, in un’unica persona, in un’unica cosa, in un unico nome, per esempio, no vax. In un unico nome, in un’unica parola si raccolgono tutti coloro che pensano anche in modo diversissimo tra loro, ma questo non importa, perché comunque sono coloro che non pensano come voglio io e, quindi, li raggruppo sotto un unico nome. Questo era il secondo principio voluto da Goebbels per la propaganda. Avete la possibilità di avvertire come a tutt’oggi questi principi, stabiliti da Goebbels, siano attuali, praticati. Aristotele ci dice: 1355b. La retorica può essere definita la facoltà di scoprire il possibile mezzo di persuasione riguardo a ciascun soggetto. Questo compito infatti non appartiene a nessun’altra tecnica. Poi, distingue tra argomentazioni non tecniche e le altre tecniche. Intendo per argomentazione “non tecniche” quelle che non sono fornite da noi stessi, ma sono preesistenti, come le testimonianze, le confessioni ottenute con la tortura, i documenti scritti e cose del genere; “tecniche” quelle che è possibile fornire grazie a un metodo e dipendono da noi. Aristotele sottolinea molto spesso questo aspetto delle emozioni e dice, 1356a, La persuasione si realizza invece tramite gli ascoltatori quando questi siano condotti dal discorso a provare un’emozione: i giudizi non vengono emessi allo stesso modo se si è influenzati da sentimenti di dolore o di gioia, oppure di amicizia e di odio. E, difatti, dedicherà tutto il secondo libro alle emozioni. Poi, dice che gli strumenti principali sono l’entimema e l’induzione, cioè, la deduzione e l’esempio. Sottolinea fortemente questo aspetto dell’entimema. L’entimema è un sillogismo la cui premessa non è necessariamente vera, può essere solo possibile, probabile, può anche essere assente, ed è lo strumento più efficace nella persuasione. Queste sono cose che riguardano l’aspetto tecnico e che ci riguardano fino a un certo punto. È interessante, invece, quello relativo ai luoghi comuni. I luoghi comuni sono quelle cose credute dai più e per lo più e che consentono di cavarsi d’impaccio quando, per qualche motivo, l’argomentazione vacilla; allora si ricorre al luogo comune, cioè ciò che i più sanno o credono di sapere. Tutti sanno che…: questo è un utilizzo di un luogo comune. 1358b. E necessariamente l’ascoltatore è uno spettatore o uno che decide, ed è uno che decide rispetto o agli avvenimenti passati o a quelli futuri. Non dice altro rispetto a questo, però in questa riga dà la migliore definizione di retorica: uno spettacolo, dove l’interlocutore è lo spettatore, che deve usufruire e godere di questo spettacolo. Ma, come vi dicevo, lo spettacolo impedisce di pensare. Lo spettacolo mostra come stanno le cose, che sia il cinema, il teatro, ecc., non importa, dà comunque una visione delle cose, alla quale lo spettatore si attiene. Oggi con l’immagine questo riesce molto facilmente: si costruisce una scena, la si mostra e allora se vedo quello vuol dire che quello corrisponde alla realtà. C’è poi un continuo riferimento, da parte di Aristotele, ai suoi Topici, perché lì ci dice bene qual è la funzione dei luoghi comuni. La cosa che Aristotele non considera ma che interviene continuamente è l’intenzione della retorica. Come vi dicevo, la retorica indirizza verso una direzione, cioè mostra all’ascoltatore qual è la direzione da prendere, per esempio nel discorso deliberativo, e invita l’ascoltatore a seguire quella via, dandogli l’idea che sia quella giusta, e cioè che se proseguirà quella via avrà come “ricompensa” il dominio sull’ente, cioè saprà come stanno le cose. Tuttavia, la retorica non ha come obiettivo lo stabilire come stanno le cose ma il fare credere come stanno le cose. Riesce in questo proprio perché, costruendo uno spettacolo a vantaggio dell’ascoltatore, rende l’ascoltatore partecipe dello spettacolo, lo inserisce nello spettacolo, lo rende come un personaggio dello spettacolo, un attante, direbbe Greimas. E, quindi, gli dà importanza, gli dà importanza perché lo fa sentire parte di una cosa importante, perché tale è riconosciuta dai più. Tutto ciò che contribuisce a fare sentire importante una persona, tutto questo ha un effetto di potente richiamo. Il metodo suasorio è un metodo che deve fare sentire importante: questo è noto, anche se non viene mai detto esplicitamente, non viene mai detto da nessuno. Viene ripetuto costantemente, potremmo dire, tra le righe, però non viene mai esplicitato. Vien da pensare che non venga detto per non mostrare tutte le carte. D’altra parte, non si dice mai a chi si vuole persuadere in che modo lo si sta facendo, che tecnica si sta utilizzando. La retorica mostra sempre un vantaggio, allude a un vantaggio: raggiungere il bene, dice Aristotele. Sì, certo, lo diceva anche Platone, ma dice anche un’altra cosa interessante: che cos’è il bene? Ciò che è più desiderabile. Quindi, è ciò che è desiderato dai più ad essere il bene. Non vi ricorda qualcosa tutto ciò, riguardo alla verità, così come la poneva nella Metafisica? Si chiedeva: la verità da dove la traiamo? Dal metodo deduttivo. Sì, certo, ma alla fine che cosa troviamo? Quello che pensano i più: se tutti lo pensano sarà vero. È la chiacchiera. E anche per il bene dice la stessa cosa: il bene è ciò che è desiderato dai più. Non ha un altro fondamento se non ciò che i più pensano per lo più, cioè il luogo comune, la chiacchiera. Andando avanti dice quali sono i luoghi comuni: la forza, la bellezza, l’intelligenza e tutte queste storie, che sono banalità, non è che ci dicano un granché. Invece, qui dà un suggerimento. 1361b. Avere molti e buoni amici è cosa che non richiede spiegazioni, una volta che si sia data la definizione di amico: amico è colui che, se ritiene che qualcosa sia vantaggioso per l’altro, si impegna a farlo per lui. Ci dice, cosa poi ripresa da Goebbels, che le definizioni devono essere le più brevi possibili. Aristotele lo dice anche rispetto ai giudici, per quanto riguarda il discorso giudiziario: il giudice tendenzialmente è una persona semplice, capisce poco, quindi, occorre parlare a lui in modo molto semplice, come si fa con i bambini, sennò non capisce niente. Quindi, poche cose, chiare, semplici. Questo perché, come dicevo, scopo della retorica è bloccare, paralizzare il pensiero critico, il pensiero degli eleati, tanto per intenderci. Se l’altra persona pensasse come pensavano gli eleati non sarebbe persuadibile in nessun modo e di alcunché. Quindi, il pensiero è un ostacolo alla retorica, deve essere eliminato, in un modo o nell’altro. 1362a. Definiamo “ bene” ciò che viene scelto per se stesso, e per il quale scegliamo qualcos’altro, e che tutti gli esseri desiderano, o per lo meno tutti quelli che hanno sensazione e ragione, o desidererebbero, se avessero ragione; e, inoltre, per ognuno il bene consiste in ciò che in generale la ragione potrebbe assegnare a ciascuno e ciò che la ragione volta per volta assegna a ciascuno; inoltre, ciò in presenza di cui si ha una condizione di benessere e di autosufficienza, e l’autosufficienza stessa, e inoltre ciò che produce o preserva tali cose o cui esse conseguono, e quanto impedisce e distrugge ciò che è loro contrario. Quindi, il bene è ciò che viene scelto dai più, perché gli conviene. Ma possiamo anche intendere la convenienza e anche dare una definizione di bene ancora più potente di quella che fornisce qui Aristotele: è bene ciò che mi consente di dominare l’ente, cioè di fare quell’unica cosa che gli umani desiderano effettivamente. Parlare non è nient’altro che un tentativo di dominare l’ente, costante, continuo, ininterrotto. Ed è il motivo per cui si parla, non c’è un altro motivo.

Intervento: …

Il linguaggio è “per sua natura” retorica, è continua propaganda. Tra l’altro, il termine propaganda è stato inventato dalla Chiesa, dall’Inquisizione: Propaganda fidei. Che cosa propaga la propaganda? L’idea di potere dominare l’ente, la volontà di dominare l’ente. Dominare l’ente, quindi, richiudere quell’abisso che gli eleati, invece, avevano mostrato come inevitabile. La retorica deve illudere di potere, richiudendo questo abisso, dominare l’ente, perché finché c’è questo abisso l’ente non si domina. Se io dico una cosa, una qualunque cosa, questa cosa che dico da sola, irrelata, è nulla, diventa qualcosa nel momento in cui è relata, per esempio, al suo significato, alle sue determinazioni, a quello che è; soltanto questo significante diventa effettivamente un significante, sennò non significa niente, è niente. Ed è questo l’abisso che si spalanca: per dire qualche cosa devo dirne un’altra, che nega quello che dico. La volontà di potenza vorrebbe che questa cosa che dico fosse quella e nient’altro, in un modo irrelato, cioè che non dipendesse da altro. Ma questo è il problema del linguaggio, del linguaggio come problema: se non dipende da un altro, allora non c’è, non esiste. Ma io voglio che esista indipendentemente da tutto. Se fosse così sarebbe nulla, se è qualcosa è perché è in relazione con qualche cosa. È la stessa cosa che dicevamo tempo fa: è il λέγειν τί, il dire è necessariamente un dire qualcosa, il λέγειν da solo, senza il τί, non c’è, è nulla. Questo è il linguaggio come problema, questo è l’abisso che si spalanca, e cioè l’impossibilità radicale di determinare qualcosa se non attraverso ciò che quella cosa non è. Se io dico Cesare, Cesare è un significante, ma se non avesse nessuna relazione con nulla, Cesare sarebbe nulla, sarebbe un suono, un rumore, sarebbe niente; è quello che è perché relato, cioè, rinvia a una serie di cose, di significanti e di significati, ecc.; allora posso dire Cesare, sennò non potrei dirlo, non esisterebbe nemmeno come parola, sarebbe niente. Ecco, questo è ciò che la retorica illude di potere dominare. 1362b. Anche il piacere è un bene: tutti gli esseri viventi infatti per natura lo desiderano. Di conseguenza, anche le cose piacevoli e belle sono dei beni… Ciò che si desidera è bene. Qui ci sarebbe da fare una precisazione perché per Aristotele, così come per Platone, il bene è l’ente in quanto tale, è l’ente così come lui è, quindi, è il vero. 1363a. In generale, tutto ciò che è oggetto di preferenza è un bene: si preferisce fare quanto si è detto in precedenza, ciò che è un male per i nemici, ciò che è un bene per gli amici, e ciò che è possibile. Quindi, il criterio fondamentale è lo stesso che utilizza nella Metafisica: è un bene ciò che è tale per i più, così come la verità è tale quando lo è per i più. Certo che anche per Aristotele è imbarazzante giungere a questo, lui autore degli Analitici primi e secondi, del rigore logico, ecc. Com’è che la verità si fonda su quello che i più credono essere vero. Che razza di argomentazione è? E, infatti, che cosa fa? Utilizza la censura: oltre un certo punto è bene cessare di domandare, non si deve domandare. Fa poi tutto un lungo elenco di luoghi comuni ma non ci interessano. 1364b. sono inoltre più belle e più serie le materie di cui le scienze sono più belle e più serie: quale è infatti la scienza, tale è la verità che ne è oggetto, e ogni scienza ordina ciò che le compete. La scienza ordina, mettere ordine nelle cose, ordinarle per poterle calcolare, quindi devono essere ordinate. La scienza è ordine. Inoltre, ciò che gli uomini assennati – tutti, molti, la maggioranza o i migliori di essi – potrebbero giudicare o hanno giudicato il bene più importante deve necessariamente essere tale… Tutti, la maggioranza o i migliori, questi hanno già giudicato qual è il bene, e questo è il bene …o in senso assoluto, o nella misura in cui hanno giudicato secondo il loro senno. Questo principio è generale e vale anche per le altre cose, poiché sostanza, quantità e qualità sono tali quali potrebbero definirle la scienza e l’intelligenza. Badate a questa definizione bellissima. Avevamo definito bene ciò che ogni cosa, se possedesse intelletto, sceglierebbe. È una follia, nel senso che porre queste affermazioni a fondamento del pensiero mostra la pochezza dei fondamenti, che non ci sono, e ognuno, sia Aristotele sia Platone, si arrampicano sui vetri per potere stabilire un principio primo. È la famosa ricerca di Aristotele dei principi primi, che è la metafisica; che poi si accorge che il principio primo è tale solo se c’è il secondo. E questo già dà fastidio, perché non è più un principio primo; sì, posso porlo come primo, ma non esiste se non c’è il secondo, e questo Aristotele lo sapeva. 1365b. Inoltre, le cose in rapporto con la verità sono maggiori di quelle in rapporto con l’opinione:… Qui sta facendo tutto un discorso su che cosa è bene utilizzare come luogo comune per la persuasione, ecc. …ciò che è in rapporto con l’opinione potrebbe essere definito come ciò che un uomo non sceglierebbe di fare, se dovesse passare inosservato. Pertanto, dal momento che si sceglierà il primo anche se ciò dovesse restare inosservato per gli altri, mentre non sembra possibile che si scelga di fare un beneficio senza essere notati. È vero, per lo più funziona così, certo, ma sottolinea come ciascuna azione è sempre fatta in funzione di qualche cos’altro. Più propriamente, ciascuna cosa che viene fatta è sempre in relazione a un beneficio. Ma qual è il benefico? Che cosa veramente gli umani cercano come beneficio? L’unica cosa che dà loro soddisfazione, e cioè: il dominio sull’ente, cioè chiudere l’abisso, di cui parlavamo prima. È questo che vogliono, perché è questo che consente loro di affermare delle cose pensando di poterle definire come vere, come giuste, come bene, come quello che vi pare; cioè, ciò che consente loro di potere dire “le cose stanno così”, altrimenti non lo possono fare. Qui saltiamo tutti gli esempi che fa, che sono infiniti, ma ci portano poco lontano. A noi interessa porre la questione in termini teoretici, e cioè che cosa fa funzionare la retorica, perché funziona. È su questo che stiamo riflettendo. La retorica funziona perché è uno spettacolo, allestito a vantaggio dell’ascoltatore, il quale ascoltatore viene inserito in questo spettacolo, si sente importante, si sente quantomeno parte di qualche cosa di importante, e allora solo a questo punto seguirà la via che gli si indica, perché gli si promette, in un certo senso, di avere il dominio dell’ente, cioè conoscere la verità, conoscere come stanno le cose: se io so come stanno le cose domino l’ente; quindi, che cosa posso fare, soprattutto? Imporlo agli altri, naturalmente. Perché io so come stanno le cose e voi invece non sapete niente; meno male che ci sono qua io che vi dico come stanno le cose e che vi salvo dalla vostra ignoranza. 1366a. Il bello è ciò che, desiderabile per se stesso, è degno di essere lodato, oppure ciò che, essendo buono, è anche piacevole per il fatto d’essere buono. Se il bello consiste in questo, è inevitabile che la virtù sia una cosa bella: è infatti una cosa buona e degna di essere lodata. Quindi, il bello diventa ciò che è desiderabile per se stesso. Qui è difficile dire se lo ha fatto apposta oppure no, ma sembra di sì perché Aristotele sapeva che nulla è desiderabile per se stesso ma è sempre desiderabile per qualche altra cosa, almeno da quando Platone aveva stabilito che il λέγειν è sempre λέγειν τί κατά τίνός, un dire qualcosa in vista di…; sempre, tutti i discorsi sono costruiti così, non possono esistere se non così. Quindi, dire che il bello è qualcosa fine a se stessa è un inganno. Parla della intemperanza, della temperanza, della magnanimità, dell’assennatezza, tutte cose che suggerisce di utilizzare come luoghi comuni, cioè, quelle cose che non serve argomentare, perché si danno come già argomentate, già stabilite come vere. Sono questi i luoghi comuni ed è per questo non devono essere interrogati, perché se si interrogano si squagliano come neve al sole; ma finché non si interrogano, e non devono essere interrogati, allora sono creduti. Per questo vi dicevo che la retorica serve per impedire il pensiero, per impedire la domanda, l’interrogare. È abbastanza noioso, tutto sommato, perché fa una lista di esempi, di luoghi comuni, cosa dire a un giudice, che è un bambino un po’ stupido, per non agitarlo, perché non ci sia nulla che scombini le sue superstizioni, le sue credenze; quindi, utilizzare sempre, il più possibile, luoghi comuni. Cosa che riprenderà anche Goebbels: i discorsi che si fanno devono essere calibrati per la persona più stupida, perché noi ci rivolgiamo a quella; poi, anche a quella meno stupida, che comunque si sentirà intelligente rispetto alla cosa stupida e, quindi, sarà comunque irretito. Poi, questi trucchetti retorici: far passare gli avvenimenti fortuiti come gesta messe in atto da qualcuno grazie alla sua straordinaria intelligenza e abilità. Il luogo comune è fatto per non pensare, per togliere il pensiero: se tutti pensano così sarà così, è vero così. Ma questo che è il pensiero comune, la chiacchiera, direbbe Heidegger, cioè il mi sembra, pare, credo, diventa il fondamento della verità: la verità è costruita su questo, è fatta di questo, non è fatta di nient’altro che di questo.

Intervento: Anche perché chi ascolta vuole essere confermato nelle sue credenze.

Sì. Hegel parlava della “fatica del concetto”, è appunto una fatica, quindi, preferisce evitarlo. Il luogo comune è fatto per evitare la fatica del concetto, la retorica è fatta per questo: evitare la fatica del concetto facendo credere che qualcuno ci ha già pensato e, quindi, è così. Naturalmente, se qualcuno continua a interrogare interviene la censura. La censura fa parte indirettamente della retorica, che opera la censura attraverso il blandire per invitare in una certa direzione, quindi, nascondendo o censurando tutto ciò che non va in quella direzione. Altra definizione. 1369b. Definiamo “piacere” un certo moto dell’anima e una condizione complessiva della percezione sensibile che tende al suo stato naturale, “dolore” il contrario. Sono definizioni queste che apparentemente contrastano con il rigore che viene attribuito per lo più ad Aristotele, ma questo rigore è anch’esso una fantasia, perché questo rigore, quando è veramente messo alla prova, arriva alla chiacchiera e lì c’è il fondamento di ogni cosa. È possibile costruire il rigore? Sì, certo, non ci vuole niente, a condizione di non interrogare le premesse generali. È la stessa cosa nella matematica, è chiaro che c’è un rigore assoluto, una volta stabilite delle regole, basta seguire quelle regole, che problema c’è? Tutte le definizioni che dà Aristotele, in fondo, seguono ciò stesso che lui consiglia di fare, e cioè seguire il luogo comune, e tutte le definizioni che fornisce sono tratte dal luogo comune, come quando definisce il bene: il bene è ciò che i più desiderano. Ma la questione è: avrebbe potuto definirlo altrimenti? È un problema definire qualche cosa, è il problema che abbiamo visto in Platone fino al Menone, rispetto alla virtù in quel caso: la virtù è insegnabile oppure non è insegnabile? Va bene, ma che cosa è insegnabile oppure non è insegnabile? La virtù. Sì, va bene, ma la virtù che cos’è esattamente? Come posso determinare la virtù? E torniamo alla questione di prima, cioè, io posso determinare la virtù in relazione a ciò che la virtù non è e, quindi, dire che la virtù è, di fatto, ciò che non è; oppure, immagino, come voleva fare a tutti i costi Platone, di poter isolare… Ma è come voler isolare il significante Cesare: se non ha nessun riferimento è niente, non significa niente, non è neanche una parola, è nulla. E così la virtù, che per essere quello che è, qualunque cosa sia, deve essere relata a qualche cos’altro.

Intervento: Come dire che non c’è identità senza alterità…

Il famoso principio di identità su che cosa è fondato? Il principio di identità dice che A non è non-A, cioè, dice che non è ciò che rende A quello che di fatto è. Quindi, se A non è non-A non è neppure A, è niente. Ecco che qui crolla il principio di identità. Tuttavia, il principio di identità è enunciato in questo modo: A non è non-A; deve cancellare l’alterità di A per potere stabilire A, quindi, deve separare. Il problema è che, separando A da non-A, cioè se tolgo non-A tolgo anche A. È per questo che il principio di identità non regge, non tiene, perché è autocontraddittorio, perché dice che A non è non-A, ma questo non-A è esattamente ciò che determina A; quindi, se lo tolgo, tolgo anche A, e non resta più niente.

Intervento: Da lì l’invenzione del nemico…

Il nemico è la rappresentazione di quell’abisso di cui dicevamo: non posso determinare nulla per sé ma sempre per altro. E questo altro a sua volta come lo determino? Ecco il superpotenziamento di Nietzsche, una continua rincorsa dietro al superpotenziamento, dietro al fatto che ogni volta devo determinare qualcosa con un’altra cosa, questa con un’altra, e così via all’infinito. Quindi, possiamo incominciare a pensare alla retorica nei termini che abbiamo posto fino ad adesso, e cioè come lo strumento più potente per impedire di pensare, perché il pensiero, se è pensiero autentico, porta inesorabilmente a ciò che avevano visto gli eleati. Ma questo deve essere evitato a tutti i costi, e, quindi, ecco la retorica che interviene ad allestire lo spettacolo, ad allestire cioè un diversivo. Un diversivo, spostare l’attenzione: altra cosa che Goebbels indica nei suoi undici punti, di cui ci occuperemo. Ci occuperemo anche del Manuale di campagna elettorale di Quinto Cicerone, fratello del più famoso Marco Tullio, un libricino piccolo ma denso, perché dice alcune cose che sono significative sul come funziona la persuasione; persuasione che per potere operare deve eliminare il pensiero. È la sua condizione: se uno pensa non è persuadibile, quindi, bisogna fare in modo che cessi di pensare, e la retorica fa questo.