10 agosto 2022
I Presocratici di Diels-Kranz
Iniziamo questa sera con gli atomisti e vedremo Leucippo e Democrito. La parte relativa a Leucippo è breve, anche perché non si è sicuri, in quanto probabilmente ciò che è attribuito a Leucippo in realtà è anche quello che è attribuito a Democrito. Alcuni, come i pitagorici, dicevano che Leucippo in realtà non sia mai esistito, altri sostengono che Leucippo fosse il nome di Democrito da giovane. Insomma, le informazioni al riguardo sono molto oscillanti. Cominciamo allora con Leucippo, dando qualche informazione storica. A pag. 1159. Leucippo secondo alcuni era originario di Elea, secondo altri di Abdera; fu allievo di Zenone. Riteneva che tutte le cose fossero infinite di numero e si convertissero le une nelle altre e che il tutto fosse vuoto o pieno di corpi. Quindi, tutte le cose sono infinite e si convertono le une nelle altre. Questa è l’idea di Democrito, degli atomi che si combinano ma totalmente a caso: tutto ciò che accade, che c’è, esiste per caso, non c’è nessuna legge che regolamenta. L’unica cosa che Democrito riconosce come necessaria è l’esistenza di questi atomi, ma i modi in cui questi atomi si combinano, creando tutte le cose, è totalmente casuale, imprevedibile, ingestibile e indominabile. I mondi si generano quando i corpi cadono nel vuoto e si intrecciano gli uni con gli altri. Erano le prime fantasie intorno al funzionamento degli atomi. Possiamo lasciare stare le teorie fisiche di Leucippo, non è che ci interessino, è altro ciò che ci interessa. A pag. 1061. Apollodoro, nella Cosmologia, sostiene che Epicuro è stato allievo di Nausifane e di Prassifane. Nell’Epistola a Euriloco, al contrario, Epicuro lo nega, e dice di essere stato allievo di se stesso. Né Epicuro né Ermarco dicono che sia esistito Leucippo filosofo, che altri, tra cui l’epicureo Apollodoro, sostengono essere stato, invece, maestro di Democrito. Ognuno dice la sua, non saremo noi a risolvere il problema. A pag. 1167. Democrito e Leucippo affermano che tutte le altre cose sono formate da corpi indivisibili… Atomo, letteralmente, significa indivisibile, ἄ-τομος, non diviso. …e che questi sono infiniti, sia per la quantità sia per le forme; invece, le cose sono diverse per gli atomi che le compongono, per la loro posizione e il loro ordine. Democrito e Leucippo pongono le forme e fanno derivare da esse l’alterazione e la generazione per la aggregazione di essi. /…/ Poiché questi filosofi pensano che il vero dimori nell’apparenza dei fenomeni… Questo è importante: il vero sta nell’apparenza. …i quali sono tra loro contrari e infiniti, hanno immaginato come infinite le forme degli atomi, in maniera tale da spiegare perché il medesimo fenomeno, in forza dei cambiamenti della sua composizione, possa apparire in modi antitetici a persone differenti. Infatti, è sufficiente che si verifichi uno spostamento anche minimo degli elementi nel composto o perfino di uno solo dei componenti per far sembrare del tutto diverso l’intero composto. Infatti, dalla composizione delle stesse lettere può derivare tanto una tragedia quanto una commedia. Leucippo, il discepolo di Zenone, non conservò la stessa opinione, ma sostenne che vi sono infinite realtà, in moto perenne… Capite subito che questa idea del moto perenne è qualcosa che rende impossibile la certezza, la conoscenza, il possesso, il dominio. …poiché sono continui tanto il cambiamento quanto la generazione. Sostiene che elementi sono il pieno e il vuoto. È chiaro che gli atomi, per potere muoversi, devono essere nel vuoto; se tutto fosse pieno, non si muoverebbe niente. Dice che i mondi nascono in questa maniera: quando parecchi corpi si separano da ciò che li contiene e scorrono insieme e si ammassano in un vuoto immenso, urtandosi a vicenda, ecc. /…/ Coloro che hanno rigettato la divisibilità all’infinito della realtà, alla luce del fatto che noi non siamo capaci di dividere infinitamente le cose, e da questo, di conseguenza, non siamo capaci di rendere credibile una divisione che non si coglie con evidenza, dicevano che i corpi si formano a partire da elementi indivisibili e che si disgregano in elementi indivisibili. Tuttavia, Leucippo e Democrito non solo credono che la causa dell’indivisibilità dei corpi primi sia l’inalterabilità… Se una cosa è divisibile è alterabile, perché dividendosi si altera. …ma anche la loro minutezza in mancanza di parti. A pag. 1171. Leucippo e Democrito ed Epicuro dicevano che gli atomi sono infiniti quanto al numero, mentre il vuoto è infinito per la grandezza. E neppure – come altri sostengono, ad esempio Leucippo e Democrito di Abdera – si debbono considerare razionali le cose che accadono… È impossibile considerarle razionali, che abbiano cioè una ragione: accadono senza ragione. È inutile cercare una ragione nelle cose, perché non c’è. Come talvolta abbiamo detto un po’ per gioco: tutti gli umani cercano il senso, la ragione delle cose; ecco, sono seduti su questa palletta, chiamata Terra, che vaga senza meta e senza motivo in mezzo allo spazio; quale ragione dobbiamo trovare di fronte a una cosa totalmente senza senso? A pag. 1171. Perciò, a Leucippo e a Democrito, i quali dicono che i corpi primi si muovono sempre nel vuoto infinito… Se questi atomi si muovono in un vuoto infinito non sono in nessun modo ordinabili e, quindi, è come se negassero il κόσμος, nel senso greco di ordine: non c’è un ordine cosmico. L’ordine cosmico, invece, è importantissimo, perché da lì si può cominciare a persuadere le persone che, siccome tutto il cosmo è ordinato, allora anche la civiltà deve essere ordinata, perché la natura è ordine. …bisogna chiedere di specificare quale sia il loro moto e, in ogni caso, quale sia il moto naturale. Questo è Aristotele che pone già subito obiezioni a questa cosa e, quindi, vuole che loro specifichino quale sia il moto naturale. Ma hanno appena detto che non c’è un moto naturale, che il moto è assolutamente casuale, dentro uno spazio infinito, con questi elementi indivisibili, cioè gli atomi, per cui le cose si creano senza nessuna ragione. E questo è il punto fondamentale: non c’è una ragione o, come si sarebbe detto molto tempo dopo, non c’è un principio di ragione, cioè quel principio che risponde alla domanda: da dove viene quella cosa, qual è la sua ragione, la sua origine, la sua causa. A pag. 1175. Secondo Leucippo e Democrito il cosmo ha forma sferica. Secondo Leucippo, Democrito ed Epicuro, il cosmo non è retto né da qualcosa di animato né dalla provvidenza, ma è derivato dagli atomi, in forza di una natura irrazionale. Quindi, la natura è irrazionale. Capite immediatamente il problema che si affaccia; pensate al diritto naturale: se la natura è irrazionale, che si fa? (Estratto da Grande Cosmologia). È uno dei libri di Democrito. Chiaramente, ci sono rimaste solo testimonianze, perché non c’è più niente. Il cosmo si formò strutturandosi secondo una forma curva in questa maniera: poiché gli atomi sono soggetti a un moto casuale e disordinato e si muovono senza posa e rapidamente, parecchi corpi convennero in un medesimo luogo, e per questo motivo hanno una tale varietà di configurazioni e di grandezze. Totalmente casuale, nulla di razionale, non c’è nessuna ragione, né ἀρχή né αἰτία, né origine né causa. A pag. 1181. Mentre gli altri filosofi pensano che le percezioni sensibili siano tali secondo natura, Leucippo e Democrito e pure Diogene di Apollonia, invece, dicono che quelle sono tali per convenzione, cioè dipendono dalle nostre opinioni e affezioni. Non c’è alcunché di vero e di comprensibile all’infuori dei primi elementi, vale a dire gli atomi ed il vuoto. Soltanto questi, infatti, sono secondo natura, mentre le altre realtà differiscono a seconda della posizione, dell’ordine e della figura secondo cui tali elementi si dispongono accidentalmente. /…/ Leucippo di Mileto, che secondo alcuni era di Elea, fu pure egli eristico. Anch’egli disse che l’universo è nell’infinito e che tutte le cose sono apparenze e congetture e che nulla è per davvero, ma che appaiono allo stesso modo in cui ci appare il remo immerso in acqua. Cioè, spezzato. Siamo ora a Democrito. Democrito, figlio di Egesistrato, ma secondo alcuni di Atenocrito, secondo altri, di Damasippo, era di Abdera, o, secondo alcuni, di Mileto. Fu allievo di alcuni Magi e Caldei, poiché il sovrano Serse aveva lasciato al padre di Democrito alcuni precettori in occasione dell’ospitalità ricevuta, come riferisce pure Erodoto. Da costoro, Democrito, ancora ragazzo, apprese rudimenti di teologia e di astronomia. In seguito, ebbe rapporti con Leucippo e, stando ad alcuni, con Anassagora, benché fosse più giovane di ben quarant’anni. Nella sua Storia varia, Favorino, invece, riferisce la notizia secondo cui Democrito affermava che le tesi sostenute da Anassagora a proposito del sole e della luna non erano di lui, ma erano più antiche, e che Anassagora se ne era appropriato. /…/ Demetrio, dal canto suo, dice che la porzione di eredità di Democrito consistette in più di cento talenti, che egli finì per spendere dal primo all’ultimo. Aggiunge che Democrito amava le fatiche dello studio al punto che viveva rinchiuso in una piccola casa che si era presa nel giardino attorno alla casa paterna. Quelle erano persone che vivevano di pensiero, stimavano che il pensiero fosse la cosa più nobile per gli umani. A pag. 1195. La sua idea era che i principi di tutte le cose siano gli atomi e il vuoto, e che tutte le altre cose siano oggetto di opinione. I mondi sono infiniti, generati e corruttibili. Nulla nasce dal non-essere, e nulla si corrompe nel non-essere. Gli atomi sono infinitamente vari per grandezza e infiniti per numero, e si muovono nell’universo in modo vorticoso, generando in tal maniera tutti i composti, il fuoco, l’acqua, l’aria e la terra. Anche questi elementi, infatti, sono aggregati atomici d’un certo tipo. Questa è una frase che un fisico moderno potrebbe sostenere: sono aggregati atomici, in effetti. Al contrario, gli atomi sono in sé impassibili e inalterabili, per via della loro solidità. /…/ Il fine della vita è la tranquillità dell’animo, che non coincide con il piacere, come hanno inteso alcuni, sbagliando. Al contrario, è quella disposizione interiore, nella quale l’anima trascorre la vita in uno stato di tranquillità e di stabilità, senza essere turbata da alcuna aura o superstizione, né da alcuna altra passione. Si può ricavare, in effetti, un’etica di Democrito: se ogni cosa è opinione e noi siamo immersi in una totale casualità, la cosa cui possiamo aspirare è la tranquillità, perché non c’è motivo di agitarsi, in quanto ciascuna cosa che accade accade per caso.
Intervento: L’agitarsi è proiettato al controllo della cosa…
Esatto, e pensare, credere che la cosa sia così, sennò non mi agito. A pag. 1201. E il secondo (accanto ad Anassagora) è Democrito, facoltoso e possidente, in quanto nato da nobile famiglia. Poiché era tutto assorbito dl proprio desiderio di sapere, che gli era assai familiare, allontanò da sé quella ricchezza cieca e molesta che di solito benefica i malvagi e i vili, e acquistò invece quella ricchezza che non è cieca e che è costante, oltre che avvezza a frequentare solo i buoni. Per questo motivo, egli fu ritenuto quasi un genio maligno, a tal punto che rischiò di vedersi negata la stessa sepoltura in patria, per una legge in vigore presso gli abitanti di Abdera, la quale sanciva di lasciare insepolto chi violasse le leggi patrie. Non si comportava come ci si aspettava si comportasse, e cioè che si tenesse tutti i soldi e facesse bisboccia; invece no, e questo già lo rendeva sospetto, sovversivo, una persona da cacciare. I Greci rendono onore ad Anassagora e a Democrito, in quanto, ardendo d’amore per la filosofia, abbandonarono le proprie terre a pascolo per le mandrie. Ammiriamo il fatto che le greggi si nutrano delle messi dei campi di Democrito, mentre il suo animo procede rapido e senza corpo nel regno dei pensieri. A pag. 1221. Democrito di Abdera supponeva che l’universo fosse infinito, perché non prodotto in alcuna maniera da un Demiurgo. Qui già era in contrasto con Platone. Platone aveva bisogno di inventarsi qualcuno che fosse il reggitore, qualcuno che avesse messo un ordine nelle cose. Il demiurgo è un legislatore, ordina, in ciascuno dei due sensi: impartisce ordini e stabilisce un ordine alle cose. Inoltre dice che esso è pure immutabile, e in maniera generale tratteggia con precisione quale sia la costituzione dell’universo. Le cause delle cose che ora divengono non hanno alcun principio, ma universalmente e da tempo infinito le realtà che furono, che sono e che saranno sono in senso assoluto organizzate dalla necessità. Per lui la necessità è soltanto dell’esistenza degli atomi, tutto il resto è totalmente casuale. A pag. 1223. Democrito reputa impossibile che l’uno derivi dal due e che il due si generi dall’uno, in quanto sono le grandezze indivisibili a originare le sostanze. Parmenide dice che i principi sono due: l’essere e il non-essere. Li chiama fuoco e terra. Democrito dice è impossibile che l’uno derivi dal due, che il due si generi dall’uno. Questo però ci dà da pensare, perché è come se stesse dicendo che non c’è prima l’uno o prima il due, ma sono simultanei. Dire che l’uno non deriva dal due e che è impossibile che il due si generi dall’uno mantiene questi elementi come distinti, ma potrebbe anche che li intenda anche come non separati. Qui è difficile da interpretare perché intanto è un frammento piccolissimo, tratto dalla Metafisica di Aristotele. Alcuni chiamano “atomi” certi corpi incorruttibili e minutissimi, i quali formano una pluralità incalcolabile; costoro presuppongono che vi sia un’area di spazio vuoto illimitata quanto a grandezza. Inoltre, aggiungono che questi atomi sono trasportati nel vuoto dal movimento, come capita, e incontrandosi per caso in virtù dell’impeto disordinato che li contraddistingue, e combinandosi insieme in forza della varietà delle loro configurazioni, determinano l’origine del mondo e di ciò che in esso è racchiuso, o meglio degli infiniti mondi. Un movimento “come capita”, si incontrano così, per caso. È stata questa la dottrina di Epicuro e di Democrito, benché si trovassero in disaccordo su un punto: il primo considerava minuscoli tutti gli atomi e, per questo motivo, impercettibili; mentre l’altro, cioè Democrito, ammetteva anche l’esistenza di atomi assai grandi. Quello su cui assolutamente insistono è che ciascuna cosa sia opinabile, sia un’opinione. L’unica cosa certa sono questi atomi che si muovono e che producono le cose, ma in modo totalmente casuale, totalmente irrazionale, cioè, senza alcuna ragione, incontrollabile, quindi, non dominabile. A pag. 1229. “Secondo convenzione è il colore, secondo convenzione il dolce, secondo convenzione l’amaro, mentre veri sono gli atomi e il vuoto” dice Democrito... Le uniche due cose che lui reputa necessarie sono gli atomi e il vuoto. Gli atomi, perché aggregandosi o disgregandosi a caso costruiscono o distruggono tutto; il vuoto, perché consente agli atomi di muoversi. …considerando le qualità sensibili da noi percepite come derivanti dall’incontro di atomi, mentre non crede che esistano in natura il bianco o il nero o il giallo o il rosso o l’amaro o il dolce. Con l’espressione “secondo convenzione”, infatti, non si intende indicare altro che “come si ritiene” e “relativamente a noi”, e non in conformità alla natura delle cose, che viene resa con l’espressione “secondo realtà”, desunta da “reale” nell’accezione di “vero” (ἀληθές). E il significato complessivo di questo ragionamento sarebbe il seguente: gli uomini ritengono che qualcosa sia bianco e nero e dolce e amaro e quante altre qualità affini, ma a esistere veramente sono solo l’essere e il nulla. Gli atomi e il vuoto. A pag. 1231. …benché Epicuro abbia cambiato qualche aspetto della teoria, come quello dell’inclinazione degli atomi di cui ho già palato prima, tuttavia la maggior parte delle nozioni è la stessa: basti pensare a quelle di atomo, di immagine riflessa, di infinità spaziale e all’idea che esistano innumerevoli mondi che nascono e scompaiono, cioè a quasi tutte quelle nozioni che caratterizzano questa teoria fisica. Mondi che nascono e scompaiono. Anche la Terra: a un certo punto il Sole cesserà di esplodere, ché è una bomba atomica in continua esplosione, si raffredda, i pianeti collassano sul Sole, un gran botto e tutti questi mondi scompaiono e se ne formeranno altri. Comunque, non è una questione di giorni, ci va un po’ di tempo. La sua idea è straordinaria, geniale, se si pensa che sono cose dette ventisei secoli fa. A pag. 1233. Se bisogna credere a Posidonio, la teoria atomistica è antica ed è nata con Moco di Sidone prima delle guerre troiane. Democrito ed Epicuro introdussero gli atomi, sempre che non si debba riconoscere che tale concezione sia ancora più antica e che, come diceva lo stoico Posidonio, sia stata formulata da un Fenicio di nome Moco. Secondo alcuni, la filosofia è nata presso i barbari… e nella fattispecie con il fenicio Moco, con Zamolssi di Tracia e con Atlante di Libia. /…/ Democrito pensa che quelli che chiama atomi, vale a dire quei corpi indivisibili per la loro solidità, si muovano nel vuoto infinito, nel quale nulla è sommo né infimo né ultimo né estremo, in maniera da scontrarsi aggregandosi tra loro, e da costituire in questo modo tutto ciò che esiste e che è visibile. E questo movimento atomico non ha avuto nessun principio, ma si volge dall’eternità. Ancora oggi c’è l’idea del Big Bang, va bene, ma prima cosa c’era? A pag. 1265. Secondo Democrito ed Epicuro, l’anima è corruttibile e si corrompe insieme al corpo. Già questo sarebbe bastato a Platone per tagliare la testa a Democrito: se l’anima si corrompe con il corpo non c’è più l’anima immortale e, quindi, tutta la sua teoria della trasmigrazione delle anime crolla. Inoltre, l’anima per Platone è ciò che fa da tramite con l’Iperuranio. Dopo tutto, è la condizione della conoscenza; se gli leva l’anima è finita. Diotimo diceva che, per quel filosofo (Democrito), i criteri del giudizio sono tre: a) cogliere le realtà che non si vedono a partire dai fenomeni; b) la ricerca del concetto; c) per quanto riguarda le passioni, ciò che bisogna scegliere e ciò che bisogna evitare, poiché dobbiamo scegliere ciò che sentiamo che ci è proprio; mentre dobbiamo evitare ciò che sentiamo che ci è estraneo. Essi affermano, poi, che molti degli altri viventi, delle medesime cose hanno impressioni sensoriali opposte alle nostre, e che addirittura ogni individuo, considerato in rapporto con sé medesimo, della medesima cosa non sempre ha le stesse impressioni sensoriali. Non è dunque chiaro quali di queste siano vere e quali false: in realtà, le une non sono affatto più vere delle altre, ma l’uno e l’altro lo sono a egual titolo. Questa è l’idea che aveva Democrito di opinione: l’unica verità con cui abbiamo a che fare sono le opinioni, la δόξα, la chiacchiera, per dirla con Heidegger. Per questa ragione, Democrito asserisce che o non c’è nulla di vero o, per lo meno, che il vero resta nascosto. Questo pensa Democrito: non c’è nulla di vero e se ci fosse è nascosto. Se si dice che l’Intelligenza muove il tutto, come si può dire che il moto è proprio pure dell’anima? Eppure lo si dice, in quanto si ammette l’identità tra Intelligenza e anima, come crede pure Democrito. Eppure, stando a ciò che questi filosofi hanno detto, non risulta affatto con evidenza che per loro siano la stessa cosa Intelligenza e anima, mentre è Aristotele a provarlo mediante il sillogismo. Infatti, Aristotele osserva come sia più che evidente che Democrito voglia propugnare proprio questa tesi, in quanto senza incertezza egli ha detto che il vero e la parvenza coincidono, e che non sussiste alcuna differenza tra la verità e la parvenza sensibile, ma che per ciascuno è vero ciò che gli appare e ciò che congettura che gli appaia, come ha sostenuto pure Protagora. Protagora diceva che l’uomo è misura di tutte le cose. Invece, in conformità a un ragionare corretto, c’è una differenza: infatti, la sensazione e l’immaginazione si rivolgono alla parvenza, mentre l’intelligenza si rivolge alla verità. Potremmo obiettare: questa cosa la dici tu, in base a che cosa affermi una cosa del genere? Per questo motivo, se l’intelligenza ha per oggetto suo proprio la verità… È una petizione di principio che l’intelligenza abbia per oggetto suo proprio la verità, come facciamo a saperlo? …l’anima è rivolta alla parvenza, mentre se il vero coincide con le parvenze, come sembra a Democrito, anche l’intelligenza non può che coincidere con l’anima. Come l’intelligenza, infatti, ha per oggetto la verità, così l’anima è protesa verso la parvenza e allora, al contrario, come la parvenza si rapporta al vero, così l’intelligenza si rapporta all’anima. Dunque, se sono identici la parvenza e il vero, anche l’intelligenza e l’anima sono identici. Non sarebbe possibile asserire che ogni rappresentazione è verace, secondo l’insegnamento che Democrito e Platone ci hanno fornito tramite la loro confutazione di Protagora. Se, infatti, ogni rappresentazione dell’immaginazione è verace, verace sarà pure la rappresentazione che immagina che non ogni rappresentazione dell’immaginazione è verace: e in questo modo, la tesi per la quale ogni rappresentazione dell’immaginazione è verace diventerà falsa. Dice Se, infatti, ogni rappresentazione dell’immaginazione è verace, verace sarà pure la rappresentazione che immagina che non ogni rappresentazione dell’immaginazione è verace, cioè, attribuisce all’antecedente ciò che riscontra nel conseguente: sono argomentazioni piuttosto labili. A pag. 1234. Dal fatto che ad alcuni il miele paia amaro e ad altri dolce, Democrito ha tratto la conclusione che esso non è né dolce né amaro. Cioè, non possiamo asserire nulla sul vero. A pag. 1317. Il figlio di Damasippo, Democrito di Abdera, asseriva che il cosmo è infinito e che giace sul vuoto. Affermava, poi, che il solo scopo di tutte le cose, ossia il bene supremo, è la tranquillità dell’animo, mentre le sofferenze sono manifestazioni dei mali. Ciò che sembra giusto, non è giusto; invece, è ingiusto ciò che è contrario alla natura. Egli diceva che le leggi sono una pessima invenzione, e che “il sapiente non deve lasciarsi comandare con la persuasione delle leggi, bensì conviene vivere liberamente”. A pag. 1329. Questo è quanto è stato tramandato circa la prima generazione di tutte e quante le realtà. Invece, circa i primi uomini, si racconta che essi conducevano un’esistenza disordinata e selvaggia, disperdendosi a pascolare e a procacciarsi le piante che ritenevano più adatte al proprio gusto e i frutti che si producevano spontaneamente sulle piante. In quanto erano in costante lotta con le fiere, l’amor proprio li indusse ad apprendere a soccorrersi reciprocamente, mentre la paura li indusse ad associarsi; e in questo modo, col tempo, impararono a riconoscersi tra loro attraverso particolari dell’aspetto. La loro voce cessò di emettere suoni inarticolati e senza significato, e a poco a poco appresero ad articolare vere e proprie parole, fino a che essi giunsero a concordare tra loro parole idonee per simbolizzare ogni cosa che conoscevano e alla loro portata. In questo modo, essi determinarono la nascita di espressioni per tutte quante le cose. Poiché tali comunità umane nacquero in ogni luogo della terra abitata, la lingua o il dialetto non potevano essere gli stessi per tutti: infatti, succedeva che ciascuna comunità coniasse proprie parole. Di conseguenza, i caratteri di quei dialetti furono diversi e molteplici, e le prime comunità nate diventarono e capostipiti di tutte le etnie. I primi uomini conducevano un’esistenza gravosa, perché non si era ancora scoperto nulla di ciò che rende più semplice la vita. Per questo motivo, essi erano nudi e senza indumenti, non ancora abituati a vivere in abitazioni e a usare il fuoco; ignoravano perfino che potesse esistere una forma di nutrimento non selvatica. Infatti, poiché ignoravano l’esistenza di un modo per conservare il cibo che traevano dai campi, non si curavano affatto di fare provviste di frutti in vista di situazioni di bisogno. Per questa ragione, d’inverno molti di loro morivano d freddo e per la mancanza di nutrimento. /…/ …in generale, l’insegnamento venne agli uomini dalla necessità, la quale rese noto l’apprendimento a questo essere ben equipaggiato di supporti per tutti i suoi atti in virtù del possesso delle mani, della ragione e di un’anima sagace. A pag. 1339. E sta ancora scritto: “anche questo è evidente, che noi non sappiamo nulla di vero riguardo a ogni cosa, ma che per ciascuno l’opinione rappresenta una sovracostruzione delle cose. Non sappiamo nulla di nulla, ma l’opinione rappresenta una sovracostruzione delle cose, qualcosa che costruiamo, e noi sappiamo soltanto di questa nostra costruzione e non della cosa. Tenete sempre conto che sono cose dette ventisei secoli fa. Democrito, talvolta, respinge ciò che le sensazioni fanno apparire: egli asserisce che, in queste, non si manifesta nulla di conforme al vero, ma solo conforme all’opinione; e afferma che la verità delle cose dipende dall’essere degli atomi e dal vuoto. Democrito sostiene infatti che “secondo convezione è il dolce, secondo convenzione l’amaro, secondo convenzione il caldo, secondo convenzione il freddo, secondo convenzione il colore, mentre veri sono soltanto gli atomi e il vuoto”. (che vuol dire: si crede e si opina che le realtà sentite esistano, mentre esse non sono conformi al vero, giacché questa qualifica spetta esclusivamente agli atomi e al vuoto). Benché Democrito promettesse, negli scritti intitolati Le conferme, di attribuire alle sensazioni la forza della credibilità, ciononostante si nota che egli le condanna, in quanto sostiene: “noi non percepiamo nulla che sia fermamente ancorato all’essere, giacché ciò che è percepito cambia in base alla disposizione del nostro corpo e a quella di ciò che entra nel corpo o di quella che “al corpo” gli oppone resistenza”. E afferma in aggiunta: “noi non percepiamo come ogni cosa veramente sia o non sia, come spesso è stato spiegato”. A pag. 1343. Queste sono, alla lettera, le sue parole: “due sono le forme di conoscenza: quella autentica e quella inautentica; rientrano nella seconda la vista, l’udito, l’olfatto, il gusto, il tatto e tutte le cose di questo tipo; invece la prima differisce nettamente da questa”. Successivamente, nell’anteporre la forma autentica di conoscenza a quella inautentica, aggiunge: “quando la forma inautentica di conoscenza non è affatto in grado di vedere, sentire, odorare, gustare, percepire col tatto ciò che è più minuto di una certa dimensione, ma deve ricercare qualcosa di ancora più minuto, allora interviene la forma autentica di conoscenza, la quale ha a disposizione un organo più fine, che serve per pensare”. Infatti, ciò che sfugge alla visione degli occhi rientra nella sfera della visione dell’intelligenza”. A pag. 1359. Sicché l’essere trae tutte le cose dall’Intelligenza, che si autoconosce ed è dotata di sapienza; la denominazione, invece, deriva alle cose dall’anima, la quale imita l’Intelligenza. Allora, il dare i nomi non è, come sostiene Pitagora, un’azione tipica di chi opera a caso, ma è un’azione compiuta dalla realtà <dell’anima> che contempla l’Intelligenza e la natura degli esseri. Per questa ragione, i nomi sono secondo natura. Viceversa, Democrito propugna la tesi secondo la quale nomi sono convenzionali, e la fa valere tramite questi quattro argomenti. La prova desunta dall’omonimia: vi sono, infatti, attività diverse che sono denominate con la stessa parola, il che già testimonia che il nome non è secondo natura. La prova tratta dalla polinomia: se vengono dati nomi diversi a un’identica e uguale realtà e se quei nomi sono interscambiabili, allora non è possibile che siano secondo natura. La terza argomentazione è mutuata dallo scambio dei nomi: come potremmo mai cambiare il nome di Aristocle in Platone, o quello di Tirtamo in Teofrasto, qualora i nomi fossero secondo natura? La quarta prova è tratta dalla mancanza di una costante derivazione dei nomi per somiglianza tra loro: perché dal termine “saggezza” traiamo il termine “pensare saggiamente”, mentre dal nome “giustizia” non facciamo derivare alcun verbo? Allora non per natura, bensì per caso si formano i nomi. Anche i nomi si formano per caso. Non c’è nulla che non sia il prodotto di ciò che è assolutamente casuale, cioè, al di fuori del controllo degli umani. Tutto questo modo di pensare gli ha creato ovviamente dei problemi. Ci sono poi delle brevi sentenze di carattere morale. A pag. 1369. Chi commette ingiustizia è più infelice di chi la subisce. Ricordate Platone quando diceva che è più felice chi sopporta le ingiustizie di chi invece la commette. È difficile lasciarsi comandare da chi è inferiore. Volontà di potenza. Un ragionamento è spesso più forte dell’oro nel convincere. Il modo di piegare qualcuno attraverso l’argomentazione è più potente dell’oro, perché l’oro lo compera ma il ragionamento lo persuade. Molti, che pure commettono le azioni peggiori, elaborano discorsi assai belli. /…/ Gli stolti diventano saggi nel momento in cui si trovano nella malasorte. A pag. 1371. Molti, pur sapendo un gran numero di cose, sono privi di intelligenza. /…/ Bisogna coltivare la ricchezza dell’intelligenza e non l’erudizione. Questo è di una grandissima saggezza: non serve avere acquisito tantissime cose se non le sai usare, se non sai metterle a frutto, se non sai farle lavorare. A pag. 1373. Il desiderio smisurato è tipico del bambino, non dell’uomo. /…/ I piaceri in tempo inopportuno provocano disgusto. Uno ama tantissimo un qualche cibo, ma se ha un forte mal di stomaco, in quel momento non l’apprezza. Le passioni violente verso qualcosa rendono cieca l’anima, impedendole di vedere tutte le altre cose. È ciò che Freud chiamava psicotizzazione: c’è una cosa soltanto e si vede solo quella, tutto il resto scompare e non si vede più niente, si vede solo quella cosa lì, ma la si vede nel modo in cui si crede che sia, perché quella cosa è il prodotto di quelle altre cose che io ho invece cancellato. A pag. 1375. Colui al quale piace contraddire e che affronta molti temi, è naturalmente incapace di apprendere quelle cose che più conviene sapere. Qui sembra che ce l’abbia un po’ con gli eristici. L’eristica non è nient’altro che una tecnica di contraddizione, per mettere cioè l’altro in difficoltà senza però proporre nessuna direzione, nessuna via, semplicemente paralizza l’altro. Ricordate Eutidemo, lui era un erista. L’accusa che Platone gli rivolgeva era proprio questa: voi riuscite, sì, a mettere a tacere l’avversario, però in questo modo mettete a tacere anche voi, perché oltre non sapere più andare. A pag. 1379. La donna non si eserciti nel pensare: sarebbe tremendo. /…/ Stare al comando di una donna, sarebbe per l’uomo il massimo affronto. A pag. 1457. In quell’epoca, il filosofo della natura Democrito di Abdera godette di grande rinomanza. In Egitto, nel tempio di Menfi, con altri sacerdoti e filosofi, Democrito fu iniziato ai Misteri da Ostane di Media, mandato in Egitto dai sovrani persiani del tempo, al fine di dirigere il culto che si teneva nei templi egizi. Tra questi iniziati, oltre a Democrito, c’era una tale ebrea sapiente, Maria, e Pammene. Democrito compose opere sull’oro, sull’argento, sulle pietre e sulla porpora, ma in maniera poco chiara, alla stregua di Maria. Tuttavia, tutti e due furono elogiati da Ostane, in virtù del fatto che avevano resa arcana ai più e agli stessi sapienti quell’arte. Invece, Pammene fu criticato in quanto scrisse quelle cose in maniera aperta. Venne, dunque, elogiato per avere scritto per pochi, perché la verità devono conoscerla pochi. È la posizione che secoli dopo fu di Averroè della doppia verità: c’è una verità per il popolo e una verità per gli eletti. È sempre stato così.