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11-2-2015

 

LIBERTÀ E POTERE 2

 

Alessandra, lei non c’era la volta scorsa, avevo proposto il progetto che sto seguendo. Si tratta a questo punto che ciascuno dei presenti incominci a dire qual è il progetto che lo interessa. Abbiamo due termini uno è “potere” e l’altro è “libertà”, si possono considerare anche entrambi volendo, non è proibito, e si possono porre in vario modo. Mi era parso che lei fosse più interessata alla questione della libertà, mi era parso, magari no (mi avevano incuriosito in realtà, sono tutti e due) La questione della “libertà” si può approcciare in tanti modi, si può parlare della libertà in termini filosofici, semiotici, etici, politici, religiosi, l’approccio cioè può essere filosofico, semiotico eccetera, può considerarsi la libertà come un ente volendo, insomma ciascuno può sbizzarrirsi, non c’è alcun limite. In particolare sulla libertà, come sapete gli umani ne parlano da quando c’è traccia di loro, si può partire anche dalla nozione di libertà, quella più tradizionale, più comune e vale a dire la possibilità di agire il proprio volere senza subire costrizioni o impedimenti di sorta, generalmente si considera così, è chiaro che il concetto di libertà poi ha avuto delle vicissitudini da Platone almeno fino a Sartre, dalla possibilità di produrre cause fino alla libertà come la maledizione degli uomini, come era per Sartre. È importante che ciascuno colga un aspetto che lo interessa e incominci a lavorare su quello. Supponiamo che qualcuno sia interessato al “potere”, potere nell’ambito per esempio della scienza, nell’ambito della scienza, può incominciare andandosi a vedere Contro il metodo di Feyerabend oppure se è interessato al potere in ambito economico, il primo libro del Capitale, o può essere interessato al potere in ambito medico, può essere allora La nemesi medica di Ivan Illich, oppure in ambito politico sociale e allora Foucault ovviamente L’ordine del discorso, La microfisica del Potere e Sorvegliare e punire. Ci sono vari autori che possono essere intesi come riferimento, come punto di partenza, come spunto eventualmente. Dicevo la volta scorsa che io ho dato un po’ una indicazione di un metodo che sto seguendo, però lei non c’era e se vuole posso riassumere in quattro parole quello che ho detto, visto che non c’era neanche Eleonora. Dicevo che la questione del potere può essere intesa partendo da alcuni scritti, e in particolare consideravo Nietzsche e Heidegger, come “volontà di potenza”, la questione centrale era che la volontà di potenza non è qualche cosa che si aggiunge agli umani ma, proprio seguendo l’indicazione di Nietzsche, appartiene agli umani, cioè ogni forma di volontà è “volontà di potenza”, per lui non ce ne sono altre e non ha tutti i torti se si considera bene la questione tenendo conto che si può anche pensare, tenendo conto di ciò di cui gli umani sono fatti, cioè di parole, di linguaggio, che la volontà di potenza può intendersi un po’ sulla scia di Nietzsche come la volontà del linguaggio di affermare quello che afferma. Il linguaggio afferma delle cose, ogni volta che si parla non si può non affermare qualche cosa, questo affermare è esattamente ciò che intendo come lo stabilire un qualche cosa. Prendete per esempio il sillogismo anapodittico, il “modus ponens”: “se p allora q, ma p, dunque q”. Questa forma di ragionamento che è una delle più praticate e comuni che esistono da quando gli umani pensano, ha una prerogativa che può intendersi bene e sempre un po’ sulla scia di Heidegger, il fatto che dicendo “se p allora q, ma p …” quando dico “ma p” in quel momento io faccio esistere “p”, io impongo alla “p” di esistere, è come se la traessi dal nulla e la facessi esistere. Questa è la forma di esistenza, direi l’unica, di cui si possa parlare in un modo un po’ sensato, e cioè se io dico “ma p” da quel momento “p” esiste: è quell’atto di violenza di cui parla Nietzsche poi ripreso da Heidegger, in cui io impongo a qualche cosa di esistere, e da quel momento esiste, perché l’ho detto, perché l’ho affermato. Questo ci porta al passo successivo, che mostra nella struttura del linguaggio stesso ciò che Nietzsche, e Heidegger leggendo Nietzsche, hanno rilevato, sempre per usare le parole di Nietzsche, la volontà di potenza è nel linguaggio, sì, per Heidegger è metafisica, certo che lo è, ma la metafisica non è altro che il modo di pensare occidentale, quello che deve individuare l’ente, deve reificarlo, e quindi dopo averlo oggettivato manipolarlo. La questione della tecnica a questo punto sorge immediatamente. Ma solo una brevissima cosa rispetto all’aspetto della poesia di cui parla Heidegger che è importante, naturalmente parla di poesia non come un particolare genere letterario ma nell’accezione greca del termine poίesis e cioè ciò che si produce nel momento in cui qualcosa appare, qualcosa si produce, produce qualche cosa questo apparire, esattamente ciò che indicavo come l’affermare qualche cosa, il “ma p” del modus ponens; io traggo dal nulla qualche cosa e lo faccio esistere dicendolo. Eecco dunque il percorso finale è quello che muove dal concetto antico, greco di poίesis alla τέχνη. La τέχνη non è nient’altro che il compimento della metafisica, in quanto chiude la questione promettendo quello che la metafisica ha sempre promesso, e cioè il controllo totale su tutto, è questo che promette oggi la tecnica, e in parte anche riuscendoci, perché le cose che sta facendo sono notevoli. L’idea è quella del controllo totale su tutto, non so se avrà visto dei ragazzini quando sono seduti con il loro cellulare, cosa stanno facendo in quel momento? Stanno controllando gli amici, cosa fanno, cosa dicono, dove sono? È come se si trovassero in quel momento in posizione superiore, e dall’alto osservano il mondo come una sorta di “occhio onniveggente”, che vede tutto, per questo citavo il famoso motto degli gnostici eritis sicut dei, sarete come dei, questa è la promessa della tecnica, è per questo che ormai è planetaria, perché promette questo, dice agli umani “sarete come dio” e come dicevo prima in parte ci sta riuscendo perché è facile pensare di avere tutto sotto controllo, se c’è uno strumento che mi consente di sapere tutto di tutti simultaneamente, l’idea può venire facilmente. Dunque questo è il progetto, tenendo conto di ciò che dice Heidegger sulla tecnica, che sono cose interessanti quindi cercare di cogliere meglio l’aspetto della tecnica e vedere in che modo oggi la tecnica rappresenta l’idea di onnipotenza, è come se realizzasse in un certo senso la fantasia di onnipotenza. Questa è la direzione che sto seguendo. Ma a questo punto non sono io che ho da parlare ma siete voi, ciò che interessa qui, ciò che si richiede è sapere qual è la domanda che intendete porre alla questione che può essere appunto il potere, la libertà, o entrambi. Qual è la domanda e come intendete articolare questa domanda, questo è ciò che occorre sapere da parte mia, e il mio compito è di accogliere questa domanda e radicalizzarla per porre le condizioni perché possa produrre altre domande, sempre più radicali. Qualcuno ha già un’idea?

Alessandra: io volevo dire prima ho detto prima che libertà e potere sono due argomenti che mi sono venuti in mente quando ho sentito il titolo cioè sono partita dalla considerazione che ogni relazione è una relazione di potere, laddove ciascuno cerca di prendere lo spazio che fin tanto che l’altro me lo consente io ci vado e viceversa, quindi la questione della libertà io la intendevo come libertà dai propri condizionamenti e dai propri vincoli, quello che mi rende incapace appunto di stabilire il confine, quindi vedevo questo su un piano di una relazione di questo tipo, cioè la propria libertà personale … poi c’è la questione della prevaricazione…

Con “libertà cosa intende grosso modo?

Alessandra: la libertà dai propri condizionamenti, cioè la libertà di essere quello che si è, di esprimere la propria singolarità … tante volte ci costringiamo…

Qui si tratterebbe di incominciare a domandare qualcosa anche intorno a dei presupposti da cui si muove, lei dice “libertà di essere ciò che sono”, è un’affermazione complessa, come fa a sapere che cos’è lei esattamente? e anche ammesso che riuscisse a saperlo, come riconosce che è proprio quella anziché in un’altra?

Alessandra: intesa nel senso di sentirsi tra virgolette ma molto tra virgolette “in pace” … tante volte rimane quella sensazione di “avrei voluto fare un’altra cosa” … rispetto alla mia coscienza … non quello che altri ti impongono ma quello che effettivamente senti che è la cosa giusta…

Sì, ho inteso, ma si tratta a questo punto di incominciare a mettere in discussione, come dicevo prima, dei presupposti, cioè quei concetti, chiamiamoli fondamentali da cui si parte. L’idea di essere qualche cosa, l’idea di un benessere raggiungibile oppure no e cioè che cosa si intende con questi termini, è importante. Lei sa bene che certe volte basta modificare un termine e si modifica tutto, quindi occorre interrogare le cose da cui si parte per vedere che cosa hanno in più da dire rispetto a ciò che dicono nel loro uso più comune, delle volte capita di usare parole senza avere una idea molto chiara di che cosa si sta dicendo, accade, ecco, in questa occasione potrebbe essere importante incominciare a vedere di che cosa si sta parlando, non perché quella cosa sia quella, no, ma per sapere meglio in che modo la sto usando e perché la sto usando in quel modo. Quando per esempio parliamo di libertà io do una definizione di massima, ma è una definizione che lascia il tempo che trova ovviamente, è chiaro che per parlare di libertà dovrò fornire una definizione, cioè dire che cosa io in questo momento intendo con “libertà” se voglio che altri seguano quello che sto dicendo, però ciò che io sto intendendo non è la Libertà. La libertà è un concetto metafisico, e per esempio per Spinoza non esiste assolutamente. Invito a riflettere sul modo in cui si usano certi termini, sul perché si usano in quella maniera anziché in un'altra, questo è il lavoro da farsi e, come diceva Peirce, la prima cosa da fare quando si ragiona fra varie persone è incominciare a intendersi sui termini, perché se non ci si intende è chiaro che ciascuno va per la sua strada e non si produrrà mai nulla, intendersi sui termini e cioè dire che cosa io intendo con “libertà”. Può anche partire dalla definizione più corrente e attenersi a quella, per poi eventualmente modificarla lungo il percorso della sua riflessione: se io definisco la libertà, come dicevo prima, come la possibilità di esercitare la mia volontà, già faccio intervenire il termine “possibilità” quindi il “potere”, faccio intervenire la questione della volontà e faccio intervenire anche altri elementi, tantissimi, come la questione dell’impedimento, che cosa impedisce. Cosa intendo quando dico che qualcosa mi impedisce qualcosa? Incominciare cioè a pensare in modo più preciso i propri pensieri, mettiamola così, questo potrebbe essere un modo interessante da farsi, in modo che il procedere da una parte vada ponendosi in modo sempre più preciso, ma questa precisione è quella che poi porta alla massima apertura. Come si diceva una volta è proprio giungendo al massimo della precisione che si trova l’apertura, si trova l’equivoco, l’impossibile, non si parte dall’impossibile, vi si giunge eventualmente proprio al culmine della precisione, della determinazione, lì ci si accorge che entrambe queste cose non sono altro che parole, che quindi vanno usate in un certo modo, si usano in un certo modo. Lei Alessandra diceva la libertà dai propri condizionamenti (dai propri vincoli) sì questo ci richiama immediatamente al motivo per cui una persona dovrebbe avere dei vincoli e dei condizionamenti, non è obbligatorio, ma che cosa vincola una persona? I suoi pensieri ovviamente. Da dove arrivano questi pensieri? Perché ci crede?

Alessandra: i vincoli arrivano comunque dall’educazione no?

Anche certo, ma non solo, perché delle volte uno viene educato e formato in un certo modo poi viene fuori in tutt’altra maniera, può capitare, a me hanno cercato di inculcare un sacco di cose che non sono mai state recepite, fortunatamente…

Alessandra: trovare quella cosa che funziona che consente di accettare oppure no quel vincolo, quel condizionamento … è molto complicato…

Sì perché deve decidere se questa cosa le appartiene oppure no, e non è sempre semplice perché anche questa decisione potrebbe a sua insaputa essere vincolata da altri condizionamenti, che in fondo era la posizione di Spinoza, diceva esattamente che non c’è nessuna libertà. Sì, io posso volere una certa cosa particolare di volta in volta ma sono cose specifiche, di volta in volta io sono preso da delle cose che per lo più ignoro ma che mi condizionano continuamente, ininterrottamente, che è poi la tesi di Freud in un altro modo e cioè ciascuno è mosso, è pilotato da fantasie, alcune sono consapevoli altre no, ma qui c’è tutto il discorso di Freud ovviamente. La portata di Freud è stata questa: la persona è fatta delle sue fantasie, non ci sono altre cose di cui è fatta, e di questo occorre tenere conto, fantasie che rinviano ad altre fantasie, che rinviano ad altre fantasie apparentemente senza soluzione di continuità, quindi c’è libertà? No, neanche per Freud c’è la libertà. “Libero dai propri condizionamenti”, come faccio a sapere che questo tentativo di liberarmi da un condizionamento non provenga da un altro condizionamento e così via all’infinito? L’opportunità è quella di intendere mano a mano ciò che sta accadendo lì in quel momento, può pensare che qualunque cosa sia un condizionamento oppure che nulla lo è, può pensare tutto quello che vuole, a quali condizioni per esempio un qualche cosa ne condiziona un’altra? Cioè un suo pensiero viene condizionato da un altro che è sempre suo, tra l’altro, quindi la persona si condizionerebbe da sé in molti casi, perché lo fa, a che scopo?

Simona: quindi partire dalla volontà di potenza per arrivare poi a un discorso di libertà? Se si parte dalla libertà come si è detto è complicato…

Sì e no, è chiaro che ricondurre ciascuna fantasia a una fantasia di potenza può essere interessante, può dare una direzione precisa, intanto occorre domandarsi se ciascuna “volontà” è volontà di potenza, che ripresa nei termini in cui la descrivevo prima, è come domandarsi se il linguaggio, il dire, per potere parlare deve affermare oppure no, se deve affermare allora effettivamente c’è questa possibilità e cioè che ogni volontà è volontà di potenza perché appartiene al linguaggio di cui gli umani sono fatti, oppure no, oppure al linguaggio non è necessario affermare e allora si tratta di vedere che cos’è a questo punto il linguaggio, la parola in assenza della possibilità di affermare alcunché, è ancora linguaggio? È ancora parola? Cosa fa? Tecnicamente non fa niente perché se non afferma non fa niente, non prosegue, non procede, non c’è nulla, il Nihil absolutum, come dicevano una volta. Sono questioni che meritano comunque di essere considerate, prese in considerazione e affrontate per giungere … alla soluzione? Dipende da che cosa intendiamo con soluzione, sta qui la questione centrale, a cui magari potremmo, magari, giungere. L’idea metafisica è quella di giungere alla soluzione nel senso di sapere come stanno le cose, e questa sarebbe una conoscenza possibilmente del “tutto”, però quando si giunge alla soluzione, quella che appare essere la soluzione o una risposta a un problema, questa risposta al problema potrebbe anche essere intesa come una riproposizione del problema, anche perché di soluzioni al problema se ne possono trarre molte e delle volte anche in contraddizione tra loro, è un po’ come dire “come faccio a sapere che questa certa cosa è la risposta a questa domanda?” come faccio a sapere una cosa del genere? Chi me lo ha insegnato? Dove ho imparato una cosa del genere? Qui certamente si aprono questioni ardue, ma non per questo non affrontabili. Ecco quindi Alessandra potrebbe incominciare a riflettere su quelli che lei chiamava i propri vincoli, di che cosa sono fatti, da dove arrivano? Perché una persona si auto vincola, e cosa comportano questi vincoli. Incominciando a riflettere magari viene fuori qualche cos’altro, a volte accade che uno parte con un’idea e poi questa idea lo sposta su un’altra e si accorge che quest’altra è molto più interessante della prima, può succedere qualunque cosa, però come inizio, come abbrivio potrebbe essere la questione dell’essere vincolati, perché no? Quindi questo lo teniamo per il momento come il progetto di Alessandra. Bene proseguiamo, Delmastro qual è dunque la domanda che lei rivolge?

Delmastro: a proposito di quello che lei ha proposto la volta scorsa mi trova … Di Nietzsche ho letto qualcosa e pensavo di andare a rivederlo, secondo me questa questione della volontà di potenza può anche leggersi differentemente però adesso non sono riuscito a trovare alcuni passi li porterò la prossima volta e leggerò Essere e Tempo che volevo leggere, mi interessa molto elaborare la questione della “potenza” perché sulla questione della “libertà” l’ho già elaborata abbastanza … ma la questione del “tempo” per me è fondamentale, quindi proprio per cogliere … per esempio secondo me si può partire da Carmelo Bene quando diceva tentando di differenziare il genio e il talento, diceva “il genio fa ciò che può, il talento fa ciò che vuole” è chiaro che anche lui era il genio. È molto interessante questa questione sul fatto “che cos’è questo potere a cui il genio accederebbe?” non è il potere, l’altra volta si diceva il potere folcloristico, ma è un altro potere e questo potere a cui accedere è fondamentale accedere, visto che noi parliamo anche di psicanalisi, che una conversazione siano dispositivi perché se non sono dispositivi quindi se le cose non si dispongono, io dico “provvidenza”, se non si dispongono inevitabilmente si devono imporre … dell’impositore quindi di colui che deterrebbe il potere e anche tutto sommato quello che diceva Andreotti “il potere logora chi non ce l’ha” come se ci si scannasse per avere questo potere, il potere di imporre le cose e invece no, il fatto che ad un certo punto le cose iniziano a disporsi senza più questa padronanza soggettiva, è questione essenziale nella riuscita dell’analisi.

Bene, c’è già un’idea, un progetto preciso intorno al “potere” di Nietzsche, un aspetto particolare del potere, oppure è una cosa molto generale?

Delmastro: una cosa è quella frase di Freud formidabile “dove l’inconscio era occorre arrivare”, io la leggo costantemente legata a quella di Nietzsche “ciò che fu io volli che fu”, nella traduzione che è giunta a noi c’è questa traduzione dell’imperfetto cioè “come l’inconscio era” che non vuol dire che non sia mai stato, questa è la questione con il “tempo” che secondo me va a scombinare tutto quanto … È la questione dell’eternità …

Qui sorge una questione importante, quella del “tempo”. Faceva bene a citare Essere e Tempo visto che per Heidegger l’Essere è il Tempo. Dunque la questione del potere in Nietzsche, tenendo conto dell’aspetto particolare del tempo. Il tempo è una questione complessa, ovviamente si tratta di stabilire che cosa si decide di intendere con “tempo”, visto che non è un ente che sta da qualche parte in una sorta di iperuranio, di cui si tratta soltanto di coglierne le proprietà, il tempo è un concetto, un concetto che viene utilizzato in vari modi, come per esempio quello cronologico oppure in altri modi…

Delmastro: Se uno prende la questione del tempo in fisica … Il tempo in fisica sarebbe il lavoro fatto bene … Tempo legato alla questione della velocità, della prestazione eccetera … Ma il tempo non è una questione cronologica… Se vogliamo intendere qualcosa di questo potenziale …che non è coglibile logicamente, è coglibile solo nel suo sviluppo…

Questa è un’affermazione impegnativa, che occorrerebbe argomentare, perché se no non significa niente. La volta scorsa forse non sono stato sufficientemente chiaro, occorre non soltanto affermare qualche cosa ma dire perché lo si afferma. Potrebbe essere interessante incominciare a dire che cosa si intende con un certo termine e perché si intende quella cosa anziché un'altra, cosa che non va affatto da sé, in quanti modi si può intendere il tempo? Tanti quanti gliene pare, qual è quello giusto? Nessuno ovviamente, quindi ciascuna volta, quando usa questo significante “tempo” intende un qualche cosa che è ciò che lei sta intendendo in quel momento, ma non è il tempo perché “il tempo” in quanto tale come entità, come ente, non c’è da nessuna parte, come dicevo prima, non è che noi descriviamo un qualche cosa che è da qualche parte metafisicamente, come voleva Platone, stiamo semplicemente definendo un concetto “tempo”, un significante, in un modo tale che ci serve per aggiungere altre cose, per rilanciare delle cose, questo è il massimo che possiamo fare, di sicuro non sapere rispondere alla domanda metafisica classica τί ἐστί, il che cos’è il “tempo”. Il tempo non è qualche cosa, non è un quid, per cui quando si usa questo termine occorre dire che cosa si intende e anche perché si intende ciò che si sta intendendo. Bene, dunque “la questione del potere, Nietzsche e il Tempo” magari con riferimenti a Essere e Tempo che sembra fondamentale.

Giovanni: sono andato avanti un po’ nella lettura che lei mi aveva consigliato di Le Bon “Psicologia delle folle” su ciò di cui si parlava la volta scorsa sull’ “accettazione” da parte di un individuo di un comportamento collettivo, diceva Le Bon “non suo”, cioè un atteggiamento che viene messo come base del comportamento della massa. Sto continuando a leggere e ho cominciato a buttare un occhio alla psicologia delle masse di Freud che parte appunto da Le Bon …

Qual è la domanda che lei rivolge a Le Bon, o in questo caso a Freud, qual è la domanda che lei vorrebbe rivolgere intorno a questa questione?

Giovanni: davvero è un comportamento “non mio”, io individuo che divento massa, davvero assumo un comportamento che non è mio?

Questa è già una questione interessante, come fa a distinguere? È un po’ la questione che poneva prima Alessandra, come faccio a sapere se questo condizionamento viene da me o viene da altro, e se viene da altro in ogni caso  lo accoglie, lo accoglie e lo fa suo, se lo fa suo ci sono dei motivi e questi motivi vengono da lui: se accolgo una cosa che una persona mi dice evidentemente ciò che questa persona mi sta dicendo collima con alcune cose che io credo, quindi c’è sempre e comunque una responsabilità in ciò che io decido di fare o di pensare. Non è che il condizionamento non ci sia, esiste il marketing che si occupa solo di questo, cioè di condizionare le scelte, funziona fino a un certo punto ma entro certi limiti funziona. Ma la questione che pone Freud è la responsabilità che ciascuno si trova ad avere ciascuna volta in cui accoglie o non accoglie una qualunque cosa, come dire c’è lui in quel momento che decide, con tutte le cose che ha imparate, che ha acquisite, che detesta, che apprezza, che ama, che odia, tutto quanto. E se fosse il “condizionamento” l’argomento della sua riflessione? Quindi Freud e Le Bon, orientativamente, cioè come accade che delle persone, delle masse, siano o appaiono essere condizionate? A questo riguardo, su come si condizionano le masse potrebbe leggersi un testo di qualche interesse, si chiama Mein Kampf, a parte i deliri sul sangue e la razza nella prima parte è interessante, sembra un saggio di sociologia, spiega come si fa a persuadere le masse, quali sono i punti deboli di questa entità che è la massa, i punti deboli su cui occorre, ed è possibile, fare leva, e occorre dire che almeno in parte ha funzionato.

Ferruccio: sono andato avanti sulla libertà e i condizionamenti proprio del bambino nella società … qui arriviamo alla trasmissione del messaggio dell’autorità sublimati … pensavo alla follia, avevo intenzione di sviluppare le matrici…

In che modo la follia ha a che fare con il potere e con la libertà o entrambe? Come situa la questione della follia rispetto al potere?

Ferruccio: il potere è autorità … di solito una società si regola sul potere democratico … vediamo delle società che hanno all’interno delle malattie psicologiche…

Più che follia a questo punto fermerei la mia attenzione sul concetto di “malattia psicologica” e vediamo che cosa ne viene fuori. Intanto occorrerà intendere cosa si vuole dire quando si parla di malattia psicologica.

Sandro: sono un po’ indeciso sono diverse le direzioni, proprio sentendo Alessandra “il conflitto” perché è un termine che per me viene utilizzato in moltissimi modi, è una categoria della psicologia che ha a che fare con la questione del potere, per esempio il conflitto personale non è altro che una lotta all’interno del pensiero tra due affermazioni, tra due verità e ovviamente vince e produce quindi quell’effetto di rimozione, vince quell’affermazione che ha più potere, perché si immagina abbia più potere, esattamente come nei conflitti, nelle guerre vince assolutamente chi ha più potere … non solo più potere militare ma potrebbe anche essere un potere strategico eccetera, la direzione potrebbe essere una sorta di intendimento di quella che è la logica interna, più che altro partendo da una nozione di potere che è molto generica e quindi si presta a un utilizzo molto variegato, diciamo che questo è un modo per approcciare la questione anche della psicanalisi…

Un riferimento anche al πόλεμος eracliteo, potrebbe essere un punto di partenza, e cioè che il conflitto è l’origine di tutte le cose…

Sandro: perché anche l’idea di essere liberi dai condizionamenti eccetera, eccetera vagheggia questa idea di pace interiore, per dirla in termini papali, papali del buon senso comune, nella pace interiore è perché ci sono due parti in conflitto e queste due parti possono anche produrre una sorta di compromesso ed ecco la formazione di compromesso di Freud quindi la questione del sintomo, non è difficile provare che questa logica non riguarda solo la persona, l’individuo, ma riguarda proprio la questione delle relazioni, le relazioni sono le grandi questioni pubbliche.

Alessandra: mi viene in mente qualche cosa da aggiungere, ha detto che il sintomo è una formazione di compromesso e Freud diceva che non ci si può liberare dai propri sintomi ma arrivare a saperci fare con il proprio sintomo … quello che volevo dire il fatto di essere in pace , di aver fatto la cosa giusta, non l’eliminazione del conflitto perché non ci potrà mai essere questa totale … certo la pace “non si muore” mi ha fatto riflettere quello che lei diceva ma di arrivare a questa convivenza con il proprio sintomo con quello che comunque non sarà mai risolvibile, non sarà mai possibile arrivare una soluzione cioè arrivare a dire “questa è la strada definitiva giusta” però …

Può farlo se vuole.

Alessandra: appunto è una cosa che uno sperimenta su se stessi, cioè non è definibile, non esiste.

Andrei cauto con affermazioni universali, però diciamo che è possibile…

Alessandra: per quanto riguarda la persona sono sempre fantasie che si contrappongono e che cercano l’una di avere la supremazia sull’altra però a me interessava questo procedimento partendo dal luogo comune.

Un ottimo percorso.

Simona sei interessata a un aspetto che riguarda il potere, la libertà, incominciare a rifletterci su un pochino? Hai già consultato in varie occasioni La nemesi medica di Ivan Illich, potrebbe essere un modo di approcciare la questione del potere in ambito medico, quindi sanitario, quindi anche scientifico, perché no? Eleonora, qualche fantasia?

Eleonora: stavo pensando alla Servitù volontaria di Etienne De La Boétie, stavo pensando a una cosa sociale, in realtà l’ultima volta che l’avevo letto, l’avevo letto insieme a Marx.

La servitù volontaria è un concetto molto interessante, come mai le persone si adattino, felici e contente, a essere massacrate, perché è questo che dice…

Eleonora: certo, di essere “servi” fondamentalmente…

Beatrice: il termine principale è “il controllo” il controllo della verità e quindi la necessità di affermare delle verità, delle certezze. Ho ripreso per l’ennesima volta “Psicologia delle masse e analisi dell’Io”, la questione del potere per un’idea astratta oppure per un “capo” è importantissima in Freud, lui fa discendere la volontà di potenza dal capo per poi mettercisi al posto, questa è la rappresentazione. Leggendo Freud laddove parla dell’ideale dell’io e di tutto ciò limita il piccolo Io, mi veniva in mente La Boétie e soprattutto “Della Certezza” di Wittgenstein. Una questione importante il “controllo” e il “piacere” perché l’altra volta si parlava anche del piacere e si tentava anche di mettere il piacere come qualcosa che gli umani, come diceva all’inizio Freud del piacere che era ciò che faceva funzionare il sistema psichico e poi abbiamo visto che è giunto a intendere che è ben altra la questione proprio quella del controllo, della gestione di ogni situazione, lui era partito dal trauma…

Il passaggio da Pulsioni e loro vicissitudini a arrivare Al di là del principio di piacere

Beatrice: per esempio il “fort, da” eccetera. È molto vasta ancora la questione però visto che si affermava che, come i bambini amano certe cose e non possono farne a meno invece gli umani sono responsabili delle cose di cui vivono.

Bene, quindi la questione del controllo, del piacere e della responsabilità. Teresa, qualche progetto?

Teresa: Come diceva Cicerone più cose si sanno e meglio si pensa, però sono attratta dal discorso “follia, surrealismo e libertà”) Interessante “follia, surrealismo e libertà” quindi le avanguardie del 900 (solo i “surrealisti” perché i “futuristi” non li posso soffrire … parlo di follia, è un po’ diverso ma nell’accezione di follia come “libertà” perché non penso ci sia un rapporto diretto fra genio e follia.

Comunque questi tre termini mi sembrano già sufficienti…

Giovanni: perché follia e libertà fa molto anni 80?

Dagli anni ’70 agli anni ‘80 si è lavorato molto a partire anche dalla psicanalisi ma non solo, dalla psicanalisi, dalla semiotica, dalla filosofia sulla questione della malattia mentale e vennero mosse forti critiche alla psichiatria e sorsero gruppi abbastanza interessanti. In Italia c’era Basaglia, in Inghilterra c’era il gruppo che lavorava alla Tavistock Clinic, dove lavoravano Cooper, Laing e Esterson e altri, i quali pensavano che la malattia mentale in quanto tale non esistesse, c’è della follia ma la follia non è un malattia, è un modo della persona di affrontare delle cose nei confronti della quali avverte delle difficoltà, dei problemi. Dunque la follia diventa un qualche cosa che non soltanto appartiene a ciascuno, direttamente o indirettamente, ma potrebbe anche essere la sua chance, la sua occasione. E questo era un discorso che si faceva negli anni ?80 ci fu un famoso congresso a Milano appunto “La follia”.

Teresa: mi riferivo a quello che ha detto Lacan sulle psicosi all’inizio, però non ho letto il seminario.

Cesare: Io pensavo “perché il potere anziché no?” per esempio, come si è sentito, pare che sia strutturale al funzionamento del linguaggio, se è in questa maniera è strutturale al modo di parlare degli umani, non si può farne a meno, e quindi indagare bene la struttura del linguaggio. Vedere quale funzione ha il “potere” all’interno della struttura del linguaggio, a cosa serve? Se è necessario oppure, se è un escamotage perché non si intende molto bene …

È un po’ quello che accennavo prima, intendere il famoso enunciato di Nietzsche, volgerlo, sempre usando il suo modo di dire cioè la “volontà di potenza” come la volontà del linguaggio di affermare quello che afferma, un termine un po’ figurato ovviamente però questa potrebbe essere una traccia, una direzione. Quindi Cesare si occuperà del funzionamento del linguaggio, e di reperire il potere all’interno del modo in cui il linguaggio si dà.

Avete visto che abbiamo incominciato a precisare i veri progetti, adesso si tratta di lavorare e produrre dei testi. Due mesi per arrivare a una conclusione, conclusione che auspico sia un’apertura su altre domande ancora più radicali, ancora più importanti, perché è questo che è più interessante: riuscire a trovare il modo di riformulare la questione in modo che produca ancora altre domande. Ci vediamo mercoledì prossimo alle ore 21.