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10-12-2014

 

Heidegger nell’Introduzione alla metafisica incomincia con una domanda, che è la domanda fondamentale della metafisica: perché vi è, in generale, l’essente e non il nulla? Questa è la domanda, e dice: ecco la domanda, non si tratta presumibilmente di una domanda qualsiasi, è chiaro che la domanda “perché vi è in generale l’essente e non il nulla” è la prima di tutte le domande, questa domanda è la più vasta e anche la più profonda. Chiedere “perché?” è chiedere quale ne è la ragione, il fondamento, da quale fondamento l’Essente proviene, su quale fondamento si basa, a quale fondamento risale, la domanda non concerne questo o quell’aspetto dell’ente, né il suo essere qua o essere là, né come è fatto né come può risultare modificato o venire utilizzato e via dicendo, il domandare – ricordatevi che la domanda, il domandare, per Heidegger sono cose molto importanti – il domandare mira al fondamento dell’essente in quanto essente, cercare il fondamento significa indagare la ragione, investigare tutto ciò che viene investigato si rapporta al fondamento solo che per il fatto dello stesso domandare rimane incerto se questo fondamento sia veramente fondante, se realizzi la fondazione, se sia un fondamento originario un “grund” ovvero se questo fondamento rifiuti la fondazione se sia assenza di fondamento – come dire si cerca il fondamento ma se supponiamo di averlo trovato c’è sempre l’eventualità che questo fondamento rinvii a un altro fondamento invece lui vuole trovare qualche cosa che sia in assenza di fondamento cioè che questo fondamento non abbia altro dopo di sé – o se infine non sia né una cosa né l’altra ma presenti solo un’apparenza forse necessaria di fondazione, costituendo così solo un non fondamento, comunque sia la domanda va in cerca di una risposta decisiva perseguendola in un fondamento che fondi, giustifichi l’essente come tale in ciò che esso è, tale domanda sul perché non ricerca per l’essente causa della stessa natura o poste sul medesimo piano di esso - ovviamente se è fondamento di un essente, il fondamento deve essere sotto, deve essere un’altra cosa, non può essere lui stesso, cioè sta dicendo che il fondamento non può essere “causa sui” - o almeno questo è ciò che la domanda si sta domandando - questo fondamento è “causa sui” oppure no? – Essa (la domanda) non si muove su di un piano differente o solo in superficie ma penetra nella zona più profonda proprio fino all’ultimo, fino al limite, rifuggendo da qualunque superficialità e appiattimento tende al profondo così che oltre la più ampia, si presenta nel contempo fra tutte le domande più profonde, come la più profonda, tuttavia c’è un essente che si fa avanti sempre di nuovo con insistenza in questo domandare, quello degli uomini stessi che pongono la domanda, ora in questa domanda non deve trattarsi di qualche ente particolare, cioè di un uomo che domanda, in ragione della sua domanda illimitata tutti gli enti per essa si equivalgono – non stiamo cercando un ente, stiamo cercando l’essenza dell’ente, l’Essere dell’ente – in ragione della sua portata illimitata tutti gli enti per essa si equivalgono // - non sussiste alcun motivo perché per entro all’essente alla sua totalità si debba porre in primo piano quell’essente che è chiamato uomo alla cui specie per caso noi apparteniamo, é infatti attraverso questo domandare che l’essente nella sua totalità si presenta per la prima volta come tale – questo è importante – aperto nella direzione del proprio possibile fondamento e mantenuto una tale apertura da questo domandare – qui in questa breve frase c’è tutto Heidegger praticamente, ha detto una cosa importante ho detto perché questo essente si presenta nella sua totalità per la prima volta nella domanda cioè prima non c’è, è con la domanda che qualcosa “appare” direbbe Severino ma lo sa anche Heidegger, è soltanto nel domandare, nel porsi della domanda che l’essente cioè un ente qualunque “appare”. – proprio per il fatto che questo domandare si pone di fronte all’essente nella sua totalità senza potervisi per altro sottrarre, accade che ciò che viene domandato si ripercuota nel domandare stesso, “perché il perché?” su che cosa si fonda la domanda stessa del perché, domanda che si studia di porre l’essente nella sua totalità sul suo proprio fondamento? Forse anche questo perché rappresenta a sua volta solo la domanda di un fondamento provvisorio sicché quel che si cerca è sempre ancora un essente capace di fondare? Forse è così? Forse questa prima domanda paragonata con quella riguardante l’essente con le sue varie trasformazioni non è in realtà la prima per dignità e per rango? Certo il fatto che la domanda “perché vi è in generale l’essente e non il nulla?” venga posta o meno non tocca minimamente l’essente in se stesso, i pianeti non seguono meno per questo il loro corso, l’impulso vitale non trascorre meno nelle piante e negli animali, ma quando tale domanda venga effettivamente posta ecco che allora in questo domandare se spinto realmente a fondo si verifica effettivamente che ciò che viene interrogato e fatto oggetto della domanda si ripercuote sul domandare stesso, di conseguenza tale domandare non costituisce di per sé un fatto qualunque ma un accadimento peculiare che chiamiamo “evento”, la nostra domanda è la domanda che rappresenta tutte le vere domande ossia quelle che si pongono da sé a sé stesse - come diceva prima “perché il perché?” “perché domandare?” – sia che ci renda conto o meno essa risulta necessariamente implicita in ogni altra domanda, nessun domandare neppure quello concernente il benché minimo problema scientifico può comprendere se stesso se non afferra la domanda di tutte le domande vale a dire se non se la pone, il porre effettivamente una simile domanda significa l’avere l’ardire di interrogare fino in fondo, di esaurire l’inesauribile mediante la rivelazione di quanto in essa richiesto, laddove qualcosa di simile avviene c’è filosofia. Se questa non è in grado di garantire le basi di una civiltà si pensa che sia per lo meno in grado di favorirne l’edificazione sia con l’ordinare in prospetti o sistemi la totalità dell’essente fornendo a scopo utilitario un quadro, una specie di mappa del mondo delle diverse cose e generi di cose possibili così da permettere un orientamento generale e comune, sia del sollevare le scienze di una parte del loro lavoro conducendo la riflessione sui loro presupposti concetti fondamentali e principi, ci si attende insomma dalla filosofia che promuova e acceleri lei l’attività culturale in senso pratico tecnico contribuendo a renderla più agevole, si crede in base alla propria esperienza di avere facile conferma del fatto che la filosofia non conclude nulla e non serve a niente, entrambi questi luoghi comuni che vanno per la maggiore soprattutto nell’ambito dell’insegnamento e della ricerca scientifica sono l’espressione di certe constatazioni che hanno una loro incontestabile esattezza, chi per contro cercasse di dimostrare che la filosofia in fin dei conti qualcosa conclude non farebbe che aumentare e rafforzare il fraintendimento imperante consistente nel preconcetto che la filosofia può essere valutata secondo i criteri correnti con i quali si giudica, per esempio, della funzionalità della bicicletta o dell’efficacia di certi bagni termali, è quanto mai esatto e perfettamente giusto dire che la filosofia non serve a niente - (questo testo è del 39, quindi alla soglia della seconda guerra mondiale) – l’errore è soltanto di credere che con questo ogni giudizio sulla filosofia sia concluso, resta tuttavia da fare ancora una piccola aggiunta sotto forma di domanda se cioè, posto che noi non possiamo farcene nulla, non sia piuttosto la filosofia che in ultima analisi è in grado di fare qualcosa di noi, supposto che ci impegniamo in essa e riteniamo che questo possa bastare per quanto riguarda il chiarimento che ciò che la filosofia non è. Abbiamo posto all’inizio la domanda “perché in via generale l’essente e non il nulla?” abbiamo detto che porre questa domanda è il filosofare se infatti con uno sguardo penetrato di pensiero ci apriamo nella direzione di tale domanda, questo significa che in primo luogo rinunciamo a soffermarci in una qualunque delle solite sfere dell’essente – cioè si sta ponendo la domanda fondamentale, tutte le altre sono secondarie rispetto a questa – il nostro interrogare ci spinge al di là dell’usuale e di ciò che rientra nell’ordine quotidiano, Nietzsche ha detto una volta: un filosofo è un uomo che vive, vede, ascolta, sospetta, spera e costantemente sogna cose straordinarie. Filosofare significa, possiamo ben dirlo ora, è uno “stra–ordinario” porre domande su quello che è fuori dell’ordinario. All’epoca del primo e decisivo fiorire della filosofia occidentale presso i greci dal quale ha tratto veramente origine la domanda sull’essente come tale nella sua totalità, l’essente era denominato “φύσις” (fisica), questa espressione chiave che vale a designare presso i greci l’essente, si usa tradurla con “natura”, non si fa più utilizzare in questo modo la traduzione latina “natura” che significa propriamente “nascere” o “nascita”, in questa traduzione latina viene già eliminato l’originario contenuto della parola greca “φύσις”, l’autentica forza evocativo filosofica della parola greca risulta distrutta, ciò vale non soltanto per la traduzione latina di questa parola ma per ogni altra traduzione latina delle espressioni filosofiche greche, il fatto di queste traduzioni non rappresenta comunque qualcosa di fortuito o privo di significato, esso costituisce infatti il primo passo del processo di imprigionamento e di alienazione dell’originaria essenza della filosofia greca - questa è una tesi di Heidegger che insiste continuamente, e anche di Colli, perché anche Colli disse una volta da qualche parte che tutto il pensiero umano è stato detto dagli antichi greci, tutto ciò che è seguito è stato un rimaneggiamento, un rimescolamento, una riedizione di ciò che era stato detto all’origine, come dire che all’origine era stato detto tutto ciò che era da dire, - è solo nella parola e nella lingua che le cose divengono e solo con l’uso incontrollato della lingua nella vuota chiacchiera o nelle frasi fatte si viene così a perdere l’autentico rapporto con le cose, ora che cosa significa la parola “φύσις”? essa indica ciò che si schiude da se stesso, come ad esempio lo sbocciare di una rosa – non dimenticate che ad Heidegger piace molto la poesia, in particolare quella di Hölderlin – dunque ciò che si schiude da se stesso (significato della parola “φύσις) l’aprentesi dispiegarsi e in tale dispiegamento l’entrare nell’apparire e il rimanere e il mantenersi in esso, in breve lo schiudentesi permanente imporsi – come dire che la “φύσις” cioè la natura è un dischiudersi permanente, e in questo “schiudersi” permanente si impone, cioè è quello che è, appare - Stando al dizionario “φύσις” significa crescere, far crescere, ma cosa significa “crescere”? indica solo l’accrescimento quantitativo, il divenire sempre più grande? La “φύσις” nel senso dello “schiudersi” la si può riscontrare da per tutto per esempio nei fenomeni celesti, il levar del sole, l’ondosità marina, nel crescere delle piante eccetera, ma la “φύσις” come “schiudentesi imporsi” non designa semplicemente quei fenomeni che usiamo ancor oggi attribuire alla natura, questo “schiudersi” questo consistere in sé di fronte al resto – ripeto, questo “consistere in sé” di fronte al resto, non può considerarsi un processo come gli altri e che noi osserviamo nell’ambito dell’essente, la “φύσις” è lo stesso Essere in forza del quale soltanto l’essente diventa osservabile e tale rimane vi rileggo “la “φύσις” come “schiudentesi imporsi” non designa semplicemente quei fenomeni che usiamo ancor oggi attribuire alla natura, questo schiudersi, questo consistere in sé di fronte al resto” è qualcosa che consiste in sé e si differenzia da tutto il resto cioè si impone rispetto al resto, come dire “questo è questo”, si determina, non può considerarsi un processo come gli altri che osserviamo nell’ambito dell’essente, che si modifica, che si altera, che si muove, che si agita, la “φύσις” dice Heidegger è lo stesso Essere in forza del quale soltanto l’essente diventa osservabile e tale rimane. Cioè la “φύσις” è l’Essere, ciò per cui l’essente è l’essente – I greci non hanno cominciato con l’apprendere dai fenomeni della natura che cosa sia la “φύσις” - non sono partiti dall’osservazione sta dicendo, ma viceversa – è in base a una fondamentale esperienza poetico pensante dell’Essere – esperienza “poetico pensante” è l’idealismo tedesco, lo spirito è quella cosa che per esempio per Cartesio è la res cogitans, sarebbe la produttività creatrice del pensiero, quindi non è dall’osservazione – è in base a un’esperienza poetico pensante dell’Essere – cioè dal modo in cui si pensa l’Essere, dal modo in cui ci si rapporta all’Essere - che ad essi si è rivelato che hanno dovuto “φύσις” – come dire che la natura ha incominciato a esistere nel momento in cui gli umani hanno incominciato a domandare e questo domandare in senso più radicale e più profondo è il domandare intorno all’Essere. Per Heidegger la poetica è una cosa straordinariamente importante, perché nella poesia, secondo lui, il poeta è più di altri vicino al dischiudersi dell’Essere, quindi con l’ascoltare, con il domandare – solo sulla base di tale apertura essi, i greci, sono stati in grado di considerare anche la natura nel senso più ristretto - quella che noi chiamiamo “natura”- la “φύσις” così intesa designa in origine tanto il cielo che la terra, la pietra quanto la pianta, l’animale e l’uomo nonché la storia umana quale opera degli dei e degli uomini, infine in primo luogo gli dei stessi in quanto sottoposti anch’essi al destino, “φύσις” significa lo schiudentesi imporsi e il perdurare dominato da esso – cioè la “φύσις” è qualche cosa che si impone, che si dischiude, che appare, che incomincia ad apparire e in quel momento, da quel momento esiste “il perdurare dominato da esso” cioè da questo imporsi – in questo schiudente permanente imporsi si trovano inclusi sia il divenire che l’Essere nel senso ristretto della persistenza immobile – l’ Essere è la persistenza immobile, il divenire no - “φύσις” è il “pro–dursi”, - è il pro-dursi il portarsi fuori della latenza, è il recare ciò che è latente in posizione, ciò che ancora non è lo pone, lo fa apparire “adesso è” e una volta che è permane (il linguaggio sembra) beh non è casuale che Heidegger ha scritto un libro sul linguaggio, lo chiama “In cammino verso il linguaggio” – ma se, come per lo più accade, si intende la “φύσις” non nel senso originario di “schiudente permanente imporsi” bensì in quello più tardivo e odierno di natura e se inoltre si considerano come manifestazioni fondamentali della natura i movimenti delle cose materiali degli atomi e degli elettroni e tutto ciò che la fisica moderna indaga sotto l’aspetto di natura, allora la filosofia originaria dei greci diventa la filosofia della natura, un modo di rappresentarsi le cose, per l'appunto sotto l’aspetto di natura materiale – che è ciò che a lui non interessa ovviamente, cioè lo interesserà dopo per altri motivi per quanto riguarda la tecnica, ma è un’altra questione – l’inizio della filosofia greca produce allora l’impressione del tutto conforme all’idea che il senso comune si fa di un inizio, di quello che ancora qualifichiamo secondo l’espressione latina come primitivo, così i greci visti in questa maniera finiscono per diventare una specie un poco migliore di ottentotti – è una razza di negri, tenete conto che siamo nel 39 in pieno nazismo – e la scienza moderna appare rispetto ad essi (greci) infinitamente più avanzata, a parte tutte le più particolari assurdità insite in questo modo di considerare l’inizio della filosofia come alcunché di primitivo, si deve dire che questa interpretazione dimentica che qui si tratta della filosofia, vale a dire di una delle poche cose grandi di cui l’uomo è capace, ora ogni grande cosa può avere solo un grande inizio, tale è la filosofia dei greci essa termina in grandezza con Aristotele, solo la comune opinione e l’uomo mediocre si immaginano che ciò che è grande sia destinato a durare indefinitivamente ed uguagliano la sua durata all’eterno – ora tutto ciò che è grande abbia avuto un grande inizio … la specie umana, ha avuto un grande inizio? No, è nata da protozoi, quindi non è sempre esattamente così, per dire che certe volte ci si lascia prendere da affermazioni che risultano o possono risultare discutibili, non è vero che tutto ciò che è grande procede da qualche cosa di grande, non necessariamente – tutto ciò non ha comunque da fare minimamente con una interpretazione naturalistica della storia ciò di cui si tratta /…/ il significato di “φύσις” dunque si restringe per contrapposizione a τέχνητέχνη da cui tecnica – che dal canto suo non designa né l’arte né la tecnica bensì un sapere, una sapiente disposizione a fare liberamente dei piani, a organizzare e a disporre di tali organizzazioni – secondo lui è questo che si dice nel Fedro di Platone – la “τέχνη” è un generare, un edificare in quanto pro-durre sapiente. Il concetto contrapposto a “fisico” è d’altra parte lo “storico” una sfera dell’Essere che tuttavia i greci comprendono ugualmente sotto il significato della “φύσις” - cioè la “φύσις” è anche la storia per i greci, questo dice Heidegger. Heidegger ha lavorato molto anche sulla filologia, non è un filologo ovviamente, però ci ha lavorato. – Tutto ciò non ha da fare minimamente con una interrogazione naturalistica della storia, l’essente come tale nella sua totalità è “φύσις” cioè ha come essenza caratteristica lo schiudentesi permanente imporsi, - questo è l’essente per Heidegger - qualcosa del genere lo si avverte soprattutto nei confronti di quello che, in un certo senso, si impone con maggiore immediatezza e che viene più tardi a significare la “φύσις” nel senso più ristretto l’ente naturale – gli enti fisici, la fisica – si può anche partire allorché si discute della “φύσις” in generale vale a dire quello che è l’essente come tale dai “jύsei Óhta” (enti di natura) ma a patto, fin da principio, di non fermarci a questo o a quel regno della natura minerale, vegetale, animale ma di elevarci al di sopra di tὰ φuσιχά, degli enti fisici) // - tenete conto che tutto ciò che sta dicendo è per approcciare la questione della metafisica e cioè che cos’è l’Essere dell’ente. Adesso si interroga sul sapere, sapere che per Heidegger è poter stare nella verità – La verità è la manifestazione dell’essente - che è una definizione un po’ differente da quella classica medioevale quella dell’adæquatio rei et intellectus, non è esattamente così perché è la manifestazione dell’essente, cioè è il suo apparire – il sapere è quindi poter stare nella manifestazione dell’essente sostenerne il peso – possedere delle semplici cognizioni seppure largamente estese non è sapere, anche quando queste cognizioni attraverso un certo ordine di studi, determinati esami, vengono convogliate verso ciò che è praticamente più importante non costituiscono un sapere, anche se tali cognizioni riattagliate ai bisogni più necessari che si presentano più vicini alla vita il possederle non costituisce un sapere, anche se qualcuno fornito di tali conoscenze ha potuto servirsene per qualche suo trucco o maneggio di fronte alla realtà autentica risulterà non di meno sprovveduto e diverrà necessariamente un abborracciatore costui (…) perché sarebbe comunque un abborracciatore? Perché non possiede alcun sapere. Sapere infatti vuole dire potere apprendere – Questo è per Heidegger il sapere, il potere apprendere – ben inteso il comune buon senso ritiene che chi possiede un sapere non abbia più bisogno di apprendere in quanto ha finito di imparare, niente affatto chi sa è solo colui che comprende di dover sempre di nuovo imparare, colui che in virtù di questa comprensione si è messo anzi tutto in condizione di sempre poter apprendere – e com’è che uno si mette in questa condizione? Attraverso questa apertura e cioè attraverso il domandare, il domandare che deve porsi come un domandare alla radice, alla base di tutto cioè porsi la domanda fondamentale “perché qualcosa anziché nulla? esaminiamo da altri punti di vista la nostra proposizione “perché vi è in generale l’essente e non il nulla?” la frase contiene una cesura (taglio) “perché vi è in generale l’essente?” e poi (taglio, l’altra parte) “e non il nulla” – però a lui interessa la prima parte “perché vi è in generale l’essente?” la domanda è con ciò realmente posta, la posizione della domanda comporta 1) l’indicazione esatta di ciò che è sottoposto alla domanda, che è interrogato 2) l’indicazione di ciò su cui verte la domanda, che è domandato. Quanto a ciò che è sottoposto alla domanda esso è indicato in modo inequivocabile l’essente, quanto a ciò che è richiesto nella domanda, il domandato, è il perché vale a dire la ragione. Ciò che segue nella proposizione interrogativa ossia “e non il nulla?” non è che un’appendice la quale naturalmente consegue in vista di un parlare più sciolto e al titolo introduttivo si tratta di un’aggiunta di una frase la quale non dice nulla di più su ciò che viene sottoposto all’interrogazione e su ciò che è domandato, un semplice ornamento – però tra poco vedremo se è proprio così. Infatti dice - che cosa c’è da chiedersi riguardo al nulla? Il nulla è semplicemente nulla, il domandare non ha qui, più nulla da cercare di fronte al nulla. Con il menzionare il nulla non si progredisce minimamente nella conoscenza dell’essente – finché parliamo del nulla, questo è molto parmenideo – chi parla del nulla non sa assolutamente quello che fa, chi parla del nulla ne fa con ciò stesso un qualcosa, così parlando parla contro ciò che pensa, famosa contraddizione antica, si contraddice da sé stesso – a causa della bebaiotate archè – ora un dire contraddittorio contrasta alla regola fondamentale del dire “logos” cioè alla logica, il parlare del nulla è illogico, chi parla e pensa illogicamente è uomo che non sa di scienza, ora il fatto che proprio all’interno della filosofia dove la logica è di casa, si parli del nulla fa sì che tanto più duramente si incorre nel rimprovero di mancare alla regola fondamentale di ogni pensiero (bebaiotátē ark) chi inoltre prende sul serio il nulla si pone con ciò stesso dalla parte della nullità, promuove espressamente lo spirito di negazione e si pone al servizio della distruzione, parlare del nulla non ripugna soltanto completamente al pensiero ma significa minare ogni cultura – sta criticando chi sostiene il nulla o ogni fede anche – ciò che disprezza così il pensiero misconoscendolo nella sua legge fondamentale e in pari tempo distrugge la volontà costruttiva è la fede, chiunque sa tutto questo è il nichilismo. Però torniamo alla domanda “perché vi è in generale l’essente e non il nulla?” questa esprime in modo più adeguato della formula abbreviata la domanda sull’essente (la domanda abbreviata, cioè senza il nulla) il fatto di introdurre qui il discorso sul nulla non indica mancanza di rigore o ridondanza del dire, non è nemmeno una nostra invenzione ma è un modo di attenersi strettamente per quando riguarda il senso della domanda fondamentale alla tradizione originaria // - a questo punto sta per porre una delle questioni importanti proprio riguardo a questa frase “perché esiste l’essente anziché il nulla?” - perché dirà a breve “perché posso dire che qualcosa “esiste” è perché so che cosa significa “non esiste”. Se affermo che l’essente è, lo metto in connessione con ciò che non è. Sta dicendo che quando si parla del nulla si sta parlando di niente, ci si contraddice, ma tra breve dirà che ciò che lui pensa non è esattamente questo … // quello di cui ora va in cerca è un fondamento in grado di fondare il dominio dell’essente come vittoria sul nulla – ma forse è meglio leggere anche il brano precedente – ma se ci poniamo la domanda nella forma dell’interrogativo iniziale “perché vi è in generale l’essente e non il nulla” allora l’aggiunta (che sarebbe, “e non il nulla”) impedendoci di porre la domanda immediatamente impedisce che ci si attenga al puro essente come un dato indubitabile, impedisce che così facendo ci si perda fin da principio e sempre più nella ricerca di un fondamento anch’esso essente, l’essente viene invece mantenuto in guisa interrogativa nella possibilità del non essere – sta dicendo che questa breve aggiunta “e non il nulla” è ciò che consente a questa domanda di mantenersi come domanda – il perché allora acquista tutt’altra forza ed efficacia nell’ambito dell’interrogazione, perché l’essente è sottratto alla possibilità del non essere? – perché noi poniamo l’essente come tale? Perché lo sottraiamo a questa possibilità che non sia, invece? Perché non vi ricade senz’altro e continuamente? L’essente non è più ora un semplice sussistente esso (siccome abbiamo posto l’eventualità che non sia) esso incomincia a vacillare e questo a prescindere completamente dal fatto che si conosca o meno con piena certezza, che lo si comprenda o meno in tutta la sua ampiezza, l’essente come tale ormai vacilla in quanto lo poniamo in questione (perché è questo che fa la domanda, il domandare) l’ampiezza di questo oscillazione (tra essere e non essere) arriva fino alla più estrema e opposta possibilità dell’essente fino al non essere e al nulla – qui ci sarebbe da inserire una serie di cose che riguardano Severino ma non lo faremo) allo stesso modo ora si trasforma anche la ricerca sul perché, essa non mira semplicemente alla conquista di un fondamento esplicativo (che ci spieghi perché l’essente è) un fondamento a sua volta sussistente del sussistente, quello di cui ora va in cerca è un fondamento in grado di fondare il dominio dell’essente come vittoria sul nulla e cioè affermare l’essente a fronte del nulla. – qui siamo proprio in piena metafisica, totalmente e inesorabilmente immersi – Il fondamento è richiesto ora come fondamento della decisione a favore dell’essente contro il nulla – ci vuole un fondamento che ci dica perché qualcosa è anziché non è. È questa la domanda che si sta facendo adesso - e più esattamente come fondamento di quella oscillazione (sempre tra l’essere e il nulla) dell’essente la quale ponendo l’essente tra l’essere e il non essere ci regge e ci libera – tra questo essere e non essere, l’essente, - in questa oscillazione giacché di qui deriva che noi non possiamo appartenere a nessuna cosa neppure a noi stessi quantunque l’esserci (il famoso Dasein) sia pur sempre mio – cioè io sono – l’espressione “sempre mio” significa che l’esserci, (il Dasein) mi è addossato perché il mio stesso “io” sia l’esserci – e cioè occorre che sia qualche cosa perché io possa considerarlo mio e cioè che sia – L’esserci designa dal canto suo la cura (qui riprende cose elaborate in modo molto più articolato nel suo scritto più famoso Essere e tempo) il dire che “l’esserci è sempre mio” non significa né che sia posto da me né che sussista isolatamente in un io singolo, l’esserci infatti è se stesso per il suo essenziale rapporto all’Essere in generale – cioè l’esserci è, perché esiste l’Essere, è questo che sta dicendo – tale è il significato della frase ripetuta più volte in Sein und Zeit secondo la quale all’esserci appartiene a una comprensione dell’Essere. – non è possibile l’esserci se non si comprende l’Essere, perché è l’Essere che fa da “fondamento” tra virgolette, se non so nulla dell’Essere non posso esserci. La metafisica è quella disciplina che occupa di queste cose, all’inizio sì diceva che è questo domandarsi che pone le cose, questo dischiudentesi imporsi, tutta la sua critica alla metafisica e in particolare all’ontologia è che si è sempre occupata dell’Essere considerandolo un ente senza accorgersene, se io parlo dell’Essere da quel momento l’Essere è un ente al pari di qualunque altro (lui parla dell’Essere di per sé) esattamente che è un’altra cosa infatti per Heidegger l’Essere è una cosa che sorge, che si disvela nell’apertura del domandare autentico. È la sua idea naturalmente, tenete sempre conto che non sta dicendo, anche se lui immaginava di sì, come stanno le cose, è soltanto una costruzione, uno scenario possibile a partire da un certo sistema di riferimento che è la sua teoria.