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10-8-2016

 

HEIDEGGER: La questione della cosa (1935-1936).

Mercoledì scorso avevamo considerato, rispetto alla lettura che Heidegger fa di Kant, in particolare della Critica della Ragion pura, che per Kant il momento dell’avvio della conoscenza è l’intuizione pura, che ascrive a quel particolare tipo di giudizio noto come “analitico a priori”. Ora il problema era che questo giudizio analitico a priori stabilisce un qualche cosa che viene percepito immediatamente, “immediatamente” cioè non mediato da altro, una percezione immediata. Seguendo l’esempio che faceva di un corpo che ha necessariamente estensione, ci chiedevamo se fosse proprio così, se fosse così automatico che per un parlante un corpo avesse un’estensione. Quindi che cosa è necessario, perché questa è la domanda ed è ciò che Kant sta cercando, che cosa è necessario perché ci sia conoscenza? E ciò da cui si parte per Kant è l’intuizione pura. Cosa intende con “pura” lo dice qui a pag. 170: “Puro” significa in primo luogo solo libero, libero da altro e cioè dalla sensazione. Considerata negativamente la pura intuizione è libera da sensazioni quantunque appartenga alla sensibilità, “puro” significa poi fondato su di sé e quindi per primo esistente, questa intuizione pura, questo singolo, libero da sensazione, puro rappresentato in un immediato rappresentare, è il tempo. Intelletto puro si definisce dapprima come il solo intelletto sciolto dall’intuizione, però poiché l’intelletto come tale è riferito all’intuizione, la definizione “intelletto puro” può significare soltanto “intelletto riferito all’intuizione” ma all’intuizione pura. La stessa espressione “ragione pura” essa ha un doppio significato, intesa in senso pre critico nomina la sola ragione, intesa in senso critico, ossia nel senso dell’interna delimitazione dell’essenza della ragione, indica la ragione in quanto fondata essenzialmente sulla intuizione e sulla sensibilità, la Critica della Ragion pura è dunque la delimitazione di questa ragione fondata sulla intuizione pura ed insieme il ripudio della ragione pura in quanto sola ragione. (“Il pensiero puro libero da sensazioni rappresentato in un immediato rappresentare è il tempo” cosa vuole dire? Vuole dire che è l’immediato rappresentare qui e adesso, in questo instante, non prima o dopo, non è un ricordo, un’idea, ma è qualcosa che accade qui e adesso, in questo instante, ed è quindi vincolato al tempo, non è fuori dal tempo, non è cioè qualche cosa che è così sub specie æternitate ma è vincolato al qui e adesso, ogni fenomeno è vincolato al qui e adesso. Fenomeno, da cui fenomenologia, è lo studio di ciò che appare, che si manifesta – φανεσθαι φανω ha a che fare con venire in luce quindi apparire, disvelarsi anche, aggiunge Heidegger, infatti lo connette con λήθεια, il disvelarsi. Ora il fenomeno è ciò che appare, non è ciò che è ma è ciò che appare, e per Kant il “ciò che è” non lo sapremo mai, sappiamo solo ciò che appare, appunto conosciamo il fenomeno. Ma come lo conosciamo? Se la cosa non possiamo conoscerla è ovvio che non ci trasmette niente la cosa in sé, ciò che possiamo conoscere è ciò che il nostro intelletto può, attraverso delle categorie stabilire una sorta di cornice entro la quale ciò che si manifesta viene percepito e conosciuto. L’intelletto, per Kant, è fondamentale, il suo intento è quello di costruire una filosofia come scienza cioè una filosofia che debba partire da qualcosa di necessario. Prende a modello infatti le scienze che stavano nascendo in quegli anni con Galilei, con Torricelli, con Newton, Lavoisier e tanti altri, e cioè la scienza come modello, la scienza che parte da qualche cosa che deve essere certo, evidente, però la scienza si fonda sempre sull’esperienza, e a Kant interessava, sì l’esperienza, è importante, ma qualche cosa che fosse non vincolato all’esperienza appunto, come dice lui, “puro”, da qui la distinzione tra “trascendente” e “trascendentale”. Trascendente è ciò che va oltre l’esperienza, al di là dell’esperienza, trascendentale è ciò che è al di qua dell’esperienza, cioè ciò che costituisce la condizione della possibilità dell’esperienza e quindi della conoscenza. La questione del fenomeno si dà nel tempo, in questo momento, ciò che appare, non ciò che è ma ciò che appare. Kant attribuisce l’avvio della conoscenza alla intuizione pura del fenomeno, il fenomeno di per sé si mostra nell’intuizione pura come una sorta di tautologia, come dire “questo è questo”, è sufficiente non c’è bisogno di andare altrove. Tutto ciò che è necessario è che non si auto contraddica e cioè che sia adeguato al principio primo, il principio di non contraddizione, ciò che si mostra non posso negarlo, e questo, prima di Kant, è Cartesio: se penso non posso negare di pensare, anche perché negando di pensare comunque in questa negazione sto pensando qualcosa quindi anche se nego di pensare comunque penso, e se penso allora sono. Questo è il passaggio che Kant riprende da Cartesio, e dice sì, Cartesio ha ragione, però non basta questo per costruire una filosofia scientifica, occorre trovare quell’elemento da cui si parte, certo, indubitabile, innegabile e dopo da questo elemento costruire delle categorie in un sistema che consenta di inserire qualunque cosa all’interno di questo sistema, perché solo se è all’interno di questo sistema questo elemento, questo oggetto è un oggetto; dicevamo la volta scorsa riprendendo Heidegger, soltanto se all’interno di un sistema categoriale un qualcosa è un oggetto, se no non lo è, perché non lo è? A differenza delle categorie di Aristotele che sono desunte dalle cose, nel senso che sono gli attributi, le attribuzioni dell’essere, ciò che l’essere è e quindi vengono stabilite in base all’essere, per Kant le categorie sono costruite per potere conoscere l’oggetto, le categorie sono una costruzione che viene fatta dall’intelletto per potere categorizzare, cioè inserire un elemento all’interno di un sistema che consenta la conoscenza di quell’oggetto. Queste categorie non sono né vere né false di per sé ma sono soltanto un sistema che l’intelletto utilizza per potere conoscere, e senza le quali categorie non potrebbe conoscere niente poiché ci sarebbe soltanto l’intuizione pura ma senza un giudizio sintetico cioè senza l’intelletto non fa niente, diceva Kant che senza l’intelletto l’intuizione pura c’è, ma è cieca. L’intuizione pura mostra dei fenomeni scombinati, sparpagliati, è solo l’intelletto che attraverso delle categorie che si è costruito, riesce a dare a degli elementi sparpagliati una struttura e quindi può inserirli all’interno di un percorso di conoscenza cioè di causa effetto. Scire per causas, ma qual è la causa prima che tutti cercano, che anche Kant ha cercato? Solo l’intuizione pura, certo, poi l’intelletto, se no non fa niente, però questo elemento, l’intuizione pura è ciò che consente l’avvio di ogni cosa e la temporalità comporta che un elemento sia quello che è in questo momento, tenendo conto di tutto ciò che lo ha condotto a essere quello che è in quel momento, questa è la temporalità per Heidegger. Ciò che Kant chiama l’analitica trascendentale, cioè l’analisi del trascendentale, l’analisi delle condizioni delle possibilità della conoscenza, è il linguaggio, l’unica cosa che risponda a questo requisito. Risponde a questo requisito 1) perché fornisce il tempo cioè la storicità al fenomeno e cioè lo inserisce all’interno di un progetto, per cui solo a quel punto so che un corpo è esteso, devo avere delle informazioni che fornisce il linguaggio che è a priori, è sempre a priori, perché, e Heidegger in questo è preciso, perché è già sempre dato, è già stato da sempre, ciascuno nasce e si trova “vissuto” in un certo senso, per usare le sue parole “parlato” dal linguaggio. Si trova già da sempre nel linguaggio, non è che nasce e ha il linguaggio, è già da sempre nel linguaggio, non può non essere già da sempre nel linguaggio ed è per questo che il linguaggio costituisce quel “a priori” che consente la possibilità della conoscenza. Immaginiamo il linguaggio come una sorta di sistema operativo, un sistema operativo è un sistema cioè un insieme di sequenze correlate che produce, attraverso delle procedure, altre sequenze, questo è quello che fa un sistema operativo. Ovviamente le procedure procedono da qualcosa, da informazioni che vengono acquisite attraverso porte di ingresso, che sono i nostri cinque sensi. Però per Kant l’acquisizione avviene attraverso l’intuizione pura, dunque funziona da sé, ma necessita di informazioni per avviarsi (il problema di Kant) ma le informazioni senza le procedure, le istruzioni, come potrebbero essere accolte come informazioni? Cioè come so che un corpo è esteso? Questa è un’informazione, intanto devo sapere che è un’informazione, devo sapere come utilizzarla. Quando si installa un programma nel computer, come fa il computer a sapere che quella cosa è un programma e a sapere cosa farne? Il problema è lo stesso, esattamente lo stesso. È perché ha delle istruzioni ovviamente e le istruzioni che possiede prevedono l’esistenza di informazioni. Questo è importante e forse andrebbe articolato di più e lo faremo. Quali informazioni? “Quando incontrerai una certa cosa, con certe proprietà chiamerai quella cosa “informazione” e la acquisirai per fare ciò che altre istruzioni ti diranno di fare”. Ora queste informazioni potrebbe apparire che siano dei dati del mondo, dati del mondo esterno, ma potrebbe non essere così, perché le informazioni che vengono acquisite potrebbero essere semplicemente altre stringhe precedentemente stabilite. E questo andrebbe di pari passo con ciò che dice Heidegger che siamo già da sempre nel linguaggio, non c’è un prima del linguaggio, un incominciamento del linguaggio, ci siamo già da sempre. Ma salta una questione importante: come si impara a parlare? Come si insegna a una macchina a pensare, ma questa è un’altra questione. In altri termini il sistema operativo è costruito in modo tale da determinare che certe cose con certe proprietà sono informazioni, e a sapere cosa farne, quindi il linguaggio è strutturato in modo tale da potere determinare delle cose come informazioni, cioè riconosce certe stringhe, a questo punto, certe sequenze come informazioni, e sono stringhe, non sono dati esterni, non sono dati che vengono dalle cose, dalle cose non viene niente. Si potrebbe a questo punto azzardare che è possibile affermare che qualcosa non è linguaggio per lo stesso motivo, cioè si è programmati a pensare che le informazioni vengano da un luogo fuori dal linguaggio ma è solo per via del linguaggio che si può pensarlo. Delle istruzioni possono dirmi che qualche cosa non è linguaggio, ma perché queste istruzioni? Perché queste istruzioni vengono fornite “crescendo” (è il crescere dei bambini) vengono fornite allo scopo di controllarli, e come effetto queste informazioni producono la volontà di potenza, la amplificano, la volontà di potenza in qualche modo è già avviata nell’avviarsi stesso del linguaggio. Ciò che a noi interessa qui è cogliere il fatto che all’inizio quella cosa che cerca Kant e che dà l’avvio a tutto, che è l’elemento da cui parte ogni cosa perché senza intuizione non c’è intelletto, su questo è chiaro Kant, è come un’istruzione che non ha nessuna informazione da istruire, posso avere tutte le istruzioni che voglio ma non ho nulla su cui fare agire queste istruzioni, e rimangono lì. Le istruzioni in questo caso, per usare i termini di Kant, sarebbero l’intelletto, le informazioni l’intuizione pura, quella pura da ogni cosa cioè non viziata da nulla, cioè l’incondizionato, ciò che non è condizionato da altro mentre tutto ciò che accade dopo nell’intelletto, nel giudizio sintetico, sia a priori che a posteriori, è sempre condizionato da qualcosa. La ricerca dell’incondizionato è la ricerca di quell’elemento da cui parte ogni cosa, che quindi non deve nulla a nulla e che quindi è necessariamente quello che è per sé stesso. Che però badate bene per Kant non è la realtà pura perché lui si rende conto che le cose non ci dicono nulla, siamo noi che facciamo dire le cose alle cose, ciò che possiamo considerare non è mai la cosa ma è il fenomeno, φανεσθαι, ciò che viene in luce, ciò che appare, ciò che mi si mostra, il concetto, il significato se volete ampliare ancora la questione. Quindi questo elemento primo, per Kant, ha una sola virtù: non è autocontraddittorio. Se dico che mi appare questa cosa così come mi appare, mi appare così come mi appare, cioè appunto “questo è questo” ma in ciò che dice Kant non tiene conto che può fare tutte queste operazioni che lui considera attentamente è necessario un sistema che lo consenta, questo sistema è il linguaggio, che è l’unico elemento effettivamente a priori, perché è già sempre dato, ciascuno nasce già nel linguaggio, è già preso nel linguaggio. Quindi è l’unico elemento a priori dal quale e attraverso il quale è possibile costruire qualunque cosa. La domanda fondamentale che Kant si pone, e Heidegger riprende, è questa “come faccio a conoscere una cosa?” come faccio a dire che questa è una cosa? Intanto occorre che ci sia la percezione ma questa percezione che io ho della cosa è della cosa o di ciò che mi si mostra? Dice Kant che la cosa, per quanto sia stata interrogata per secoli, non mai risposto a nulla “sono io che faccio dire cose alla cosa”, e allora lui elabora questo sistema per cui dice che prima c’è l’intuizione pura, che consente la percezione, dopo l’intelletto che consente di organizzare attraverso categorie, per esempio quella dello spazio e del tempo, sistemare la cosa in modo che sia concettualizzabile, cioè sia trasformabile in concetti, in teorie, in qualunque altra cosa anziché essere soltanto delle percezioni, intuizioni pure, sparpagliate che non significano niente. Questa operazione che fa Kant è un modo per risolvere il problema della conoscenza, da dove arriva la conoscenza, quali sono le condizioni perché possa darsi la conoscenza. Questo percorso lui la chiama “analitica trascendentale” nell’accezione che indicavo prima. Ma l’intuire da parte di Kant che deve esserci qualche cosa di già dato perché qualunque altra cosa possa darsi, questo è importante, non è l’intuizione pura, perché l’intuizione pura non è sufficiente o meglio, l’intuizione pura avviene in seconda battuta quando io posso sapere di avere intuito qualcosa per esempio, occorre il linguaggio, occorre il linguaggio che da sempre fornisce quelle istruzioni per fare girare, per fare giocare quelle informazioni, come quella dell’intuizione pura, perché quella è un’informazione, ma se non ci fosse un’istruzione che la fa girare, che la fa operare, non succederebbe niente, e questo deve precedere l’intuizione pura perché è la condizione, per dirla con Kant, la condizione della condizione, la condizione perché possa darsi un’intuizione pura, se no non si dà niente. E come fa a sapere che è vera quella cosa? Come dicevo prima, grosso modo come ha fatto Cartesio, “se penso dunque sono, anche se dubito comunque penso quindi penso dunque sono” come dire che questa affermazione non può essere messa in dubbio, è incontrovertibile sia per Cartesio sia per Kant, per questo lo pone come l’elemento su cui costruire qualunque cosa, perché è l’incontrovertibile. C’è un discorso da fare qui. Si parla solo per affermazioni, cioè ogni discorso è, come dicevano gli antichi, catafatico, catafatico cioè affermativo. Curioso che l’etimo greco κατά “secondo” nel senso di assecondare qualcosa, accogliere qualcosa e “φάορ” “parlare”, mentre nel latino si volge in “ad firmo” “ad” la preposizione che indica “andare verso qualcosa” e poi “firmo” che è fermare, stabilire, stabilizzare, bloccare, cosa che è assente nella parola greca κατάφασις, dove non c’è questo fermare, questo stabilire. Comunque sia, ogni discorso afferma qualche cosa, per procedere deve fare come se ciò che interviene, ciò che afferma sia il “questo è questo”, cosa che non va senza qualche considerazione a margine perché dire che questo è questo non è stabilire una verità rispetto alla cosa, è soltanto un gioco linguistico che mi consente di utilizzare un certo termine, all’interno di un certo gioco. Anche l’affermazione del principio primo in effetti afferma necessariamente delle cose “A non è non A” è un’affermazione, κατάφασις, e in questa affermazione immagina che le cose siano esattamente così come sta stabilendo in quel momento, e cioè che sia assolutamente vero che “A non è non A”. Come fa a sapere che è assolutamente vero? Severino risponderebbe perché altrimenti non potrebbe affermare questo, può darsi, però la questione è più complicata, nel senso che a ciascuno di questi elementi che interviene, per poterli utilizzare io devo fornire una sorta di stabilità, cioè fermandoli li stabilizzo, ciascun elemento occorre che sia quello che è, ma se ciascun elemento è quello che è all’interno di un gioco, allora il fatto che sia quello che è non è qualche cosa che è una virtù propria, è soltanto qualcosa che è all’interno del gioco che rende tale, quindi affermare che “A non è non A” sì è vero, all’interno di un gioco che stabilisce che tutti gli elementi che compongono questa proposizione siano quelli che sono, stabili, fermi, ma lo sono per natura o lo sono all’interno del gioco? E qui sta la differenza fondamentale, se lo sono per natura allora è così, effettivamente il principio di non contraddizione è incontrovertibile, se non sono per natura ma lo sono all’interno di un gioco allora anche questi elementi vengono fissati e consentono poi di costruire quella cosa è incontrovertibile. Ma lo consentono solo a condizione che un certo gioco li stabilisca in un certo modo, e cioè che dica che ciascun elemento è quello che è e non un altro ma è quello che è soltanto all’interno del gioco, perché dire che è quello che è e non un altro, già sarebbe reinserire il principio di non contraddizione, se invece diciamo che è quello che è in relazione ad altri elementi ecco che allora non ci serve più il principio di non contraddizione. È un po’ come diceva Hjelmslev “un oggetto non è altro che l’intersezione di un fascio di relazioni”, certo la proposizione che afferma questo può essere sottoposta a un criterio vero funzionale nel senso che se è quella che è non può essere altro da ciò che è, però affermando una cosa del genere si pone una questione più complessa e cioè si sta dicendo che anche il principio di non contraddizione è valido, certo che è valido ed è ineliminabile, non può togliersi dal gioco linguistico, ma non dice come stanno le cose, non dice come veramente stanno le cose quindi metterlo come principio primo come fa Kant potrebbe essere problematico comunque. Pag. 121: Qui c’è la definizione generale di enunciato di Aristotele:λγειν τ κατά τινς, enunciare qualcosa di qualcosa. Ecco cosa dice la definizione di giudizio. Questo è Kant): Un giudizio non è che il modo di portare conoscenze date all’unità oggettiva dell’appercezione. (qui Kant intende quell’atto del percepire che, tenendo conto di due aspetti della percezione cioè l’intuizione pura e l’intelletto, tiene conto dell’“Io penso”, il quale è cosciente di ciò che sta percependo, l’insieme di questi elementi Kant non la chiama “percezione” ma “appercezione”, nel senso che Io penso, stabilisco che ho avuto una percezione e questa percezione viene categorizzata attraverso l’intelletto e diventa coscienza) Non siamo ancora in grado di comprendere completamente questa definizione sui singoli termini soltanto questo balza agli occhi, non si parla più di rappresentazioni e concetti ma di conoscenze date ossia di ciò che è dato nella conoscenza quindi delle intuizioni (ciò che è dato nella conoscenza è l’intuizione, è il dato che viene ricevuto) si parla dell’unità obiettiva, dell’unità di ciò che sta di contro, Gegenstand, qui giudicare in quanto operazione dell’intelletto non è soltanto riferito in generale l’intuizione all’oggetto ma la sua stessa essenza è definita in base a questo rapporto come questo rapporto. (come dire che la percezione dell’oggetto sta in questo rapporto che c’è tra l’intuizione pura e l’oggetto) In questa definizione il rapporto all’intuizione e all’oggetto, su cui si fonda l’essenza del giudizio, viene indicato per primo ed espressamente, pertanto sin dentro la struttura unitaria della conoscenza, deriva da qui un nuovo concetto di intelletto, l’intelletto ora non è più solo la facoltà di collegare rappresentazioni ma è, qui cita Kant, è parlando in generale la facoltà delle conoscenze, queste consistono nella relazione determinata di date rappresentazioni ad un oggetto. (questo è il passaggio successivo dove l’intelletto non è più soltanto la facoltà di collegare rappresentazioni, ma queste rappresentazioni collegate si connettono tra loro dando l’avvio alla conoscenza) La priorità dell’a priori è la priorità dell’essenza della cosa (il modo prioritario è il mostrarsi della cosa) ciò che rende possibile che la cosa sia ciò che è, viene di fatto in seconda natura prima della cosa, quantunque noi apprendiamo questo antecedente solo dopo la conoscenza di alcune proprietà delle cose che ci sono più vicine (dice che la priorità dell’ “a priori” è una cosa singolare perché in effetti c’è l’intuizione della cosa e quindi dovrebbe venire prima la cosa e poi la sua intuizione eccetera, quindi “a priori” dovrebbe essere la cosa e invece no, dice Heidegger, perché se non c’è da parte del soggetto, qui siamo in pieno Illuminismo, c’è il soggetto, l’oggetto ormai stabiliti, se non c’è da parte del soggetto un’intuizione che consente la percezione dell’oggetto in quanto fenomeno, in quanto ciò che si mostra, quindi in quanto ciò che è, non c’è nessuna possibilità di conoscenza quindi ciò che viene prima, l’ “a priori”, viene come secondo, in un ragionamento diciamo “comune”, infatti, dice, “apprendiamo questo antecedente, cioè la cosa, solo dopo la conoscenza di alcune proprietà delle cosa che ci sono più vicine, cioè dobbiamo metterlo in relazione con una serie di altre cose, vi ho illustrato grosso modo tutto ciò che vi ho anticipato a pag. 206) : L’intelletto puro è il fondamento di necessità delle regole in generale, le regole, le categorie sono necessarie ma sono una costruzione dell’intelletto non appartengono alla cosa, (alla sostanza come per Aristotele che nelle Categorie pone al primo posto l’οσία, la sostanza) affinché ciò che viene incontro e si mostra, il fenomeno e che in generale appare stando di contro (Gegenstand) l’oggetto, possa venire davanti a noi, deve avere fin dall’inizio la possibilità di conseguire in qualche modo uno stato, una stabilità (badate bene, dice se qualcosa deve venirmi in contro per essere un fenomeno ciò che appare deve avere una stabilità, ma che cosa gliela dà? Il fatto di essere ciò che è, e di non essere altro da sé cioè il principio primo) ma ciò che sta in sé che non si disperde è in sé raccolto, e cioè portato all’unità e in questa unità presente e stabile, (sarebbe ciò che Heidegger descriveva a proposito di Eraclito, ciò che fa il λόγος, raccoglie in unità ciò che l’essere mostra) La stabilità è questo esser presente che muove da sé e che è in sé unito. (quindi la stabilità è qualcosa che non muove da altro, non ha altro che la condizione, una cosa è quella che è per se stessa non per altro, qui siamo in piena metafisica) Questa presenza è insieme resa possibile dall’intelletto puro la cui attività è il pensare, e pensare dice “Io penso, io mi pongo innanzi, mi rappresento qualcosa in generale, nella sua unità e contestualità” (questo era ciò che prima indicava con “appercezione” “io mi rappresento”) La presenza dell’oggetto si mostra nel rappresentare cioè l’oggetto diviene presente a me, mediante il rappresentare del pensiero che instaura connessioni. (questo è interessante, vi rileggo la frase “ La presenza dell’oggetto si mostra nel rappresentare - non del darsi immediato ma è già una rappresentazione- cioè l’oggetto diviene presente a me mediante il rappresentare del pensiero che instaura connessioni” come dire in altri termini che è il mio pensiero che crea quelle regole, quelle categorie tali per cui percependo un qualche cosa, questo qualche cosa diventa qualche cosa, soltanto attraverso queste connessioni, cioè le connessioni come categorie praticamente, quindi categorizzandole) Ma a chi questa presenza dell’oggetto si presenti, se a me come un Io accidentale, con i miei umori, desideri e opinioni oppure a me in quanto sono quell’Io che messo da parte tutto quanto è “soggettivo”, lascia essere l’oggetto come esso è, questo dipende dall’Io, dall’ampiezza e capacità di connessioni delle rappresentazioni e cioè in ultima analisi dalla potenza e dal tipo di libertà in virtù della quale io sono uno stesso. (e qui c’è Heidegger in effetti, dice questa presenza “come mi si presenta questo oggetto?” adesso usiamo termini heideggeriani “mi si presenta all’interno della chiacchiera?” “lo prendo per un sentito dire, perché mi hanno detto che è una certa cosa che funziona in un certo modo?” cioè i miei umori, desideri, opinioni, cioè questa percezione, questa conoscenza addirittura dell’oggetto è viziata dai miei umori eccetera oppure lascia essere l’oggetto come esso è? Cioè lascia che l’ente appaia dall’essere senza attribuire all’ente l’essere cioè senza pensare che l’ente possa essere quello che è senza essere all’interno di un progetto. Poi dice “questo dipende dall’io dall’ampiezza e capacità di connessioni delle rappresentazioni e cioè in ultima analisi dalla potenza e dal tipo di libertà in virtù della quale io sono uno stesso” e cioè dipende dal pensiero autentico. Lasciare che l’oggetto si mostri senza significarlo nel senso di attribuire a questo significante un significato che procede dalla chiacchiera, dalla mondanità, dal sentito dire anziché trarre il significato dall’essere, perché è l’essere il significato, quella cosa significa per me in quanto la sto mostrando in questo momento a voi come esempio per dire delle cose) Pag. 211: Si tratta di determinare l’essenza dell’oggetto, nel suo star di contro l’oggetto è determinato dall’intuizione e dal pensiero. Oggetto è la cosa in quanto appare (cioè è il fenomeno e non in quanto è) oggetto è apparenza, fenomeno. Ma apparenza non significa qui parvenza indica bensì l’oggetto stesso nel suo essere presente, nel suo starci (perché è così che ci sta e può stare solo così) Kant all’inizio della Critica Ragion Pura nello stesso luogo nomina i due elementi costitutivi della conoscenza umana: intuizione e pensiero, definisce anche la struttura dell’apparenza, del fenomeno. (qui è Kant che parla) Nel fenomeno chiamiamo “materia” ciò che corrisponde alla sensazione ciò che invece fa sì che il molteplice del fenomeno possa essere ordinato in precisi rapporti chiamo “forma del fenomeno” forma è ciò in cui si ordinano colori, suoni e simili (cioè “materia” la attribuisce alla sensazione, cioè all’intuizione pura, ovviamente il molteplice del fenomeno, se è molteplice non può che essere il prodotto di una connessione di elementi mentre l’intuizione pura è una, è il questo è questo) Pag. 215: Prima abbiamo definito l’intuizione rappresentazione immediata di un singolo (questo è questo, un singolo, un particolare) mediante la rappresentazione qualcosa è dato a noi, l’intuire è un rappresentare che non opera, non forma mediante sintesi ma dà. (è la datità dell’oggetto, questa è l’intuizione, il darsi dell’oggetto, il puro dato, l’informazione, gli informatici direbbero “l’input” ciò che viene dato, poi cosa ne sarà di quella cosa questo è tutto un altro discorso ma intanto c’è questo darsi, questa datità) L’intuizione, il significato di intuìto “ciò che è intuìto” è ciò che viene rappresentato in quanto è dato, nel luogo in cui definisce lo spazio come grandezza infinita Kant precisa “lo spazio è rappresentato come grandezza infinita data”. Lo spazio è rappresentato come una data grandezza infinita eccetera. Il rappresentare che porta lo spazio come tale davanti a noi è un rappresentare che da, cioè è un intuire, lo spazio è un “intuìto” e in questo senso è detto intuizione. (come dicevamo prima per Kant lo spazio è dato dall’intuizione pura, se questo è un corpo allora ha un’estensione, cioè occupa uno spazio).