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10-3-2004

 

Il paradosso della verità

 

Qualcuno ha qualche questione intanto?

Intervento: la questione della responsabilità… noi diciamo che una persona si crea dei problemi per una esigenza linguistica…

Sì, puntare su questo aspetto, quindi porre la questione della responsabilità, responsabilità del linguaggio ovviamente, il linguaggio è responsabile di ciò che fa e quindi ciascuno, visto che ciascuno è linguaggio, in che modo è responsabile? Il linguaggio è l’unico che può rispondere, con tutto ciò che crea, non ci sono altre cose che possono rispondere da qualche altro luogo, e quindi risponde il linguaggio, ma come risponde il linguaggio in quanto responsabile? Innanzitutto accogliendo la considerazione che è questa struttura che produce il così detto problema. Certo, la questione fondamentale in ciò che andiamo dicendo è che il linguaggio non può non costruire quella cosa che poi si chiama problema, in realtà è un’inferenza anche quella, creare dei giri in più per potere arrivare alla conclusione avendo costruito il maggior numero di proposizioni, e cioè avendo fatto il maggior numero di giri possibile, in alcuni casi, in altri no, in altri invece pone il problema e cerca immediatamente la soluzione, dipende da come si è strutturata la vicenda di ciascuno, in alcuni casi il numero eccessivo di giri può diventare pericoloso nel senso che può coinvolgere aspetti che per qualche motivo devono essere tenuti a bada, tenuti a bada perché sono in conflitto con altri giochi, il conflitto non è risolvibile e quindi viene messo da parte, però rimane un problema non risolto e in quanto tale continua ad interrogare, continua a chiedere, a domandare una soluzione, la soluzione non può arrivare e questo è un problema, uno dei tanti, anzi forse la più parte dei disagi, dei problemi di cui gli umani lamentano la presenza è proprio costruito così, c’è un conflitto di file, due giochi sono incompatibili…

Intervento: per esempio?

Per esempio voglio bene alla mamma però la mamma è l’ostacolo per raggiungere la felicità, allora in questo caso il problema non è risolvibile posto in questi termini e quindi rimane una questione aperta, è come se questa sequenza di proposizioni non potesse giungere a una conclusione, cioè all’ultima proposizione, quella vera che chiude la questione…

Intervento: ma nello stesso tempo questo produce parola e quindi è funzionale al linguaggio che può costruire all’infinito proposizioni e quindi deve rimanere sempre aperta la questione

No, non è che debba rimanere aperta, l’esigenza del linguaggio è che una sequenza di proposizioni concluda con una proposizione vera, in modo da potere proseguire, se non riesce a fare questo allora prende un’altra direzione, cerca di risolvere questo problema ma se non riesce a risolverlo, come nel caso del paradosso trova un’altra direzione, cioè abbandona quella storia così come sono stati abbandonati i paradossi dal pensiero occidentale per millenni, di lì non si va da nessuna parte e quindi…

Intervento: laddove si incontra questo conflitto di file per cui non è possibile la conclusione di questi giochi… avviene che si sposta su un altro elemento e di lì ricomincia il giro… ciò che interviene come rinvio, gli altri elementi che consentono di proseguire, mettiamo che in un certo caso sia una disseminazione per cui sono tanti elementi ciascuno con la sua storia, con il suo gioco, ma come frammenti, questi elementi che intervengono che hanno la funzione di ripristinare la struttura di quel discorso come affrontarli? nel senso che o mi disfo di questi elementi dicendo che non sono né veri né falsi oppure li ascolto come elementi linguistici perché sono pur sempre un rinvio alla questione, però c’è l’eventualità che si ripeta il giro

Che cosa fa una persona quando si pone una domanda imbarazzante? Cambia discorso, si sposta da un’altra parte, ora questo spostarsi da un’altra parte in questo caso ci dice che c’è qualcosa che lì il linguaggio preferisce non affrontare, preferisce non affrontare sempre per lo stesso motivo e cioè perché si troverebbe di fronte a una situazione irrisolvibile, e quindi devia da un’altra parte, ciò che rimane irrisolvibile rimane lì, così come i paradossi del discorso occidentale sono sempre rimasti lì, in qualche modo come una sorta di spada di Damocle, ciascuno cercava di evitarli accuratamente sapendo bene che una volta fosse incappato lì sarebbe finita la storia, e il discorso funziona esattamente così, quando c’è una situazione irrisolvibile cerca di cambiare discorso, di andare altrove, cioè di trovare una via lungo la quale possa continuare a parlare…

Intervento: ho capito però qui possiamo incominciare a parlare un po’ di tecnica cioè come intervenire

Certo, cosa fare di fronte a una cosa del genere? Prendendo i due corni del dilemma…

Intervento: quindi è sempre la questione a monte

È come se fosse un discorso chiuso, chiuso nel senso che il linguaggio lo elimina provvisoriamente perché non ha nessuna soluzione, cioè non riesce a costruire una proposizione vera, come di fronte al paradosso, e quindi passa da un’altra parte, però sappiamo che l’unico paradosso, la madre di tutti i paradossi, consiste nella proposizione che afferma che qualcosa è fuori dal linguaggio, quindi qualunque altro paradosso è risolvibile, per risolverlo occorre prendere i due corni del dilemma e considerarli, e constatare che svolgendoli di fatto non c’è nessun conflitto, sono solo due giochi diversi ma per la persona sono lo stesso gioco, e allora è come se giocassero un gioco di carte in cui l’asso vince tutto e simultaneamente l’asso non vale niente, come farà? Non può giocare, ma se ha l’occasione di accorgersi che in un caso si tratta del poker, nel secondo degli scacchi dove l’asso non c’entra assolutamente niente ecco che può giocare entrambi i giochi, cioè cominciare a svolgere entrambi i giochi. Finché non avviene tale divisione il gioco è bloccato, ogni volta che arriva lì è costretto a rivolgersi da un’altra parte, è inevitabile, perché il linguaggio di fronte all’impossibilità di proseguire, cioè di fronte a un paradosso, è costretto a trovare un’altra strada, una qualunque, e questo che cosa comporta? Comporta che comunque cerca di risolvere il problema, comunque, come se fosse una sorta di spina nel fianco, è una sequenza di proposizioni che rimane senza la conclusione, cioè senza l’ultima proposizione, quella vera. È come una frase musicale incompiuta, che attende di essere completata, un problema non risolto che rimane, rimane finché non è risolto, al momento in cui è risolto ecco che allora perde questa funzione di richiamare a sé di volta in volta altri elementi che intervengono per vedere se riesce a trovare la soluzione, per questo è sempre lì, ciò che costituisce il problema per qualcuno è sempre lì, ché uno potrebbe dire “ho un problema, non lo posso risolvere, lo metto da parte” e invece no, è sempre lì, finché non è risolto continua ad interrogare, a questionare, a cercare la soluzione, la più parte delle persone passano la vita a fare queste operazioni, e come cerca di risolvere il problema? Di volta in volta ripropone il problema e vede se riesce a trovare una soluzione, non la trova e di nuovo si sposta da un’altra parte, ma continua a interrogarlo, è come quando una persona ha un problema al lavoro, o sentimentale, si dedica ad altro ma il suo pensiero va sempre lì, finché non l’ha risolto, perché il linguaggio oltre che porre una sequenza di proposizioni esige che questa serie di proposizioni trovi una conclusione e quindi una proposizione vera che le concluda, se non c’è l’ultimo elemento continua a cercarlo, per cui una persona si troverà a ripetere all’infinito questa scena, questa sequenza di proposizioni o comunque questo problema finché non lo risolve, ma c’è l’eventualità che non lo risolva per tutta la vita e quindi continuerà a ripetere la stessa cosa…

Intervento: ogni significato se si ritiene fuori dal linguaggio è un paradosso

Sì, infatti il discorso occidentale ha fatto esattamente la stessa cosa che fa ciascuno, e cioè alcune questioni le ha eliminate, le ha accantonate, per esempio la questione della verità, o della fondabilità di una affermazione, ha cercato di eliminarla, poi ritorna ovviamente, e allora vari escamotage esattamente come fa ciascuno di fronte a qualcosa che non riesce a risolvere…

Intervento: perché questa questione viene eliminata?

Viene accantonata in attesa di essere risolta in un altro momento, per il momento non riesce, come di fronte al paradosso, non riesce a farlo e quindi non è che la elimina, si sposta, si sposta provvisoriamente su un’altra cosa ma il fatto che non la elimini è tanto più confermato dal fatto che ritorna, e continuerà a tornare, inevitabilmente…

Intervento: è il linguaggio che lo costringe a ritornare su questa cosa, è il linguaggio che ha bisogno di una soluzione finché non è soddisfatto, però è anche il linguaggio che ha necessità che abbandoni quella via

Esattamente quello che fa, questo accade anche frequentemente…

Intervento: la soluzione deve esistere perché se esiste quella domanda è vero che si può costruire qualunque domanda

Intervento: non è soltanto una domanda è anche una risposta, un problema lo pongo in termini di domanda… il fatto che questa domanda venga o accantonata in attesa di soluzione è perché magari cerca la soluzione da un’altra parte non in quel gioco, la cerchi magari in un altro gioco per esempio. Implica che questa domanda debba avere per forza comunque una soluzione che quindi si tratti di doverla andare a ricercare o piuttosto come mi sembrerebbe individuare quale è il gioco che ha prodotta la domanda per rendere… per esempio io posso anche chiedermi se esiste dio o se non esiste dio e su questo fondare la mia vita è chiaro che a questo punto non posso trovare la risposta perché è una domanda senza risposta… la soluzione è individuare qual è il gioco che ha prodotta questa domanda per renderla in qualche modo inefficace

Nel caso dell’esistenza di dio certo, è una domanda che non ha risposta, però se si pone una regola all’interno di questo gioco allora il problema è risolvibile, per esempio il fatto stesso che questa particolare domanda non abbia una risposta significa che si esige da me non una risposta logica ma un atto di fede, allora in questo caso ecco che questa domanda non domanda una risposta proprio per questo motivo, come dire che si trova comunque la risposta: non c’è la risposta perché dio vuole così, e quindi c’è comunque la risposta, ciò che lei poneva come necessità della soluzione si può in termini più radicali porlo come una necessità che a un antecedente segua un conseguente, è questo che il linguaggio esige, e se un antecedente non trova un conseguente che risponda a certi requisiti allora quello è il problema. Ora ciascun antecedente ha un conseguente, il linguaggio è fatto così, quindi è in attesa del conseguente, c’è l’antecedente perché c’è un conseguente, se questo conseguente per qualche motivo non trova l’antecedente rimane come in sospeso, in attesa, ora nella vita quotidiana la cosa che avviene più frequentemente è che si cerchi il conseguente ma non si tenga conto delle regole che vincolano l’antecedente, e allora lo si cerchi e lo si trovi anche, ma questo conseguente è connesso con regole che sono relative ad un altro antecedente, non a quello, ecco che si blocca il sistema…

Intervento: sempre in merito alla questione centrale alla quale non si trova soluzione e a quegli elementi che continuano il discorso occorre ascoltare se sono elementi linguistici e quindi necessariamente connessi

Dipende che cosa intende con ascoltare. Dicevamo del caso più comune, per esempio qualcuno che desidera una persona ma al tempo stesso non la vuole, oppure desidera un’altra cosa ma al tempo stesso fa di tutto per non averla, allora si trova di fronte a una situazione paradossale cioè la vuole e questa proposizione è vera ma è vera se è vera anche la contraria, cioè se non la vuole, e a questo punto che cosa fa? Si blocca. Non riesce a risolvere il problema perché entrambe le cose sono vere, sia che voglia quella certa cosa sia che non la voglia, sono entrambe vere e il linguaggio qui incontra un problema, siamo di fronte a degli elementi che si escludono a vicenda e il linguaggio non può proseguire e allora a questo punto ciascuno dei due elementi non trova una soluzione perché è vero che lo voglio ma è anche vero che non lo voglio, così è vero che non lo voglio ma è anche vero che lo voglio, e allora cosa fa il linguaggio a questo punto, quando non può proseguire in una direzione? Ne cerca un’altra, ma naturalmente se si è posta questa questione è perché sia una cosa che l’altra sono irrinunciabili, perché sono dei giochi, per esempio ottenere quella certa cosa fa parte di un gioco che il linguaggio ha costruito e quindi deve giungere a una proposizione vera, che in questo caso è ottenere quella certa cosa, però come abbiamo visto sono due giochi che come dicevano una volta i francesi “incompossibili”, i francesi sono strani, e invece come dicevamo il linguaggio come si pone a questo punto? Si pone come di fronte ad un antecedente che non ha il conseguente perché non riesce a concludere, come dire: questo lo voglio e anche non lo voglio, come intervenire in una situazione del genere? Se entrambi i giochi sono veri la questione è perché il linguaggio tenta di porli in atto, di risolverli entrambi? In questo senso: i motivi per cui voglio quella certa cosa sono differenti dai motivi per cui non la voglio, se io tengo conto dei motivi per cui voglio quella cosa, per esempio, soltanto allora ottengo quella cosa e viceversa, a questo punto la soluzione consiste nel porre i due giochi innanzitutto separatamente, dopodiché vedere quali sono le regole, che cosa tiene in piedi ciascun gioco, cioè perché voglio quella cosa per esempio, l’eventualità è che in questa domanda ci sia anche la risposta del perché non la voglio, come dire ancora che se riesco a separare i due giochi e intendere quali sono le regole che fanno funzionare i due giochi a questo punto mi accorgo che non sono lo stesso gioco, cosa avviene allora al lato pratico quando uno vuole e non vuole la stessa cosa? Che si trova di fronte a una decisione “io voglio questa cosa per questo motivo” devo anche tenere conto però che ci sono anche altri elementi che non mi piacciono in questa cosa e quindi il desiderare di ottenere quella certa cosa esiste perché esiste anche il non desiderarla, il non desiderare quella cosa fa parte integrante del fatto che io la desideri, esattamente come quando qualcuno dice di non volere una certa cosa, il fatto che non la voglia certo non significa necessariamente anche che la desideri, però in alcuni casi sì, e allora è riconducibile alla questione della responsabilità, come dire: la voglio ma non voglio assumermene la responsabilità e quindi trovo il modo per bloccare tutto il sistema perché in qualche modo so, o meglio il linguaggio sa, che di fronte a una cosa del genere non può proseguire e quindi non può decidere e quindi rimarrò immobile, in attesa di che cosa? Di qualcosa o qualcuno che si assuma la responsabilità di una decisione, c’è chi in quei frangenti lancia la monetina, ma non è un buon sistema, in ogni caso che venga testa o croce va sempre male, e non è altro che un modo per sbarazzarsi della responsabilità di una decisione, e perché ci si vuole sbarazzare di questa responsabilità? Cosa comporterebbe accogliere la responsabilità? In questo caso accogliere i motivi per cui non la voglio, per esempio, non voglio quella certa cosa motivi che appartengono, come dicevamo prima, a un altro gioco, ma in definitiva la questione della tecnica si risolve facilmente, cioè muovendo la persona ad accogliere la responsabilità del gioco che sta facendo, questo “non lo voglio” è un po’ ciò che dicevamo della sofferenza: tutto induce a pensare che la voglio, ché l’ha costruita ma al tempo stesso dice che non la vuole e sappiamo bene perché lo fa, perché il conoscere il meccanismo di tutto questo toglierebbe la possibilità di godere della sofferenza, in questo caso accorgersi del meccanismo che fa funzionare tutto questo comporterebbe togliere la sofferenza o comunque il piacere del rischio che avverte nel fare una certa scelta, ad esempio nel volere una certa cosa, come dire che la voglio ma non me ne voglio assumere la responsabilità, allora si usa questo sistema, cioè si trovano i motivi perché non la si vuole. Una persona dice: sto bene con quella persona però sto bene anche da solo, cosa frequentissima, questo caso comporta non assumersi la responsabilità, comporta il fatto che se nel caso mi dovessi trovare a stare con quella persona allora non sarò stato io a volerlo e quindi sarà l’altra persona ad assumersi la responsabilità, perché? Perché so già che andrà male, cioè ci sarà sofferenza, esattamente come la questione della sofferenza, una persona si sbarazza della responsabilità per potere continuare in qualche modo a giocare quel gioco, in questo caso quello della sofferenza, se io colgo, accetto il fatto di dovere stare con quella certa persona allora mi tolgo la possibilità per esempio di lamentarmene, e so che ci saranno buoni motivi per farlo, e quindi mi trovo in questa en passe, ma l’en passe è data dall’“impossibilità” tra virgolette, di assumersi la responsabilità e cioè il linguaggio in questo caso non si assume la responsabilità, e questa è la condizione perché possa verificarsi una situazione tale per cui ci sarà la possibilità di costruire una quantità enorme di cose. La persona rimane lì, in attesa che qualcosa accada, che qualcosa decida per lei, sapendo perfettamente il linguaggio che qualunque sarà la decisione, sarà la direzione presa, sarà quella sbagliata perché l’obiettivo è soltanto questo: raggiungere una situazione tale in cui si soffrirà, si starà male, e la persona, il linguaggio lo sa benissimo: sto male senza di lui, sto male con lui per esempio, cioè sto male sempre, situazione ideale in un certo senso e quindi sta male, e quindi si adopera per trovare una soluzione che non c’è, che non troverà, però si adopera moltissimo. Naturalmente fino ad un certo punto, poi il linguaggio come fa sempre di fronte a situazioni paradossali abbandona quella situazione e si dirige da un’altra parte, ma che cosa avverrà? Che con un’altra persona che incontrerà successivamente si ripeterà esattamente la stessa cosa, perché è quella che la fa soffrire, così come la persona che soffre quando vede una persona che sta male, quella persona vedrà dappertutto persone che stanno male, cioè il linguaggio fa di tutto per creare quelle situazioni che noi chiamiamo di sofferenza, che sono quelle che le consentono di funzionare nel migliore dei modi, perché a un antecedente segue sempre un conseguente, in fondo il linguaggio sa solo questo, non gli serve sapere altro perché se c’è un antecedente questo antecedente è il conseguente di un altro antecedente e quindi se una certa scena si pone come antecedente sa che c’è un conseguente, e lo cerca però di fronte a una questione paradossale non può trovarlo, a meno che svolga la questione ma svolgere la questione comporta rinunciare alla propria sofferenza, e l’idea è che rinunciando a questo si rinunci anche alla possibilità di costruire un sacco di storie, di potere raccontare un sacco di storie e quindi di godersele…

Intervento: …la questione del voglio e non voglio, secondo me non passa attraverso la questione della responsabilità, spesso si parla di non posso poi la questione della responsabilità esplicita il non voglio… io ho ancora qualcosa che non ho inteso considerare per esempio che appartengono a dei giochi differenti

Trovare qualcosa che soddisfi questo requisito, cioè che io possa simultaneamente volerlo e non volerlo, per esempio…

Intervento: mi ricorda… al momento in cui io non riesca a dirigermi da nessuna parte mi trovo una terza via, la via della nevrosi quella che soddisfa anziché quella vera o quella falsa quella verosimile, è il non voglio che non si sa esplicitare vorrei godermi la vita ma non posso…

Alcune volte sì certo, lo provi a considerare tutto questo come un modo per creare un problema…

Intervento: l’essere consapevoli per quanto riguarda il non voglio o il non posso, è una virata per quanto riguarda il desiderio… il desiderio trova la sua forza nell’impedimento

I giochi sono fatti così, ci sono degli obiettivi da raggiungere e degli ostacoli da superare

Intervento: però può succedere che mancando l’ostacolo io potrei non più giocare e vincere

Spesso avviene questo, è come quando si gioca a scacchi e io dicessi all’avversario: “hai vinto tu!” senza che la partita sia né conclusa né vinta, l’altro se ne ha a male e non è contento perché ha “vinto”… va bene, ci vedremo martedì prossimo.