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10-8-2011

 

Cosa rende una conversazione una conversazione analitica? Il fatto che una conversazione analitica produce degli effetti? Anche, ma una conversazione qualunque può produrne, però c’è una differenza comunque tra una conversazione analitica e una chiacchierata, in che cosa consiste questa differenza? C’è qualcuno che ascolta, ma cosa vuole dire che ascolta? Non soltanto che sta a sentire quello che la persona gli racconta, ma coglie quali sono le superstizioni, le credenze, in altri termini gli aspetti di credenze religiose all’interno di questo discorso, non basta ovviamente rilevarle occorre che faccia qualche cosa perché la persona che sta parlando se ne accorga, che è la cosa più difficile, la persona raccontando le sue storie incessantemente mette in mostra la sua fede e più la racconta più si convince di quello che dice generalmente, per cui occorre che ci sia un intervento da parte dell’analista, come avviene questo intervento? Cosa fa l’analista? Questi sono gli aspetti peculiari di una conversazione analitica, ciò che la rende assolutamente differente da qualunque altra tipo di conversazione mai esistita prima, anche Socrate, anche lui interrogava continuamente, interrogava continuamente per mostrare alle persone che stava interrogando che contrariamente a quanto pensavano non possedevano la verità, però c’è una differenza, non si tratta di una maieutica, cioè tirare fuori dalla persona la conclusione che in realtà non sa un accidente di niente, ché Socrate si fermava lì, utilizzando i sistemi dei sofisti, la conversazione analitica fa qualche cosa di più, pone la persona nelle condizioni di non avere più bisogno di credere in quelle cose che già con Socrate comunque non sapeva dimostrare, e non ha bisogno di credere solo perché non le può dimostrare? Sì e no, il fatto che ci creda comporta che si muova di conseguenza in relazione a degli asserti, delle verità che ritiene naturali, inamovibili, e che ritiene essere la verità delle cose, e il “problema” tra virgolette è che si comporta di conseguenza facendo danni a destra e a manca, in che senso fa danni? Intanto perché cerca di persuadere altri delle sue verità, costringendoli molti spesso, come diceva lei nel suo scritto, attraverso le armi o altri sistemi di persuasione, comunque deve persuadere altri che quelle cose che dice sono vere e questa non è una cosa che potrebbe anche non fare eventualmente, è costretto dalla struttura del linguaggio e se non intende come funziona il linguaggio continuerà a farlo all’infinito, questo è il problema più rilevante in tutto ciò e cioè continuerà a subire il linguaggio e vale a dire a fare ciò che il linguaggio gli impone e cioè trovare una verità e poi imporla a tutti quanti, senza sapere quello che sta facendo e cioè che sta costruendo soltanto delle stringhe. Il linguaggio costringe a fare questo: costruire delle stringhe che poi concludendo con un’affermazione vera possono consentire al linguaggio di proseguire, al discorso di proseguire, ma i danni che accadono nel subire il linguaggio sono notevoli, sono tutti quelli che hanno devastato l’umanità negli ultimi tremila anni e hanno consentito duemila anni di follia religiosa, di massacri e di persecuzioni, questo è stato reso possibile dalla posizione in cui le persone si trovano e cioè nella posizione di chi subisce il linguaggio senza rendersi conto di ciò che sta accadendo e cioè che sta soltanto costruendo delle sequenze, nient’altro che questo. La conversazione analitica è quel percorso, potremmo definire a buon titolo come un percorso intellettuale dove la persona si trova, raccontando le sue storie, si trova, grazie all’intervento dell’analista che glielo fa notare, a confrontarsi con gli aspetti magici, religiosi del suo discorso, confrontarsi cosa vuole dire? Interrogare queste cose, chiedere conto a queste cose da dove vengono, perché esistono, perché esistono nel suo discorso intendo dire. Ci si potrebbe interrogare perché esistono in generale ma in prima istanza nel suo discorso, che è la cosa più importante, e l’intervento dell’analista è fatto prevalentemente di interrogazioni, nel momento in cui la persona ha “terminato” tra virgolette di elencare i suoi problemi, a quel punto può incominciare a interrogarli, e naturalmente il modo in cui interroga è un modo squinternato, non sa interrogare per questo occorre la presenza di qualcuno che invece lo sappia fare per, potremmo dire così, per supportare il suo discorso a interrogare se stesso, perché se non c’è questo supporto, diciamo così provvisoriamente, il discorso sì si interroga, ma trova immediatamente una risposta e lì si blocca e chiuso il discorso, quindi “è perché è così” e allora si danna con questo, con quest’altro tizio, caio, sempronio, senza mai giungere a considerare che è qualcosa che è il suo discorso che ha costruito. Dunque l’intervento dell’analista fa soprattutto questo: impedisce che il discorso si attesti su un’altra superstizione, spostandosi da una si attesta su un’altra, e invece l’analista impedisce  che il discorso si attesti anche su quell’altra, e poi anche su quell’altra in modo che lungo questo percorso la persona abbia l’occasione di accorgersi, di rendersi conto che non è possibile per il discorso attestarsi su alcunché, a meno che non ci sia un atto di fede, un atto di fede e cioè un “credo in unum deum, factorem coeli et terræ”, ma perché la persona dovrebbe rinunciare alla sua fede? Questa è una delle questioni più complesse in un’analisi, in realtà fino ad oggi ciò che è accaduto è soltanto lo spostamento da una fede a un’altra, cosa che funziona perché come abbiamo detto tante volte una persona che lascia una fede religiosa per abbracciarne un’altra, un neofita di una nuova religione ha dei vantaggi immensi, si sente benissimo, si sente il padrone del mondo, forte e sicuro di sé, quindi funziona, solo che ciò che non viene mai messo in discussione in tutto ciò è il bisogno di credere in qualche cosa per cui ciò che ha condotto ad abbandonare una certa fede, causa di sintomi, malanni e acciacchi di ogni sorta per abbracciarne un’altra permane, e quindi ci sono ottime probabilità che continuerà a compiere questa operazione, ché una volta abbracciata una nuova fede, dopo, finita l’euforia iniziale …

Intervento: per cui occorre sempre l’analista …

Sì, come dicevo proprio qui martedì scorso, occorre che l’analista si sia formato in un certo modo e cioè che abbia già percorso questo cammino, sia già in condizioni di reperire immediatamente, nel momento stesso in cui si produce una qualunque superstizione o credenza religiosa di qualunque tipo: il suo discorso si è costruito e strutturato in modo tale da impedire l’accesso a qualunque affermazione religiosa e cioè è qualcuno, l’analista, per il quale è impossibile che l’atto di parola si volga in atto di fede. Quindi l’obiettivo dell’analista in prima istanza è impedire che il discorso della persona che sta ascoltando si attesti su una qualunque cosa, e cioè possa continuare a parlare, perché se si attesta su qualcosa di fatto non parla più, come dire su quella questione il discorso si ferma, il discorso è chiuso e ne prende un altro e non ne parla più, ma il discorso non è chiuso, c’è ancora tantissimo da dire soprattutto c’è da dire che non si chiude lì perché questa chiusura è data unicamente da un atto di fede, senza atto di fede non c’è nessuna chiusura perché il discorso non si attesta da nessuna parte salvo su ciò che in nessun modo può negare e allora lì può attestarsi, sul fatto che per esempio la parola sia la condizione di qualunque cosa, questo non può negarlo con gli strumenti che ha, gli strumenti che ha sono la sua struttura, sono la logica, sono il linguaggio che è la logica appunto, ma questo è un altro discorso. Il metodo, la questione che poneva prima Sandro, il metodo è questo: impedire che il discorso si attesti su una qualunque cosa, impedirlo facendo in modo che questa attestazione trovi un’altra occasione per dirsi, un’altra occasione per mettersi in gioco ancora e ancora fino al punto che non è più sostenibile, il discorso stesso avverte l’insostenibilità di qualunque attestazione e quindi incomincia a rivolgersi ad altro, incomincia a rivolgersi al modo in cui funziona e cioè sul perché pensa le cose che pensa. Il discorso incomincia a essere addestrato a interrogare se stesso, cioè a trovare nel proprio svolgimento, nella propria struttura tutte quelle risposte che altrimenti soltanto un discorso religioso può fornire, a condizione ovviamente di non domandarsi mai niente, questo è il prezzo da pagare per il discorso religioso, non interrogare niente, in ogni caso non interrogare la teoria stessa, diciamo così, in ambito psicanalitico per esempio, junghiano, freudiano, lacaniano, possono continuare a credere quelle cose perché non le interrogano, questa è la condizione, se le cose vengono interrogate incominciano i problemi. La difficoltà maggiore sta nell’abbandonare la propria religione cioè le proprie superstizioni, le cose in cui si crede e dicevamo: perché abbandonarle visto che offrono tanti servigi? Questo può avvenire a condizione, forse è la sola condizione, che il discorso incominci ad addestrarsi a pensare e cioè non possa più non interrogare qualunque cosa si attesti lungo il suo percorso, qualunque cosa sia, se si riesce a fare questo ecco che non si tratta neanche di una rinuncia del discorso religioso ma di una necessità logica, chiedere a qualunque attestazione religiosa di mostrare di che cosa è fatta, quindi è a quel punto che c’è dell’analista e cioè la persona non può più credere, non ha più la necessità di credere a nulla, il credere diventa un’opzione assolutamente irrilevante …

Intervento: la questione della credenza, della superstizione non è inteso penso che la questione più difficile da far accogliere sia come il sintomo sia diretta conseguenza del credere …

Qui si possono fare degli esempi magari illuminanti di come si costruisce un sintomo a partire proprio dalla fede, ho fatto qualcosa del genere in qualche conferenza …

Intervento: parlare di credenza immagino che ci sia una certa perplessità sul fatto che il credere qualcosa possa produrre, costruire un sintomo, è lì che c’è una certa perplessità …

La questione del sintomo va affrontata con degli esempi, mostrando come una credenza produca un sintomo, quella cosa che si chiama sintomo, costruire un sintomo a tavolino, lo abbiamo fatto tante volte, e come in assenza totale di credenza sia impossibile la presenza di qualunque sintomo, perché io tema qualche cosa è necessario che questa cosa che temo sia creduta necessariamente vera.

Come dicevo prima io sarei partito da una cosa del genere, e poi eventualmente porre questa questione come effetti collaterali di una conversazione analitica: ciò che avviene se non c’è conversazione analitica è che la credenza continua a riprodursi e ad autoalimentarsi, diventa sempre più forte fino alla depressione, psicosi o qualunque accidente. Che cosa fa l’analista? Perché la conversazione analitica è differente da altro? Si può anche utilizzare l’esempio di Socrate della maieutica che arriva fino a un certo punto, anche i Sofisti sono arrivati fino a un certo punto, ma si può fare ancora un passo ulteriore, non è soltanto mostrare l’assoluta insostenibilità di qualunque affermazione ma mostrare invece la necessità di qualche cosa, infatti di questo aspetto non ne abbiamo parlato adesso, però si può anche inserire perché a fronte di un crollo totale e assoluto di qualunque certezza, a fronte di questo c’è la possibilità di giungere a una certezza assoluta, e cioè che sto parlando, con tutto ciò che questo comporta …

Intervento: se il percorso analitico non avesse anche un supporto teorico …

È per questo che l’analista interviene in un certo modo, e può farlo perché ha fatto quel percorso se no, no …

Intervento: l’analista deve essere in grado di “costruire” una sorta di curiosità intellettuale, se no si giunge a un certo punto e si dice “beh ma allora?” …

Questo è un aspetto che occorre inserire e cioè che arrivati a fine corsa ciò che rimane è la parola, la parola che costruisce i suoi discorsi …

Intervento: può avere inteso come funziona il linguaggio ma se non interroga il suo discorso, a un certo punto occorre che la persona sappia che parla e che produce tutto ciò che produce perché è parlante …

Sì, è questo che porta poi alla consapevolezza della parola, alla priorità della parola, alla necessità della parola, e nel momento in cui la persona ha inteso questo si trova a potere funzionare come analista, non ha più bisogno di credere in nulla …

Intervento: a questo punto non avrà più la necessità di imporre il proprio potere sull’altro non ci sarà più nessun interesse e questo comporta un sacco di implicazioni …

La necessità di esercitare il proprio potere procede unicamente dalla considerazione che la verità che io sostengo sia vera al di fuori della parola, non sia costruita dalla parola, se no in quel caso è solo una sequenza, una stringa di elementi linguistici e non ha nessuna costrittività, è solo quando ciò che si crede è immaginato una realtà esterna al linguaggio allora deve essere imposta su tutti perché io devo confermare la mia verità a tutti i costi …

Intervento: devono sempre trovare qualche cosa che seduca le persone e perdono di vista … le proprie parole hanno come referente altre parole, altre stringhe per cui qualsiasi cosa mi trovi a considerare come la cosa più importante e quindi soffrirne devo sapere in tempo reale che questa cosa importante è costruita di sana pianta dal mio discorso, e per essere importante devo credere che sia qualcosa fuori dalla mia parola, che non è la mia parola che risponde …

Sì funziona perché, ed è la condizione per cui funzioni, perché è pensata fuori dal linguaggio, come qualcosa che accade, per cui non ci posso fare niente, di cui sono vittima, appunto subisce il linguaggio, potremmo dire che l’analista è chi cessa di subire il linguaggio ma lo agisce, e non può più subire il linguaggio in nessun modo.