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10 aprile 2019

 

La struttura originaria di E. Severino

 

Siamo al Capitolo XIII, l’ultimo. Il primo paragrafo si chiama Senso dell’analiticità delle proposizioni esistenziali. La proposizione esistenziale è quella che afferma l’esistenza di qualcosa. Perché analitico? Perché se affermo l’esistenza di qualcosa, il fatto che questo qualcosa non dipende da altro se non dal fatto che esiste, è immediatamente evidente. Se di una qualsiasi determinazione o contenuto semantico x si predica L-immediatamente l’essere, il qualsiasi significato x si distingue d’altra parte, come tale, dall’“essere” che gli conviene. Ad es.: nella proposizione “Questo rosso è “ il significato “questo rosso” si distingue dal significato “è”.Ciò accade per tutti i valori che x può assumere, meno uno: quello in cui x vale come lo stesso essere formale. Se nella proposizione “Questo rosso è” sostituiamo “questo rosso” con “è”, allora “è” è. In quanto il significato “intero semantico” = “totalità dell’essere” = “essere” (ma inteso, quest’ultimo termine, come l’universale concreto) è uno di quei valori di x, la proposizione: “L’essere è” (dove il soggetto vale come l’universale concreto) è analitica, ma non identica. Se diciamo “L’essere è”, certo, è analitica, cioè immediatamente evidente, ma non identica. Perché sia identica occorre che il soggetto e il predicato siano lo stesso, e cioè che (soggetto = predicato) = (predicato = soggetto). Solo a questa condizione è identica. Si badi che quanto è stato qui sopra affermato è da intendere nel senso che ogni giudizio incontraddittorio è identico… Identico perché afferma se stesso. …sì che, indicando con ε l’“essere” (essere formale) che viene L-immediatamente predicato di ogni contenuto semantico, questa predicazione deve essere pensata come (x= ε) =( ε=x). Questo è l’unico modo per Severino in cui si può porre la questione dell’incontraddittorio in quanto identico, cioè l’identico è incontraddittorio. Identico vuole dire che è la stessa cosa, che non è altro da sé; perché non sia altro da sé occorre che la sua affermazione non sia soltanto che x= ε, dove ε è l’essere, perché sennò ci sarebbero soggetto e predicato e, quindi, due cose diverse; occorre che ci sia questa doppia uguaglianza (soggetto=predicato)=(predicato=soggetto). Infatti, dice, se viene considerata separatamente, ecco che allora subentra una contraddizione perché il soggetto non è il predicato, e viceversa. Vale a dire, non è condotta all’identico ma sono due momenti diversi: uno è il soggetto e l’altro è il predicato. A pag. 514. La posizione parmenidea può essere qui dedotta in questo modo: se x= ε viene astrattamente separato da (x= ε)=( ε=x), o che è il medesimo, se x e ε sono presupposti alla loro sintesi… Presupposti alla loro sintesi. Se x e ε io li presuppongo, cosa vuole dire? Vuole dire che li separo: tengo da una parte la x e poi dico che questa x è. Li separo, cioè immagino di potere avere una x che non è, perché se l’ho separata da “è… si sarà costretti a riconoscere che è autocontraddittorio che ε convenga a x per tutti quei valori di x, che sono diversi da ε:.. Se ogni valore di x, che non è essere, chiaramente mi porterà a una contraddizione se dico che x= ε, se tengo separate le due cose, perché x non è ε; a meno che con x non intenda ε, perché allora, sì, dico x= ε. …l’unica proposizione incontraddittoria sarà pertanto la proposizione identica: “L’essere è” dove il soggetto della predicazione non è l’universale concreto, ma è quella stessa assoluta semplicità semantica in cui consiste il predicato: ε= ε. Ma – a parte il vizio di origine consistente nella separazione astratta di x= ε da (x= ε) = (ε=x) –, per un lato, la stessa proposizione ε= ε è autocontraddittoria qualora non sia pensata come (ε= ε) = (ε= ε); per altro lato, nella misura in cui il “non essere non essere” si distingue formalmente dall’“essere”, non sarà consentito nemmeno affermare che “L’essere non è non essere”:… Di nuovo si pone delle questioni che sono soltanto linguistiche, perché dire che “L’essere non è non essere” comporta due cose diverse, comporta che sono diverse linguisticamente, ma per lui sono diverse in quanto separate dal concreto, cioè separate dall’identico. L’identico sarebbe (essere = non non essere) = (non non essere = essere). Come già si è chiarito, è solo l‘originarietà della sintesi di soggetto e predicato – originarietà che deve essere pensata come (soggetto = predicato) = (predicato = soggetto) – che consente il costituirsi dell’identità e della non contraddizione. Solo questo. Ma perché dice che solo l’identico è incontraddittorio? Perché afferma se stesso e nient’altro che se stesso. A pag. 515, paragrafo 4. La proposizione “L’essere è” può essere considerata, per un lato, come una individuazione tipica della concreta L-immediatezza (ossia della valenza concreta del principio di non contraddizione); ma non perché il termine “essere” sia un momento dell’intero semantico – ché anzi l’“essere” vale qui come universale concreto (ossia come lo stesso intero semantico) –, ma perché il rapporto tra predicato e soggetto della proposizione considerata come individuazione (momento, aspetto, parte) del rapporto tra predicato e soggetto, secondo il quale si realizza la L-immediatezza nella sua concretezza. Sta ripetendo la cosa di prima: l’essere vale L-immediatamente, non perché l’essere sia un momento dell’intero semantico – sennò sarebbe una parte – ma perché, dice, il rapporto tra predicato e soggetto della proposizione vale come individuazione del rapporto tra predicato e soggetto, secondo il quale si realizza la L-immediatezza nella sua concretezza. Sta dicendo che qui vale il fatto che, messo nella formula, (essere è = essere è) = (essere è = essere è). A pag. 517, paragrafo 6, Valore ontologico del principio di non contraddizione. Vuole dire che il principio di non contraddizione fa essere qualche cosa. Possiamo dire che qualcosa c’è perché non è altro da sé. …il principio di non contraddizione non ha quindi un valore semplicemente logico – ossia non si limita ad affermare che, qualora l’essere sia, l’essere è essere (o l’essere non è non essere), e, qualora l’essere non sia, il non essere non è, o non è essere – ma ha anche valore ontologico, ossia è appunto esclusione della supposizione che l’essere sia e della supposizione che l’essere non sia… : e cioè è affermazione che l’essere è. Severino situa il valore ontologico nella esclusione della supposizione che l’essere sia o non sia; esclude la supposizione, cioè non è una supposizione che l’essere sia, ma lo afferma categoricamente. In altri termini, anche quando si avverte che il principio di non contraddizione non è soltanto una regola del pensare, ma investe l’essere, ma poi si intende l’essere (l’incontraddittorio) come di per sé indifferente a che sia o non sia – sì che col principio di non contraddizione non si viene a dire altro che, quando l’essere è, è, e quando non è, non è -, si intende sempre formalisticamente l’incontraddittorietà, e proprio per questo la si nega: appunto perché si lascia valere la supposizione di un momento in cui l’essere non sia. Sta solo dicendo che nell’incontraddittorio non bisogna escludere la supposizione, cioè l’eventualità che l’essere sia o non sia. Se è un’eventualità allora possiamo mettere a fianco del non l’essere l’essere e all’essere il non essere. Sta dicendo che è nel significato proprio dell’essere questa impossibilità di essere una supposizione: se qualcosa è è, non lo sto supponendo, non lo sto immaginando, ma lo sto affermando, affermo che l’essere è. Non può non essere, perché se io affermassi che l’essere è ma anche non è, allora affermando l’essere non affermo l’essere, cioè non pongo nulla. Da qui il principio di non contraddizione per Severino e anche il fatto che non sia originario ma sia derivato, dal fatto che se io pongo qualcosa, nel porla la pongo per quello che è. Se a fianco di ciò che pongo mantengo l’eventualità che possa non essere ciò che è, allora non sto ponendo ciò che dico di porre. Chiamo questo principio di non contraddizione. Risiede nel significato stesso dell’essere, che l’essere abbia ad essere, sì che il principio di non contraddizione non esprime semplicemente l’identità dell’essenza con sé medesima (o la sua differenza da altre essenze), ma l’identità dell’essenza con ‘esistenza (o l’alterità dell’essenza dell’inesistenza). Qui inserisce un elemento: il principio di non contraddizione pone un’identità tra essenza ed esistenza, fra ciò che la cosa è e il fatto che sia, se è, quindi esiste, allora è quella cosa lì, cioè l’essenza. L’essenza è essere quella cosa lì. Ogni affermazione esistenziale è posizione di questa identità dell’essenza e dell’esistenza:… Se io affermo qualche cosa, in questa affermazione io pongo un’identità tra essenza ed esistenza, nel senso che ho detto prima, e cioè pongo qualche ma ponendola, cioè facendola esistere, dico anche che cos’è, cioè l’essere. Ecco, qui c’è quella che per lui è la questione più importante. Siamo a pag. 519, paragrafo 8. Si prendano ora in considerazione le seguenti proposizioni: “L’essere (l’intero) non diviene” (“L’essere è immutabile”); “L’essere (l’intero) non si annulla, e non esce da una iniziale nullità”. Qui parla del divenire, ovviamente. Tali proposizioni sono equivalenti tra di loro, e, propriamente, non sono che formulazioni diverse di un unico teorema. Comunque – a parte cioè questa loro sostanziale identità semantica – ciò che a questo punto deve essere osservato è che la negazione di tali proposizioni è intrinsecamente contraddittoria. Qui ci sta dicendo una cosa singolare. La negazione di tali proposizioni, dice, è intrinsecamente contraddittoria, cosa che apparirebbe invece non essere. Col termine “divenire” intendiamo infatti “passaggio dal non essere all’essere, o dall’essere al non essere” (“passaggio dalla privazione o non essere di positività al realizzarsi o all’essere di tale positività, o viceversa”). Sì che affermare che l’essere diviene significa affermare che l’essere non è: non è nel momento iniziale o nel momento terminale del divenire. Nel senso di venire dal nulla e di tornare nel nulla. Questo, sia nel caso che il divenire dell'intero sia il divenire (il venire all’essere, o l’andare nel non essere) dell’intero in quanto tale, sia nel caso che il divenire dell’intero sia il divenire di un momento o di un ambito dell’intero:… Quindi, dice, che questa cosa vale sia per l’intero che per un ambito dell’intero. Sappiamo che l’intero, se è intero, è il tutto e almeno formalmente è incontraddittorio; quindi, se tutto l’intero o una parte di esso non è, ecco che allora si crea immediatamente una contraddizione. Lo stesso si dica – e anzi dal punto di vista linguistico la cosa appare anche più chiaramente – per l’annullamento dell’essere, o per l’uscire dal nulla da parte dell’essere: in entrambi i casi è richiesto che l’essere non sia, ovvero che l’essere sia nulla. E questo, sia che l’annullamento o la sortita dal nulla sia dell’intero in quanto tale, quanto che sia dell’intero quanto a un suo momento o parte. Tutto ciò può essere espresso dicendo che l’essere è eterno, o, anche, che l’essere è atto puro: l’importante è intendere questi termini nel modo che si è qui sopra determinato. C’è una questione qui importante, e cioè tutto ciò vale, lui ce lo dice espressamente, se attribuiamo a questi termini il significato che lui ci dice che hanno, solo a questa condizione. Però, è un atto di volontà: voglio che significhi questo. Quindi, seguendo questa linea, potremmo giungere ad affermare che l’incontraddittorietà è un atto di volontà, di volontà di potenza: voglio che sia incontraddittorio. Per potere fare questo è necessario che i termini, che io utilizzo per fare questa affermazione, siano quei termini che io voglio che siano, e non altri. A pag. 520, paragrafo 9. Si osservi dunque che, in entrambi le proposizioni… Che sono: “L’essere non diviene” e “L’essere non si annulla e non esce da una iniziale nullità. …il predicato conviene (come negato) al soggetto non ratione sui ipsius… Non per una sua propria ragione. …ma conviene al soggetto ratione suae partis. Cioè, per una sua parte. Si nega cioè che il divenire convenga all’essere, non in quanto il divenire è tale, … Sta dicendo che non si nega il divenire in quanto divenire, ma perché il divenire ci si sta mostrando come qualcosa che non è ciò che dice di essere… ma in quanto il divenire implica come tale il non essere di ciò che diviene, e quindi, qualora sia predicato dell’essere, implica come tale, il non essere dell’essere: questo non essere – che, come tale, è negato come conveniente all’essere – è momento o parte semantica del significato “divenire”.

Intervento: L’essere, quindi, sarebbe stato non essere…

Esattamente. Il divenire, come aveva detto prima, comporta che l’essere non sia, o totalmente oppure come momento. Quindi, il divenire è un qualche cosa che non è, cioè non posso porlo perché, se lo pongo, non pongo quello che io penso di porre. A pag. 521. Lo stesso discorso va fatto a proposito della proposizione: “L’essere non si annulla (e non esce dal nulla iniziale)”: l’annullamento include nella sua valenza semantica il non essere di ciò che si annulla… Questo annullamento include, nel suo significato, il non essere di ciò che si annulla. …(ma non si esaurisce in questa inclusione, stante che, anch’esso, come il divenire, include inoltre il concetto di un passaggio da o al non essere), ed è predicato (come negato) dell’essere, non in quanto esso annullamento è tale, ma in quanto è così inclusivo;… L’annullamento dice il non essere di ciò che si annulla; quindi, di fatto, non annulla niente. Perché? Dice in quanto è così inclusivo; sì che quel termine in esso incluso, che conviene (come negato) L-immediatamente al soggetto della proposizione considerata, è il medio della predicazione. Perché dice che si annulla? Perché include il passaggio dall’essere al non essere. Include inoltre il concetto di un passaggio da o al non essere), ed è predicato dell’essere,… Come dire che io sto predicando dell’essere il fatto che questo essere sia o non sia. Quindi, perché l’essere non si annulla? Perché questo annullamento, diciamola così, include l’essere per potere essere annullamento. Sarebbe cioè un’autocontraddizione: l’essere si annulla ma questo annullamento, l’annullarsi comporta l’essere, perché è pur qualcosa. Quindi, per potere affermare che l’essere si annulla occorre che l’essere non si annulli, sennò non posso dire che si annulla. c) Un discorso a parte bisogna tenere per la proposizione: “L’essere (l’intero) non è manchevole”; ούχ άτελεύτητον, dice Parmenide. ούχ άτελεύτητον, non manchevole. Tale proposizione è infatti L-immediata… Immediatamente evidente, non contraddittoria. …in quanto equivale alla negazione che qualcosa, un essere, non sia, ovvero non appartenga alla sfera dell’essere. È L-immediata perché, dice, equivale alla negazione che qualcosa non sia, ovvero non appartenga alla sfera dell’essere. Se è qualcosa come fa a non essere? Infatti, diciamo: è qualcosa, quindi, è; se diciamo che non è è immediatamente contraddittorio. È chiaro che tale proposizione è L-immediata in quanto sia posta come individuazione della concreta immediatezza logica;… È immediatamente evidente che se dico che questa è qualche cosa, allora non può non essere qualche cosa: se è qualcosa è qualcosa. A pag. 523, paragrafo 11. Se, dunque, ogni proposizione incontraddittoria, avente come soggetto l’intero, è necessariamente L-immediata, poiché ogni determinatezza che valga come predicato dell’intero deve essere posta con la posizione stessa del significato “intero”, ossia deve appartenere all’ambito semantico aperto da quest’ultima posizione; d’altra parte, che l’intero abbia questi e non quest’altri predicati, che cioè quell’ambito semantico includa, come affermate, queste determinazioni predicazionali e non le determinazioni opposte: questo, in certi casi, è saputo perché il predicato è visto (=posto) convenire L-immediatamente al soggetto, ma in cert’altri casi è saputo non perché si veda quella convenienza L-immediata, ma perché si pone che il predicato conviene al soggetto mediante un cert’altro termine…