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11 gennaio 2017

 

A pag. 176. Quando uno parla di ostilità alla scienza, gli si deve anzitutto domandare se egli sappia che cosa significhi scienza. Ora, però, in contrapposizione all’antichità greca, come viene inteso nel Medioevo l’essere dell’ente? Nel Medioevo, la filosofia è ancilla theologiæ, vale a dire, la filosofia è determinata a partire dalla teologia, e in questa l’essere dell’ente viene inteso in quanto creatio, in quanto creaturalità. Nella storia della determinazione dell’essente troviamo, dunque, i seguenti tre stadi: 1) l’essere dell’ente in quanto ύποκείμενον, che consiste dei ϕύσει όυτα, di ciò che si schiude da sé, e dei θεσει όυτα, di ciò che è prodotto dagli uomini; 2) l’essere dell’ente in quanto creaturalità; 3) l’obietto, determinato dal soggetto-io, ovvero l’oggetto. Queste secondo Heidegger sono le tre fasi, la prima quella dei greci, come gli enti di natura, per i greci l’ente si produce da sé, ricordate la ϕύσίσ come uno degli aspetti dell’essere, ciò che si produce da sé e che quindi non ha bisogno di essere creato; nel Medioevo è dio, naturalmente; poi, arriva Cartesio e c’è il soggetto e l’oggetto. Quale essente veracemente, vale ciò che è constatato nell’obiettività scientifica. Oggi è la scienza che determina che cosa è l’ente. Ciò suona molto grandioso. Solo, a tale proposito, si dimentica troppo facilmente e troppo spesso che questa obiettività è possibile solo in quanto l’uomo si è introdotto in una soggettività, che non si comprende in alcun modo da se stessa. L’impostazione di Descartes riguardo alla determinazione dell’obiettività dell’obietto, è stata poi da Kant, nella sua Critica della ragion pura, per la prima volta sottoposta ad un’analisi sistematica. Husserl ha fenomenologicamente precisato, dispiegato e fondato questa posizione di Kant. Questo in poche parole il percorso della determinazione dell’ente dai greci ad oggi. In Sein und Zeit, tuttavia, a differenza del pensiero tradizionale della metafisica, viene posta una questione del tutto diversa. Finora era stato interrogato l’ente riguardo al suo essere. Cioè, che cos’è l’ente? In Sein und Zeit non v’è più la questione circa l’ente in quanto tale, bensì circa l’essere in quanto tale, circa il senso dell’essere in generale, circa la possibile manifestatività dell’essere. Questo è un passo importante che ha fatto Heidegger e prima di lui l’essere era considerato un ente, cioè si consideravano solo gli enti. Infatti, dice lui, tutto il pensiero occidentale, o meglio ancora, definisce la metafisica proprio in questo modo, come ciò che ha scambiato l’essere per l’ente. Il primo avvio del mio intero pensiero risale a una proposizione di Aristotele, nella quale si dice che l’essente viene asserito in molteplici modi. Questa proposizione fu propriamente il lampo che suscitò la questione: Qual è, dunque, l’unità di questi molteplici significati di essere, che cosa significa in generale essere? Per Aristotele l’essere era determinato dalle sue famose dieci categorie, sostanza, quantità, qualità, modo, ecc. Se pongo tale questione, metodicamente il passo successivo è la questione: Come posso in generale dispiegare tale questione, dove si dà un filo conduttore che mi permetta di fare presso l’inchiesta circa esso stesso? (pagg. 176-177) La domanda è questa: che cos’è che mi permette di domandare che cos’è l’essere? Da dove viene questa domanda, come si può formulare? Qui il passo successivo era che io, presso i Greci, non solo andassi cercando che cosa essi hanno detto circa l‘essere dell’ente, bensì, soprattutto, considerassi in che modo i Greci, fin da principio, senza riflettervi espressamente, abbiano inteso l’essere. Lui è sempre alla ricerca della parola autentica del pensiero greco, cioè, la parola che si lascia ancora ascoltare perché è una parola aperta, una parola che dischiude altre parole, altri racconti, altre possibilità, in quanto è qualcosa che si svela, appare. In questo rimeditare circa il senso dell’essere, mi si mostrò che i Greci concepirono l’“essere in quanto tale” nel senso di essere-nell’essere-presente, di presenza. Ciò che è presente qui e adesso. οσία, che generalmente viene tradotto con sostanza, presso il greco antico, dice lui, era la semplice presenza, quindi, ciò che appare, ciò che si manifesta. In questa determinazione dell’essere entra in gioco manifestamente il tempo. Infatti, “presenza” è un termine temporale. Tuttavia, deve venire anzitutto posta la questione di come qui il tempo sia da pensare, in quanto la rappresentazione tradizionale del tempo non è sufficiente neanche solo a poter trattare in quanto questione la questione dell’essere. Questa consapevolezza conduceva all’ulteriore questione: Come si rapporta l’uomo stesso al tempo, il tempo come determina l’uomo, di modo che a lui possa venire rivolta la parola dall’essere? Per Heidegger la parola, in un certo qual modo, la parola viene dall’essere. L’essere sempre inteso come progetto, è da questo “per” qualcosa, la parola è per qualche cosa. Per questa, la trattazione della questione dell’essere viene preparata attraverso una interpretazione dell’esserci umano ella temporalità lui peculiare. La questione, in questo modo divenuta necessaria, circa chi o cosa o come l’uomo sia, viene, perciò, in Sein und Zeit, esclusivamente e sempre trattata a partire dalla considerazione della questione circa il senso dell’essere. Il senso dell’essere per Heidegger è fondamentale ed è anche quella posizione che lo pone a distanza da tutta la filosofia che l’ha preceduto che, come dicevamo, considera l’essere un ente. Per lui l’essere non è un ente. Con ciò è già deciso che la questione circa l’uomo, in Sein und Zeit, non è posta nel modo di una antropologia, che domandi: Che cos’è l’uomo in sé e per sé? La questione circa l’uomo, quale essa risiede in Sein und Zeit, conduce all’analitica dell’esserci. Ora, che cos’è ciò che è decisivo in questa analitica dell’esserci? Tutto il lavoro di Heidegger può intendersi come un’analitica dell’esserci. E cioè un’articolazione, un’elaborazione intorno alle condizioni per cui un progetto possa darsi. Non viene ricondotto, come faceva Freud, il sintomo ad elementi. Dicevamo l’altra volta che questi elementi diventano oggetti metafisici, isolati. Piuttosto, viene posta la questione circa quelle determinazioni che caratterizzano l’essere dell’esserci riguardo al suo rapporto con l’essere in generale. Questo è importante, perché dice che non si tratta di scomporre il sintomo, come fa Freud, in elementi, piuttosto che cosa caratterizza l’essere dell’esserci, cioè l’esserci in quanto tale, cioè il progetto, che cosa lo caratterizza in rapporto con l’essere in generale, l’essere in questo caso intenso come significato delle cose. L’essere in generale, cioè il modo con cui ci si pone, con cui ci si rapporta al mondo, con cui si è nel mondo. La differenza rispetto a Husserl e alla sua fenomenologia non consiste affatto in ciò, che vengano elaborate solo strutture d’essere dell’esserci, bensì in ciò, che in generale l’esser uomo sia posto in quanto esser-ci, e ciò in esplicita differenza dalle determinazioni dell’uomo in quanto soggettività e in quanto coscienza trascendentale dell’io. Qui la questione è semplice, sta soltanto dicendo che lui incomincia a intendere l’uomo come qualche cosa che è quello che è in relazione con il mondo che lo circonda, con tutto le cose, a differenza di tutte le altre posizioni che pongono invece l’uomo come soggetto, quindi, separato dall’oggetto, mentre vi ricordate che Heidegger diceva nelle pagine precedenti che non è disgiunto, non si parla più di soggetto e di oggetto. Questo che chiamiamo uomo è quello che è in relazione anche con questo, con quello, con tutto quanto, e non può non essere in relazione con tutte queste cose; il soggetto no, il soggetto è il soggetto, qui c’è il soggetto e lì c’è l’oggetto, separati. Per Heidegger questa separazione non esiste, anzi, è un’idea strampalata. Secondo la tradizione, la parola “esserci” significa esser-semplicemente-presente, esistenza. In questo senso si parla, per esempio, delle dimostrazioni per l’esser-ci di Dio. In Sein und Zeit, tuttavia, esserci viene inteso diversamente. Come sappiamo, il Dasein, l’esserci è l’essere nel progetto, non l‘essere qui presente, anche ma non soltanto. A ciò, innanzitutto, non hanno fatto attenzione neanche gli esistenzialisti francesi, per cui essi hanno tradotto esserci, in Sein und Zeit, con être-là, il che significa essere qui e non lì. (pagg 177-178) Che non ha nessun senso per Heidegger l’essere lì. Per esempio, l’esserci di Cesare è l’essere lì. Per Heidegger la questione è di ben altra portata, non è il fatto che Cesare sia lì o là, o su o giù. Non so se ce l’avesse con Sartre in particolare, può essere. In Sein und Zeit il ci non intende un’indicazione di luogo per un ente, bensì dee nominare l’essere-aperto, in cui l’ente possa essere essente-presente per l’uomo, anche egli stesso per se stesso. Questo ci indica l’apertura, indica la condizione di questa apertura, questa è l’analitica dell’esserci: la condizione per cui qualche cosa possa essere e la condizione per io possa essere, non tanto che io sia qui o lì, ma che io sia in relazione con tutto ciò che è il mio mondo in questo momento. Il ci da essere caratterizza peculiarmente l’esser uomo. Il parlare di un esserci umano è, perciò, un pleonasmo… Ovviamente l’esserci non può che appartenere all’uomo, solo l’uomo ha un progetto. … anche in Sein und Zeit non ovunque evitato. … La fenomenologia di Husserl, che resta una fenomenologia della coscienza, e che in Binswanger continua ad avere incidenza, impedisce un chiaro sguardo nell’ermeneutica fenomenologica dell’esserci, il rapportarsi di esserci e coscienza ha bisogno di una trattazione particolare. Essa è predelineata dalla questione circa il rapportarsi fondativo tra essere-nel-mondo in quanto esserci e l’intenzionalità della coscienza. Tuttavia, tale questione ci condurrebbe troppo lontano dal nostro autentico tema. (pag. 178) Siamo al 23 novembre 1965 e dice H.: Eravamo rimasti alla delucidazione dell’esserci, per meglio dire, alla questione del perché in Sein und Zeit si parli dell’esserci e non semplicemente dell’esser uomo. Il motivo di ciò sta nel fatto che in Sein und Zeit la questione dell’essere determina tutto, vale a dire, la questione di in che misura l’essere (l’essere-nell’essere-presente) abbia la sua manifestatività el tempo. L’uomo è quello che è in relazione al mondo che lo circonda e non può essere se non preso in questa relazione in quel momento. A pag. 179. Poiché, però, l’uomo può essere uomo solo in quanto comprende l’essere, vale a dire, in quanto egli sta nello essere-aperto dell’essere… è questa la comprensione per Heidegger: essere aperti all’essere, esser aperti al progetto, il progetto è il significato delle cose e il significato delle cose, abbiamo aggiunto noi, è la volontà di potenza. … Il tempo, da determinare a partire dalla considerazione della questione dell’essere, non si può comprendere con il concetto tradizionale di tempo, quale lo ha dispiegato normativamente Aristotele nel quarto libro della sua Fisica. Tempo come successione di eventi, di stati, di ora. Nella filosofia, da Aristotele in poi, il tempo viene compreso a partire dall’essere nel senso dell’essere-nell’esser-presente dello ora e non l’essere a partire dal tempo. Il tempo dalla filosofia di Aristotele in poi, viene compreso a partire dall’essere, nel senso che questo è qui, passa un secondo ed è lì, passa un altro secondo ed è lì. Invece, Heidegger dice il contrario: occorre comprendere l’essere a partire dal tempo. Di domanda, dunque: In che cosa si fonda la possibilità che l’uomo abbia rivolta la parola dall’essere in quanto essere, vale a dire, da che cosa dipende che l’essere stesso possa diventare manifesto per l’uomo nel senso di un essere-nell’essere-presente? Sta dicendo questo. Quali sono le condizioni perché l’uomo, o meglio, perché si possa intendere che l’uomo è quelle che è a partire dal suo essere presente? Essere presente per Heidegger significa essere presente nel mondo, essere presente a tutto ciò in relazione al quale l’uomo è quello che è. Non è semplicemente presente, è la critica che faceva prima alla traduzione francese, l’esserci non l’esser lì, anche ma non soltanto, Cesare è lì ma riguarda anche me, le cose che lo circondano, riguarda una serie infinita di cose che lo determinano in quanto Cesare, in questo momento. Quindi, nulla a che fare con il soggetto. Sorge ora la questione: Come deve venire posto l’esser uomo, affinché la determinazione dell’uomo corrisponda al fenomeno fondamentale della manifestatività dell’essere? Donde viene la visione che l’uomo stesso stia in questo slargo dell’essere, vale a dire, che l’essere del ci sia estatico, che l’uomo esista in quanto esser-ci? Sta ponendo delle domande: come dobbiamo porci la questione in modo tale da comprendere bene la visione che l’uomo stia in questo slargo che l’essere apre, la famosa Lichtung, del bosco, della radura, dell’illuminazione, ecc. Ma questo slargo non è altro che l’apertura che il progetto pone a ciascuna cosa che è in quel progetto. Il progetto è l’apertura stessa delle cose, è il significato. L’apertura è ciò che consente alle cose di apparire ma apparire in quanto le cose sono per il progetto, le cose appaiono così, appaiono come quelle che sono ma per il progetto, quindi, non quelle che sono in quanto tali ma quelle che sono inserite all’interno del progetto. Dice che l’essere del ci sia estatico, come ciò che sta fuori, l’uomo esiste in qua sta fuori preso nel progetto, non è compreso in sé ma è sempre fuori, cioè è progettato, progetto gettato. L’interpretazione delle strutture principali, che costituiscono l’essere, così posto, del ci, cioè il suo esistere, è l’analitica esistenziale dell’esserci. Questa è la definizione che dà di analitica esistenziale, dell’esserci, cioè l’interpretazione delle strutture principali, che costituiscono l’essere, cioè il suo esistere, quali sono le condizioni essenziali del suo essere. Esistenziale è usato in differenza da categoriale. Nell’uso odierno, categoria intende una classe o un gruppo in cui rientrano determinate cose. Si dice, per esempio: cade sotto questa o quella categoria. Categoria viene dal άγορεύειυ, e questo significa: parlare pubblicamente nel mercato (ολορά), in particolare nel dibattimento giudiziario. La preposizione κατά significa: dall’alto in giù verso qualcosa; essa significa la stessa cosa del nostro über; asserire qualcosa su qualcosa; …  Questo è l’etimo di categoria, ci mette κατά e poi άγορεύειυ, quindi ciò che sta sopra a quello che è il parlare pubblicamente, quindi l’asserire qualcosa su qualcosa. … nel caso particolare del pubblico dibattimento giudiziario, nell’accusa dire qualcosa “in faccia” all’accusato. Conformemente a ciò, κατηγορία significa propriamente asserzione. In Aristotele, κατηγορία riceve il significato per cui essa intende quelle determinazioni che appartengono all’asserzione in quanto tale. Quindi, categoria è un’asserzione, un asserire qualcosa di qualche cosa. Infatti, dice che per Aristotele sono quelle determinazioni che appartengono all’asserzione in quanto tale, è l’asserzione che dice che cos’è una certa cosa. Quindi, non si riferisce alla certa cosa ma all’asserzione, a ciò che se ne dice. All’asserzione appartiene qualcosa, su cui asserisco qualcosa, il soggetto della proposizione. Ciò che viene asserito sullo ύποκείμευου, è il predicato. Nell’asserzione, dico per esempio: qualcosa è fatto in questo e in quel modo; la fattezza è la categoria della qualità. (pagg. 179-180) Ricordate le dieci categorie di Aristotele, una di queste è la qualità. Qualcosa è in questo e quel modo alto o largo. Il quanto come tale menziona la categoria della quantità. In Aristotele l’indicazione del numero delle categorie oscilla. In tutti i casi, queste categorie non sono, come in Kant, mere determinazione della facoltà dell’intelletto, bensì caratteri dell’essere in quanto tale. Per Kant queste categorie sono facoltà dell’intelletto, è l’intelletto che consente alle cose di mostrarsi per quelle che sono, è soltanto la facoltà dell’intelletto che ci permette di rapportarci alle cose, mentre per Aristotele queste categorie sarebbero dovuti i caratteri dell’essere dell’ente in quanto tale, cioè dell’essenza in quanto tale. Infatti, per Aristotele le dieci categorie sono ciò che determinano l’essere. La medesima cosa vale certamente anche per Kant, solo che per Kant l’essere-nell’esser-presente dell’essente-presente ha assunto il senso della obiettività dell’obietto. Mentre per Aristotele non c’era ancora la nozione di oggetto, per Kant sì, e cioè queste categorie di Kant, dice Heidegger, cioè l’essere-nell’esser-presente dell’essente-presente è diventato un oggetto. Questo essere dell’essere-presente, l’essere di ciò che è qui e adesso, l’essere presente determina l’oggetto, mentre per Aristotele non era così. Sappiamo che Kant era già in pieno soggettivismo. In Sein und Zeit ho tentato di mettere in evidenza i caratteri d’essere specifici dell’esserci in quanto esserci rispetto ai caratteri d’essere di ciò che non è conforme all’esserci, della natura, per esempio, e, perciò, li ho chiamati esistenziali. Sta soltanto dicendo che lui intende i caratteri specifici dell’essere che riguardano l’uomo, non la natura, non gliene importa nulla della natura. Infatti, li ha chiamati esistenziali perché riguardano l’uomo. L’analitica dell’esserci, in quanto analitica esistenziale, è, detto del tutto formalmente, una specie di ontologia. Ora, nella misura in cui è quella ontologia, che prepara la questione fondamentale circa l’essere in quanto essere, è una ontologia fondamentale. … Dopo questa chiarificazione di ciò che significa analitica dell’esserci … tutto ciò che sta dicendo è solo per chiarire cosa intende lui per analitica dell’esserci … e di donde essa venga determinata, cioè dalla questione dell’essere, possiamo abbordare le obiezioni e rimproveri, prima menzionati, all’analitica dell’esserci, cioè, rispettivamente, all’analisi dell’esserci. Se a Loro venisse detto che il Loro pensiero sia ostile alla scienza, cosa ribatterebbero? Risposta: Si dovrebbe domandare che cosa intende per scienza colui che muove il rimprovero. Mi sembra il minimo. Si tratta qui di mostrare che ogni scienza è fondata su una inespressa ontologia del suo ambito oggettuale. Cioè, la scienza considera l’essere come oggetto, quindi, come ente. La fisica, per esempio, tratta del movimento dei corpi-inanimati in quanto qualcosa di misurabile. Il pensiero fisicalistico è, dunque, un pensiero calcolante. Il movimento di un corpo-inanimato è, però, misurabile riguardo al suo mutamento di luogo. Questo pensiero fisicalistico-calcolante pone, dunque, sin dal principio, il movimento in quanto mero mutamento. (pagg. 180-181) Il problema per Heidegger è che la scienza non si pone alcuna domanda circa il luogo. Il luogo è una di quelle supposizioni che intervengono a dire che questa cosa è quella, cioè, il luogo c’è. Questo fa la scienza: la cosa c’è, e lì finisce la sua domanda intorno all’essere e poi incomincia a calcolare con il suo calcolatore. Poiché ogni scienza tratta di un ambito dell’ente, essa è necessariamente già inclusa nella e rapportata alla manifestatività di questo ente in quanto ente, vale a dire, alle determinazioni fondamentale del suo essere; sta dicendo che ogni scienza tratta dell’ente o di un suo aspetto. Facendo questo, si rapporta continuamente alla manifestatività, cioè al fatto che qualche cosa si manifesta ma senza domandarsi nulla intorno a questo manifestarsi, non si pone la domanda circa il fatto che questa cosa si manifesta in questo modo, a me in questo momento, perché io sono in relazione con questa cosa e che io stesso sono anche questa cosa qua che sto osservando. Questa sarebbe la posizione di Heidegger. Pensiamo, per esempio, alla legge d’inerzia di Newton: ogni corpo-inanimato persevera nel suo stato di quiete ovvero di movimento rettilineo uniforme, se nessuna forza agisce su di lui. Tuttavia, nessun uomo ha ancora visto un movimento rettilineo uniforme. La supposizione di un tale movimento è, dunque, una finzione. Tuttavia, essa appartiene al progetto aprioristico della fisica moderna. In quanto questa supposizione contraddistingue l’ambito oggettuale della fisica matematica, risulta chiaro che la fisica è fondata su una ontologia inespressa. Non dice mai, di fatto, che è fondata su una ontologia, anzi, un fisico si strapperebbe i capelli, ciò nondimeno questa ontologia è quella cosa che consente al fisico di fare tutte le cose che fa, nel senso che questa ontologia gli dice che questa cosa c’è ed è quella che è. Da qui tutte le sue elucubrazioni, mentre per Heidegger la questione si pone in termini molto differenti, e cioè dice “io ci sono, cioè il mio esserci è determinato dal fatto di essere anche in relazione con questa cosa, che è quella che è in relazione a me che la osservo, cioè, è quella che è per me per ciò che io intendo fare di questa cosa, cioè per il mio progetto. L’elemento esatto delle scienze esatte non si lascia determinare esattamente, vale a dire, calcolatoriamente, bensì solo ontologicamente, e così anche il modo della verità che spetta alla “scienza” nel senso della scienza esatta della natura. Questa è un’obiezione interessante. L’elemento esatto delle scienze esatte non si lascia determinare in quanto esatto, è posto come supposizione in quanto esatto, quindi ontologicamente, la supposizione rientra nell’ontologia: io suppongo che questa cosa sia, cioè, dico “questa cosa è”. E così dice anche il modo della verità della scienza è determinato ontologicamente, perché tutto ciò che la scienza determina come vero muove da un’ontologia inespressa, diceva lui prima, cioè, da questa serie di supposizioni, che la scienza deve necessariamente porre per potere incominciare a calcolare. È ciò che diceva da un’altra parte: conoscenza, elaborazione, manipolazione dell’ente. Ma per fare tutto questo occorre che l’ente sia quello che è, cioè, che non sia dipendente dal mio progetto, non sia inserito nel mio progetto, non sia quello che è perché è nel mio progetto, ma che sia quello che è per virtù propria. Il problema è che questo non posso mostrarlo in nessun modo. La sua verità si comprova nell’efficienza dei suoi risultati.  Se questo modo di pensare scientifico determina la rappresentazione dell’uomo, e questi, come ora accade nella cibernetica, viene indagato secondo il modello del ciclo autoregolantesi, la distruzione dell’esser uomo è perfetta. Sta dicendo che se questo modo di pensare scientifico, posto in questi termini, è quello che determina la rappresentazione anche dell’uomo, allora l’uomo diventa obietto, un oggetto qualunque, un ente fra gli enti. A questo punto, posto l’uomo come ente fra gli enti, l’uomo è manipolabile, è trattabile come un ente qualunque, e questa è la distruzione dell’uomo per Heidegger, l’uomo non è più ciò per cui le cose sono quelle che sono ma diventa lui stesso una cosa tra le tante. Questo è uno dei motivi per cui Heidegger si opponeva fortemente allo scientismo, alla tecnica, ed è uno dei motivi del fraintendimento che l’ha portato verso il nazismo, che originariamente si era posto come un ritorno alle tradizioni tedesche e, quindi, qualche che doveva opporsi al tecnicismo imperante, sia americano che sovietico, e recuperare poi, di fatto, il pensiero greco antico, perché, secondo Heidegger, la Germania, il pensiero tedesco, traeva le sue origini nel pensiero greco antico, quindi, un ritorno alla λήθεια, un ritorno alla Φύσις, un ritorno all’apertura, all’aperto. C’era stato qualche fraintendimento perché questa apertura è stata subito chiusa dalle SS. Perciò, mi oppongo alla scienza, ma non alla scienza in quanto scienza, bensì solo all’assolutizzazione della scienza della natura. Cioè, alla pretesa della scienza di affermare la verità. Qui c’è qualcuno che si chiama S. e non sappiamo chi sia. Dice S.: Per noi la difficoltà sta nel fatto che il prof. Boss vuole bandire il pensiero scientifico-naturale dalla psicologia, noi, invece, vogliamo rimanere degli scienziati naturali. Heidegger risponde. H.: Anzitutto, dovrebbe dirmi che cosa sia la psicologia. Se ora io sto parlando con Lei, sono due uomini che parlano l’uno con l’altro, comprendendosi a vicenda. Se ora determiniamo l’esser uomo in quanto esserci, dobbiamo dire: Lei esiste e io esisto, ci siamo l’uno con l’altro nel mondo. Se ora parliamo di che cosa sia discutibile o necessario nella psicologia, o se conversiamo intorno al fatto se sia già da parecchio possibile andare a scire sui monti, io Le rivolgo la parola in quanto esserci esistente. (pagg. 181-182) In quanto progetto in atto. Come, però? È ciò un’analitica dell’esserci? Siamo ora al punto decisivo. Come vede Lei me e come vedo io Lei, in quale riguardo? Siamo qui ma in che modo? Come vedo io lei o come lei vede me? Queste sono questioni del tutto semplici. Quando entrambi parliamo, esistendo siamo entrambi rapportati l’uno all’altro. Cioè, esistiamo in questo rapportarci. Visto a partire dall’analitica dell’esserci, come mi è presente Lei in quanto uomo? In Sein und Zeit sta scritto che l’esserci è quell’ente al quale ne va dell’esserci stesso. Cioè qualche cosa che è riferito all’esserci, qualche cosa che è riferito al progetto, che è quello che è riferito al progetto. Ne va a Lei di me e a me di Lei. Con ciò Lei pratica un’analitica dell’esserci? No. Ma mi vede e mi ha presente nell’orizzonte delle determinazioni dell’analitica dell’esserci. Cesare mi vede e mi ha presente nell’orizzonte, nell’apertura dell’analitica dell’esserci, vale a dire, in quell’apertura che si instaura nel momento in cui ciascuno non può che essere quello che si trova ad essere all’interno del mondo in cui si trova, cioè in relazione a tutto quanto lo circonda, a tutto quanto lo ha fatto essere quello che è in questo momento. Abbiamo stabilito che l’analitica dell’esserci interpreta l’essere di questo ente. E se Lei ora parla con me, e non pratica un’analitica dell’esserci, ciò non è ontologico, bensì Lei si dispone verso di me, in quanto questo esistente, onticamente. L’analisi dell’esserci è ontica, l’analitica dell’esserci ontologica. Adesso qui fa la distinzione che aveva posta prima fra analisi dell’esserci e analitica dell’esserci. Dice se Lei ora parla con me, e non pratica un’analitica dell’esserci, ciò non è ontologico. Se chiacchieriamo insieme e non pratica un’analitica dell’esserci, cioè, non si interroga su che cosa sta avvenendo in questo momento, sulle relazioni che lo fanno essere quello che è, questo non è ontologico, non riguarda l’essere, bensì Lei si dispone verso di me, in quanto questo esistente, onticamente, cioè lei si pone in quanto ente, non interrogandosi sull’essere si pone come se fosse un ente. L’analisi dell’esserci è ontica… l’analisi del progetto riguarda l’ente, cioè che cosa voglio fare dell’ente, mentre l’analitica dell’esserci ontologica, cioè una riflessione sull’essere, cioè sul progetto stesso. Quello ontico riguarda il che cosa voglio fare dell’ente; l’analitica dell’esserci riguarda, invece, una riflessione intorno al mio progetto. Proprio nel modo in cui è possibile che, per esempio, il fisico Heisenberg, non in quanto fisico, bensì, in certo qual modo, filosofando, domandi circa le strutture fondamentali dell’oggettività della natura fisicalista, così, corrispondentemente, il rapportarsi di analista dell’esserci e analizzando può essere esperito in quanto rapportarsi di esserci a esserci e venire interrogato circa che cosa caratterizzi questo determinato esser l’uno con l’altro in quanto conforme all’esserci, dunque, per esempio, non solo l’interpretazione dei sogni dell’analizzando in rapporto a questo determinato uomo esistente, bensì la riflessione su che cosa sia il sogno in generale. Con questa domanda, la riflessione perviene nell’ambito di una ontologia dell’esserci. Dispiegare ciò tematicamente non è cosa dell’analista dell’esserci, tanto poco di quanto sia di Heisenberg avviare una trattazione circa l’essenza della causalità o circa la relazione soggetto-obietto. La cosa decisiva è che i fenomeni, che compaiono di volta in volta nel rapportarsi di analizzando e analista, nella loro appartenenza al relativo concreto paziente, vengano portati a discussione nel loro contenuto fenomenico a partire da se stessi e non semplicemente subordinati in blocco ad un esistenziale. (pag. 182) Si tratta nel sogno, se parliamo di un analista dell’esserci, non di dare una interpretazione del sogno ma di domandarsi che cosa sia un sogno. Prima cosa. Poi, facendo questo dice la riflessione perviene nell’ambito di una ontologia dell’esserci. Questo passaggio dall’interpretazione del sogno a che cosa sia il sogno è, secondo lui, un passare a un’ontologia dell’esserci, come dire, che cos’è questa cosa di cui stiamo parlando? Tu mi racconti il sogno, va bene, ma che cos’è un sogno per te?.

Intervento: Mi sembra che lui stia dicendo che l’interpretazione del sogno dà per scontato tutta una serie di presupposti…

Che il sogno sia quello che si suppone che sia.

Intervento: Mentre lui dice che occorre andare ai presupposti.

Esatto. Però, dice che questo non è propriamente ciò che fa un analista, l’analista interpreta i sogni e bell’è fatto. Invece, dice La cosa decisiva è che i fenomeni, che compaiono di volta in volta nel rapportarsi di analizzando e analista, nella loro appartenenza al relativo concreto paziente, cioè, la relazione tra analista e analizzante è, in effetti, qualcosa che appartiene necessariamente all’analizzante, nel senso che l’analizzante in quel momento è quello che è perché c’è un analista, perché l’analista è preso nel mondo dell’analizzante in quel momento. Ecco che questi rapporti devono essere portati in discussione nel loro contenuto fenomenico, a partire da se stessi, e non semplicemente subordinati in blocco ad un esistenziale, cioè a una persona, ma considerati in blocco, cioè al fatto che c’è, sì, l’analizzante ma c’è anche l’analista. Questo comporta che il ondo dell’analizzante in quel momento include l’analista e non può disgiungersi, non posso considerare semplicemente quello che sta dicendo l’analizzante non tenendo conto del suo mondo in questo momento, che comprende me, comprende il divano, comprende il colore della poltrona, comprende tutto. Tutto questo è l’analizzante in quel momento.

Intervento: tutto questo può riguardare il transfert?

Beh, sì, indirettamente. La riflessione che sta facendo Heidegger però sembra trascendere la questione del transfert, anche se indirettamente può entrarci. La questione che qui pone Heidegger va al di là del singolo rapporto analitico perché è qualcosa che potrebbe riferirsi a qualunque situazione dove ci sono due persone che parlano tra loro. Però, per intendere ciò che sta raccontando l’analizzante di un suo sogno, io non devo interpretarlo, sta dicendo Heidegger, ma devo, insieme con l’analizzante, pormi la domanda di che cosa lui stia intendendo quando parla di sogno, anziché porre il sognare come un oggetto metafisico. Nel momento in cui l’analizzante racconta il suo sogno, qualunque esso sia, in questo raccontare c’è anche la presenza dell’analista, c’è la presenza di tutto ciò in cui lui crede, la presenza del suo mondo in cui io, in quel momento, sono incluso, ovviamente. Heidegger dice che se non si pone la questione in questi termini ci si riduce a considerare, come dice qui, che occorre partire dai fenomeni, da ciò che appare, da ciò che si manifesta, e non semplicemente questi fenomeni subordinati in blocco a un esistenziale, cioè subordinati alla persona considerata come soggetto, considerata come avulso da tutto il resto, dal divano, dalla poltrona, avulso dal suo mondo. Poco dopo a pag. 183 dice L’analitica dell’esserci, come il nome accenna, è una determinata interpretazione ontologica dell’esser uomo in quanto esserci, e precisamente al servizio della preparazione della questione dell’essere. Dice che questa analitica dell’esserci, che poi è la sua filosofia, è una determinata interpretazione ontologica dell’essere per cui vede l’uomo in quanto esserci, in quanto progetto gettato. Se in questo modo stabiliamo qualcosa, una tale asserzione è esatta. E possiamo saperlo. Facciamo un salto a pag. 185. Ma che cosa significa “scienza” in questi rimproveri? È intesa la scienza della natura. Come sta la cosa con questa scienza della natura? Cos’è l’elemento distintivo di questa scienza della natura? Hanno già avuto anche i Greci questi concetti di scienza? No. Da che cosa è caratterizzato questo concetto moderno di scienza? Husserl ha definito una volta la scienza in quanto connessione di fondazioni di proposizioni vere. Un contenuto “obiettivo” della scienza della natura è, per esempio, la legge della caduta libera. Questa legge è “obiettiva” nel senso che essa sarebbe indipendente dall’uomo? La relazione di questa scienza con l’uomo non consiste soltanto nel fatto che essa venga eseguita dall’uomo, bensì l’uomo è in ciò necessariamente partecipe in modo tale deve fare una supposizione una finzione. Ora, che funzione ha tale supposizione? Con essa, nella fisica classica, l’ambito oggettuale, che si chiama natura, viene caratterizzato attraverso la connessione del movimento rettilineo uniforme di punti-massa. Che accade con ciò della natura? Si chiede: che cosa ha a che fare tutto questo con la natura? Essa viene rap-presentata riguardo alla sua conformità a legge. Vi ricordate quando diceva che prima all’interno del progetto stabilisco una legge, dopodiché considero oggetti solo quelle cose che rientrano all’interno di questa legge. Solo attraverso ciò, essa diventa oggetto, e precisamente oggetto per la calcolabilità e prevedibilità di tutti i processi. La supposizione, così eseguita, non è null’altro che l’atto fondamentale della oggettivazione della natura. Cioè, tutta l’oggettivazione della natura, la scienza si appoggia su questa oggettivazione. La supposizione è che gli oggetti si muovano in conformità a leggi che io ho inventato. La parola “oggetto”, dal punto di vista storico-linguistico, è la traduzione di “obietto”. Ma, non appena dico obietto, è anche già insieme posta la relazione con un soggetto. Oggetto è lo stare-di-contro per l’esperienza del soggetto. L’oggetto sarebbe lì a disposizione della mia esperienza. Questo è un concetto del tutto determinato di oggetto. Questo è il concetto conclusivo di oggetto della scienza moderna. Distinto da questo, si dà un concetto del tutto naturale di oggetto, quando si dice: oggetto d’uso. In filosofia, poi, si dà ancora un concetto di oggetto che intende un che di del tutto generale, in quanto qui oggetto designa ogni possibile qualcosa per un possibile rappresentare. Questa teoria dell’oggetto è sorta insieme con la fenomenologia intorno alla svolta del secolo scorso al nostro. Entrambe provengono dalla scuola di Brentano. Qui oggetto non significa null’altro che il mero “qualcosa”. Ogni qualcosa, che possa diventare soggetto di un’asserzione, è qui oggetto, per esempio anche “identità”, “uguaglianza”, “relazione”, ma anche una cosa, una macchina, un processo, un numero. Tutto ciò che sia possibile, che non sia nulla. In fondo, persino anche il nulla è qui un oggetto, in quanto posso parlare di esso. (pagg. 185-186)