10-6-2015
Emanuele Severino dice dunque: L’asserto “l’Essere non è non essere” è l’opposizione come universale (sta qui la questione) secondo il significato conferito sopra a questo termine e cioè è l’opposizione tra l’Essere come trascendentale e il non essere come trascendentale, (non come particolari perché se si dice che questa opposizione non è tra universali ma tra particolari si ritorna alla questione del divenire, perché allora c’è una parte di Essere che è “eterna”, ma una parte che non lo è) Essere significa qui ogni positivo, la totalità del positivo come un momento qualsiasi di essa (la totalità del positivo) L’asserto “questo Essere non è il suo non essere” (quindi “questo Essere” è un caso particolare e non più universale, è una individuazione di quella universalità,) l’œlegcos mostra che la negazione dell’opposizione universale è in actu exercitu, l’affermazione di una individuazione dell’opposizione universale, tale individuazione consiste nell’affermare che questo Essere, questa positività significante in cui consiste la negazione dell’opposizione universale, non è il suo non essere, la negazione dell’opposizione universale può realizzarsi solo implicando ossia solo ponendo alla propria base l’affermazione di una opposizione individuata tra l’Essere e il non essere, cioè solo applicando l’affermazione che un certo positivo si contrappone a tutto il suo negativo, l’œlegcos così inteso non mostra che la negazione dell’opposizione universale implichi e si fondi sulla affermazione dell’opposizione universale (sta dicendo che questa opposizione è necessaria che sia un opposizione universale, come dicevo prima, se fosse un opposizione particolare lascerebbe fuori una parte di Essere, lasciandola fuori comporterebbe l’affermazione che questa opposizione non riguarda tutto l’Essere ma una parte dell’Essere, cosa che viene sostenuta per lo più da tutti. È una questione importante per Severino, e cioè che questo positivo sia un positivo universale, cioè viene individuato in quanto universale mai come particolare) L’œlegcos (è la confutazione) è il rilevamento della determinatezza della negazione dell’opposizione, dove per “determinatezza” si intende appunto la proprietà del positivo di opporsi al proprio negativo, (quindi non ci sono alternative, “tutto il positivo” esclude la possibilità di non essere tutto il positivo, per dirla in modo più appropriato) questa determinatezza è sia della negazione, considerata come una unità semantica rispetto a tutto ciò che è altro dalla negazione, sia dei singoli termini che costituiscono la negazione. Se la negazione si confonde con il suo altro non c’è più negazione, (se la negazione non è negazione, come la utilizziamo? cosa ne facciamo, che cos’è? Se io dicessi “la negazione non è negazione” allora che cos’è?) se i termini della negazione si confondono tra di loro come accade appunto allorché non si pone alcuna differenza tra rosso e verde per esempio, quando si afferma che “rosso è verde” nemmeno allora c’è negazione giacché se la differenza dei termini non è veduta ci sarebbe negazione dell’opposizione a porli come differenti … perché ci sia negazione la negazione deve essere determinata sia rispetto ad altro sia nei termini che la costituiscono e quindi presuppone e si fonda su ciò che nega (è ovvio, perché ci sia la negazione occorre che i termini della sua negazione siano determinati, se io voglio negare che lei abbia detto qualche cosa occorre che queste cose che lei ha detto io le abbia in mente determinate, se sono tutte indeterminate sono una cosa e l’altra, che cosa nego? Se non ho capito quello che lei ha detto come faccio a negare quello che lei ha detto?) La negazione (qui è sempre la negazione dell’opposizione universale) dice “il positivo è negativo” da Platone in poi, “l’Essere è non essere”, che cosa significa positivo e negativo in questa proposizione? Se il significato di positivo è identico al significato di negativo (perché se io nego questa opposizione, “negativo” e “positivo” diventano la stessa cosa) non ci si trova qui di fronte ad una negazione dell’opposizione ma ad una identificazione degli identici anzi dell’identico, come se si dicesse che “la casa è l’abitazione”, solo non conoscendo il significato di casa o di abitazione si può pensare che dicendo che la casa è l’abitazione si abbia una identificazione degli opposti, il significato di positivo o negativo è identico? Bene allora si deve certamente dire in questa forma linguistica che il positivo è negativo (una volta che siano stati identificati, se nego che ci sia opposizione positiva o negativa, cosa dico se non si oppongono? dico che sono identici.) Perché si abbia una negazione effettiva dell’opposizione, e non una negazione apparente, è necessario che il positivo e il negativo siano innanzi tutto posti come diversi, (cioè opposti dunque, qualcuno potrebbe anche dire che “diversi” non significa necessariamente “opposti” però nella sua accezione sì, perché comporta comunque una modificazione di qualche cosa, se è modificato non è più quell’altro, in questo senso gli si oppone, questa era una obiezione che poteva farsi ma alla quale si risponde facilmente) e che poi si ponga l’identità dei diversi, cioè si ponga che i diversi in quanto diversi sono identici (se io nego l’opposizione dico che allora il positivo e il negativo sono identici ma poi allo stesso tempo dico che invece sono diversi, dico che sono identici e sono diversi) ma sin tanto che non son visti come diversi, si deve certamente dire che sono identici, ma se son visti come diversi e si deve tener fermi come diversi affinché l’affermazione della loro identità sia negazione dell’opposizione del positivo e del negativo, allora questa negazione si fonda sull’affermazione di ciò che essa nega e questa volta non si fonda più soltanto sull’affermazione di una parte di ciò che essa nega ma sull’intero contenuto negato, pertanto la negazione è negazione di ciò senza di cui essa non si costituisce come negazione e quindi è negazione di sé medesima, è un togliersi dalla scena della parola e del pensiero, è un dichiarare la propria inesistenza e la propria insignificanza (sta dicendo che se non ci si accorge che i due elementi sono diversi allora è ovvio che può accadere di pensarli identici perché non si sono determinati, non si sono individuati, ma se è possibile individuarli allora non è possibile non seguire quello che lui dice e cioè che se li pongo come identici, perché abbiamo detto che la negazione in questo caso non si oppone più all’affermazione, allora se non si oppone sono identici, però io sto dicendo invece che li sto opponendo a qualche cosa, li sto opponendo al fatto che la negazione non sia la affermazione o viceversa, a questo punto è indifferente, ma se mi oppongo a qualche cosa devo avere individuato ciò a cui mi oppongo come qualche cosa di opposto a ciò che io dico, se no non posso oppormi, un po’ come la negazione di cui dicevamo prima, se non individuo un certo elemento non lo posso neanche negare, posso dire qualunque cosa e il suo contrario “ex falso quodlibet” dicevano una volta): la negazione del determinato è un determinato, (ecco questa affermazione che fa Severino qui è importante) “la negazione del determinato è un determinato” cosa vi fa pensare questo? che è una contraddizione in termini, per dirla retoricamente, se io dico “la negazione del determinato è un determinato” la negazione sembra negare se stessa) e quindi è negazione di quel determinato che è la negazione stessa cioè è negazione di sé. Nel Libro IV della Metafisica Aristotele afferma che il discorso sul primo principio e quindi anche l’œlegcos compete alla filosofia prima all’episteme, è dunque esso stesso un discorso ἐπιστhμonicόj, nel capitolo II del Libro primo dei Topici afferma invece che la considerazione dei principi e quindi l’œlegcos compete alla dialettica che da Aristotele è intesa come momento della doxa (l’opinione) Se le cose stessero in questo secondo modo il discorso sul valore del principio e quindi lo stesso œlegcos non avrebbe valore assoluto cioè epistemico, ma il primo principio non può essere negato solo se se ne vede il valore, se il discorso che ne accerta il valore non avesse valore assoluto il primo principio resterebbe allora come qualche cosa che può essere negato (il primo principio è il principio di non contraddizione) la dialettica appartiene alla doxa ma è momento essenziale dell’episteme, l’impostazione del Libro IV della Metafisica è quella autentica, il discorso che mostra la verità dell’Essere appartiene alla verità dell’Essere (lui ha citato questo perché è quello che sostiene lui e cioè che la verità dell’Essere appartiene al discorso che mostra questa verità dell’Essere, è tout court la verità dell’Essere) Abbiamo detto prima “la negazione di un determinato è un determinato” “la negazione del determinato è negazione di sé”, ognuno dei due asserti è individuazione dell’identità opposizione universale, e quindi l’intero organismo apofantico dell’œlegcos è a sua volta una siffatta individuazione. (con organismo apofantico intende quel sistema che consente la verifica di un certo asserto per vedere se è vero o se è falso. L’apofantico è tutto ciò che è disponibile all’interno di un sistema vero funzionale) L’unione dei due asserti non aggiunge infatti nulla al loro contenuto ma è la comprensione concreta che impedisce la loro separazione astratta, si considerino distintamente i due asserti che costituiscono la prima formulazione dell’œlegcos: 1) la “negazione del determinato è un determinato” significa infatti che quel positivo in cui consiste la negazione è identico a sé e opposto al suo negativo (è quello che è e non è altro da sé) la determinatezza è identità opposizione, (una volta che un elemento è determinato, cioè quello che è, è la determinazione di che cosa?) d’ora in poi sia sufficiente parlare di opposizione senz’altro (cioè occorre determinare questi due concetti “identità” “opposizione”. Identità a sé, opposizione a ciò che non è sé) Quando infatti si rileva che l’opposizione è il fondamento della negazione dell’opposizione (cioè che per negare qualche cosa, per negare la determinazione devo utilizzare un asserto determinato) non si pone il fondamento come un che d’altro dalla negazione, ma come la positività, la determinatezza stessa della negazione, non lo si pone come una condizione estrinseca ma come condizione intrinseca della negazione (cioè per potere negare qualcosa devo determinarlo, quindi non posso negare la determinazione se la determinazione è necessaria per la costruzione della negazione) L’opposizione è la verità originaria, (l’opposizione sempre del positivo o del negativo) l’opposizione immediata tale cioè che non si appoggia su un’alcun altra verità (anche questo è importante, e cioè il fatto che sia immediata, cioè non mediata, non presuppone l’esistenza di altri elementi che garantiscano. Questa è la critica che faceva a Łukasiewicz, se vi ricordate, Łukasiewicz cercava invece questo mezzo, questo medium che consentisse di dimostrare la verità del principio di non contraddizione, non trovandolo ovviamente, perché non c’è, perché come gli obiettava giustamente già Severino allora, quando leggevamo le sue critiche a Łukasiewicz, per stabilire questo concetto, per trovare un medio che consentisse la dimostrazione del principio di non contraddizione già stava utilizzando il principio di non contraddizione) Se l’accertamento del valore dell’opposizione non appartenesse all’opposizione stessa, (badate bene questo accertamento non va cercato fuori dall’opposizione ma è nell’opposizione stessa) se non fosse incluso nella sua stessa area semantica accadrebbe che il motivo per il quale si tien fermo l’originario non sarebbe altro dall’originario (allora avrebbe ragione Łukasiewicz, in quel caso, di andare a cercare una prova, una dimostrazione della validità del principio di non contraddizione. Dice che il valore dell’opposizione deve essere cercato nell’opposizione stessa, l’opposizione è sempre tra positivo e negativo, perché se la cercassimo altrove vorrebbe dire che questa validità dell’opposizione tra positivo e negativo non dipende dall’opposizione stessa ma dovrebbe essere cercata fuori da questa opposizione fra positivo e negativo che dice “l’Essere è e non può non essere”, questa è l’opposizione, quindi dovendola cercare altrove c’è un qualche cosa che è fuori da questa opposizione) L’accertamento del valore dell’originario è un momento dell’originario, e avviene appunto così, l’organismo apofantico in cui consiste l’œlegcos è una individuazione dell’opposizione universale, la quale si costituisce come verità originaria solo in quanto sia posta come attualmente inclusiva di quella sua individuazione. (qualunque cosa io cerchi di individuare, se la sto individuando, è perché questa cosa è determinata, se è determinata è perché è all’interno di questa struttura, quella che lui chiama “l’organismo apofantico”): Se l’universale e la sua individuazione vengono astrattamente separati (cioè c’è l’universale che rappresenta tutto ciò che è, ora l’individuazione o individua l’universale, cioè tutto ciò che è qui adesso, oppure se lo separo allora questa individuazione non è più tutto ciò che è qui e adesso, ma sarà un’altra cosa, qualunque altra adesso non importa) allora l’universale si trova privo di questa individuazione (gli l’ho levata) sì che essa sopraggiunge come un che da altro rispetto all’universale così posto, (quindi questo universale non è più universale perché gliene manca un pezzetto) e quindi si verifica quell’impossibile situazione in cui l’originario, l’universale non attualmente includente quella individuazione, trova in qualcosa d’altro l’individuazione sopra giungente, il motivo del suo essere tenuto fermo e quindi si pone come un derivato. (Se io tolgo dall’universale un pezzettino cosa succede? Che questo universale attende la sua individuazione dal ricongiungimento con quel pezzettino che gli ho levato quindi la sua individuazione dipende non più da sé – questo universale, questo positivo – ma da qualche cos’altro da questo piccolo elemento che “gli ho levato” prima, “gli ho levato” tra virgolette e che poi gli rimetto dentro, solo allora, se glielo rimetto torna ad essere un “tutto”. L’asserto “la negazione del determinato è un determinato” non è poi, è interessante osservarlo, esso stesso una proposizione auto contraddittoria come se si dicesse che il “non rosso”, la negazione del rosso, è rosso (questa sarebbe la contraddittoria, invece dice “la negazione del determinato è un determinato” non è una proposizione auto contraddittoria come se dicessi che “il rosso non è rosso” e vediamo perché) giacché tale asserto non dice che ciò che riesce effettivamente a realizzarsi come indeterminato sia determinato (in quel caso sarebbe certamente autocontraddittorio) ma dice che l’atto che nega l’esistenza del determinato è un atto determinato (cioè ha aggiunto la parola “atto” e questo cambia come spesso accade quando se ne aggiunge un pezzo, non è più proprio quello di prima)Negazione non significa qui “indeterminato” bensì affermazione che “l’Essere non è non essere”, i due significati sono formalmente distinti, l’asserto dice dunque che nemmeno la negazione del determinato, nella misura in cui è anch’essa “positivo” riesce a costituirsi come indeterminatezza onde si dice appunto che è individuazione dell’opposizione universale (cioè sta dicendo che in qualunque modo io la metta, se dico che nego un determinato, se nego che un determinato sia un determinato, anche se parlo di atto, dice in questo modo io nego propriamente il determinato ma dico che è l’atto che lo determina in un certo modo e poi c’è un atto che invece lo determina in un altro modo ma dice che l’atto che nega l’esistenza del determinato è un atto determinato, e cioè lo riconduce a quello che lui vuole, dire, anche questo atto, se io dico che è questo atto un atto che nega il determinato, questo atto che nega il determinato è determinato) Tale individuazione è l’esplicitazione di quella determinatezza implicitamente pensata della negazione del determinato e quindi è l’esplicitazione del fondamento della negazione. La negazione come abbiamo rilevato si tien ferma (e cioè è quella che è) nel suo significato ossia lo differenzia proprio in quanto lo tien fermo da ogni altro significare (adesso pensate al linguaggio, a un’affermazione qualunque, questa affermazione si tiene ferma proprio in quanto si differenzia da ogni altra affermazione, se io affermo una qualche cosa, cioè se affermo che A è B, per tenere ferma questa affermazione la deve distinguere da qualunque altra affermazione, devo determinarla – ripeto perché forse adesso vi è più chiaro “la negazione, come abbiamo rilevato, si tiene ferma nel suo significato ossia lo differenzia proprio in quanto lo tiene fermo da ogni altro significare” ossia dal suo negativo) Nella negazione questa differenziazione è pensata e quindi la negazione afferma un’individuazione ossia è un’individuazione di ciò che essa nega e su questa individuazione si fonda ma resta inespressa. L’œlegcos consiste precisamente nell’esprimere, nel riflettere esplicitamente su quanto è già pensato nella negazione (che per negare qualche cosa questa cosa che voglio negare deve essere determinata, l’œlegcos si fonda su questo ovviamente, perché essendo un organismo apofantico si fonda sul fatto che per negare qualche cosa questo qualche cosa che voglio negare deve essere determinato, se io voglio negare il determinato ecco che mi trovo nei pasticci, dice Severino, perché devo negare me stesso) L’œlegcos consiste propriamente nell’esprimere esplicitamente su quanto è già pensato nella negazione (su quanto la negazione ha già pensato per potere negare) consiste cioè nel porre ciò che la negazione è e quindi è l’individuazione posta, affermata. Se l’opposizione non può essere negata perché la negazione non esiste, e non esiste perché è la negazione stessa a distruggersi e si distrugge perché negando il proprio fondamento nega se stessa, (fino alla nausea ce lo dice) questa inesistenza, questa autodistruzione devono per altro essere attentamente determinate non già nel senso che l’œlegcos sia da completare con un discorso ulteriore ma nel senso che si tratta di vedere che cosa si pensa effettivamente quando l’opposizione è negata (che cosa pensiamo quando pensiamo l’opposizione dal momento che facciamo un’operazione che tecnicamente non è possibile? Cosa stiamo pensando?) Per Bontadini un pensiero che si contraddice si annulla, contraddicendosi dice il doppio di quello che dovrebbe dire, ma il risultato del “troppo” dire, esplicito o implicito, è l’annullamento del pensiero. L’istanza suprema risulta essere intanto quella della positività, in questo modo e non in quello da noi prospettato ci si dovrebbe liberare dalla contraddizione (semplicemente perché la contraddizione secondo Bontadini annulla quello che sta dicendo, ponendo il nulla e bell’è fatto) ma che cosa significa che un pensiero che si contraddice si annulla? Significa che è un non pensar nulla, che non si accende alcun atto di pensiero? Che quando ci si contraddice è come se non si fosse coscienti di nulla? Si deve rispondere di no, giacché pensare che il positivo è il negativo, o che il positivo è e non è il negativo, è pur sempre un pensare aberrante finché si vuole ma vivo, si tratta allora di un annullamento di valore, come se si dicesse che il pensiero che si contraddice perde ogni valore? E questo è vero ma in un certo modo ci si limita ad asserire il valore non lo si mostra in concreto e quindi il valore non lo si vede, il contraddirsi è qui dire (qui cita di nuovo il Bontadini) il “doppio” di quel che si dovrebbe dire, ma è proprio qui la difficoltà, che cos’è ciò che si “deve” dire? A questa domanda non rispondiamo facendo vedere che la negazione dell’opposizione non riesce a costituirsi sì che l’opposizione, l’incontraddittorietà, la determinatezza, è il destino del dire, è appunto ciò che si “deve” dire (questo è per Severino ciò che si “deve” dire. Ci fermiamo qui per oggi.)