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11-3-2015

 

LIBERTÀ E POTERE 6

 

Ferruccio legge un suo scritto su Pirandello.

Ci sono altri che hanno qualche cosa da leggere o da dire?

Claudia: io ho da dire delle cose. Ho letto l’unico saggio che avevo in mano io, gli altri non li ho trovati ma li avrò a breve, è “Dostoevskij e il parricidio”

Quali sono le sue considerazioni?

Claudia: quello che volevo indagare io era capire come mai un soggetto in pieno possesso delle sue capacità decida di assoggettarsi a un altro, potrebbe formularsi così la cosa, e io l’avrei articolata così … ad un certo punto si arriva ad un bivio in cui abbiamo due possibilità una, in cui io volontariamente scelgo di assoggettarmi perché la cosa mi porta a un determinato fine, una scelta di volontà che significa che secondo me che si può anche non fare quella scelta perché posso scegliere di assoggettarmi ma posso scegliere di non assoggettarmi e il tutto non mi crea particolari problematiche, ma poi la parte in cui la scelta non è completamente libera nel senso che io non posso far altro che assoggettarmi a questo potere perché ho un comando interiore che mi porta lì e se io non mi assoggetto soffro, mi sento incompleto … cioè sto male e spiegherei questa cosa con il senso di colpa ed io, per il mio senso di colpa, sono costretto, alla fine sono costretto a fare quella cosa lì, dovrei vincere il senso di colpa per poter non fare quella scelta cioè potermi non assoggettare … quindi in qualche modo è la mia mancanza nei confronti dell’altro, è qualcosa in cui manco io verso l’altro che mi fa stare male e per rispondere a questa sofferenza cioè per non soffrire sono soggetto perché se no mi sento male. leggendo questo testo da quello che ho capito, dall’interpretazione che Freud dà c’è tutto il problema cioè il senso di colpa viene ricondotto a un pensiero “delittuoso” tra virgolette originario che è quello di uccidere il padre, perché c’è questo rapporto ambivalente tra Dostoevskij e suo padre ma poi riassunto in generale tra il figlio e il padre, in cui insieme ci sono l’amore e l’odio, dove l’amore è “voglio stare con mia madre” e l’odio è “voglio uccidere mio padre per stare con mia madre” io lo sintetizzerei così e quindi pare che il nocciolo della faccenda è voler possedere la madre quello che almeno per Freud è la spinta verso il desiderio di uccidere il padre che poi è l’origine di tutte le paturnie … Io francamente non ci trovo niente di mio in tutto questo, secondo me è una visione prettamente maschile … Però io penso che ci sia qualche cosa di diverso proprio perché io non ho trovato niente di mio, proprio niente per appigliarmi per andare avanti con il mio ragionamento, credo di aver compreso ma non mi è risuonato proprio niente e quindi penso ci debba essere una versione femminile di questa cosa e allora ho pensato una cosa, immagino che sia il complesso di Elettra, però non ho letto niente sull’argomento e magari non è quello, ho provato a fare una visione speculare sulla faccenda quindi “io ho ucciso mia madre per stare con mio padre”, qualcosa del genere, però io la figura femminile in questo senso la vedo più come mancanza … Deve essere qualcosa dell’ordine della mancanza di affetto, perché poi la figura femminile, per come la intendo io, è più che altro accoglienza, casa, figlio e quindi penso ci possa essere qualche cosa di quell’ordine lì però qui mi sono completamente persa … Non sono riuscita ad appigliarmi da nessuna parte per cui il senso di colpa è ancora lì bello mastodontico e non si può aggredire, non trovo la via e quindi chiedo a lei uno spunto in questa direzione … Lei il senso di colpa lo riconduce completamente al padre?

Il senso di colpa per Freud è una questione un po’ complessa, certo lui fa muovere il senso di colpa, come diceva lei, dalla fantasia di parricidio che a suo parere, a parere di Freud, è ciò che è originario in ciascuno, e quindi se uno vuole uccidere il papà, questa cosa non è bella soprattutto se la mette in atto, e quindi si sente in colpa per avere desiderato di fare una cosa brutta. Questo è il modello del funzionamento della psiche in Freud. Però perché ci sia senso di colpa occorre che ci sia anche una valutazione prima, e cioè che un qualche cosa “è male”, ora il problema che si pone è com’è che una persona viene a sapere una cosa del genere, e perché ci crede? Perché se non ci credesse non ci sarebbe nessun problema. Questo è uno dei problemi che si incontrano nella teoria di Freud, e cioè nel volere ricondurre qualunque cosa, come ha cercato di fare lui, a un originario senso di colpa. Poi la teoria di Freud è stata rielaborata da altri, man mano per cui il parricidio è diventato un’altra cosa, non è stata più l’idea di uccidere il padre ma qualcosa che avviene parlando, per via del fatto che qualche cosa mentre si parla funziona come equivoco, il padre a questo punto, già in Lacan, non è più il padre ma il “nome del padre”, il padre che funziona come un “nome”. Un nome definisce qualche cosa, la descrive, però per Lacan già non è più così, il nome non descrive qualche cosa ma rappresenta qualche cosa di equivoco, nel senso che racchiude in sé una totalità di significanti, è come se questo nome fosse una costellazione di altre parole, di significanti, appunto un equivoco, un equivoco in cui qualche cosa si perde, perché, per Lacan, questo “equivoco” è determinato dal fatto che il significante che funziona come nome rilascia comunque un qualche cosa, cioè questa comprensione totale del nome non riesce. Il fatto di non riuscire a identificare la cosa con il nome, che poi è di questo che si tratta, comporta una perdita, comporta un fallimento, per Lacan è questa la rimozione, cioè un fallimento rispetto all’idea di chiudere, attraverso il nome, di chiudere la determinazione della cosa: se io do un nome a una cosa questo nome dovrebbe definire la cosa, ma non riesce di fatto, perché ci sono sempre altre cose che posso aggiungere, per esempio altre proprietà, e quindi questo nome non chiude mai la questione. Questa è la rimozione per Lacan, rimozione che interviene parlando, quindi come vede è già molto differente dalla posizione di Freud anche se Lacan ha tratto tutto questo da Freud, ma, come lei sa bene, si può far dire a chiunque qualunque cosa volendo, questo lo sapeva anche Lacan naturalmente. Lacan ha tratto questo da Freud in particolare dalla Metapsicologia ma anche da Totem e Tabù per esempio, e soprattutto dagli scritti più linguistici come il Motto di Spirito, la Psicopatologia della vita quotidiana, l’Interpretazione dei sogni, dove Freud per primo, in quanto psicanalista, constata che ciascuna parola è fatta di molte altre parole, questo è stato un colpo di genio di Freud, anche se negli stessi anni De Saussure stava compiendo un lavoro molto simile. Freud dunque ha rilevato che la parola è connessa con molte altre parole quindi isolarla è impossibile praticamente, è questo che dice in questi saggi di veramente rilevante, che è la stessa cosa che incominciava a considerare De Saussure in base al segno, cioè la parola come segno fatto di significante e significato, ciascun significante per De Saussure è tale in una relazione differenziale con tutti gli altri significanti, cioè perché ci sia quel significante occorre che ci siano tutti gli altri, la stessa cosa per il significato. Quindi la parola è qualche cosa che esiste in quanto presa in una costellazione di altre parole, è impossibile da isolare. Quindi la posizione di Lacan non è del tutto avventata. La questione del senso di colpa procede per esempio, già in Lacan, come effetto di questa rimozione e cioè del fatto che nel dire, la parola è come se risultasse mancante, e quindi anche la persona è mancante, questa è la tesi di Lacan. Mancante strutturalmente (è una cosa che abbiamo tutti?) per Lacan sì, infatti lui parlerà della “manque à être”, la mancanza a essere che viene dal fatto che c’è la rimozione, essendoci la rimozione qualche cosa risulta incompleto, risulta “non tutto” …

Claudia: in questo senso sembra relativamente semplice …

Perché gliel’ho resa semplice …

Claudia: Immagino. Scardinare questa cosa, secondo me la sofferenza viene da questo, in fin dei conti la sofferenza è sempre qualche cosa che non si conosce, al momento in cui la si conosce prende tutta un'altra forma nel senso che il senso di colpa

Non sempre, perché per esempio se lei è di fronte a un plotone di esecuzione, conosce benissimo il plotone di esecuzione, sa quello che sta per fare ma questo non le solleva l’animo, non la rallegra.

Claudia: siamo d’accordo ma io penso che la sofferenza del senso di colpa è una sofferenza diversa rispetto alla sofferenza per esempio della perdita di un caro …

Per Lacan la struttura è la stessa, è sempre comunque la perdita di qualcosa, anche negli scritti di Freud sul Lutto e Melanconia, là dove appunto descrive la perdita di una persona cara, comunque questo rappresenta sempre una perdita cioè qualche cosa che avevo e adesso non ho più, cioè una mancanza, tant’è che delle volte accade che ci si sente addirittura in colpa a causa di una mancanza di una persona cara, come se non si fosse fatto abbastanza per salvarla …

Claudia: Ma forse, questa è una mia personale visione, nel senso di colpa c’è una condanna, c’è qualche cosa di negativo per cui io “ho commesso un crimine” per cui la mia sofferenza ha una giustificazione, perché io sono nell’errore, nel momento in cui accade una cosa esterna che può essere la perdita di una persona ….

Sì, facevo solo un esempio per intendere la questione della mancanza, in effetti rientra anche nella questione del lutto, è sempre comunque una mancanza, però la questione del senso di colpa di cui lei dice procede da questo senso di angoscia che per Lacan è prodotto dalla rimozione in quanto secondo lui originaria: parlando, nominando qualche cosa, adesso la dico in modo molto spiccio, nominando qualche cosa questo qualche cosa non si esaurisce lì, non riesco a comprenderlo tutto, afferrarlo totalmente, quindi qualche cosa manca e questa mancanza è ciò che provoca l’angoscia. Infatti qualcuno ha voluto accostare questa posizione di Lacan a Kierkegaard, angoscia che è sempre comunque connessa con una sensazione di mancanza, e che nel senso di colpa si configura come una “mia” mancanza, cioè non è più una mancanza che viene dal fatto, come dice Lacan, che parlo, e che qualche cosa si perde mentre parlo, ma sono io il responsabile di questa perdita. È allora appunto che si configura il senso di colpa “secondario” di Freud, e a questo punto ecco che il senso di colpa diventa ingestibile perché in ogni caso non potrà mai recuperare questa cosa che provoca angoscia, da qui lo scritto Delinquenti per senso di colpa. Freud la dice in modo molto chiaro: questa angoscia che non si riesce a colmare comporta che qualcuno commetta un crimine perché a quel punto finalmente sa perché è colpevole, sa di cosa è colpevole, è un modo per gestire il senso di colpa, per controllarlo. Di fronte a questa angoscia la posizione della psicanalisi, se la psicanalisi è freudiana, è fare accogliere il fatto che esiste questo desiderio inconscio di eliminare il padre, secondo loro, i freudiani, se questo avviene e cioè se il desiderio inconscio giunge alla coscienza ecco che il sintomo dovrebbe scomparire. Per Lacan non è già più così, la questione è un po’ più complessa, in Lacan il senso di colpa viene ricondotto, almeno clinicamente, al fatto che la persona deve trovarsi nelle condizioni di confrontarsi con dei significanti che sono i significanti dell’Altro, quello scritto con la A maiuscola, A maiuscola che indica il radicalmente altro, non l’altra persona ma ciò che è radicalmente altro. Un confronto dunque con ciò che è radicalmente altro nella propria parola, quindi non è più l’analista che va a reperire questo ricordo, questo desiderio inconscio per porre le condizioni perché diventi conscio, ma è l’analizzante che lungo il suo discorso deve reperire questi significanti dell’Altro, in questa alterità, questa continua alterità che gli si presenta mentre sta parlando. L’Altro per Lacan è l’inconscio, quindi il senso di colpa non si articola, non si elabora se non in un percorso analitico in ogni caso, per entrambi intendo dire per Freud e Lacan, il senso di colpa è originario o primario come dice Freud ed è strutturale cioè non può togliersi, nel senso che a un certo punto scompare ma diventa un’altra cosa, diventa la consapevolezza che parlando non si può escludere l’Altro, cioè l’inconscio, è questa la consapevolezza per Lacan che dovrebbe costituire il fine, mettiamola così, di un’analisi …

Claudia: quindi in qualche modo si supera il “giusto e sbagliato”? nel senso di colpa c’è un giudizio di sbagliato …

Se no non è senso di colpa …

Claudia: esatto nel momento che io il senso di colpa riesco a superarlo quindi riesco a non trovarlo più, supero anche una posizione così rigida di giudizio “giusto/sbagliato” forse diventano più, divengono ridefiniti nella categorizzazione della persona …

Questo sicuramente, anche se è un effetto, per Freud, del senso di colpa, perché il senso di colpa quello primario, è precedente ancora al “buono/cattivo” “giusto/sbagliato” perché è qualche cosa che procede dalla rimozione, anche se poi di fatto non è che preceda perché, perché ci sia rimozione occorre pure che ci sia un giudizio di valore, se no cosa rimuovo? Ha presente lo schemino di Freud in l’Io e l’Es? c’è l’Io e poi c’è una parte l’Es che è il luogo inconscio dove ci sono le pulsioni inconsce appunto, che mi spingono a fare cose malvagie, o cattive, o sconvenienti, dall’altra parte c’è il Super Io, con l’occhio arcigno che dice: “guardati dal fare quelle cose”, e allora l’Io, dice Freud, si trova tirato un po’ di qua un po’ di là e cerca di barcamenarsi, cerca di barcamenarsi producendo quelle cose che si chiamano “formazioni di compromesso” cioè i sintomi. Però perché il Super Io possa operare occorre che queste cose minacciose siano prese per buone, cioè siano credute, siano accolte, come può avvenire una cosa del genere? E qui torniamo alla domanda iniziale: come è potuto accadere che una persona accolga quello che gli dice il Super Io? O per dirla come dice lei, come può accadere che una persona senta, avverta un senso di colpa? Di per sé potrebbe apparire una bizzarria che una persona si senta in colpa, perché mai dovrebbe? Se non perché crede che una certa cosa che ha pensata, che ha immaginata, sia una cosa cattiva? Quindi c’è un giudizio morale in prima istanza, un giudizio morale che viene da qualche cosa, qualcuno glielo ha detto, qualcuno glielo ha detto ma non basta dire qualcosa a qualcuno, occorre che questa cosa venga creduta vera, se no non funziona. C’è sempre qualche cosa che viene creduta essere male, si tratta di vedere perché. Come è potuto accadere che una certa cosa sia diventata segno del male, a che scopo, qual è il tornaconto, chiederebbe Freud, di questa operazione? E cioè prendere qualche cosa come male per poi giovarsene al fine di costruire un senso di colpa? Il senso di colpa è una costruzione, non è una cosa naturale, né viene dal nulla, è una costruzione che delle volte richiede anche anni di lavoro alle volte, una cosa impegnativa …

Claudia: “buono e cattivo” non vengono definiti per permettere qualche vivere sociale?

Sì, i concetti di “buono/cattivo” servono per educare, per addestrare, però qui il problema è quali cose rientrano all’interno del “buono” e quali altre all’interno del “cattivo”, perché sta qui la questione …

Claudia: nel momento in cui scelgo cosa diventa buono e cosa diventa cattivo …

Ma lo “sceglie” in base a che cosa? Qui sorgono dei problemi perché lei di fatto accoglie qualche cosa, almeno inizialmente, qualcosa che le viene detto, che poi lei lo utilizza per costruire altre cose, infatti si sente in colpa per alcune cose, di altre non le passa neanche lontanamente di sentirsi in colpa, quindi è come se ci fosse a un certo punto una sorta di chiamiamola “decisione” di costruire un senso di colpa, che per Freud, e ancora di più per Lacan, procede da qualcosa di originario cioè, come dicevo prima, dalla parola stessa che è incolmabile, però poi questo si appunta a qualche cosa, diventa una “mia” colpa da qui l’angoscia e tutte queste cose, ma …

Claudia: quello che viene in mente a me … conosco il mondo, imparo a conoscere il mondo da piccolina, nel momento in cui apprendo “giusto/sbagliato” eccetera ad un certo punto di questo percorso se io potessi, argomentare o comunque discutere ciò che è giusto o sbagliato lì, se io potessi metterli in discussione e quindi creare un “giusto/sbagliato” funzionale per me, io sarei in grado di scardinare il sistema di valori che mi è stato insegnato e che per tutta una serie di cosa mi fa sentire in colpa, mi fa stare male per x motivi perché io vorrei fare tutt’altro, se io questa cosa riesco a criticarla e poi scardinarla è fatta …

Sì, questo è l’obiettivo di una psicanalisi freudiana. Però c’è un piccolo problema: lei, dice “fare veramente quello che voglio io” cioè che cosa esattamente? Perché anche questo “che voglio io” non viene da nulla …

Claudia: credo che ci sia una necessità di conciliazione tra una spinta inconscia … Mi mette in imbarazzo il termine “inconscio”

Dica “Unbewüsste”, è il termine tedesco.

Claudia: comunque è tutta teoria io non so di che cosa sto parlando ma immagino …

Questo accade sempre ogni volta che parla di qualunque cosa, anche quando va a comprare il pane, anche se ovviamente il gioco linguistico che sta facendo non crea nessun problema in genere, ma potrebbe …

Claudia: ma se parlo di qualche cosa di cui ho esperienza rispetto a qualche cosa che posso solo immaginare, immagino di poter ascoltare una quantità sufficiente di pulsioni o qualcosa del genere conciliate con il proprio …

È quello che ciascuna persona tenta di fare …

Claudia: però il sistema entra in crisi nel momento in cui l’ordine morale e il desiderio non vanno dalla stessa parte? Quindi che cosa bisogna fare modificare l’ordine morale?

È ciò che ciascuno in un modo oppure nell’altro tenta di fare, cioè di trovare appunto quel compromesso di cui parlava Freud, un compromesso tra le spinte pulsionali e le richieste della morale, qualunque essa sia, poi cambiano con i tempi, con i luoghi, con le persone stesse, a un certo punto una persona cambia idea e la sua morale si trasforma, uno diventa mussulmano ed ecco che la sua morale è un’altra rispetto a quella di prima. Ma lei diceva dell’“inconscio”, che ha un qualche problema a pronunciare questa parola, potremmo anche farne a meno volendo, dopo tutto l’idea di Freud è che l’“inconscio” sia qualche cosa di profondo, bisogna scavare e andare a vedere che cosa è successo, già per Lacan non è più così, direi più propriamente non si tratta di qualche cosa che è sotto le parole ma che è adiacente le parole. Direi piuttosto più elementi rimossi che vanno a costituire l’inconscio, ma delle connessioni, connessioni che non possono venire accolte perché in contraddizione con altre affermazioni che sono state accolte. Questo è il funzionamento del linguaggio, è molto semplice e risale a quando esiste il linguaggio, e cioè il fatto che non posso affermare una cosa e simultaneamente il suo contrario, cioè non posso dire che lei è qui e simultaneamente dire che lei non è qui, una delle due deve essere un’affermazione vera. E anche se facessimo discorsi più complicati, dicendo che “sì, lei è qui, però non è qui in un altro senso (per esempio che lei sta pensando ad altro), dobbiamo specificare in “un altro senso”, perché nel senso proprio lei è qui oppure non è qui. Questo comporta un’impossibilità di accogliere due elementi che affermano la stessa cosa ma con segno contrario. Ma per Freud si tratta di rimozione e non si tratta di due cose che sono la stessa cosa ma con segno contrario, ma qualche cosa che non può venire accettato dalla morale di cui dicevamo prima, però adesso lasciamo stare la morale per un momento, pensi a delle connessioni: un pensiero è connesso con molti altri ovviamente, fra queste connessioni ci sono alcune che confliggono tra loro e allora una delle due deve essere eliminata per potere procedere, perché di fronte a un’affermazione che dice di sé di essere vera e falsa simultaneamente, il discorso non può procedere, solo una delle due può essere accolta, oppure si prende un’altra strada decisamente e si abbandona la prima, che è quello che fa il discorso in realtà. Una volta si usava un termine “incompossibile” per indicare due elementi che non potevano stare insieme nello stesso luogo, si dicevano incompossibili, cioè appunto l’impossibilità di stare insieme. Ecco questo modo di approcciare la questione in effetti non prevede l’esistenza dell’inconscio, di questa nozione di cui si è avvalso Freud di fronte all’impossibilità di rendere conto di alcuni fenomeni che invece gli pareva di riscontrare nell’esperienza, e allora è intervenuto, l’inconscio. Attenendosi unicamente al modo in cui funziona il linguaggio si può intendere come dei discorsi o delle parole o dei termini possono venire “cancellati”, ma non viene cancellato il termine, semplicemente viene eliminata la connessione. Tuttavia non c’è mai soltanto una connessione tra un elemento e un altro ma una costellazione di connessioni, quindi diciamo che “recidendo” una connessione, per usare questa metafora, non si elimina l’elemento, ecco perché Freud è stato indotto a dire che l’elemento che è rimosso non scompare, è come se si cacciasse qualcuno dalla porta ma lui tornasse dalla finestra. La questione è che questa parola, come dicevo, non è unita a un’altra da un’unica connessione, ma da una rete di connessioni: posso recidere una connessione, anche due o tre, ma ne rimangono sempre un numero notevole che sono quelle connessioni che poi mi consentono di riaccedere a quell’elemento nel momento in cui posso ripristinare queste connessioni perché queste connessioni non mi fanno più paura, perché è poi questo il motivo per cui si recidono, si recidono perché quella parola o quel discorso confligge con qualche altra cosa. Questo ci sbarazza di tutti i problemi che sono presenti nella teoria di Freud, connessi con ciò che dicevo prima riguardo alla domanda “perché mai uno dovrebbe accogliere quello che dice il Super Io?” qui non c’è più nessun Super Io, ma “conflitti di file”, per usare una metafora informatica: uno dice di fare una certa operazione e quell’altro dice di non farla, e la macchina si blocca se non riceve ulteriori istruzioni. Funziona in un certo senso anche così per gli umani, si bloccano, cioè da quella parte non possono più andare, sono in attesa di istruzioni cioè di un qualche cosa che faccia vedere una certa cosa in un modo diverso per poterla accogliere. A questo punto l’inconscio non ci serve più a niente in realtà, ce ne siamo sbarazzati, anche la rimozione non ci serve più, tutto diventa “apparentemente” e sottolineo “apparentemente” molto semplice.

Claudia: che sarebbe il Super Io …

No, abbiamo eliminato anche il Super Io. C’è un qualche cosa che rende le macchine differenti dagli umani ed è l’unica cosa, per adesso no perché le macchine sono ancora abbastanza rozze ma possiamo pensare a che cosa potrà essere tra alcuni secoli, tenendo conto della rapidità con cui procede l’informatica, potremmo considerare adesso di essere solo ai primi balbettii tutto sommato, ciò che comunque differenzia e differenzierà, finché non si porrà rimedio, la macchina dall’umano è il fatto che gli umani vogliono il potere, le macchine no, non c’è nessuna altra differenza …

Claudia: tocca tornare alla prima domanda “perché vogliamo il potere?”

Così finalmente torniamo alla questione di cui dovremmo occuparci. Sì, perché questa istruzione alle macchine non viene fornita, agli umani sì, ed è ciò che li rende tali, ciò che fa fare loro tutto quello che fanno, ciò ha fatto fare loro tutto quello che hanno fatto da quando esistono, questa era la tesi di Nietzsche: il potere è l’unica cosa che gli umani vogliono, non ce ne sono altre, tutto ciò che fanno, che hanno fatto e che faranno ha un unico obiettivo, l’esercizio, l’acquisizione, il mantenimento del potere, per Nietzsche non c’è altro. L’informazione che viene fornita agli umani e che li rende quello che sono, che sono stati e che saranno, almeno per i prossimi cinquemila anni, nelle macchine non c’è, nessuno gliel’ha messa dentro e quindi le macchine non cercano il potere; l’idea che a un certo punto le macchine, diventando più intelligenti degli umani, per alcuni versi lo sono già, possono fare molte più cose e molto più rapidamente, che le macchine vogliono avere il controllo sugli umani è una stupidaggine, perché non hanno questo “desiderio”, non possono averlo perché nessuno gliel’ha messa dentro questa informazione, non c’è, e quindi non hanno nessuna necessità di avere potere e quindi possiamo stare tranquilli, le macchine non ci calpesteranno perché non hanno nessun motivo per farlo, nessun desiderio di fare una cosa del genere, gli umani sì, anzi, per gli umani è l’unico desiderio: avere potere sull’altro, e vede, se lei ha un senso di colpa, cioè pensa di aver commesso un crimine, questo le toglie la possibilità di avere potere …

Claudia: sì penso quello … eravamo partiti da lì …

Brava! Come dice Freud in quel famoso testo che lei non ha ancora trovato “Delinquenti per senso di colpa”, commettendo finalmente il crimine controllo il senso di colpa, gli do un significato, e cioè torno a essere io colui che ha il controllo della situazione, e quindi in qualche modo riesco a gestire quell’angoscia alla quale, secondo Freud, non si riesce a dare un significato, a quel senso di colpa “primario”, e allora c’è quel senso di colpa “secondario” che sarebbe una configurazione “mi sento in colpa perché ho mangiato la marmellata e la mamma non voleva”. Però forse la questione è più interessante se si pone in questi termini, e cioè il senso di colpa toglie il potere perché è in difetto, ora si tratta di vedere, e questo potrà essere il suo compito, se anche il senso di colpa manifesta un desiderio di potere, e se sì in che modo. Potrebbe lavorare su questo.

Sandro: il titolo “Potere e libertà … oggi la “libertà” non è più un termine di moda … in nome della sicurezza il cittadino è stato privato della libertà, basti pensare dopo l’11 settembre quali norme sono state fissate … ma è il cittadino che ha accettato, che ha voluto queste cose, proprio in nome della sicurezza … La questione della sicurezza rispetto al discorso di ciascuno “ho bisogno di essere sicuro” per avere la gestione, il controllo della situazione e cioè “ho rinunciato alla libertà pur di avere il potere” … Queste significa delegare un potere a chi ti dà sicurezza, a chi “immaginariamente” ti dà sicurezza, un potere che è enorme, questo parte da un’esigenza, da un bisogno individuale perché la questione della sicurezza riguarda ciascuno ma sta diventando una cosa che a livello politico è veramente straordinario.