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10-7-2013

 

Intervento: nell’altro incontro lei diceva dell’apertura estrema che pratica la Scienza della Parola, non c’è “economia” della parola e quindi c’è la possibilità di invenzione e quindi della pensabilità, una continua elaborazione che non può interrompersi perché non ha più nessun interesse a imporre, come fa il discorso metafisico, l’ultima parola, quella che decreta il come stanno le cose…

Ho detto soltanto che per dare l’apertura che intendiamo dare al pensiero è necessario giocare il gioco del linguaggio, e che soltanto giocandolo si produce linguaggio, si produce linguaggio nel senso che si producono proposizioni allo scopo di produrre altre proposizioni. Si producono proposizioni sempre per trovare la verità, ma all’unico scopo di produrre altre proposizioni, è questa la differenza sostanziale perché in effetti ciò che avviene è di produrre teorie certo, cioè proposizioni, ma per arrivare al punto in cui si suppone che questo punto debba corrispondere a un quid che è una descrizione di uno stato di cose ed è questa la “quintessenza del potere” sapere come stanno le cose. Qualche volta fa, accennavamo alla questione del segno, il problema nel segno non è tanto il significante né il significato, ma è il referente, è il referente che garantisce che il significato indichi qualche cosa. Il referente sarebbe appunto la cosa reale. Il referente è quella cosa che garantisce la univocità del significato, e questo è necessario per potere pensare di potere avere un potere sulle cose: “io dico come stanno le cose quindi con questo intendo dire che il significato che do alle mie parole si riferisce alle cose come stanno”; ciò che abbiamo posto da tempo in modo più deciso, oltre che preciso, è che questo referente è un altro atto linguistico e che pertanto, posta la questione in questi termini, questo non dà più nessun potere perché il significato delle mie parole non si riferisce alla “cosa” ma a un atto linguistico che rinvia ad altri atti linguistici. Questo toglie ogni possibilità di poter esercitare il potere. La nozione di “realtà” ha questa unica funzione: garantire ciò che si dice, di garantire che il significato di ciò che dico ha un riferimento da qualche parte che è quello che è, e quindi il mio significato univoco dice come stanno le cose. Questione importante questa, ed è forse uno dei motivi per cui i logici, i filosofi del linguaggio, i semiotici, anche di polso, si sono smarriti rispetto a una cosa del genere pensando comunque sempre che il segno debba avere un riscontro in qualche cosa che è fuori dal segno, fuori dalla catena segnica propriamente, e quindi fuori dal linguaggio. L’eventualità di togliere, così come è possibile fare, il riferimento alla cosa crea uno scombussolamento totale. Tutte le teorie del riferimento, da Lewis, a Linsky, Bonomi stesso e Davidson e altri, tutte teorie intorno al riferimento ovvero al referente, e cioè al modo in cui la parola si rapporta alla cosa. La cosa più straordinaria è stata quella di intendere che questa stessa “cosa” di cui si parla, questo “che”, non esiste al di fuori di quella struttura che fa diventare qualcosa una qualunque cosa. Perché io possa vedere, parlare di qualcosa occorre che prima ci sia un qualche cosa, ma perché ci sia un qualche cosa occorre che per il mio discorso ci sia qualche cosa, entri nel mio discorso, ma che cosa entra nel discorso? Entra nel discorso ciò che è stato trasmesso quando il linguaggio si è avviato, e ciò che viene trasmesso con l’avviarsi del linguaggio sono quelle informazioni e quelle istruzioni che consentono di pensare, letteralmente, cioè consentono la pensabilità di un qualche cosa, e cioè che un qualche cosa sia qualcosa. Tutto questo ci ha condotti a considerare che sostenere una realtà fuori da questo sistema che chiamiamo linguaggio è arduo, anche per questo nessuno è mai riuscito a farlo: lo diceva anche Wittgenstein “il dato c’è”, c’è e bell’e fatto, ma al di là di questo non si è potuti andare perché come abbiamo visto varie volte ci si perde inesorabilmente in aporie irresolubili, in rinvii senza fine, perché si sta cercando, facendo questo, di dare ragione delle informazioni e delle istruzioni che non hanno nessun altra ragione se non quella di costruire sequenze in un certo modo. Come ho detto in varie occasioni, è come chiedere al re di fiori perché è un re di fiori anziché essere un sette di picche, e attendere la risposta dal re di fiori, può anche rispondere il re di fiori nel senso che io faccio in modo che risponda cioè gli “metto in bocca” per così dire le parole e lo faccio rispondere così come faccio rispondere un animale. La questione della fantasia di potere qui è determinante, perché è quella cosa che ha consentito la costruzione della metafisica ed è anche ciò che rende gli umani tali. Stavo considerando l’altro giorno una questione antica, il fatto che le macchine, i robot, non potranno mai essere come gli umani. Che cosa manca alle macchine nel luogo comune? Mancano i sentimenti, l’affetto, le emozioni, tutte queste belle cose, ma tutte queste cose come vengono trasmesse agli umani? Perché gli umani le imparano e le macchine no? Ciò che occorrerebbe mettere in una macchina per farla pensare, muovere esattamente come un umano, è la fantasia di potere, che una macchina non ha, è questo che ci differenzia per ora dalle macchine, gli umani sono mossi dalla fantasia di potere, le macchine no. Ma così come agli umani è stato trasmesso il linguaggio, abbiamo visto che allo stesso modo, con qualche piccola differenza, viene trasmesso alla macchine, perché gli umani hanno costruita questa fantasia di potere e le macchine no, al di là del fatto che le macchine che vengono fatte adesso, anche i robot più sofisticati comunque sono ancora molto rozzi. Ciò che rende gli umani tali è la fantasia di potere, nient’altro che questo, ma come mai negli umani è sorta questa fantasia mentre nelle macchine non sorge? Questa fantasia di potere viene trasmessa insieme con il linguaggio, è vero che è il linguaggio che costituisce la scaturigine di qualunque fantasia di potere, anche una macchina è provvista di linguaggio ma non ha nessuna fantasia di potere, perché? Che cosa si trasmette agli umani che non viene trasmesso alle macchine? Una piccola cosa, ma che risulta decisiva, e qui torniamo alla questione di prima e cioè che il significato delle cose ha a che fare con un “che” che è fuori dal linguaggio, alle macchine questa informazione non viene trasmessa, né c’è nessun motivo di farlo, però negli umani invece sì, perché? Perché è l’unico modo per controllarli, si trasmette già con l’educazione, sarebbe da domandarsi se sarebbe mai possibile educare un piccolo umano in assenza di questa idea, cioè dell’idea che le cose che si dicono, i significati, abbiano un referente che è fuori dalla parola. Non lo sapremo mai, però è una domanda che ci si può porre, giusto per vedere se viene in mente qualche altra cosa, perché educare gli umani a che cosa serve? Perché si educano? Gli umani hanno costruito un sistema che potremmo chiamare metafisico, che è fondato su un principio fondamentale, quello dell’obbedienza, che si impara con un meccanismo semplice di premio/punizione. Il sistema che gli umani hanno costruito è costruito come un sistema metafisico che definisce le cose in base a una menzogna, che è quella che asserisce che le cose esistono sono fuori dalla parola, e quindi essendo fuori dalla parola sono inattaccabili, sono quelle che sono. Perché si ubbidisce? Perché io dico come stanno le cose, è questa la forma più sottile di educazione, di addestramento, non tanto l’imposizione. Lo stesso “uomo nero” lo si utilizza per spaventare i bambini, si fa credere che sia reale, non è che si dice che l’uomo nero è un’invenzione della mamma, e non esiste nessun uomo nero, se no non funzionerebbe, e cioè non produrrebbe più la paura, che è necessaria che ci sia perché faccia quello che voglio io. Tutto questo sistema è stato costruito e continua a mantenersi e costruirsi sempre nello stesso modo, per potere avere il controllo sugli umani, prima piccoli e più grandi, modificando naturalmente il sistema che però mantiene la stessa struttura “premio/punizione”. Come diceva Turing “le macchine si addestrano così” perché viene premiato qualcuno o punito secondo le circostanze? Perché non ha fatto ciò che io dico e ciò che io dico ha un riferimento che è nella realtà, che dice come stanno le cose. Come dicevo prima non deve ubbidire perché lo dico io, ma perché le cose stanno così. Occorre fare intendere che le cose che dico non sono un mio capriccio, un ghiribizzo, ma rappresentano la realtà, e cioè i significati delle mie parole non hanno un riferimento in altre parole, in altre sequenze ma hanno un riferimento nella realtà. Questo è il modo in cui si è costruita la società, e questo è il motivo perché sia straordinariamente difficile mostrare una configurazione differente dove non c’è più questo referente reale che garantisce della verità di quello che dico, e se non c’è questo, ecco che torniamo alla sua domanda di prima, non si può giocare, non c’è gioco e cioè tutte le sequenze e i discorsi avranno come fine il raggiungimento di uno stato di cose. Il riferimento a un qualche cosa che da fuori del linguaggio garantisce la verità dell’enunciato, è questo che costituisce la differenza sostanziale tra gli umani e le macchine. Una volta avevamo, un po’ per gioco, progettato teoricamente una macchina pensante, quello che dicemmo allora andava bene, ma manca, per fare di una macchina un essere umano, così come lo conosciamo, manca questo, manca l’immissione di queste informazioni, di questi dati, quelli che dicono che ciò che si afferma deve avere un riferimento che è fuori da ciò che si afferma, allora e solo allora, può avviarsi una fantasia di potere; chi meglio conosce come stanno le cose, quello ha il potere sugli altri, se io so come stanno le cose e voi no, io ho un potere su di voi. Da qui tutta una serie di fantasie paranoiche, il paranoico deve sempre riuscire a sapere qualche cosa o immaginare di sapere qualche cosa che gli altri ignorano per sentirsi al di sopra “perché io so qualche cosa che altri non sanno” è come quello che spia, senza essere visto, altri che fanno certe cose, chi si trova nella condizione di spiare senza essere visto è fantasmaticamente in una posizione privilegiata perché lui sa cose che altri non sanno e cioè gli altri non sanno che lui li sta spiando. Dicendo che ciò che manca alla macchina per diventare umana è una fantasia di potere, stiamo dicendo che la fantasia di potere è ciò per cui gli umani sono tali, così come li conosciamo, così come li incontriamo quotidianamente per la strada e anche altrove, e ci dice ancora che la fantasia di potere è quella cosa per cui gli umani hanno le emozioni, hanno le sensazioni, hanno gli affetti, che non avrebbero se non avessero le fantasie di potere. Ciò che importa in tutto ciò, è che intendendo ciascuna volta il modo in cui interviene la fantasia di potere all’interno del proprio discorso, a questo punto si sarebbe persa “l’umanità”. L’umanità è definita proprio dall’avere la fantasia di potere, in tutte le sue forme che si manifesta, come dicevo prima, negli affetti, nei sentimenti, le paure di abbandono, gli amori e tutte queste storie e quindi effettivamente l’assenza di fantasie di potere potrebbe far pensare che l’umano sia una macchina. A questo punto però parlare di differenza fra umano e macchina perde di spessore, si tratta soltanto di un sistema che produce sequenze al solo scopo di giocare, cioè produrre altre sequenze, anche perché non può fare diversamente, senza avere la necessità di stabilire che una sequenza sia meglio di un’altra, sia più vera di un’altra perché è quella che corrisponde a una realtà che io ho costruita proprio per questo scopo. Gli umani non si sono mai accorti che tutta la loro esistenza è pilotata da questa fantasia che viene trasmessa, perché è la trasmissione di questa fantasia che consente non soltanto di avere il controllo sui piccoli umani, ma anche di mantenere questa struttura, perché il piccolo umano manterrà all’infinito questa struttura e la trasmetterà ad altri. Il mantenimento di questa struttura è ciò che gli umani chiamano il progresso, il mantenimento della civiltà, la loro stessa esistenza e, torno a dirvi perché è importante, la loro esistenza è condizionata da questa fantasia di potere che è l’unica fantasia. In effetti non ce ne sono altre, o propriamente ciascuna fantasia che apparentemente è di altro genere, è facilmente riconducibile a una fantasia di potere, che è il modo in cui gli umani affrontano la necessità imposta loro da ciò di cui sono fatti, e cioè dal linguaggio, di procedere per affermazioni solo che queste affermazioni affermano qualcosa che resta all’interno del sistema, mentre ciò che viene trasmesso proditoriamente è che queste affermazioni dicano qualche cosa intorno a qualcosa che è fuori dal sistema e che è stato stabilito che garantisca della verità quindi della validità e quindi della utilizzabilità delle affermazioni. Utilizzabilità per costruire altre affermazioni certo, ma perché queste affermazioni possano giungere ad un punto tale da potersi imporre, queste affermazioni devono potere essere utilizzate, se no non sarebbero niente, ma utilizzate al solo scopo di costruire altre sequenze che è ciò che io chiamo “giocare con, e il linguaggio” mentre ciò che gli umani fanno è improntato alla costruzione di qualche cosa che giunga a chiudere la sequenza con un’affermazione che dica finalmente come stanno le cose. Questo può riuscire fantasmaticamente in alcuni casi, nel senso che si crede che sia così, e se si crede che sia così ci si comporta come se fosse così, con tutte le conseguenze del caso naturalmente. Cesare diceva “se si toglie la fantasia di potere si diventa come macchine”. Forse questa domanda a questo punto non ha più molto senso, è chiaro che ci si trova comunque, anche in assenza di tale fantasia, immersi in un pianeta dove chiunque incontriate e con chiunque parliate, questo è travolto da questa fantasia e quindi non si può non tenerne conto ovviamente. Dunque gli umani sono questo, sono una fantasia di potere, non sono nient’altro che questo, non sapendolo diventa un problema, un problema perché si trovano nella condizione di dovere affermare la loro verità sopra tutti in qualunque modo, con la persuasione, con le armi, con il potere economico, in qualunque modo, però l’idea è sempre e soltanto questa: un potere illimitato, smisurato, nessuno si è mai chiesto a che scopo? Sarebbe la domanda giusta da farsi: perché gli umani vogliono il potere? Si sa da sempre, da quando esistono che è la cosa più importante, non ce n’è un’altra più importante, eppure non solo pochissimi se ne sono accorti, cioè tutti lo sanno ma nessuno ci fa caso, nessuno ha provato a rispondere a una domanda del genere, eppure appare fondamentale. Il problema è sempre stato quello di riuscire a intendere perché una macchina non riesce a pensare come un umano, non ha le sue debolezze, le sue fragilità, i suoi acciacchi, le sue magagne, le sue nevrosi, non ce le ha perché nessuno ce le ha messe dentro, ma ciò che occorrerebbe immettere è quella cosa che rende gli umani “umani”, e cioè la fantasia di potere. Allora ecco che anche le macchine incomincerebbero a fare le bizze, a fare ghiribizzi, a innamorarsi, a fare i capricci, è inevitabile. Il passo che abbiamo posto è terribile, è un passo che consente di accorgersi che un’affermazione afferma qualcosa unicamente all’interno del sistema, cioè del gioco in cui sta affermando e non può affermare niente fuori di quello. Questo sovverte qualunque cosa, schianta tutto il pensiero occidentale così come lo conosciamo e da quando lo conosciamo…

Intervento: la ricerca è sempre stata viziata da questa idea di arrivare a dire come stanno le cose.

Questo è esattamente ciò che afferma Nietzsche, e Heidegger sulla scia di Nietzsche “l’obiettivo degli umani è la conoscenza dell’ente, la manipolazione e l’elaborazione dell’ente”. Tutto questo al fine di arrivare alla elaborazione, e cioè a modificare l’ente con un unico obiettivo di averne il controllo, la gestione, il potere. L’idea è che la filosofia oggi sia finita, Sini lo dice in modo esplicito, è assolutamente sicuro di questo: “la filosofia è terminata”, perché la filosofia era un’interrogazione sull’ente, ma al punto in cui siamo e cioè al punto in cui c’è la possibilità appunto di conoscere, manipolare, elaborare l’ente, le domande intorno a che cosa sia l’ente non importano più assolutamente a nessuno, e quindi la filosofia è come se fosse giunta al suo compimento, non alla sua fine, ma passa il testimone alla tecnica, è lei, la tecnica che oggi si occupa dell’ente attraverso la sua conoscenza, manipolazione, elaborazione.

Intervento: anche Severino…

Sì, anche Severino ma in modo un po’ differente. Per Severino la tecnica è quella cosa che oggi può dire alla scienza, cosa che prima inutilmente ha cercato di fare la filosofia, la tecnica dice alla scienza, cioè la filosofia se tiene conto di ciò che è oggi, la tecnica può dire “puoi andare avanti, non ci sono limiti, puoi fare quello che vuoi” la scienza si attiene ancora a una sorta di “morale” tra virgolette, per cui ritiene che alcune cose non possano farsi, come la produzione per esempio in serie di esseri umani, se uno avesse la tecnologia per fare una cosa del genere verrebbe bloccato immediatamente. Per Severino il compito della filosofia, per lui non è finita perché ha ancora il compito di dire alla scienza “puoi fare quello che vuoi” cioè non c’è nessuna morale che non sia stata inventata dall’uomo per auto limitarsi. Sini invece poneva la questione del passaggio di testimone dalla filosofia alla tecnica. La filosofia non è finita perché ha esaurito il suo compito, non ha più da interrogare l’ente perché l’ente ormai lo conosciamo, lo manipoliamo, lo elaboriamo e quindi è tutto nelle mani della tecnica. Sì, tutta la ricerca è stata viziata ed è stata non solo viziata ma promossa da questa fantasia di potere, con tutto ciò che questo ha comportato e cioè un’espansione della fantasia di potere. Come dicevo prima questa è la tesi di Nietzsche.