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10-8-2004

 

Intervento: In una conferenza il tema è il titolo di una storia, poi lì si raccontano delle storie si pongono dei personaggi… e fin qui è un discorso costruito e invece il proprio discorso che è ugualmente… ha una storia questo discorso, sta costruendo una storia il proprio proseguire… la diversità per quanto mi riguarda queste apprensioni che ho cioè se racconto una storia e se questa storia è un qualcosa che sembra esterno a ciò che io dico mi pare che funzioni senza grosse problematiche perché sto raccontando una storia la sto inventando e invece la storia che… però è una storia che ha delle emozioni, la mia storia… ecco che ad un certo punto raccontare una storia fuori da me qualcosa che non mi appartiene…

Intervento: ci sarà un obiettivo per questa storia che inventi o che racconti

Intervento: però se io dovessi raccontare la mia storia è diverso

Certamente, e lei si chiede perché? Vede, quando lei descrive qualche cosa compie un’operazione tale per cui il suo discorso riconosce e sa che ciò di cui sta parlando, ciò che sta descrivendo, non è sé stesso ma è altro, è altro da sé. Se lei descrive per esempio il funzionamento di una macchina non ha nessun problema di nessun tipo, generalmente si dice che non è coinvolto, come dire che il suo discorso sa, e non può non saperlo, che ciò di cui sta parlando è altro da sé. Ora questo comporta una posizione differente, questo stesso discorso non è direttamente coinvolto ma descrive una serie di cose, di eventi, di stati, però le cose che ritiene vere per sé non sono messe in discussione né rischiano di esserlo in nessun modo perché ciò di cui sta parlando è altro da sé, ora ci sono anche delle emozioni che possono intervenire raccontando una storia, quando questa storia che si racconta va a toccare o coinvolge degli elementi del proprio discorso, per esempio, quando un bambino si racconta una storia si emoziona, si appassiona, oppure anche un adulto perché fa di questa storia o immagina che questa storia vada a coinvolgere il proprio discorso così come accade quando uno vede un film che lo emoziona per esempio, magari si mette a piangere, però la storia non la riguarda ma in qualche modo trova il modo perché la riguardi e cioè perché vada a mettere in gioco delle verità che appartengono al proprio discorso, allora in questo caso si provano emozioni, se e soltanto se vengono messe in gioco delle verità che appartengono al proprio discorso, se no, no…

Intervento: in una conferenza teoricamente dovrebbe essere il raccontare una storia, anche il mio discorso sapendo che è una storia dovrebbe essere tutto sommato privo di emozioni… perché so come sono costruite le nozioni, perché so come funzionano, quale utilizzo potrei averne potrei interrogare queste cose no? Potrei raccontare una storia per non essere travolto dalla storia

Ma lei non è tanto travolto dalla storia durante la conferenza, è travolto dall’eventualità che qualche cosa vada storto nel racconto di questa storia, più propriamente, e quindi che metta in discussione una verità sotto forma di sapere, per esempio…

Intervento: fa parte di questa storia l’emozione

Sì perché intervengono degli elementi che vanno a coinvolgere aspetti della sua vicenda, per esempio, in questo caso il sapere, mettiamo che sia invece nella descrizione di una macchina, del funzionamento di una macchina, ecco che lì non c’è nessuna probabilità, nessuna possibilità che venga intaccato il suo sapere perché è certo, sicuro, quindi non c’è nessuna emozione, non è che l’emozione compaia solo se viene intaccato il proprio sapere ovviamente, è un aspetto, un’occasione, ché l’emozione, abbiamo visto, ha sempre a che fare con la verità nel momento in cui si ritrova una verità attesa che si prova un’emozione, anche il fatto di essere scoperti e non sapere nulla è il ritrovamento di una verità attesa, in questo caso attesa perché è fonte di eccitazione per altri motivi…

Intervento: riflettevo su questo ritrovamento della verità… aldilà del fatto che il linguaggio ha delle vie prestabilite tutto sommato per provare emozioni, sono quasi dei comandi nel senso che giocando un certo gioco qualsiasi esso sia, dipende da ciò che si accoglie come motivo di vita, queste emozioni che intervengono in quei giochi sono legate a quei giochi

Quelli che fantasmaticamente hanno a che fare con la possibilità di proseguire il discorso, sono questi che contano…

Intervento: le storie che racconta la struttura occidentale sono molto limitate

Sono quelle dei romanzi, storie di conquista, abbandono e tradimento, sono questi i temi fondamentali…

Intervento: se non si possono interrogare delle strutture che funzionano in un certo modo queste storie permangono e procurano quelle proposizioni vere che servono al funzionamento della vita

Sì, quelle che danno le emozioni certo…

Intervento: la cosiddetta realtà è fatta di queste storie e le emozioni che si provano sono inserite in questa realtà, al di fuori di questo direi che la stessa emozione che si suppone in un percorso intellettuale per molto tempo ha a che fare con le costruzioni delle storie che procurano soddisfazione

Intervento: sì però, lei diceva si scontra con una verità del proprio discorso, può anche mancare il collegamento cioè qualcosa di tecnico per poter argomentare in una certa maniera, cioè può mancare del linguaggio tutto sommato, non per una verità ma perché non ci sono degli elementi da aggiungere per portare a compimento questa storia

Supponiamo che sia così, e cioè una persona non ha tutti gli strumenti che dovrebbe avere, per esempio per una conferenza, allora di fronte a questa condizione o non fa la conferenza, oppure tiene conto degli elementi di cui dispone e organizza il discorso a partire da quegli elementi, è chiaro che non ci sono mai tutti gli elementi che si vorrebbe che ci fossero, però è in condizioni di valutare fino a che punto può arrivare e quindi si attiene alle cose che sa meglio, per esempio, altro invece è ciò che può accadere nel momento in cui da una parte c’è la supposizione di possedere tutti questi elementi in un modo o nell’altro, dall’altro invece la verifica in atto che non è esattamente così, ma allora perché questo possa accadere, perché funzioni occorre una sorta di sopravalutazione, si parte dall’idea della perfezione, poi si constata in atto che non è esattamente così, ecco che allora questa mancanza di elementi che di per sé potrebbe non comportare niente, se non eventualmente la ricerca di acquisire quegli elementi, attraverso la lettura, il confronto, il dibattito, invece lì interviene il confronto con ciò che indicavo prima, la verità, perché in questo caso è ciò che si teme e cioè il non sapere. Questa è la verità che si incontra, quindi era proprio così, era vero, io non so, a questo punto ecco che viene confermata una ipotesi, si è confermato ciò che si temeva, poi si tratta di verificare se ciò che è accaduto avesse come obiettivo proprio questo: il verificare questo timore, come dire che in quel caso la conferma del fatto di non sapere porta una serie di vantaggi, di eccitazioni, emozioni, una serie di conseguenze di fronte a questo esibire il non sapere che può portare a considerare per esempio di essere deriso, vilipeso, abbandonato e una serie di agganci a molte altre situazioni che possono essere cercate. La pura e semplice assenza di elementi di per sé non comporta nessun impedimento, comporta semmai lavorare per acquisirli, e di fronte all’eventualità di una conferenza non fa muovere pensare che dovrà essere tutto perfetto, invece l’idea di partenza di un’assoluta perfezione in questo caso è funzionale al fallimento, perché solo se c’è un’idea di un’assoluta perfezione allora c’è il fallimento se no, no, e quindi si costruisce a quel punto il fallimento: non c’è la perfezione e quindi c’è la catastrofe…

Intervento: è anche la ricerca della verità comunque intesa dal discorso occidentale… laddove viene posta la verità qualcosa che esista di per sé tutto sommato e che non sia ciò che fa funzionare un gioco con delle regole rigide… la verità che si incontra porta a costruire delle proposizioni che si attengano a questo gioco però se funziona la ricerca della verità cioè io parto dal vero cioè da premesse che sono assolutamente vere è il discorso occidentale in atto quello che ricerca la perfezione per cui c’è la mancanza… ma laddove si sia l’artefice del proprio discorso se la storia manca di elementi posso costruirli perché non c’è un vero fuori di me ma mi interrogo sul perché io stabilisco che manca qualcosa in un certo modo, e trovo il modo di completare questa storia…

Lei dice che se questa persona parte dalla verità…

Intervento: dalla ricerca della verità si atterrà a quella verità l’unica che ha trovato che ha procurato emozione ma questa verità non sarà implicita – la verità che qualsiasi cosa è un atto linguistico – nel suo discorso come dire che dovrà sempre verificare che sia proprio questa e di fronte al proprio sentire dovrà sempre fare un lavoro tra questa proposizione che afferma che qualsiasi cosa è un gioco linguistico e appunto il sentire, sarà sempre occupato a fare questo per cui nella costruzione della storia scarterà gli elementi che si pongono, scarterà il rinvio per isolare il rinvio alla perfezione

Si potrebbe dire che è esattamente ciò che facciamo noi…

Intervento: sì però è costretto questo gioco a costruire letteralmente la propria struttura man mano che prosegue attenendosi all’unica verità ma in quanto gioco logico che parte da una costrizione…allora questo gioco che andiamo facendo ha dovuto partire da una verità, l’unica che se il discorso occidentale la intende potrebbe provocare quella emozione ma laddove funzioni come verità, l’unica verità e funzioni in quanto reperimento di quell’unica verità il trovarsi di fronte a degli elementi linguistici, per esempio Cesare diceva che mancavano degli elementi per concludere, certo se si cerca l’elemento che esista di per sé per concludere non la potrai costruire perché non è il rinvio che si ascolta ma quell’elemento che non è ancora elemento linguistico, si vuole confermare un senso quindi si tratta se è un elemento di un elemento linguistico di decidere la conclusione, di poterlo fare… sapendo che i passaggi da costruire non stanno da nessuna parte e non devono confermare niente

Intervento: è difficile costruire questi passaggi

Intervento: di fronte ad un elemento linguistico che può avere, dipende dalla catena significante in cui si trova, un utilizzo sterminato una persona si trova a fare i conti con un solo utilizzo e quindi arriva lì e non ci sono altri strumenti per concludere la storia però questa è la ricerca della verità esattamente quello che faceva Freud quando costruiva la storia, ma in base a un referente che si posiziona da qualche parte. Mi pareva che anche posta in questi termini rendesse questo gioco molto più mobile di quanto non lo possa giocare la ricerca della verità, quella che cerca le cause e quindi costruisce i motivi delle storie, in questo senso si costruisce una verità effettuale che segue ma giocando questo gioco sapendo che è un gioco…

La questione delle emozioni, sì certo, ché ogni volta che una persona prova delle emozioni conclude che allora ciò che ha prodotto quell’emozione è vero, e quindi è reale…

Intervento: ancora una cosa in quella ricerca della verità e quindi della perfezione esige la verifica continua perché la verifica pone un referente, quindi verificando ciascuna volta che qualsiasi cosa è un elemento linguistico però io non riesco a trovare ciò che conclude è chiaro che confermo la non perfezione

Si tratta di intendere se una struttura del genere funziona sempre, cioè fa parte della struttura del linguaggio, cioè se ogni volta che c’è questa sensazione allora ciò che l’ha prodotta è automaticamente vero, è reale, perché in effetti appare in questi termini: ogni volta che una persona prova un’emozione non ha assolutamente alcun dubbio sulla verità e quindi sulla realtà di ciò che l’ha prodotta…

Intervento: cioè è come bruciarsi un dito sul fuoco

Una cosa del genere sì, è assolutamente vero, quindi una proposizione che è attesa e che verifica una certa cosa quindi può dire che è vera, però non una qualunque cosa, ci deve essere un’attesa, come se non sapesse ancora se è vera oppure no, soltanto quest’ultimo passaggio consente la verifica. Pare che l’emozione sia fortemente connessa con l’attesa di qualche cosa, qualcosa che ancora non è saputo, come dicevamo anche tempo fa, e che a un certo punto diventa saputa, inequivocabilmente è così. Ma cosa avviene nel linguaggio esattamente? Che cos’è l’attesa nel linguaggio? Perché il linguaggio sa che a ciascun elemento ne seguirà un altro, però può non sapere ancora se quello che seguirà sarà coerente con il precedente, in fondo un’attesa che viene soddisfatta non è nient’altro che una proposizione che conclude una sequenza e questa conclusione risulta, si trova ad essere coerente con le premesse, cioè non la contraddice “mi aspetto che domani ci sarà il sole” ora quindi desidero, attendo, che domani ci sarà il sole, se domani ci sarà il sole allora questa attesa sarà verificata, se invece non ci sarà il sole verrà negata, non c’è il sole e quindi la mia attesa è delusa, per così dire, quindi è falso in quel caso, se pioverà l’affermare che ci sarà il sole sarà falso, l’affermare che c’è il sole sarà vero; quindi di cosa è fatta questa attesa? Perché lì gioca qualcosa di importante, io mi attendo qualche cosa, ma perché me lo attendo? Perché è così importante che quella certa proposizione venga verificata? Potrei dire che mi attendo dalla verifica di quella proposizione la possibilità di proseguire in quella direzione, potrebbe anche essere soltanto questo: l’attesa di verificare se potrò proseguire in quella direzione oppure no, se la proposizione che interviene è coerente con la precedente, con la premessa, allora potrò proseguire, se no, no…

Intervento: sì però non tutte le proposizioni creano quell’emozione

Dipende proprio da questo, dall’attesa: questo è un accendino, questa proposizione è vera all’interno del gioco che facciamo, ma non c’è nessuna attesa di sapere se questa proposizione è vera o è falsa, lo so che è vera, e quindi non attendo niente, mentre se trovo un oggetto non identificato che ancora non so che cos’è ovviamente, se vengo a sapere che cos’è allora è come se potessi utilizzare linguisticamente quell’oggetto, quindi da quella via posso proseguire. È chiaro, magari non è un’emozione violenta, è come un riconoscimento: “ah ecco…” è chiaro che non possiamo parlare qui di emozioni violente però anche il riconoscimento di una persona… come diceva per esempio Wittgenstein, l’amico tra la folla “ah ecco, guarda chi c’è”, è un’emozione, tenue ma comunque è una sensazione di ritrovamento di qualche cosa…

Intervento: sembrerebbe Faioni che questo compimento della proposizione comportasse qualcosa di esterno alla proposizione… come quando dal ponte uno si butta con l’elastico… è sull’elastico che lui aspetta l’emozione, qualcosa che è esterno al suo discorso tutto sommato

È una possibilità. Si tratta di verificare se l’emozione è collegata con il reperimento di una conclusione vera e quindi con la possibilità di proseguire, indipendentemente dal fatto che appartenga al discorso oppure no, oppure se è vincolata al fatto che appartenga a qualche cos’altro che non è il proprio discorso, ma parrebbe essere vincolato unicamente al reperimento di una conclusione vera di una sequenza, anche perché ad esempio la soluzione di un problema teorico complesso produce un’emozione, e in questo caso non c’è nulla di esterno al proprio discorso, il problema stesso è stato creato dal discorso. In ogni caso abbiamo constato che è semplicemente il reperimento della conclusione di un’argomentazione della quale si attende per qualche motivo la sua verifica, e il motivo non è altro che la possibilità di proseguire in quella direzione, ora è chiaro che questa cosa occorre che sia qualcosa che interessi, anche perché se mi attendo di verificarla è perché già mi interessa, se no non mi attendo niente, ma l’unico motivo per cui una persona si attende la verifica è la possibilità di proseguire in quella direzione e l’emozione appare così essere nient’altro che la sensazione che accompagna questa possibilità, posso proseguire in quella direzione, è così e quindi posso proseguire, qualunque cosa sia non ha importanza. Prima ci chiedevamo perché quando una persona prova un’emozione, ritiene quella cosa assolutamente vera e reale, perché se gli consente di proseguire allora è vero, per la struttura stessa del linguaggio, se di lì può andare è vero, cioè chiama vero il fatto che può andare in quella direzione e quindi può proseguire, e quindi effettivamente ha trovato qualcosa di vero. Poi che lo chiami anche reale questa è un’opzione aggiuntiva, anche se non priva di conseguenze, però si comporta esattamente come è necessario che sia…

Intervento: sì comunque questo elemento che conclude deve avere un’attesa, deve avere una probabilità che non si verifichi, perché possa emozionare

Se deve verificarlo è perché non lo sa ancora, come dicevo prima “domani ci sarà il sole oppure non ci sarà” se ci sarà il sole allora questa affermazione che faccio oggi che domani ci sarà il sole sarà verificata, in caso contrario no, e quindi non potrò proseguire in quella direzione, infatti se questa attesa non si verifica non c’è nessuna emozione, a meno che ovviamente io mi attenda il contrario e dica di volere il sole ma in realtà per qualche altro motivo mi aspetti la pioggia, allora in quel caso sarà vero per me il fatto che piova, perché ciò che attendo di fatto è che piova e non che ci sia il sole. Dipende quindi dall’attesa, una sequenza che ancora non sa se potrà proseguire in quella direzione oppure no, così come si verifica anche in ambito teorico, uno fa delle ipotesi e poi le verifica, quando è verificata ecco che è vera e così posso andare avanti, posso concludere, posso continuare in quella direzione e lì avviene quella cosa che gli umani chiamano emozione. Anche nel caso più nefasto, quando una persona cara muore, se c’è una attesa che questo si verifichi ecco che questa attesa è soddisfatta e quindi c’è un’emozione, in quel caso si chiama dolore, tragedia, sofferenza. Però in ogni caso questa proposizione è stata verificata…

Intervento: l’onnipotenza dei pensieri laddove per qualche motivo una persona sa che morirà una persona cara e questo si verifica…

Può pensare di essere lui il responsabile, sì certo, in questo caso si produce il senso di colpa “allora sono stato io” che poi non sa perché, perché per saperlo dovrebbe accogliere il pensiero di desiderare la morte di questa persona, ma non lo farà mai, quindi si sentirà in colpa senza sapere perché. Abbiamo saputo qualcosa di più dell’emozione…

Intervento: mi interessa la questione dell’affermazione e della negazione… lei nell’ultimo scritto ha incominciato a parlare della negazione come regola di esclusione… ma di un vincolo fra antecedente e conseguente…

Si leggono parti del Dell’interpretazione di Aristotele in cui pone la codifica dell’essere e di come solo negando l’essere di un oggetto possa intervenire un giudizio vero… intendere velocemente come funzionano i giudizi e quindi come il senso prosegua o si interrompa oppure rimanga assolutamente immobile laddove l’affermazione e la negazione funzionino in un certo modo… la questione del nome indefinito “non uomo” quindi della non definizione.