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10-2-2000

 

Stiamo ponendo la questione religiosa, occorre affrontarla. L’altra volta abbiamo detto che tutto ciò che non è il pensiero che stiamo costruendo è il discorso religioso, cioè in definitiva tutto ciò che sostiene che esiste qualcosa fuori dalla parola, in altri termini ancora qualunque proposizione che necessariamente si autocontraddice, questa è una proposizione religiosa, si autocontraddice perché immagina che ci sia qualcosa fuori dalla parola e ponendo questo si autocontraddice. Ci stavamo interrogando su come funziona il discorso religioso e cioè come accade di pensare una cosa del genere e quali elementi sostengano un pensiero del genere. Martedì dicevo della necessità di credere, di credere qualunque cosa ma in sostanza che qualche cosa sia fuori dal linguaggio, cioè che ci sia una sorta di realtà, la realtà è considerata appunto ciò che è fuori dal linguaggio, almeno così funziona e ci si interrogava su ciò che costringe a pensare una cosa del genere cioè scusate cioè avere la necessità di credere che esista una cosa del genere… pensate a come funziona il linguaggio. Come funziona ciò che il linguaggio costruisce cioè le proposizioni, c’è nella struttura del linguaggio una sorta di identità che è espressa generalmente dal verbo essere, ora il linguaggio costruisce qualche cosa e quindi una volta che l’ha costruito questa cosa esiste, esiste in quanto ha costruito anche la proposizione che afferma che esiste e ha costruito tutte le proposizioni che denotano quest’altra proposizione che afferma che qualcosa esiste, ora a questo punto ha creato un qualcosa che esiste, che c’è, e c’è perché il linguaggio ha costruito proposizioni che consentono di affermarlo, la sua logica, la sua grammatica, la sua sintassi lo consentono, sono soltanto queste proposizioni come dei programmi che fanno delle operazioni, tutte le proposizioni o i discorsi non sono altro, potete pensarli così, per avere un riferimento visivo, dei programmi che eseguono delle operazioni nient’altro che questo, dunque una proposizione che afferma che x esiste è un programma che compie un’operazione, e cioè mette da una parte una x e poi costruisce una proposizione che afferma che questa x esiste, naturalmente fornisce anche altri programmi che sono necessari e cioè programmi che consentono di costruire delle altre proposizioni che possono fare funzionare le precedenti, così come funziona un programma qualunque, dicevamo tempo fa c’è un sistema operativo e poi vari applicativi quindi tutto ciò non sono altro che stringhe di proposizioni costruite a partire da regole ed da altri programmi che le fanno funzionare, e fin qui grosso modo il funzionamento è quello di un calcolatore, però, però c’è un elemento che si aggiunge che i calcolatori ancora non possono fare, lo faranno, è possibile, e cioè la possibilità sempre una procedura linguistica del linguaggio di costruire nuove proposizioni a partire da altre proposizioni. Questo è importantissimo sia per il funzionamento del linguaggio, sia per il discorso religioso perché questo supporta la credenza che, corrobora la credenza che qualcosa ci sia, qualcosa c’è, io sto parlando e dunque ci sono, direbbero i più, inferenza un po’ sui generi però funziona, perché funziona? Abbiamo visto che il linguaggio consente di costruirlo, e consente di costruire una proposizione alla quale sono connesse altre o quantomeno altre le permettono di funzionare, se io dico che io esisto allora, ci sono altre proposizioni che funzionano, come dire allora io sono da qualche parte e quindi esisto da qualche parte, quindi ho un volume, un peso, tutta una serie di storie, e quindi… (c’è mia sorella… l’esistenza di mia sorella) no per molti no, io potrei non esistere ma tutto il resto esisterebbe… ma adesso andiamo avanti. Dunque il fatto che io affermi che esisto si porta appresso tutta una serie di considerazioni che non sono altro che altre proposizioni che fanno funzionare questa teoria, enunciato tutto ciò potrà apparirvi un po’ macchinoso nel senso che è il funzionamento di una macchina, e fino a qui in effetti non c’è nessuna differenza, funziona esattamente come una macchina, ma la macchina come dicevo, per il momento non può pensare se stessa, non ha questo programma, solo per questo motivo, non è programmata per farlo o se lo fa, lo fa entro limiti molto stretti, invece il linguaggio ha questa capacità di pensare se stesso, come dire, come dicono i linguisti di creare un metalinguaggio, un metalinguaggio non è altro che un linguaggio che parla di se stesso, nient’altro che questo. Cosa comporta questa operazione che è sempre consentita dal linguaggio? il linguaggio lo può fare perché può costruire proposizioni che hanno per oggetto qualunque cosa, ciò che il linguaggio stesso afferma che esiste o che non esiste, io posso parlare di un cerchio quadrato anche se non esiste, è una contraddizione in termini, ma ne posso parlare, posso affermare che esiste qualcosa fuori dal linguaggio pur contraddicendomi però lo posso fare, dunque il linguaggio può parlare anche di se stesso cioè pone il linguaggio come un oggetto, questo come dicevo prima le macchine non lo possono fare, dico questo perché distinguo le macchine, noi lo possiamo fare, loro no, abbiamo questo programma in più, distinguo anche dagli animali parrebbe ma è un discorso che ci interessa poco, cosa fa il linguaggio che parla di se stesso? Innanzi tutto compie una doppia operazione, la prima è quella che il linguaggio così come è strutturato può costruire affermazioni che qualcosa esiste, la seconda è che non soltanto qualcosa esiste ma lui stesso esiste, come dire che si pone di fronte a se stesso e afferma di sé che lui esiste, può farlo per qualunque cosa e quindi anche per sé, a questo punto abbiamo un programma molto complesso con chiaramente una infinita quantità di variabili, però se tutto ha funzionato in modo così lineare come vi ho tratteggiato non sarebbe mai esistito il discorso religioso, no, cioè gli umani saprebbero perfettamente di esistere in base al linguaggio, perché tutto ciò che considerano esistente, non potrebbero non pensarlo esistente perché esiste il linguaggio che consente loro di farlo, se tutto fosse proceduto in modo lineare come descritto, se così non ha funzionato è perché si è aggiunto un ulteriore elemento, un virus….un virus adesso vi faccio questa novella: avete visto un film che si chiama Nirvana? Vi dico perché può esserci utile per questa novella che vi faccio questa sera, bene, vi racconto molto brevemente l’essenziale che possa consentirvi di intendere ciò che seguirà, questo film racconta di un tizio che fa il programmatore, il quale costruisce dei giochi per il computer, giochi chiaramente sofisticatissimi, dove i personaggi sono umani, avvengono cose umane come nei film, i videogiochi non sono ancora così perfezionati, fatto sta che ad un certo punto uno dei personaggi, dei suoi personaggi che sta costruendo per una ditta di software, comincia a chiedersi ma io chi sono? “tutto questo mi sembra strano, queste scene le ho già vissute ecc.. “chiaramente il programmatore è sorpreso da una cosa del genere, lui non è programmato per farsi queste domande e allora fa passare un antivirus, il quale rileva la presenza di un virus, il quale virus cosa fa? Fornisce ai personaggi del suo videogioco una sorta di autocoscienza, a questo punto cominciano a pensare a se stessi, a causa di un virus, in questo caso, parlavo del discorso religioso come effetto di un virus, in questo caso possiamo raccontarla così, qualche cosa è intervenuto, lo abbiamo chiamato virus a fare in modo che ciascuno cominciasse a pensare di sé di esistere al di fuori di ciò stesso che lo fa esistere, cioè il linguaggio, ora come può essere fatto questo virus? Tenendo conto di quanto detto prima possiamo considerare che questa serie di proposizioni infinite che il linguaggio produce, abbia prodotto, o possa produrre una proposizione che afferma “io esisto per me stesso” per esempio, proposizione che è autocontraddittoria, la matematica se ne è accorta di una cosa del genere, soprattutto con Gödel perché la matematica costruisce infinite proposizioni ma non può contenere quella che afferma che la matematica è autocontraddittoria per esempio, non la può contenere se no tutto il sistema è autocontraddittorio, quindi una proposizione del genere non poteva essere prodotta, cioè poteva ma in quanto autocontraddizione, una proposizione che afferma che io esisto fuori dal linguaggio in quanto autocontraddittoria teoricamente non potrebbe sostenersi, se tutto fosse filato liscio, questa proposizione sarebbe stata considerata un’autocontraddizione e quindi inutilizzabile e invece no, non è stata considerata autocontraddittoria, c’è un modo in cui una cosa del genere può funzionare, un modo ve l’ho illustrato giovedì scorso, occorre che la premessa maggiore di tutta una serie di sillogismi venga cancellata. In effetti pensavo proprio l’altro giorno è sufficiente cancellare questa premessa maggiore e tutto il sistema diventa un sistema religioso, come se la novella del virus, questo virus avesse cancellato la premessa maggiore, il virus può cancellare dei dati in un programma, fa prevalentemente questo, ha cancellato la premessa maggiore a questo punto rimane che cosa? la minore e la conclusione ma senza la premessa maggiore non sono verificabili, non è verificabile la conclusione, se la conclusione non è verificabile allora cosa vuol dire? O è falsa oppure è vera ma io non lo so, però a questo punto non essendoci più la premessa maggiore qualunque proposizione rischia di essere inutilizzabile, tutte, se io voglio continuare a poter utilizzarle è necessario che io creda che la premessa maggiore sia vera e senza saperlo, esattamente così funziona la religione, ora ovviamente vi ho raccontata una novella, utilizzando questa metafora del virus però, però fino ad un certo punto può essere utilizzabile una cosa del genere, perché funziona così anche retoricamente, tagliate via la premessa maggiore e la conclusione rimane non provabile ovviamente e non essendo provabile esige un atto di fede per potersi credere, se no non si crede né quella né nessun altra, non potendo stabilire che nessuna proposizione è vera allora avviene qualcosa di molto simile a ciò che è avvenuto con la crisi dei fondamenti, ma è avvenuto in ambito molto ristretto poi nella realtà non è stato così, nessun fondamento si è mosso da dov’era, perché la paura che fa compiere questo atto di fede è che non sia più possibile parlare, se tutte le proposizioni non sono né vere né false allora non è più possibile parlare, perché dicevamo tempo fa il vero non è altro che uno shifter che dà una direzione verso la quale proseguire, falso non indica nient’altro che la direzione che non può essere proseguita perché non porta da nessuna parte e quindi se non c’è il vero o il falso allora non è possibile andare da nessuna parte e quindi non è possibile proseguire a parlare e allora occorre che ci sia il vero se no io cado nel nulla, e il vero anche se non lo posso provare io credo che ci sia, ecco perché la religione aiuta a vivere tali altri no, questa che io chiamavo allegoricamente, metaforicamente come un virus ovviamente va inteso in modo più preciso perché non è che sia arrivato un qualcuno e abbia inserito un virus nel programma, ma diciamola così adesso perché diciamo una novella questa sera ma è come se il linguaggio stesso producesse il virus, lo produce, il lavoro che abbiamo fatto, questa sera diciamo novelle, il lavoro che abbiamo fatto in questi anni è costruire un antivirus, per usare sempre metafore informatiche, abbiamo inventato un antivirus. Ricordate che tempo fa ci si chiedeva se era insito nella struttura del linguaggio qualcosa che attenesse il discorso religioso? difatti non abbiamo mai risposto in modo adeguato e preciso a questa domanda, prima si diceva di sì e poi di no, in effetti è molto difficile stabilire… (lei diceva appunto che il linguaggio può pensare se stesso… nel linguaggio la produzioni di proposizioni è infinita e quindi è contemplata la proposizione che riguarda se stesso, laddove in un qualunque programma questo è escluso) non del tutto, però è molto limitata, ci sono programmi che verificano i loro programmi, il programmino che si chiama scandisk è qualcosa che pensa se stesso, cioè si esamina, no la questione è che lui quest’altro programma non può pensare se stesso, non può esaminarsi (però esiste già nel linguaggio questa funzione, questa possibilità, il fatto stesso che esista il metalinguaggio è linguaggio) certo il linguaggio può pensare se stesso ma non è tanto questa la proposizione che indicavo programmatrice del pensare religioso quanto la proposizione che afferma che io sono fuori dal linguaggio che è autocontraddittoria, il linguaggio che pensa se stesso non è autocontraddittorio, funziona benissimo, mentre questa lo è, ed è questa che è a base del fondamento del pensare religioso, di qualunque struttura religiosa (come se ci fosse una sorta di circolo vizioso, come se questa proposizione tornasse indietro e quindi) per riprendere la sua metafora non ha potuto più tornare indietro cioè la funzione ricorsiva si è bloccata, non è potuta tornare indietro e quindi la premessa maggiore è scomparsa dalla circolazione, non c’è più stata, non essendoci più stata (più che questo continua ad andare avanti e indietro nel senso che continua ad andare indietro ma è come se avesse perso il comando. La premessa maggiore è il comando perché è quella che governa la direzione… perdendo il comanda gira a vuoto… è come se il programma saltasse… perdendo il comando è come potesse fare qualsiasi cosa e quindi fa nulla) il computer si blocca, bisogna spegnere e riaccendere cioè lui compie un’operazione poi torna al punto di partenza dove cerca l’ordine non la trova più e va da un’altra parte, non la trova e il computer si blocca, gli umani no, cioè si bloccano lo stesso, in un certo senso, continuano a girare, ma si blocca il pensiero (nel discorso religioso il comando è unico mentre il linguaggio pone una infinità di domande…) la volta scorsa ho chiesto se nessuno sapeva programmare in Java e nessuno sapeva programmare, ora noi stiamo programmando, riprogrammando il linguaggio, in effetti abbiamo fatto un’operazione del genere, abbiamo riprogrammato in modo da poterlo utilizzare, da fargli rivedere il punto di partenza, adesso l’ha visto e lui continua ad andare e tornare continuamente, senza problemi e funziona perfettamente (il linguaggio cerca la sua autoreferenzialità) sì funziona ricorsivamente, lui sa dove deve andare se io vado dal panettiere so che deve andare in un certo posto e chiedere una certa cosa però fra le funzioni fondamentali riguardo al suo funzionamento, alla sua struttura è come se il punto di avvio si fosse perduto, non funzionasse più e allora non sa più dove andare ed ecco che allora è costretto a cercare da altre parti, dio, la madonna etc. che sono cose che lui ha costruito ovviamente (la questione del vero è falso… perché cerca in altre direzioni però trova il falso) sì trova comunque qualcosa che non può porre in modo definitivo come punto di partenza e rimedia a questo punto con l’atto di fede (allora il vero ha una sua valenza perché se il programma salta se cioè cerca il comando ma lo cerca altrove ovviamente questo programma che non trova ha la funzione di vero, uno shifter allora ad un certo punto nel linguaggio c’è qualcosa che funziona come vero) sì e non è casuale che da quando esistono gli umani cercano il vero, la verità, l’assoluto (è interessante porre la questione del vero in questi termini parrebbe in un certo senso che esista questa rappresentazione che esista qualche cosa che funziona come vero ed è esattamente quello che permette a questo programma di svolgersi, di svolgere tutte le operazioni…) la verità in questo caso non è nient’altro che un passaggio logico cioè ciò che il linguaggio stesso in nessun modo non può negare (ma la verità nel discorso religioso funziona come origine, perché ciò che cerca tutto sommato è l’origine comunque il fondamento… anche nel linguaggio è ciò da cui prende avvio) sì è ciò che consente che qualunque altra sia corretta (nel linguaggio come funziona tutto questo? nel linguaggio la stessa verità come la possiamo chiamare?) come l’unica proposizione non autocontraddittoria, qualunque altra è autocontraddittoria (si tratterebbe… di trovare quella proposizione che altre proposizioni non mi permettono di fare, cioè di costruire l’infinito delle proposizioni… se per esempio credo in dio mi permette di costruire solo certe proposizioni dall’altra in un discorso non religioso posso costruire tutte le proposizioni che voglio, questa è la differenza) la questione è che se io pongo dio come input originario qualunque proposizione che nega l’esistenza di dio allora è necessariamente falsa (o blocca il programma un’altra volta) sì certo, in generale viene considerata falsa però (lì si ferma perché dice di lì non puoi proseguire) anche il discorso più logico, più ferreo ha delle limitazioni in quanto esclude l’uscita dal linguaggio, l’intoppo è che ponendo dio al posto dell’input originario chiaramente si pone sì, funziona tutto allo stesso modo solo che questo input originario non può essere in nessun modo provato, è creduto ma non provato, per cui ecco che rimane una cosa campata per aria, però se c’è l’atto di fede funziona effettivamente perché qualunque altra proposizione che escluda quella originaria è falsa (in questo discorso l’input viene da dio impedisce che cosa? la proposizione che dio pensa se stesso?) no, impedisce che dio non esista. (sì sono d’accordo però questo è già un passo successivo, cioè nel senso che è come se l’input originario del linguaggio è qualche cosa di permette anche di lavorare sul linguaggio per esempio, dio non mi permette di lavorare su dio) no, perché anche in questo caso la premessa maggiore rimane assolutamente vaga, incerta, nessuno ha mai provato l’esistenza di dio… (faccio un disegnino: se questo è l’input originario dio, parto di qui e arrivo fino a qui, ritorno sempre a dio, quindi c’è qualche cosa che chiude in qualche maniera… cioè dio mi permette solo un certo percorso, questo premessa maggiora chiamiamola A, mi permette di proseguire all’infinito questo percorso tornando comunque e sempre qui perché ovviamente ogni passaggio comporta un ritorno che mi dia l’input di andare avanti a fare quel pezzettino in più… (ma ritorni a qualcosa che è negabile) sì ma io sto parlando di A che non è dio) è la proposizione che non è autocontraddittoria (adesso è tanto per chiarirci le idee (è già inventata questa proposizione) siamo d’accordo ma dev’essere una proposizione in qualche maniera perché… “nulla è fuori dalla parola” per esempio io ho questa difficoltà che non risolve la questione) che poi la formulazione precisa, assolutamente precisa, suona così “qualunque cosa è necessariamente nel linguaggio” e quindi un atto linguistico, qualunque cosa perché se noi la poniamo come negazione “nulla è fuori dalla parola”… (cioè intendo dire in questo mio discorso ci devo far entrare questa proposizione, ma mi deve far capire che sto trovando una struttura logica in questo disegno, al momento questa cosa io posso prenderla per vera, è vera non è negabile ma è come se mi mancasse il pezzettino per intendere questa struttura logica, ben chiara in mente… devo trovare un modo di dirla in un altro modo che mi sia in questo disegno, rappresentativa di tutto, cartesianamente, la struttura… la mia preoccupazione è questa, per questa cosa devo trovare il modo perché l’interlocutore qua davanti capisca ciò che sto dicendo) questo è un altro discorso ancora (prima però devo capirlo anch’io bene) la pone in termini logici, per la logica la cosa essenziale è ciò che è necessario, ciò che non può non essere, questo è il fondamento della logica, il fondamento logico, ciò che non può non essere (per tutto il discorso che abbiamo messo in piedi questo è necessario) e poi da lì la logica prosegue per cercare un criterio che consenta, la logica lo pone così in termini teorici, supponiamo un x e che questa x sia necessaria, non l’ha mai trovato, l’ha supposto, però ha proseguito poi correttamente, se questo è x e se questo x che è necessario allora per costruire una proposizione necessaria devo proseguire in questo modo, modo assolutamente ineccepibile, il problema che x necessario è sfuggito (x è necessario va bene qualunque cosa) sì non è questo il problema nella logica, la logica il problema lo ha incontrato quando ha dovuto provarlo è qui che si è inceppata (mi viene il sospetto che qualunque cosa metta al posto della x non cambia assolutamente la questione) logicamente si poi è chiaro che nel luogo comune avviene così, viene messa qualunque cosa al posto della x, qualunque cosa e il suo contrario, per la logica no, perché se lei dice che x è necessario, la logica le chiede perché? E tutto ciò che afferma deve essere provabile o quanto meno, possibilmente non negabile (è necessario??) eravamo partiti dalla logica cosa chiede la logica, cosa muove la logica? cercare di stabilire che x è necessario, ci ha provato per un tot numero si secoli e poi ha abbandonato la ricerca e si è dedicata unicamente alle procedure che seguono da questo x è necessario, poi che cosa sia questo x l’ha lasciato perdere, perché non l’ha trovato (l’ha lasciato perdere però si è affidata al calcolo delle probabilità) la logica non si occupa del probabile, la scienza sì, il luogo comune sì, ma la logica no, semplicemente lo pone, in prima istanza poi, che esista o no per la logica (mi arrovella) (la ricerca della verità) no, non la ricerca della verità, ché se fosse la ricerca della verità allora posso fermarmi su qualunque punto) è chiaro può sostituire qualunque cosa (qui il discorso secondo me è porre questa proposizione) in modo tale che sia immediatamente comprensibile (comprensibile, non comprensibile perché lo è già ma comprensibile il percorso, io dico che questo è necessario perché si possa intendere la struttura, cioè io posso dire ma quello che è importante intendere è la struttura cioè è come quando si fa un’analisi non è importante capire la questione della fantasia originaria, cioè trovare il fondamento cioè la proposizione di partenza, quello che è importante è trovare sì la fantasia originaria, ma tanto te la dice con il suo linguaggio di adesso, con tutta una serie di elementi che sono intervenuti, insomma che non sono più quelli, e questo anche in una analisi è reperire una struttura di discorso) (secondo me in una analisi quello che importa è la decisione che interviene sulla fantasia primaria cioè ad un certo momento uno dice è questa la fantasia a quel punto l’analisi, il suo spasmodico cercare si affloscia, l’analisi comincia. Certo è difficile si ponga la decisione che sia quella, il percorso riguarda questa decisione o responsabilità) (io posso ad un certo punto dire che è questa la fantasia originaria, dio… (a cosa serve?) infatti non serve sapere la fantasia originaria, della quale non avresti mai la prova…) intendere la struttura e poi intendendo la struttura, essere inevitabilmente portati a concludere che l’input originario non può essere altro che quello” una cosa del genere? (sì, anche se la cosa mi lascia un po’ perplesso perché io parlo ma poi ritorno anche su quello, sì intendere la struttura ma da una parte non si intende neanche la struttura se non c’è qualcosa da cui partire, è difficile) sì è una storia che abbiamo già seguita in parte e cioè costringere a riflettere intorno al fatto che per potere affermare qualunque cosa è necessario un punto di partenza e questo punto di partenza occorre che sia necessario, altrimenti tutto ciò che ne segue è assolutamente arbitrario, e se volete in due parole ma è una strada già percorsa in parte, certo, si può ripercorrere ovviamente (quello che ritengo interessante è intendere in termini di funzionamento, l’esigenza primaria è che questa struttura funzioni, il falso non la fa funzionare, il vero la fa funzionare, però è come se il vero fosse la possibilità di dare un input corretto) sì c’è qualcosa che dice di interessante per quanto riguarda anche una divulgazione di un pensiero del genere, il fatto che il vero faccia funzionare una struttura e il falso no, se io penso una cosa che è falsa, la struttura non funziona e il non funzionamento lo riscontro nel fatto che sono insoddisfatto, inadeguato ho tutti gli acciacchi di questo mondo, per esempio, forse ho inteso? (per me la struttura è questa, quando uno si accorge che qualche cosa è falso che cos’ha? Ha quel momento in cui si ferma a riflettere, è un po’ come se ritornasse su i suoi passi e dicesse dov’è che ho sbagliato, qual è la direzione che ha preso e che non andava bene, questa ricerca che c’è, è un po’ come un tornare indietro sui suoi passi per ripercorrere questa direzione che l’ha portato fino a lì perché ha inteso che c’era qualche cosa che non andava, che è poi il comportamento del nevrotico e di colui che è perfettamente a posto, però in effetti c’è un qualche cosa che funziona e che dà la via, dà avvio alla struttura) da avvio in che senso? (la struttura prende avvio da qualcosa, mi viene in mente che non può non essere nel linguaggio stesso, comunque ciascuno non può non essere nel linguaggio da sempre, è un qualche cosa che ritorna su se stesso a meno che non ci sia un vizio di ragionamento) sì però questo vizio deve essere situato all’interno della struttura del linguaggio, anche per esempio il fatto di pensare che ci sia un avvio può in questo caso non essere vero) era una metafora in effetti non è un avvio ma ciò che fa funzionare il tutto poi chiamarlo avvio, in effetti è improprio, è la condizione del funzionamento del linguaggio (anche Verdiglione si era occupato di questo avvio cioè da dove vendono le parole? Dal nome, tutti, bene o male hanno cercato di identificarlo questo punto di partenza) noi abbiamo posto la questione in altri termini, da dove viene il linguaggio? Da sé, il motore immoto, in moto (il dire nulla è fuori dalla parola è come se ci fosse un salto, pare un salto logico) sì, si tratta di precisare certo, bene abbiamo una settimana per riflettere su queste questioni e cominciare a precisarle meglio.