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11-5-2016

 

Pag. 128 la domanda è “cosa significa τέχνη?”. Atteniamoci al significato originario della parola, ma occorre dire qui una volta per tutte che questa via che passa per la spiegazione del significato etimologico dei vocaboli e della singola parola è una via molto pericolosa, la semplice padronanza dell’uso linguistico e l’utilizzazione di vocaboli non è sufficiente a evitare il pericolo. Qual è la conseguenza di questo fatto? non lo si può discutere dettagliatamente qui ma chi pensa attentamente riconoscerà e noterà un giorno che qui noi non traiamo dei significati qualsiasi da semplici vocaboli per costruire con essi una filosofia ritenendo esauriente e sufficiente il modo di vedere le cose attraverso a ciò che viene nominato dalle parole, che cos’è una parola senza relazione con quello che nomina e che in essa si esprime? Eliminiamo quindi tutte le etimologie vuote e arbitrarie, esse diventano un mero trastullo se ciò che nella parola deve essere nominato non è stato da prima pensato percorrendo lentamente lunghe vie, se non è stato sempre di nuovo riconsiderato, se non viene verificato nella sua essenza linguistica e sempre di nuovo riesaminato (cioè se non ci si pone di fronte alla parola come se fosse la prima volta, perché in effetti non ha torto, l’uso dell’etimologia spesso è una sciocchezza “il significato della parola era questo” forse, è possibile che fosse, magari anche quello, ma anche se lo fosse stato oggi non lo è più in ogni caso. Pag. 130, primo capoverso, si chiedeva di fatto che cos’era la tecnica, ma ne dirà, ha soltanto detto che non dobbiamo fondarci sull’etimo della parola:) La logica in quanto dottrina del corretto pensare ci garantisce veramente che con essa impariamo a pensare? In generale come stanno le cose con l’imparare? Se l’“imparare” significa fare apprendi stato ed ogni insegnare e imparare rimane essenzialmente distinto da ciò che rientra nell’ambito del semplice addestramento, del puro esercizio, del mero darsi da fare, se imparare significa veramente fare apprendi stato ossia incamminarsi verso un nuovo mestiere mantenendosi in una condizione di apprendimento allora in ogni imparare vige già in qualche modo un pensiero. Certamente dicendo apertamente questo non siamo ancora in grado di dire che cosa sia il pensiero (lui si chiede che cos’è il pensiero, perché la logica non è altro che un insieme di regole per il corretto pensare, come disse quella volta Marconi “la logica è un sistema di regole per pensare correttamente”, qui Heidegger ha capovolto la cosa, non parte dalla logica per dire che cos’è il pensiero ma dal pensiero per porsi una domanda intorno alla logica) In verità non c’è insegnare e imparare rettamente intesi senza pensiero infatti ogni imparare a pensare proprio in quanto è un apprendimento è già in qualche modo un pensare nel quale ci si rivolge al pensiero e ad esso soltanto. (quindi la domanda si sposta sul pensiero, dice “la logica, per noi almeno moderni la logica mostra quali sono le regole del pensiero generalmente” e lui invece capovolge, come dicevo, e si chiede che cos’è il pensiero, a questo scopo scrisse un altro saggio che si intitola “Che cosa significa pensare?”) Ma questo non è dovuto al fatto che nell’imparare a pensare ci si rivolge unicamente al pensiero e si pensa su di esso? così sembra, infatti la logica in quanto dottrina del corretto pensare è appunto un pensare sul pensiero, ma proprio questo vale a dire il pensare sul pensiero è manifestamente un modo di fare innaturale quasi contro natura, pensare il pensiero è di per sé una modalità distorta e deformata nella quale il pensiero si ripiega su se stesso, si volge indietro e abbandona la sua marcia. Volgerci indietro significa riflessione, il riflettere ostacola l’agire e ha come conseguenza la mancanza di risoluzione. Ora proprio il pensare sul pensiero non è il caso tipico in cui si parla di riflessione? È come una riflessione sulla riflessione, è un girare a vuoto intorno a se stesso, un perdersi allontanandosi da ogni cosa ma per di più pensare il pensiero è un’attività estranea e insolita per il pensare naturale, è un’occupazione singolare nella quale difficilmente troviamo un appiglio e un filo conduttore, pensare il pensiero vale a dire la logica equivale alla totale astrazione, attraverso di essa e in essa può esserci una qualche forma di apprendimento da cui si impari a pensare? Ogni apprendimento ha però bisogno di vie semplici e diritte sulle quali ciò che deve essere appreso viene incontro immediatamente e chiaramente, apprendimento necessita di un lento inizio che richiede un procedere grado per grado senza deviazione e senza complicazione, pensare il pensiero che cosa potremmo avere in mente di più intricato e forse di più ingarbugliato di questo? È per questo che il senso comune quando è chiamato in causa ha manifestato ben più di una volta la sua diffidenza nei confronti della logica e della sua utilità ma se il pensiero deve essere espressamente appreso e se pensare correttamente significa sempre anche pensare attenendoci a ciò che è proprio della cosa, si può dire allora che noi impariamo a pensare nel modo più sicuro avendo un approccio pensante con le cose? Impariamo a pensare storiograficamente con le scienze storiche, a che cosa serve qui la logica? A pensare in modo fisicalistico impariamo con la fisica (Heidegger sta incominciando a porre delle obiezioni alla logica, sulla validità del pensiero logico, validità nel senso che è come se dicesse “noi ci appelliamo alla logica per pensare correttamente senza che sappiamo di fatto che cosa sia il pensiero” quindi dicendo pensare correttamente non sappiamo neppure che cosa stiamo facendo correttamente, questa è la questione che sta ponendo, ora un poco più avanti riprende la questione della φύσις e della τέχνη. Pag. 133 l’ultima riga) il rapporto tra φύσις e τέχνη e il rapporto di entrambe con il nascondimento non sono stati ancora chiariti ma in questo rapporto affonda le sue radici un senso di enigmatico spaesamento, esso consiste nel fatto che nella tecnica moderna si nasconde per l’uomo moderno un destino al quale egli non risponde mai adeguatamente con la padronanza della tecnica che egli presume di avere (vi ricordate quando diceva che ormai la tecnica ha preso la mano perché è la tecnica stessa che è diventata il fine?) ma che cos’è la τέχνη in rapporto cioè con il τεκεν con “il portar fuori” nel senso di produrre. Τέχνη è ciò che riguarda più profondamente ogni portar fuori nel senso del produrre umano se portar fuori τεκεν significa porre nel non nascosto il mondo, allora τέχνη vuol dire orientarsi nel non nascosto e sapere come conseguire il non nascosto, come averlo e come dominarlo. Il carattere essenziale del movimento del portar fuori è la τέχνη mediante il carattere essenziale della τέχνη, mentre il carattere essenziale della τέχνη è di essere il rapporto col non nascondimento e lo sviluppare questo rapporto, τέχνη non significa qui quindi un tipo di attività che realizza il portar fuori nel senso del produrre ma vuol dire preparare e tener pronto l’ambito di volta in volta diverso del non nascosto. /…/ Che i greci vedano nella parola τέχνη esclusivamente in riferimento al sapere è dimostrato dal fatto che essa vuol dire spesso anche list, astuzia termine che nella lingua tedesca significa originariamente sapere e saggezza senza i significati secondari di stare in agguato e di calcolare nell’astuzia. Ma sarebbe altrettanto errato voler pensare che l’episteme τέχνη in quanto è un genere di sapere, costituisse il lato teoretico contrapposto al lato pratico rappresentato dall’agire, dal fare e dall’eseguire, questo è erroneo e confuso, quanto erroneo e confuso sia questo insostenibile modo di intendere emerge subito se si pensa che per i greci il momento teoretico θεωρεν è la forma più alta dell’agire stesso, a che cosa serve allora la nostra differenziazione di teoretico e pratico, se è priva di senso e priva di fondamento? L’aspetto autentico ma ancora nascosto dell’essenza dell’episteme della τέχνη è costituito dal rapporto che entrambi questi termini intrattengono con il non nascondimento, vale a dire col non essere nascosto di ciò che è e può essere (quindi il rapporto con l’λήθεια, con la verità) l’πιστήμη l’“avere un sapere di qualcosa” e la τέχνη “intendersi di qualcosa” sono così strettamente congiunti nella loro essenza che molto spesso un termine sostituisce l’altro (anche se entrambi mostrando ciò che appare dal non nascondimento parlano dell’λήθεια di ciò che appunto è il disvelato) Già nella grecità anzi proprio ad opera della grecità è stata istituita una connessione essenziale di ogni sapere con la τέχνη, il fatto che ora in un momento cruciale della storia occidentale se non addirittura di tutta la storia universale del pianeta terra segnata dall’occidente, la τέχνη sotto forma di moderna tecnica delle macchine diventa la forma fondamentale conosciuta o non ancora riconosciuta del sapere inteso come ordine calcolante, è un segno che nessun mortale può arrivare a spiegare immediatamente (dice che non si sa come è accaduto questo fenomeno, lo sa e non lo sa, nel senso che è stato lui stesso a rendersi conto del motivo per cui la tecnica moderna ha preso il sopravvento su tutto, certo occorre fare un passo in più rispetto alla volontà di potenza allora, si intende con molta chiarezza perché la tecnica è diventata quello che è diventata oggi) Le filosofie della tecnica cresciuta a dismisura sono tutte solamente dei prodotti del pensiero tecnico medesimo oppure sono mere reazioni verso di esso? (che è poi la stessa cosa) per il momento possiamo intuire quanto segue che però ci dà da pensare più che a sufficienza: il destino dell’umanità o dei popoli affonda le sue radici profonde nel rapporto che l’uomo ha di volta in volta con l’essenza via via manifesta o celata del non nascondimento, vale a dire della verità, se il vero viene destinato e in che modo ciò avvenga dipende dal fatto che la verità stessa si mostra nella sua essenza e dal modo in cui ciò avviene (è evidente quando ne parlavamo rispetto al Parmenide del mutamento della questione della verità, dall’λήθεια greca poi attraverso l’adeguamento fino alla veritas imperiale) Se consideriamo che l’essenza della verità si è dischiusa per l’occidente per la prima volta e in modo esemplare nella grecità (con l’λήθεια appunto) dobbiamo riconoscere che in un certo senso quel destino della grecità non è nulla di passato o di antiquato, non rappresenta neppure un’antichità ma è qualcosa che ci viene incontro in una forma ancora imprecisa verso il quale noi tedeschi che per primi e per molto tempo da soli ci siamo orientati in quella direzione possiamo e dobbiamo rivolgerci con il pensiero. Dico con il pensiero, perciò è necessario apprendere il pensiero, ci aiuta in questo la logica? Ci chiediamo nuovamente che cosa ha a che fare la logica con il pensiero? (bella domanda, e se non ci avesse nulla a che fare?) per quale ragione il pensiero rientra sotto la legge della logica? Ci accingiamo a chiarire questo termine nella sua completezza. /…/ Il termine logica è l’espressione abbreviata di πιστήμη λογικ che significa avere un sapere di ciò che concerne il λόγος (la parola, il discorso, λόγος è stato tradotto in miliardi di modi) che cosa significa allora λόγος? Lasciamo ancora una volta in sospeso la questione e soffermiamoci ancora sul fatto storico che ci dice che il termine e la cosa indicata dall’espressione πιστήμη λογικ emergono e assumono forme storiche in unione con altri due termini e cose: πιστήμη φυσικ  e πιστήμη θικ (quindi la “scienza” tra virgolette della fisica, sarebbe la fisica per noi oggi e la scienza del comportamento, l’etica) L’espressione πιστήμη φυσικ  indica l’avere un sapere di ciò che appartiene alla φύσις, più esattamente ai φσει ντα (cioè agli enti della fisica) /…/ per estensione questa fisica non solo è più ampia di ciò che oggi intendiamo con il termine “fisica” (cioè la parola φύσις in greco) vale a dire la conoscenza sperimentale matematica delle leggi del movimento dei corpi materiali nello spazio e del tempo (che è ciò di cui si occupa la fisica) l’πιστήμη φυσικ  pensa anche in modo completamente diverso dalla moderna scienza fisica, in modo completamente diverso da tutte le scienze in generale (sta cercando qui Heidegger di recuperare ciò che il greco, il pensatore antico pre socratico, pre metafisico pensava intorno a, adesso dire “scienza” non è corretto, diciamola alla greca, all’πιστήμη φυσικ  , questo sapere intorno alle cose, lo studio del pensiero è un sapere intorno alle cose) l’πιστήμη φυσικ    pensa l’ente nella sua totalità e quindi pensa nello stesso tempo l’ente in riferimento all’universale vale a dire con riferimento a ciò che è comune ad ogni ente nella misura in cui esso è, può essere, deve essere oppure non è, può o non deve essere (il greco antico pensa l’ente nella sua totalità, cioè all’interno della φύσις, all’interno di ciò che non cessa di sorgere continuamente, non lo pensa isolato come fa la fisica moderna, come fa la scienza moderna la quale per considerare qualche cosa deve obiettivarlo, deve oggettivarlo, deve pensarlo come oggetto, solo dopo che lo ha considerato come un oggetto può compiere quelle operazioni che Heidegger indicava come conoscenza, manipolazione, elaborazione dell’ente, solo se oggettivato, se non lo è non può fare niente. Se c’è un oggetto c’è un soggetto che gli si contrappone) in quest’ottica quel che è comune che è proprio o più proprio di ogni ente è l’essere, (l’essere naturalmente dovete pensarlo nel modo in cui lo pensava, così ci dice Heidegger, il greco antico, e cioè come quel dispiegarsi, quell’illuminare per cui l’ente può apparire, quindi l’ente viene da lì, non esiste per virtù propria ma il fatto che venga da lì significa che è connesso direttamente con l’essere, è questo che ci ha condotti a pensare l’essere come il significato, il significato dell’ente, del significante. Non possiamo considerare l’ente come un oggetto o il significante come un oggetto, come un ente, e considerarlo senza il suo significato, senza l’essere, cosa che poi dirà apertamente e chiarissimamente De Saussure, non c’è significante senza significato, non è possibile, che è quello che sta dicendo Heidegger, che è invece ciò che vuole fare la fisica moderna: togliere il significato all’ente, toglierlo dal suo significato cioè da tutto ciò di cui quell’ente è fatto, isolarlo, e una volta isolato, manipolarlo) l’essere, vale a dire la parola più vuota, con la quale potrebbe sembrare che non pensiamo proprio nulla, (provate a pensare a un significato senza significante, non è niente) l’essere, la parola a partire dalla quale noi pensiamo e conosciamo ogni cosa e a partire dalla quale anche noi siamo (essere, sempre inteso in accezione greco antica o come lo pone Heidegger come progetto, se non c’è il progetto, dice Heidegger, non c’è niente, non ci viene incontro niente, è soltanto nel nostro progetto che le cose hanno un significato, sono qualcosa, perché inserite nel progetto, cioè perché sono nell’essere. Tenete sempre conto che l’essere è il progetto per Heidegger, nient’altro che questo, che se pensiamo l’essere come lo pensa la metafisica moderna e cioè come un qualche cosa che sta da qualche parte immobile, identico a sé come l’essenza delle cose che non muta mai, allora diventa difficile pensare una cosa del genere, ma se pensiamo l’essere heideggerianamente cioè come il progetto in cui ogni cosa viene incontro allora diventa tutto molto chiaro) ma quando ci verrà finalmente il coraggio di pensare per una volta fino in fondo che cosa accadrebbe se noi non potessimo pensare e dire “essere” ed “è” (cosa accadrebbe se togliessimo dal vocabolario la parola “essere”? Non possiamo più parlare, tolto l’essere, tolto il significato il linguaggio si cancella anzi è come se non fosse mai esistito) πιστήμη φυσικ  è per la Grecia una via e un tentativo di comprendere l’ente nella sua totalità in riferimento all’essere, è un modo di porsi di fronte all’ente e di stargli di fronte affinché esso si mostri nel suo essere, l’intero pensiero occidentale non è andato oltre a questo tentativo anzi si può dire che al massimo se ne è allontanato (il pensatore greco antico non coglie l’ente come oggetto, lo coglie come un qualcosa che si mostra a partire da un significato, adesso la dico in un modo forse un po’ improprio, un po’ rozzo, ma a partire da un significato più ampio che sarebbe l’πιστήμη φυσικ, soltanto a partire da questo orizzonte coglie l’ente quindi mai isolato, potremmo dire che in questo senso, in questa accezione il greco antico era molto desoussuriana, cioè non coglie mai il significante senza significato, sa che il significante senza significato non esiste, non c’è, è niente) L’espressione citata per terza (πιστήμη λογικ, πιστήμη φυσικέ, πιστήμη θικέ) indica l’avere un sapere di quell’ambito che appartiene all’θος. Il termine θος significa originariamente “abitazione” “dimora” (per il greco antico “etica” viene da lì abitazione, dimora) qui nell’espressione πιστήμη θικ è inteso to θος per eccellenza ciò significa la dimora dell’uomo è il soggiornare ossia l’abitare dell’uomo in mezzo all’ente nella sua totalità (sta continuando a dirci che per il greco antico pre socratico, pre metafisico l’uomo, cioè qualunque cosa, non è pensato come qualcosa di obiettivato quindi di isolato. Oggettivare significa isolare qualcosa dal resto, da tutto quanto si toglie tutto il resto e lo si considera di per sé. Per il greco antico questo non è pensabile, non è pensabile togliere l’elemento dalla φύσις, da ciò che sorge continuamente, da questo orizzonte, cioè non è possibile togliere il significante dal significato se vogliamo dirla tutta) ciò significa la dimora dell’uomo (to θος è la dimora dell’uomo) l’essenziale nell’θος, nel soggiornare è il modo in cui l’uomo sta all’interno dell’ente, si trattiene presso di esso, si mantiene e si lascia essere (“lasciarsi essere” qui usa una formulazione interessante perché non è, ma si lascia essere, cioè lascia che le cose, è lui stesso una cosa fra le altre, anche se è particolare perché è quella che sta facendo queste domande, però anche questa cosa che è l’uomo è un lasciare essere, cioè un lasciare manifestarsi, lasciare mostrarsi, lasciare che accada) Avere un sapere dell’θος, un sapere ad esso relativo è l’etica, qui prendiamo la parola in un senso molto ampio e essenziale, il significato corrente di dottrina dei costumi, la dottrina delle virtù o magari dottrina dei valori (ciò che comunemente si intende con etica) è solo la conseguenza, la degenerazione, la deviazione del senso originario che rimane nascosto (ecco l’operazione di Heidegger: lasciare apparire, lasciare venire fuori da ciò che è nascosto nel pensiero antico ciò che è attuale, è attuale nel senso che è ciò che è da interrogare, ciò che è sempre da interrogare) occorre notare subito però che l’etica a differenza della fisica che pensa l’ente nella sua totalità concentra la sua attenzione su un ente particolare l’uomo (la φύσις considera ciascun ente, l’etica ne prende uno, non a caso, quello che può interrogarsi sull’etica cioè l’uomo) ma qui l’uomo non è trattato isolatamente come se fosse una parte della totalità dell’ente estrapolato dal resto, (cioè non è oggettivato) bensì viene trattato proprio dal punto di vista secondo cui è lui soltanto l’uomo colui che si mantiene all’interno della totalità dell’ente e si rapporta all’ente nella sua totalità, in questo modo l’uomo ha cura di se stesso e porta a compimento questo rapporto mantenendosi sempre in un determinato atteggiamento ossia in una certa instabilità (è l’obiettivazione che da stabilità alle cose, ma a quali condizioni è stabile? Che lo tolga dalla parola, cioè lo tolga da tutte le relazioni che lo fanno essere quello che è, che lo fanno essere, cioè che gli tolgano il significato, solo a questa condizione posso obiettivarlo; devo togliergli tutto ciò che c’è intorno cosa che il greco antico pre socratico, pre metafisico nemmeno pensava. Heidegger sta dicendo che non esisteva questa cosa, la cosa è in quanto è presa, potremmo dirla oggi in termini più moderni, in una rete di combinazioni, di connessioni, in una combinatoria, non esiste al di fuori di questa combinatoria, questo è lo strutturalismo, ma è ciò che Heidegger sta dicendo rispetto al pensiero degli antichi pre socratici, pre metafisici. Se un elemento è quello che è in virtù della combinatoria in cui è inserito, è chiaro che è instabile, perché è sempre altro, si altera, si modifica, soltanto se lo estrapolo da questo ambito, cioè lo obiettivizzo, allora posso considerarlo stabile, ma è un artificio. È come la verità per Nietzsche, è un’illusione, su cui è fondata la scienza, l’illusione su cui è fondata la scienza e su cui lavora è che le cose siano quelle che sono) Anticamente la logica funziona da Ôργανον, da strumento e attrezzatura con cui è possibile avere a portata di mano il pensiero (l’Organon è uno dei capolavori di Aristotele, quindi con Aristotele siamo in piena metafisica) da allora in poi ci si muove in un ordine di idee secondo cui il pensiero rientra nel dominio della logica proprio se questa coappartenenza di pensiero e logica fosse scritta in cielo fin dall’eternità (cosa che non è, e allora come è potuto accadere che oggi abbiamo tanta fiducia incrollabile nella logica?) logica vale a dire pensare avendo per oggetto il pensiero stesso (la logica si occupa di stabilire le relazioni del pensiero quando pensa correttamente, diceva il nostro amico, quindi di vedere come funziona il pensiero. Cioè la logica ha come oggetto il pensiero stesso) Riflessione, si tratta di una via errata che ci porta in un labirinto senza uscita (la logica sarebbe una riflessione sul pensiero ma, dice Heidegger, è un labirinto senza uscita, non porta da nessuna parte, la logica non porta da nessuna parte) Se infatti già all’interno del rapporto con le cose riflettere su di esse intralcia sia l’agire che la determinazione a decidere quale conseguenza avrà il pensiero che verte sul pensiero stesso? come si suol dire la riflessione, il ripiegarsi su se stessi è egocentrica, è concentrata sull’io, è egoistica, individualistica // Il cristianesimo, il quale proprio in seguito al pensiero della creazione in cui ha creduto e che ha insegnato ma che dal punto di vista metafisico risulta modellato sulla τέχνη, rappresenta uno dei motivi principali per l’imporsi della tecnica moderna, il cristianesimo avrebbe avuto una parte tanto essenziale nella formazione del predominio dell’auto riflessione della soggettività che non avrebbe potuto fare nulla per superare questa riflessione infatti da che cosa dipenderebbe altrimenti la bancarotta storica del cristianesimo e della chiesa nella sua storia universale dell’età moderna? Occorre una terza guerra mondiale per dimostrarlo? Nulla si è fatto per contrastare quel sospetto che intende la riflessione come un girare a vuoto presumibilmente egoistico del singolo intorno a sé stesso. Questo tipo di riflessione (che come abbiamo visto è connessa con la religione) intesa come essenza dell’uomo moderno vale a dire come intrinseca struttura della soggettività del soggetto (infatti lui dice la riflessione “come intrinseca struttura della soggettività del soggetto”) questa riflessione è espressa poeticamente in modo compiuto e nello stesso tempo esperita a partire dalla sua dimensione metafisica nella VIII Elegia duinese di Rilke (adesso non vi sto a dire altro su queste cose perché non ci interessano più di tanto, però sempre intorno alla riflessione, alla soggettività, nelle elegie duinesi Rilke pone l’accento sulla riflessione:) dovremmo apprendere il pensiero col rischio di seguire il pensiero così facendo potrebbe sembrare che il pensiero giri a vuoto su se stesso, senza attingere un fondamento e tendere a un fine (d’altra parte se il pensiero pensa il pensiero su che cosa si appoggia, se non su quella stessa cosa che sta facendo? Non c’è un altro punto su cui appoggiare il piede) È correndo questo rischio che cerchiamo di apprendere il pensiero (cioè il rischio di pensare il pensiero, d’altra parte non è che abbiamo molte opportunità) il tentativo di pensare insieme ogni frase è già un apprendere di questo tipo il quale non inizia solo dopo avere assimilato lezioni introduttive, apprendere il pensiero significa soltanto e nient’altro che cosa pensiamo quando pensiamo soltanto? (cioè senza pensare il pensiero, pensiamo soltanto, cosa facciamo quando pensiamo soltanto?) ci incamminiamo verso ciò che è da pensare esso si mostra a noi quando pensiamo soltanto vale a dire quando pensiamo in modo puro (ha a che fare questo con l’atto puro di Gentile? Diceva il pensiero pensante e il pensiero pensato, vi ricordate no? Il pensiero pensante è l’atto, da cui l’attualismo, l’atto di pensare sarebbe il pensare soltanto, il pensare il pensiero sarebbe il pensato, questo per Gentile. Quando Heidegger dice “pensare soltanto” indica un pensiero che non pensa se stesso, che non riflette ma soltanto pensa) quindi finché pensiamo a cose non ci muoviamo ancora in direzione di ciò che nel puro pensiero si apre verso questo stesso pensiero proprio perché è destinato al pensiero e solo ad esso, dunque lo stesso pensiero puro si volge verso la propria profondità aprendosi verso di essa, in essa trova ciò che deve essere pensato e unicamente là nella profondità trova ciò che è più profondo (adesso ci spiegherà che cosa intende con questo)Il pensiero quindi non sarebbe affatto un’attività che si svolge in se stessa e ogni volta ha bisogno di procurarsi una cosa che gli venga data come oggetto in modo che così esso avrebbe un appiglio e troverebbe un sostegno (in effetti il pensiero non ha bisogno di un qualche cosa, il pensiero si muove da sé) tutte le solide basi che forniscono una base di oggettività ai soggetti sarebbero solo su piani superficiali che celano all’uomo la profondità verso cui il pensiero in quanto tale si apre, perché esso proprio in quanto pensiero si riferisce di per sé stesso e non secondariamente a ciò che è più profondo, il pensiero infatti è attirato da ciò che è più profondo e si trova in rapporto con esse (poi cita una frase di Hölderlin) “Chi ha pensato il profondo ama il più vivo” (adesso cerchiamo di intendere che cosa sia per Heidegger il “profondo”) Siamo tentati di credere che il più profondo sia immediatamente rintracciabile in modo che noi lo possiamo cercare con l’aiuto del pensiero e considerarlo un oggetto del comprendere ma il più profondo è tale solo se abbiamo già pensato (non è qualcosa che dobbiamo cercare ma per affrontare il più “profondo” noi dobbiamo già averlo pensato, (…) il più profondo è tale solo se abbiamo già pensato, è tale se semplicemente abbiamo solo pensato quindi occorre avere pensato per potere accedere al profondo non che il profondo ci dà l’accesso al pensiero) ma chi ha già pensato ha smesso di pensare come è possibile allora che questi si possano aprire verso il più profondo? Questo i greci lo sapevano certamente assai meglio di noi chi ha già pensato non ha mai finito di pensare e non smette mai di pensare al contrario chi ha già pensato solo allora comincia a pensare e pensa veramente. Quanto più puro è il modo in cui l’uomo ha pensato tanto più ferma è la sua decisione di imboccare la via del pensiero e di essere un uomo pensante, è proprio come chi vede solo dopo avere visto chiaramente, è singolare notare che qui soltanto alla fine sia l’autentico inizio chi ha pensato, chi è pervenuto al pensiero si trova in esso e muove a partire da esso questi ha già pensato il più profondo che non è mai qualcosa che si trova in un luogo lontano (il più profondo non è altro che il pensiero che non cessa di pensare, il più profondo è ciò che è da pensare, ma per pensarlo devo avere già pensato cioè devo già trovarmi nel pensiero che non cessa, che continua a pensare, che continua a domandare, è lì che c’è il profondo del pensiero, che è poi la tesi di Heidegger di sempre, e cioè ciò che è da pensare continuamente è il fatto che ciascuna cosa è da interrogare incessantemente, è qui che trova la profondità, nel fatto che ciascuna cosa è sempre e di nuovo da interrogare) Pag. 142 La parola “λόγος” nell’espressione πιστήμη λογικ significa la stessa cosa che “asserzione” (enunciato) l’espressione λγειν τ κατά τινς significa “asserire qualcosa su qualche cos’altro”, enunciarlo, stabilirlo e quindi fissarlo, mostrarlo. L’elemento essenziale del λόγος nell’asserire, nell’ enunciato è costituito dal dire, nel senso del rendere manifesto ciò che fa vedere e lascia cogliere l’ente di volta in volta in questione come esso è cioè il λόγος asserendo qualcosa su qualche cos’altro, il λόγος lascia che qualche cosa possa apparire lasciando che questa cosa rimanga connessa con tutto ciò che la fa essere quello che è, il termine greco lšgeih è mettere insieme, riunire. Tenete sempre conto che “logica” viene da “λόγος”, per cui per Heidegger il λόγος, la logica, non è nient’altro che lasciare che le cose dicendosi si affaccino all’interno della combinatoria in cui sono inserite, cosa che la logica moderna non fa in modo assoluto, quindi è un modo totalmente differente di porre la logica. La logica così come la pensiamo noi oggi è un sistema che si riduce a un mero calcolo di proposizioni, però in questo calcolo di proposizioni la cosa che sta dicendo Heidegger è che ciascuno di questi elementi è preso isolatamente, la logica costruisce le relazioni: prendo una A ci metto vicino un segnetto che significa una “e”, e poi ci metto una B. Ho creato una relazione A e B (A & B). Ho creata questa relazione a partire da elementi che sono quelli che sono, la A è la A, il segnetto di congiunzione è il segnetto di congiunzione e la B è la B. Per il greco antico dice Heidegger questo modo di pensare non c’è perché qualunque cosa io ponga, qualunque cosa io affermi, questo ente, questo significante è preso all’interno di una combinatoria di elementi, quella cosa che De Saussure chiamava “significato” e non posso isolarla, se la isolo non è più niente, quella A isolata è nulla, cosa che in parte la logica sa, perché se questa A è isolata è un segno che sta per molte altre cose, ma quello che cerca di fare intendere Heidegger è un diverso modo di pensare la logica. A questo punto la logica moderna rappresenta un gioco fra altri possibili, cosa che è vera fino a un certo punto, perché possiamo pensare senza utilizzare questa cosa della logica? Apparentemente no, pensiamo in modo logico: premessa, passaggi, conclusione, ma Heidegger sta dicendo non è l’unico modo, noi possiamo usarlo certo, così come usiamo la grammatica, la sintassi eccetera sapendo che sono strumenti che consentono di fare procedere un certo discorso ma questo discorso non è la grammatica, non è la sintassi, si avvale della sintassi e della grammatica per costruire una certa sequenza. La stessa cosa potrebbe valer per la logica: noi ci avvaliamo della logica per trarre delle conclusioni, vere/false. All’interno della logica certo possiamo sapere se sono vere o false, è fatta per questo, però che cosa facciamo esattamente, è, come dicevamo la volta scorsa, per stabilire unicamente chi ha ragione o chi ha torto? La logica serve solo a questo? Certo ci dice in che modo possiamo costruire delle sequenze però possiamo soltanto prenderlo come un modello per costruire delle sequenze. La questione è molto complessa perché da una parte possiamo dire con Heidegger che la logica non è l’unico gioco possibile per parlare, per pensare, ma al tempo stesso possiamo anche affermare che se Heidegger giunge a queste conclusioni è perché utilizza la logica, un sistema logico che gli consente di concludere che, per esempio, l’ente per il greco antico è fatto in un certo modo, è preso in una rete di connessioni, ma per affermare questo utilizza un sistema che è quello logico, quello Aristotelico: il principio di non contraddizione eccetera. Però un conto è l’utilizzo della logica che, come diceva lui, non è che ci sia stata regalata dal cielo, come una cosa che non si discute, mentre è un modo, un metodo per costruire delle proposizioni che per altro non ci dice nulla del fatto se siano vere o false se non all’interno, come dicevo prima, di questo gioco, quindi deve essere preso semplicemente come un gioco al pari di altri. Oppure come un qualche cosa di divino che dice come stanno veramente le cose, come non possono non essere, la logica cioè come volontà di potenza ché è di questo che poi si tratta: intendere la logica come uno strumento per costruire delle proposizioni al pari della sintassi e della grammatica o di qualunque altra cosa, oppure come volontà di potenza e cioè come l’unico strumento per potersi imporre sul prossimo. La logica è metafisica, e questo lo dice Heidegger in varie parti, che la logica originariamente non era pensata così, o non soltanto, anche perché il greco antico pre socratico, pre metafisico comunque argomentava e per argomentare utilizzava un sistema logico. Si tratta di tenere conto anche del fatto che la logica ha avuto un grande impulso con la nascita dei tribunali, dove è fondamentale stabilire chi ha ragione e chi ha torto. È una questione che per il momento lasciamo aperta, la proseguiamo mercoledì. Intanto Heidegger ci ha posto una domanda “la logica ce l’ha data dio o è un gioco al pari di qualunque altro? Perché se ce l’ha data dio allora è vero quello che afferma, se è un gioco come qualunque altro costruisce delle cose che restano all’interno del suo ambito, fuori da questo non significano niente, cioè non è più costrittiva, e non essendo costrittiva non serve alla volontà di potenza perché non costringe.