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10 settembre 1998

 

La cosa più semplice e più banale da cui siamo partiti è questa: qual è la struttura che ci permette di fare queste considerazioni, queste come qualunque altra, perché questa struttura che ci consente di fare queste operazioni deve essere qualcosa di essenziale visto che senza quella non facciamo né queste considerazioni né nessun altra. Da qui abbiamo cominciato... (Tramite il linguaggio io posso fare qualunque cosa, posso non accettare il discorso religioso se non è confortato da nessuna verità.) Cosa intende Cesare con discorso religioso? Perché potremmo dire che religioso è ciascun discorso che affermi di sé di essere fuori dal linguaggio, l’idea è che ci sia almeno un elemento fuori dalla parola e allora su questo è possibile costruire un discorso religioso. (Io penso tramite il linguaggio e quindi pone questo come priorità.) Ma se io metto il linguaggio al posto di dio che differenza fa? Cioè, dico che tutto viene dal linguaggio invece che tutto viene da dio, che differenza c’è? Cosa distingue il linguaggio da dio? L’esistenza di dio posso negarla, quella del linguaggio no, questa è la differenza fondamentale. Nel frattempo Roberto ha trovato il passo della Critica della ragion pura che lo interessa? (…) Sì, come dicevano ai tempi di Aristotele: se una donna è incinta è segno che c’è stato un rapporto sessuale. Oggi potrebbe non essere esattamente così... (Perché il gioco si mantenga è necessario il permanere della regola, noi parlavamo della costruzione della regola...) Tu dici che c’è un passaggio che non è legittimo… (Quando gioco a poker mi ricordo delle regole del poker in quel momento lì…) Le regole del poker e infinite altre che stanno operando; lei per esempio riconosce i giocatori, sa chi sono, parla a loro in un certo modo, quindi sono in gioco una infinità di altri giochi (....) Sì, certo, la volta scorsa si diceva che sono le regole del gioco e tutto ciò che se ne deduce a costituire dei “punti fermi” del linguaggio e il linguaggio necessita di questi elementi per potere proseguire. In effetti, nel momento in cui si sta giocando un qualunque gioco già sono in atto delle regole, cioè si sta giocando proprio perché ci sono delle regole e ciascun gioco, essendo fatto di queste regole, funziona in un modo strano perché le regole che consentono il gioco, qualunque gioco esso sia, diventano assiomi, assiomi di quel gioco. Per giocare al poker occorre accogliere il fatto che l’asso valga più del sette di picche e quindi tutto il gioco continuerà ad avere questo elemento come assioma incrollabile perché si sa che se non si accoglie questo allora tutto ciò che si fa non è più vero, non è più vero allora che se Roberto ha quattro assi e io quattro sette vince lui, ma è tutto lo stesso... (Io costruisco momento per momento e allora potrebbe essere un casino parlare, perché nel momento in cui io utilizzo allora...) C’è un passaggio qui un po’ oscuro perché se tu utilizzi… (Sì, perché il passaggio “A ® B” non è possibile…) Se tu dici che stai giocando a qualche cosa, già per il solo fatto che stai giocando ne hai accolto le regole necessariamente perché se no non puoi giocare, le regole sono già in atto, le regole di quel gioco. Tu non è che le accogli oppure no, se stai giocando sono già accolte necessariamente, non è che tu puoi costruire delle regole del gioco che stai giocando perché se lo stai giocando sei già lì e se lo giochi ci sono delle regole che stanno lavorando, non sei tu a stabilire quelle regole... (Sì, ma come faccio a sapere se... il mio utilizzo... non sono neanche sicuro…) Quando dici che non lo sei, cosa dici? È ancora la questione che poneva Wittgenstein rispetto a “come so che questa è la mia mano?”, la dai come regola ovviamente, per cui quando giochi la seconda volta a poker, insieme con le regole del poker ci sono altre che ti dicono che le regole che hai utilizzato la volta scorsa sono le stesse. Tu non lo puoi provare in termini assoluti ovviamente, così come non puoi provare che questa è la tua mano… (Cioè, questa non è di sicuro la tua mano, è la mia…) Non puoi dimostrarlo, lo dai per acquisito come una specie di assioma che è una regola del gioco che ti consente di giocare. In effetti, non puoi verificare una regola del gioco, in nessun modo. È la questione su cui stiamo lavorando, il fatto di accogliere degli elementi che sono le regole del gioco come assiomi risulta fondamentale, perché se non ci sono regole non si può giocare. Facciamo due esempi: uno, il dialogo fra due matematici e l’altro il dialogo fra due massaie che sparlano di una terza. Allora, i due matematici per discutere di matematica devono attenersi a delle regole, se uno parla di calcolo infinitesimale, di derivate, ecc., occorre che sappia che l’altro conosce le regole di questo gioco ovviamente e che le dà per buone, perché se l’altro matematico comincia a mettere in discussione l’esistenza di regole del calcolo numerico allora quel gioco non si può più fare, si potrà magari farne un altro, un altro che verte sulla legittimità per esempio del calcolo numerico, ma nel momento in cui si mettono a discutere le regole del calcolo numerico sono accolte necessariamente, vengono date per buone, questo consente loro di svolgere il loro compito. Ora, nell’ambito di una discussione matematica questo può apparire più semplice, tutti e due sappiamo che accogliamo che la moltiplicazione ha certe regole, accogliamo che avvengono in un certo modo, che alcune operazioni sono concesse e altre no, sono tutte cose molto semplici ma nel caso di due massaie che sparlano di una terza, anche lì vengono date per acquisite alcune regole che sono molto precise anche se possono apparire vaghe. Tuttavia, per esempio, il fatto che ciò che si dice della terza può dirsi fra le due, che ciascuna accoglie il fatto che anche l’altra sia disposta a fare una cosa del genere, che ciascuna delle due sappia che l’altra ha per esempio nei confronti della terza il desiderio di parlare male e che quindi ciascuna delle sue sappia che l’altra accoglie certe norme, che per esempio siccome l’altra è stata vista uscire con un uomo - e una donna che esce con più uomini è una donna perduta - e questa è una delle condizioni per potere sparlare in quel caso, perché se per una delle due fosse assolutamente indifferente a una cosa del genere allora lo sparlare della terza non andrebbe più bene: quella donna lì esce con degli uomini, bene, e la conversazione è terminata. Quindi, occorre accogliere questo come infinite altre cose, in questo caso prevalentemente regole morali, stupide, però occorrono tutte queste serie di regole e tutto il discorso che verrà fatto si manterrà entro delle operazioni che sono concesse e altre che sono proibite. Una delle operazioni proibite, per esempio, è mettere in discussione questi valori morali che renderebbero lo sparlare della terza impossibile e quindi vietato. Ora, in questo caso tutto ciò che costituisce la condizione di una conversazione di questo tipo della massaia è dato come vero, come necessariamente vero, ma vero in che senso? In due sensi, uno lo diciamo moralmente vero, perché non si discute se una donna si accompagna con più uomini, è una donna di facili costumi. Questi assiomi sono veri in due modi dicevo, uno riguarda l’aspetto morale: è assolutamente vero che se una donna fa questo allora è una donna perduta; l’altro aspetto è che tutte queste operazioni sono vere in quanto consentono al discorso di esistere. Questo aspetto è importantissimo ed è quello che ci riguarda più da vicino: questi assiomi sono veri perché consentono al discorso di proseguire… (Io deduco A da B, questo passaggio è assolutamente arbitrario…) Dipende, dipende in quale contesto, se è una deduzione assolutamente necessaria allora no, il passaggio è assolutamente legittimo... Tu dici “io affermo che una donna che si accompagna con molti uomini è una donna perduta”, poi passa qualche minuto e cosa è avvenuto nel frattempo? Che per esempio l’assioma che mi consente questa inferenza può essere stato dimenticato o può essere cambiato, può essere non più lo stesso…(Che l’assioma è lo stesso è un atto arbitrario…) Benedetto figliolo, stiamo dicendo che retoricamente nulla è giustificabile; se io affermo che questo è un orologio, questa affermazione è arbitraria anche se l’affermo fra cinque minuti e qualunque altra affermazione dello stesso tipo sarà sempre necessariamente arbitraria, io non la posso provare in nessun modo, accolgo una regola e stabilisco che accolgo questa regola e bell’e fatto, perché quella mi consente di costruire tutta una serie di discorsi. Tuttavia, non posso in effetti provare nulla rispetto a questo, non posso stabilire non soltanto il passaggio a ritroso dalla protasi all’apodosi ma neanche il contrario, cioè non posso neanche dire che se A®B allora se B®A, perché risulta comunque un passaggio arbitrario, perché non lo posso provare, lo faccio perché ho inserito all’interno del gioco che sto facendo una regola che mi dice che questa inferenza è legittima, lo posso fare, e allora lo faccio ma logicamente non significa niente, così come logicamente dire che quattro assi battono due sette non ha nessun rilievo. Però, al di là di quel gioco, devo accogliere necessariamente che sia così perché se no non posso giocare. Certo, non soltanto non posso provare che non posso tornare ad A ma neanche che da A segue B, non è dimostrabile, è una regola del gioco che mi dice non che è provabile ma che è legittimo, che lo posso fare, che questa mossa puoi farla, un’altra no, e questo mi permette di giocare. Di un’inferenza retorica, in effetti, tu non puoi provare niente, assolutamente niente; anche il discorso che stiamo facendo è un discorso retorico e non può essere provato, alcune affermazioni possono non essere negate ma rimangono comunque affermazioni retoriche. Dire che delle affermazioni, rispetto a ciò che andiamo indicando con logica, non possano farsi sarebbe una contraddizione in termini, non puoi enunciare delle procedure se non attraverso un gioco che ti consente di farlo, e il gioco è quello che ti dice che per esempio dirai soltanto proposizioni che non sono negabili, ma le dice sempre e comunque all’interno di un gioco. Nel momento in cui tu formuli una qualunque cosa che sia nel linguaggio già formuli necessariamente una questione retorica, non hai scampo, in nessun modo, a rigor di termini non puoi affermare una proposizione logica e cioè non puoi dire delle procedure se non inserendole in un gioco linguistico, tenendo conto che con logica intendiamo unicamente quegli elementi che sono necessari al linguaggio per funzionare, e quindi anche l’esistenza di una struttura retorica che metta insieme le varie cose e le faccia girare, se no non gira niente. Tu hai un bel dire che esiste il principio del terzo escluso ma se non lo inserisco in una proposizione non significa assolutamente niente se non lo posso dire, e se lo dico lo dico per un motivo, lo dico all’interno di un certo ambito, di un certo contesto, per un certo motivo, cioè all’interno di una struttura retorica... (Cosa muove una persona ad andare contro a un luogo comune… Nietzsche, pretesto…) Cosa le fa pensare che ciò che afferma Nietzsche non sia un luogo comune? (...) Esatto, in effetti funziona in genere così: da una religione che non si ritiene più soddisfacente si passa ad un’altra, poi in questo caso, nel nostro caso, c’è l’eventualità di trovare che questa nuova religione ha in sé qualche cosa che la scardina dalle fondamenta. È una cosa che mi ha fatto venire in mente lei adesso, c’è l’eventualità che una persona si avvicini a ciò che andiamo facendo unicamente per trovare un’altra religione, né forse ha altri strumenti per avvicinarsi, né altri motivi. L’idea che magari lì si dicano cose più vere (....) Non è una legge ma in molti casi può essere un pretesto, ciò che consente di avvicinarsi si potrebbe usare così retoricamente l’inganno, far credere che si tratta di una religione... (....) Non c’è bisogno del pastorale o della mitria, porre le cose come se... (...) Le persone, non potendo obiettare nulla a ciò che andiamo dicendo, dicono “ma sarà così?” oppure “non è possibile” oppure “ma cosa cambia? oppure altre cose che poi si liquida. Dobbiamo trovare qualche cosa che non sia facilmente liquidabile e che comunque attragga quel tanto che occorre per cominciare ad intendere qualcosa e in effetti la direzione della ricerca che stiamo facendo è questa, la famosa scommessa che abbiamo fatto con Cesare: trovare proposizioni che siano immediatamente accoglibili, che non possano non essere immediatamente accolte e accogliendosi variare il programma, inserire e modificare il programma di avvio proprio (....) Occorre che questo nuovo gioco si inserisca nel gioco che si sta giocando, non lo deve sostituire perché nessuno accoglie che sia sostituito, deve modificarlo, lo stesso gioco diventa un altro. Un po’ come è avvenuto per me, tutto sommato: io facevo un gioco molto diverso, molto religioso, molto pio, molto devoto, oggi non più, ma come è avvenuto questo fenomeno? .... Ad un certo punto poi mi sono accorto che accettare una teoria fatta e finita era una limitazione, perché l’idea inizialmente era quella di farne un’altra che fosse meglio di quelle esistenti, però poi mi sono detto “ma una teoria muove sempre da qualcosa”, tant’è che per costruirla bisogna sapere come funziona e, una volta capito come funziona, mi sono detto che per farla funzionare occorre che io dia per acquisite certe cose, cioè che faccia delle operazioni che io già ho smantellato rispetto a altre teorie e quindi posso smantellare anche la mia. E allora da qui la domanda se è possibile costruire una teoria, un modo di pensare in cui non fosse necessario compiere un atto di fede, un modo di pensare che non necessitasse per esistere di un atto di fede. Allora non si sapeva nemmeno se l’avremmo trovato, l’abbiamo trovato. Ecco, poi a questo punto non si trattava più di costruire una teoria ma di proseguire lunga questa strada che ci pareva di qualche interesse anche perché non battuta prima da altri. C’è stato un esodo in massa immediatamente subito dopo, una fuga in massa, orfani di una teoria, almeno per la più parte è stata una cosa intollerabile...