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10 aprile 2024

 

Aristotele Fisica

 

219b, 3. Il tempo, dunque, non è movimento, se non in quanto il movimento ha un numero. Il tempo non si identifica con il movimento, si coappartengono ma rimangono distinti, non c’è mai l’appiattimento dell’uno sull’altro. Eccone una prova: noi giudichiamo il più e il meno secondo un numero, e il movimento maggiore e minore secondo il tempo: dunque, il tempo è un numero. Ma poiché si dice “numero” in due modi (ché noi chiamiamo numero non solo il numerato e il numerabile, ma anche il mezzo per cui numeriamo), il tempo è il numerato, e non il mezzo per cui numeriamo. E sono cose diverse il mezzo per cui numeriamo e il numerato. E come il movimento è sempre diverso, così anche il tempo (ma il tempo, assunto nella sua totalità, è lo stesso, perché l’istante… Qui “istante” è νῦν nel testo greco, che più propriamente significa “ora”, “adesso”. Qui è tradotto con istante, ma sarebbe meglio tenere presente che più propriamente è “ora”. …è lo stesso di quel che era una volta, benché la sua essenza sia diversa; e l’istante misura il tempo determinandolo in un “prima” e in un “poi”. Cioè, l’istante è questi due aspetti, il prima e il poi. L’istante, invece, è in parte identico, in parte non identico. Vedete come viene sempre riproposta la questione dell’uno e dei molti. È la stessa questione che proponeva nelle Categorie: la sostanza è uno e i molti sono quelle che Aristotele chiamava categorie. In quanto è sempre in un diverso, esso è un diverso (così, infatti, determinammo l’istante in sé); ma in quanto l’istante è ciò che una sola volta è, esso è identico. L’“ora” è sempre lo stesso. Ché, come si disse, alla grandezza segue il movimento, e a questo, aggiungiamo ora, segue il tempo. E, allo stesso modo, al punto segue l’oggetto spostato, che ci permette di riconoscere il movimento e il prima e il poi che sono in quest’ultimo. È attraverso qualcosa che si muove che comprendiamo il movimento. Ma l’oggetto, una volta che se ne ammetta l’esistenza, è identico (sia esso un punto o una pietra o altra cosa del genere), invece per il pensiero è diverso… È ciò che se ne dice; sono le categorie che lo rendono diverso. … come i Sofisti affermano che altro è Corisco nel Liceo, altro è Corisco nella piazza. Sono due cose differenti, è vero; cioè, Corisco è lo stesso ma anche non lo è. E l’oggetto è diverso per il fatto che ora è qui, ora lì; però, all’oggetto spostato segue l’istante, come il tempo al movimento (giacché l’oggetto spostato ci permette di riconoscere il prima e il poi nel movimento; e noi riconosciamo la presenza dell’istante dal fatto che il prima e il poi sono numerabili):… L’istante esiste in quanto ci sono il prima e il poi, ma il prima e il poi non esisterebbero senza l’istante. …sicché, anche sotto questo profilo, l’istante, una volta che se ne ammetta l’esistenza, è lo stesso (esso è, infatti, il prima e il poi che sono nel movimento), ma nella sua essenza esso è diverso, perché l’istante esiste solo in quanto il prima e il poi sono numerabili. Quindi, l’istante è il prima e il poi, è i molti. Di tutto questo si può avere la più piena conoscenza, giacché il movimento è conosciuto per mezzo dell’oggetto mosso, e lo spostamento per mezzo dell’oggetto spostato: quest’ultimo, infatti, è un termine particolare (τόδε τί), ma il movimento no. Il τόδε τί è il “questo qui”. Pertanto, l’istante è in un senso sempre il medesimo, in un altro senso non è il medesimo, perché è così pure l’oggetto spostato. L’oggetto, mentre viene spostato, è sempre lo stesso. Tuttavia, i sofisti dicevano che Corisco al Liceo non è lo stesso di Corisco nella piazza, non sono la stessa cosa. 220a, 5. Dunque, il tempo è continuo a causa dell’istante, ma è diviso secondo l’istante, perché anche sotto questo profilo esso si adegua allo spostamento e all’oggetto mosso. Infatti, il movimento e lo spostamento conservano la propria unità in virtù dell’unità dell’oggetto spostato (e se c’è una variazione, questa non dipende dall’oggetto – giacché in tal caso si provocherebbe l’interruzione del movimento -, ma dal concetto di esso); anzi, proprio questo determina il movimento anteriore e posteriore e corrisponde, in un certo senso, al punto. Infatti, il punto rende continua la lunghezza e la delimita, perché esso è il principio di una cosa e la fine di un’altra. Ma quando lo si assuma in tal modo, servendosi dell’uno come se fosse due, allora sarà inevitabile che l’oggetto si fermi, se il medesimo punto è principio e fine; l’istante, invece, pe il fatto che l’oggetto spostato si muove, è sempre diverso. Sta dicendo che l’ora è sempre lo stesso, ma anche sempre diverso: uno e molti. La sostanza (categorie) è sempre la stessa, ma anche diversa, perché è ciò che è per vie delle categorie che la descrivono, che la definiscono. 220a, 25. Dunque, che il tempo è numero di un movimento secondo il prima e il poi, e che è continuo in quanto è proprietà di un continuo, ormai è chiaro. Quindi, il tempo è il numero del movimento. Numero minimo in senso assoluto è la diade; ma, in relazione ad un oggetto, un numero in un senso è minimo, in un altro senso non lo è… Perché il minor numero possibile è il due? Qui c’è una nota che possiamo leggere. L’uno non è il primo numero, perché è considerato come l’unità di misura. Dice nella Metafisica: l’uno è misura di tutte le cose perché conosciamo le parti di cui è costituita la sostanza. Nel definire il numero astratto come molteplicità numerata e una molteplicità di misure, il primo di essi è il due, mentre l’uno è il numero numerante o l’unità di misura. Questo è il motivo per cui Aristotele dice che il due è il primo, perché l’uno è l’unità di misura, quindi, non lo considera. …ad esempio: il minimo di una linea per quantità sono l’uno e il due, ma questi due numeri non sono il minimo per grandezza, perché ogni linea si divide sempre. 220b. e questo è evidente anche per il fatto che non si parla di un tempo veloce o lento, ma di molto o poco, di lungo o breve. Difatti, in quanto il tempo è continuo, è lungo o breve; in quanto è numero, è molto o poco. Ma veloce e lento esso non è, perché non vi è nessun numero più veloce più lento mediante il quale noi numeriamo. Ed il tempo è identico, simultaneamente, in ogni luogo; ma come anteriore e posteriore non è identico, perché anche il cangiamento in quanto presente è uno, ma in quanto passato o futuro è diverso. Continua a dirci che l’ora, l’attimo, è uno, ma anche il due, simultaneamente. È diviso, ha cioè due aspetti simultanei; come dicevo prima, non c’è l’ora senza il prima e il dopo, e il prima e il dopo senza l’attimo non significano nulla. Il tempo, poi, è un numero non mediante cui noi numeriamo, ma che è esso stesso numerato;… Lo aveva detto prima: non misuriamo con il tempo. …ad esso, come anteriore e posteriore, è per accidente sempre diverso, perché gli istanti sono diversi. Ogni tanto si contraddice anche Aristotele: prima diceva che l’istante è sempre lo stesso, ora dice che gli istanti sono sempre diversi. Questo perché anche lui si trova di fronte a questa “aporia” per cui questo uno è molti. È come se Aristotele si trovasse di fronte al famoso frammento di Eraclito, ν πάντα εἰναι, e si confonde ponendo talvolta l’istante come uno, poi come molti. E, in effetti, è uno e molti, simultaneamente. 220b, 15. D’altra parte, noi misuriamo non solo il movimento mediante il tempo, bensì anche il tempo mediante il movimento… Si determinano a vicenda, non c’è l’uno senza l’altro. …in virtù della loro determinazione reciproca; il tempo, infatti, determina il movimento, essendo numero di esso, e il movimento determina il tempo. Si definiscono l’uno con l’altro; per cui, o so che cos’è il tempo, e allora so che cos’è il movimento, oppure se per sapere che cos’è il tempo devo aspettare di sapere che cos’è il movimento, e viceversa, allora mi trovo nei pasticci. È sempre lo stesso problema, quello dell’uno e dei molti, lo stesso problema cui si trovò di fronte Mendelson, e cioè che per dimostrare il teorema di deduzione ci vuole il teorema di induzione, e viceversa. E diciamo molto o poco misurandolo col movimento, come anche misuriamo il numero col numerabile, ad esempio con un solo cavallo il numero dei cavalli. Con il numero, infatti, noi conosciamo la moltitudine dei cavalli e, per converso, con un solo cavallo il numero stesso dei calli. Similmente, anche riguardo al tempo e al movimento, con il tempo misuriamo il movimento, con il movimento il tempo. Senza propriamente sapere che cosa sia né una cosa né l’altra. Ci viene comunque in soccorso la δόξα, che ci dice che si è sempre detto così, che è sempre stato così e, quindi, si fa così. E ciò è conforme a ragione: infatti, il movimento si adegua alla grandezza e al movimento si adegua il tempo, per il fatto che sono cose quantitativamente determinate e continue e divisibili: infatti, poiché la grandezza ha una tale essenza, il movimento subisce tali affezioni; e di riflesso le subisce anche il tempo a causa del movimento. Continua a dire la stessa cosa, senza spiegare assolutamente nulla, perché non può: come posso rendere conto del fatto che per conoscere il tempo devo conoscere il movimento, e viceversa? Non conoscerò mai né l’uno né l’altro, ovviamente. E noi misuriamo la grandezza con il movimento e il movimento con la grandezza. Molta, infatti, noi diciamo che è la strada, se molto è il cammino, e diciamo che molto è quest’ultimo, se molta è la strada. E così pure diciamo tale il tempo se è tale il movimento, e tale il movimento se tale è il tempo. 221a. Poiché il tempo è misura del movimento e del suo attuarsi e poiché esso misura il movimento determinando un certo movimento che misurerà l’intero (come, ad esempio, il cubito misura la lunghezza determinando una grandezza la quale, poi, misurerà la lunghezza determinando una grandezza la quale, poi, misurerà l’intero) e poiché anche per il movimento l’essere-nel-tempo significa esser-misurato-col-tempo, sia per quel che riguarda la sua esistenza… Questo è importante: fa esistere il movimento. Sta dicendo che il movimento non è un ente di natura, il movimento è un’invenzione. …(infatti, il tempo misura insieme il movimento-in-sé e l’esistenza del movimento, e per il movimento stesso l’essere-in-un-tempo consiste nel fatto che il tempo ne misura l’esistenza), dato, insomma, tutto questo, risulta chiaro che anche per le altre cose l’essere-nel-tempo vuol dire appunto che la loro esistenza è misurata dal tempo. Quindi, l’essere si sottopone alla misura, la sostanza si sottomette al ποσόν, alla quantità. Ecco perché la quantità è la prima delle categorie: perché l’essere è essere misurabile. Ma adesso lo dirà meglio ancora. L’essere nel tempo è, infatti, una di queste due cose: o l’essere allorquando il tempo è, o come noi diciamo che alcune cose sono in un numero. In questa seconda accezione o la cosa è parte ed affezione di un numero e, insomma, è qualcosa del numero, ovvero il numero è parte ed affezione di essa. Poiché il tempo è numero, l’istante e il prima e tutte le altre cose di tal genere sono nel tempo, allo stesso modo che sono nel numero l’unità, il dispari e il pari (ché questi sono un qualcosa del numero, quelli un qualcosa del tempo); ma le cose sono nel tempo, come sono nel numero, anche in un altro senso. E se è così, le cose sono contenute da un numero, come quelle che sono in un luogo sono contenute da un luogo. Ci sta dicendo che tanto il tempo quanto il movimento non esistono in natura, non c’è nessun tempo da nessuna parte, né nessun movimento.

Intervento: Siamo noi che dobbiamo misurare.

O che vogliamo?

Intervento: Vogliamo misurare per soddisfare la volontà di potenza.

Esattamente.

Intervento: Dobbiamo per parlare.

Certo. Parlare per manifestare la volontà di potenza, affermare continuamente cose.

Intervento: In questa differenza tra dovere e volere si gioca molto. Noi chiamiamo volontà di potenza, prendendo spunto da Nietzsche, ma tante volte abbiamo detto che è una necessità.

Sì, nel senso che avevamo accostato la volontà di potenza al linguaggio. Il linguaggio è volontà di potenza ed è in questo senso che è una necessità, perché non posso non farlo, non posso non affermare qualcosa: affermando qualcosa esercito la volontà di potenza, sto dicendo “questo è questo”. Lo affermo esercitando la volontà di potenza: dato che non posso provare niente, posso solo imporlo. Qui pone una questione. È anche ovvio che l’essere-nel-tempo non significa essere quando il tempo è, come neppure l’essere nel movimento o l’essere nel luogo sono quando il movimento e il luogo sono. Ché se l’essere in un qualche luogo fosse questo, tutte le cose sarebbero in ogni dove, e il cielo in un granello; quando, infatti, il granello è, sarebbe anche il cielo. Ma quest’ultima cosa è solo accidentale; nell’altra, invece, tutto si svolge necessariamente: che, cioè, e per la cosa che è nel tempo, ci sia un tempo, dal momento che la cosa è, e per la cosa che è in movimento, ci sia proprio allora un movimento. Sta dicendo che essere è tempo e, di conseguenza, movimento. Ma poiché ciò che è nel tempo è come se fosse nel numero, si dovrà ammettere un tempo più grande di tutto ciò che è nel tempo. Perciò è necessario che tutte le cose che sono nel tempo, siano contenute dal tempo, allo stesso modo che anche tutte le altre cose che sono in qualcosa, proprio come quelle che sono contenute in un luogo, sono contenute dal luogo. Cioè: abbiamo deciso, per così dire, che ogni cosa, se c’è, è nel tempo. Posso provarlo? No. Ed è pur necessario che subiscano qualche affezione da parte del tempo; e anche per questo noi siamo soliti dire che il tempo logora e che tutto invecchia a causa del tempo e che a causa del tempo nasce l’oblio, ma non diciamo affatto che a causa del tempo si impari o si diventi giovani e belli; giacché il tempo, di per sé, è piuttosto causa di corruzione: infatti, esso numero del movimento, e il movimento pone fuori di sé ciò che è in sé. E perciò è chiaro che le cose che sono sempre, in quanto sono sempre, non sono nel tempo: non sono, infatti, contenute dal tempo, né la loro essenza è misurata dal tempo: ed è prova di ciò il fatto che non patiscono nulla dal tempo, in quanto che non sono in un tempo. Ma poiché il tempo è misura del movimento, esso sarà anche (accidentalmente) misura della quiete, giacché ogni quiete è in un tempo. Infatti, se è necessario che tutto ciò che è in movimento si muova, non è altrettanto necessario che si muovano anche le cose che sono nel tempo, giacché il tempo non è movimento ma numero del movimento, e nel numero del movimento è possibile che esista anche ciò che è in quiete. Non, infatti, tutto ciò che è immobile è in quiete, ma soltanto quello che è privo di movimento, pur essendo naturalmente capace di muoversi, come è stato detto, nelle pagine precedenti. L’essere in un numero, poi, non è altro che essere un numero della cosa e misurarne l’essenza col numero in cui essa è: sicché, se essa è nel tempo, è misurata dal tempo. Essere nel numero, quindi, essere nel tempo. Essere nel tempo vuole dire essere numerabile. Anche qui pone il tempo come misura, cosa che prima aveva detto che non era: il tempo non è la misura, ma si misura attraverso il tempo… ma il tempo non è misura. Il tempo, dunque, misurerà il mosso e il quieto, in quanto l’uno sia mosso e l’altro sia in quiete, poiché esso misurerà il loro movimento e la loro quiete nella loro quantità. Parla poi della incommensurabilità della diagonale rispetto al lato del quadrato, dicendo che è fuori dal tempo, cioè, non muta. Capitolo 13. L’istante è la continuità del tempo, come si disse; difatti, esso collega il tempo trascorso e quello che sarà, ed è limite di tempo, perché esso è principio di un tempo e fine di un altro. Ciò, però, non si nota con la stessa evidenza con cui si notano le proprietà del punto fermo, perché l’istante divide solo in potenza. E in quanto è divisorio, l’istante è sempre diverso… Il suo dividere è sempre e solo in potenza. Questo è interessante perché ci sta dicendo che l’ora, ciò che divide il passato dal futuro, è in potenza. Ma se fosse in atto, cosa accadrebbe? L’ora scompare quando è in atto; se voglio pensare questo ora, scompare in un altro ora. È la stessa questione di cui parla Gentile rispetto al pensiero pensante e al pensiero pensato. …così anche l’istante è, da una parte, la divisione del tempo secondo potenza, dall’altra è il limite e l’unità di ambe le parti. È unità e divisione simultaneamente. Esso è il medesimo… L’ora è sempre lo stesso, ma non posso determinarlo perché, determinandolo, si dissolve, φύσις κρύπτεσθαι φιλεῖ: mentre sorge qualche cosa, dilegua; ciò che dico dilegua mentre lo dico. Potremmo dirla così: la sostanza dilegua nelle sue determinazioni; in questo senso scompare. …e in virtù di questa sua identità esistono la divisione e l’unificazione, ma la sua essenza non è la medesima. È identità ma non è identico. È questo che Aristotele trova nella Fisica: questa cosa, che deve essere identica per potere essere utilizzata, non è identica; quindi, in teoria, non so mai che cosa sto utilizzando. In tal modo si usa il termine “istante”, ma in un altro modo esso viene usato quando il suo tempo è vicino. Diciamo: “verrà ora”, perché verrà oggi; “viene ora” perché è venuto oggi. /…/ L’espressione “una volta” indica un tempo determinato in relazione ad un istante anteriore, ad esempio “una volta fu presa Troia” e “una volta vi sarà il diluvio”: infatti, l’avvenimento deve essere determinato in relazione all’istante. Vi sarà, quindi, una determinata quantità di tempo da questo istante verso il futuro, come vi fu anche da questo istante verso il passato. Ma se non vi è alcun tempo che non sia “una volta”, tutto il tempo sarà finito. E allora esso si estinguerà? Oppure no, se è vero che sempre esiste il movimento? Soltanto se l’infinito è potenziale, cioè, se è senza limite, ᾂπειρον, io posso pensare la volontà di potenza, posso pensare a un continuo superpotenziamento. L’infinito potenziale è un continuo superpotenziamento. 222b. Orbene, poiché l’istante e fine e principio di un tempo, ma non del medesimo, bensì fine del passato e principio del futuro, risulterà che, come il cerchio è, in un certo senso, in se medesimo convesso e concavo, così anche il tempo è sempre in principio e in fine. E appunto per questo pare che sia sempre diverso: infatti, l’istante non è principio e fine della medesima cosa… Come il numero, che è fine della sequenza che lo precede e inizio di quella che segue. …altrimenti esisterebbero simultaneamente e in relazione alla medesima cosa anche i contrari. Certamente, però, il tempo non si estinguerà, perché è sempre in principio. Ecco perché la volontà di potenza deve continuamente superpotenziarsi: perché è sempre inizio e la fine non giungerà mai; quindi, c’è la possibilità di superpotenziarsi all’infinito. “Tu potrai superpotenziarti all’infinito”: è una bella promessa, per cui potrò essere tutto quello che vorrò, potrò diventare dio. È ciò che vuole lo gnosticismo: attraverso il superpotenziamento potrò diventare dio. Quando? In un tempo indeterminato, ma lo diventerò. C’è un costante avvicinamento, che mi avvicina a che cosa? Mi avvicina alla verità, un po’ come diceva Popper, per il quale mano a mano ci si avvicina, grazie al progresso, alla verità, che però non si raggiungerà mai. Ma come faccio a sapere se sto andando nella direzione giusta anziché in quella sbagliata? Non lo posso sapere, posso crederlo, posso credere di sapere, δοξάζειν. Torniamo alla questione del tempo. 222b, 15. E “all’improvviso” indica ciò che esce fuori in un tempo impercettibile per la sua piccolezza… /…/ Nel tempo, invero, tutte le cose nascono e periscono. Perciò, mentre alcuni lo solevano definire “il più saggio”, il pitagorico Parone lo definì “il più ignorante”, in quanto che in esso nasce l’oblio: e lo definì meglio. Quindi, sì, è vero che con il tempo divento più saggio, ma anche è vero che con il tempo dimentico tutto. Infatti, è chiaro che il tempo potrà essere di per sé più causa di distruzione che di generazione, come è stato detto anche prima (ché il cangiamento è di per sé la capacità di fare uscire le cose fuori di sé), mentre solo accidentalmente esso può essere causa della generazione e dell’essere. E ne è prova sufficiente il fatto che nulla nasce senza che in un certo modo si muova ed agisca, mentre, al contrario, tutto perisce quando non si muove affatto: e questa noi siamo soliti chiamarla distruzione ad opera del tempo. In realtà, il tempo non fa né questo né altro, ma per accidente anche questo cangiamento avviene nel tempo. Che, dunque, il tempo esista e che cos’è, in quante guise noi definiamo l’istante, e che cosa significano le espressioni “una volta” e “poc’anzi” e “or ora” e “un tempo” e “all’improvviso”, è stato detto. Capitolo 14. Anche da queste nostre precisazioni risulta chiaro che ogni cangiamento e ogni cosa mossa sono nel tempo: ché il più veloce e il più lento si riscontrano in relazione ad ogni cangiamento (e ciò si osserva manifestamente in ogni sorta di cangiamento); e dico che più velocemente si muove ciò che va attuando per primo il cangiamento verso il soggetto del mutamento stesso, e si muove lungo lo stesso intervallo e con moto uniforme. 223a, 15. Ma meritano pure di essere studiati il rapporto del tempo con l’anima e il motivo per cui il tempo sembra essere presente in ogni cosa, sulla terra e nel mare e nel cielo. Qui interviene la ψυχή, che è da intendere nei termini proposti da Heidegger, per cui la ψυχή è l’uomo, quell’uomo che sa leggere il giornale, cioè, non soltanto l’uomo come il vivente provvisto di linguaggio, ma è qualcosa di più, è lo ζῶον λόγον ἔχον che sa di essere nel mondo e che si muove nel mondo. E poiché il tempo è un’affezione… Il tempo è un’affezione (πάθος), una sensazione. È il modo in cui diciamo qualche cosa: vediamo il movimento, non sappiamo cosa sia e cominciamo a dirne; dicendone, ecco che appare il movimento. …o uno stato del movimento, essendone esso il numero, e poiché tutte le suddette cose sono mosse (infatti, tutte le cose sono in un luogo), noi ci chiediamo se il tempo e il movimento siano simultaneamente secondo potenza e atto. Si potrebbe, però, dubitare se il tempo esista o meno senza l’esistenza dell’anima. Infatti, se non si ammette l’esistenza del numerante, è anche impossibile quella del numerabile, sicché, ovviamente, neppure il numero ci sarà. Numero, infatti, è o ciò che è stato numerato e il numerabile. Ma se è vero che nella natura delle cose soltanto l’anima o l’intelletto che è nell’anima hanno la capacità di numerare, risulta impossibile l’esistenza del tempo senza quella dell’anima, a meno che non si consideri il tempo nella sua soggettività, allo stesso modo che se, ad esempio, si ammettesse l’esistenza del movimento senza tenere conto dell’anima. Ma il prima e il poi esistono in un movimento, e appunto essi, in quanto sono numerabili, costituiscono il tempo.

Intervento: …

Porfirio, lavorando sulle Categorie di Aristotele, ha trasformato la sostanza nell’idea platonica, da cui procede tutto quanto. Si è conservata questa cosa ancora oggi nell’idea di dimostrazione. La dimostrazione procede da un certo qualche cosa e, procedendo, dimostra: è una processione.