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10-1-2007

 

Dunque come impostare in linea di massima questa serie di incontri? Perché tanto Freud quanto Wittgenstein in quanto tali oggi ci interessano molto poco, ci sono interessati gli anni che furono, fornendo un buon contributo ma oggi la lettura sia di Freud che di Wittgenstein non presenta un grandissimo interesse per noi, d’altra parte come sapete abbiamo scelto questi due nomi per l’eventualità di coinvolgere gli studenti o in ogni caso persone che comunque hanno letto Freud o Wittgenstein o sono interessate in ogni caso alla psicanalisi. Parlare di logica non è difficile, anche perché la logica così come noi ne parliamo è qualcosa che noi abbiano inventato e che non c’era prima di noi. Che cos’era la logica prima che comparissimo noi sulla scena intellettuale? Era una serie di considerazioni su come è possibile costruire, partendo da alcune affermazioni, delle conclusioni vere. La logica formale si occupa di intendere quali siano le forme attraverso le quali si argomenta correttamente, queste forme non sono nient’altro che delle affermazioni trasformate in simboli. Ciò che ha cercato di fare la logica è trovare tutte le possibili combinazioni di queste forme in modo tale che risultasse una conclusione vera, è una questione antica, per esempio Pietro Ispano il quale ha scritto un noto testo sulla logica, le Summule Logicales, ha formalizzato una figura nota come quadrato logico, che era già presente in Aristotele, quale è stata la genialata di Pietro Ispano? Ha considerato che se io faccio una affermazione universale che dice che tutte le A sono B, se compare una sola affermazione vera che dice che c’è anche un solo A che non è B allora quella precedente universale è falsa. Questo quadrato logico di Pietro Ispano arriva dagli Analitici di Aristotele, già perché da sempre gli umani si sono accorti che per affermare in modo vero e corretto una certa cosa occorre seguire certi passaggi, naturalmente perché il ragionamento sia assolutamente vero occorre che la premessa da cui si parte sia assolutamente vera, ma quale? Quale affermazione corrisponde a una cosa del genere? Un problema grossissimo e irrisolto fino a dieci anni fa, e allora cosa hanno inventato i logici non avendo una premessa maggiore universale e necessaria? Hanno inventato gli assiomi, gli assiomi non sono altro che sequenze di simboli costruite in modo tale per cui qualunque valore venga attribuito alle sue variabili comunque la conclusione sarà sempre vera, questi assiomi che non sono dimostrabili, sono semplicemente sempre veri per definizione e in base a questi assiomi, partendo cioè da questi assiomi, da queste sequenze che sono sempre vere hanno costruito tutte le possibili combinazioni immaginabili, e vi assicuro che ne hanno costruite tante, che risultassero a partire da questi assiomi sempre veri delle conclusioni vere, ma questi assiomi perché sono sempre veri? Qui sorge un problema perché si è stabilito che sono sempre veri, ma in base a che cosa? A questo punto tutta la logica ha un problema: perché è intuitivo, e da dove arriva questa intuizione? Perché gli umani sono tutti concordi nell’affermare che se A allora B e se B allora C, allora se A allora C, perché sono tutti concordi? Questo la logica non lo sa dire, se non dicendo che è una sequenza intuitiva, che è così, ma perché è così? E perché invece questa sequenza non è falsa? Perché? E se a me piacesse affermare che è falsa?

Intervento:…

Sì e no, perché occorre utilizzare assiomi che siano sempre veri, e il punto sta proprio lì, nella verità di questi assiomi, la questione è che non sono affatto intuitivi ma, come sappiamo perfettamente oggi, rispondono esattamente al funzionamento del linguaggio, il linguaggio funziona così. Allora può apparire intuitivo perché ciascuno pensa così e non può fare altrimenti. A questo punto la logica è molto semplice, perché muove unicamente non più da assiomi e cioè da sequenze arbitrarie ma sempre vere in base a tavole di verità ma semplicemente al modo in cui il linguaggio funziona, per cui che cosa dice? Semplicemente che se c’è un elemento allora ce n’è un altro, oppure più semplicemente se A allora B, necessariamente. Posta in questo modo tutta la logica diventa molto più semplice e anche molto più accessibile, anziché rimanere una cosa un po’ astrusa di cui sfugge talvolta l’utilità, a questo punto invece mostra esattamente come gli umani pensano perché essendo fatti di linguaggio necessariamente pensano così, e la domanda che si pose Wittgenstein: “come capisco una dimostrazione?” è legittima, come faccio a capire una dimostrazione? Cosa rispondere a questa domanda? Perché l’ho imparato? Sì, certo, ma non basta, non basta che lo abbia imparato, per potere imparare qualche cosa occorre che degli elementi siano messi in una connessione tra loro che è logica e questa connessione logica è fornita dalla struttura del linguaggio, è questo che mi consente di comprendere una dimostrazione. Comprendere una dimostrazione significa appunto sapere perché da un certo punto si può arrivare ad un altro, conoscerne le cause. E allora se noi impostiamo una serie di interventi sulla logica della psicanalisi, citando Freud e Wittgenstein, a noi interessa soprattutto intendere quali sono le domande più importanti che l’uno e l’altro si sono poste, domande rimaste aperte, mostrare perché sono rimaste aperte queste domande pure fondamentali, e come è possibile rispondere a queste domande, mostrando anche che sono rimaste aperte per l’uno e per l’altro perché non c’erano gli strumenti per chiudere la questione e mostrare di conseguenza come invece gli strumenti che noi possediamo ci consentono di chiudere la questione. E rispondere in fondo alla domanda che si è sempre posta la logica che mostra qual è il corretto modo di ragionare ma non sa dire il perché questo è il corretto modo di ragionare. Invece sappiamo che è corretto in base al fatto che ci atteniamo al funzionamento del linguaggio, essendo il linguaggio stesso che fornisce i criteri per costruire i criteri di verità allora sarà corretto…

Intervento:…

Cosa c’entra la logica con la psicanalisi? Freud si è accorto, per esempio, che quelle condizioni che lui chiama nevrosi vengono da considerazioni che la persona si trova a fare e si trovano ad essere, per esempio, contraddittorie tra loro, ma perché una certa considerazione è contraddittoria con un’altra? Come fa ad esserlo? Ecco che qui interviene la logica, perché il linguaggio come continuiamo a dire è fatto in questo modo, Freud non lo poteva sapere, e in ogni caso non l’ha detto, Wittgenstein ha posto domande fondamentali, il fatto che le cose vengono apprese non è naturale, si è interrogato sul “come so che una certa cosa funziona così?” si è anche posto una domanda su quali fossero tali condizioni, e si è accorto che queste condizioni sono nel linguaggio, il passo ulteriore è considerare che queste condizioni sono la struttura stessa del linguaggio cioè il modo in cui funziona, e tenendo conto che non può funzionare altrimenti, se no cessa di funzionare, e se cessa di funzionare allora scompare il problema in toto. Funzionando in un certo modo costringe gli umani a pensare in quel modo e in nessun altro, è il percorso che noi abbiamo compiuto in questi ultimi anni. In questi anni abbiamo compiuto esattamente questo percorso: siamo partiti dalle domande importanti, fondamentali, acute in alcuni casi di Freud e di Wittgenstein, e le abbiamo prese sul serio queste domande al punto da dargli una risposta, l’unica possibile che, come sapete, era l’uovo di Colombo, e cioè cominciare a pensare le condizioni per cui è possibile pensare alle loro domande come a qualunque altra, chi fornisce queste condizioni? Chi fornisce le condizioni per costruire una domanda e anche per costruire una risposta? E per stabilire che quella risposta è coerente con la domanda, chi fa questo? Il linguaggio. Questa struttura nota come linguaggio. Allora il passo da Freud a Wittgenstein consiste essenzialmente in questo: Freud è rimasto ancorato ai fatti psichici credendo più o meno fortemente che esistessero dei fatti psichici, al punto da inventare una nozione, che è quella di inconscio. Abbiamo visto, considerando lo scritto di Wittgenstein sulla psicologia che lì ci suggerisce l’eventualità che non esistano fatti psichici o psicologici, ché ciascuno di questi ha a che fare con atti linguistici, noi possiamo aggiungere: potrebbe essere altrimenti? No, è la risposta immediata e ineluttabile, non potrebbe essere altrimenti perché qualunque fatto psichico, e Freud stesso lo considera, è costruito da una serie di pensieri e i pensieri sono costruiti logicamente, e tutti questi pensieri concorrono a formare quella cosa che Freud chiamava nevrosi, costruita, incomincia a suggerire Wittgenstein, da fatti linguistici, da sequenze di proposizioni. A Freud è mancato questo aspetto pur avvertendolo, per esempio nella Psicopatologia della Vita Quotidiana, nella Interpretazione dei Sogni, nel Motto di Spirito, dell’importanza di queste sequenze, proposizioni, che non chiama così, le chiama idee, le chiama pensieri.

Abbiamo scelto questi due personaggi, avremmo potuto prendere chiunque, forse. Freud muove da persone che vanno da lui perché affette da qualche disturbo, Anna O., l’Uomo dei Topi, l’Uomo dei Lupi, il Presidente Schreber etc., tutte queste persone andavano da lui perché avevano qualche problema e incominciando ad ascoltare queste persone si è accorto che questo problema sorgeva da sequenze di pensieri e quindi diremo noi di proposizioni, ed è questo che Wittgenstein ha intravisto in modo occorre dire abbastanza preciso, e cioè che questi fatti cosiddetti psichici o psicologici sono in realtà fatti linguistici ed è per questo che a questo punto interveniamo noi con la teoria del linguaggio, la teoria logica del linguaggio che non solo è in condizioni di mostrare come funziona e perché una persona ad un certo punto si trova a provare delle paure, delle angosce ma consente anche di sapere da dove vengono, perché si costruiscono e di conseguenza, una volta mostrata la loro inutilità non tanto alla persona che le esprime ma al discorso di cui è fatta, ecco che cessa di avere bisogno di compiere tutta una serie di operazioni. Questo per dare appena una traccia, una direzione a questa serie di incontri dove il nostro intendimento è mostrare come sia Freud che Wittgenstein hanno in qualche modo dato un senso, una direzione, non avendo gli strumenti per concludere il percorso, tuttavia hanno posto delle questioni fondamentali, nodali, non soltanto per le discipline di cui si occupavano, per la psicanalisi e la logica, ma per il pensiero stesso, cioè per ciò di cui gli umani sono fatti…

Intervento: una cosa importante cui tengo particolarmente che questo percorso della Scienza della Parola che ha portato all’introduzione della Premessa Maggiore che tanto andavano cercando i logici è potuto avvenire partendo da un percorso di Analisi, da una Psicanalisi come l’aveva inventata Freud…

Brava, esattamente, ha fatto bene a dirlo ché è il caso di sottolinearlo, come cioè in effetti sia stato possibile questo percorso proprio muovendo da una persona che si è formata come psicanalista, e quindi dalla stessa attenzione che per il discorso, per come si svolge, per le cose che incontra parlando, per come le cose si modificano parlando e questo soltanto uno psicanalista poteva farlo probabilmente, fatto sta che soltanto uno psicanalista l’ha fatto, psicanalista che però è stato anche attento alla logica, al funzionamento logico del linguaggio e ha interrogato la logica, l’ha ascoltata esattamente così come avrebbe ascoltato una persona e cioè su cosa si sostiene ciò che afferma, cosa l’ha portato ad affermare le cose che afferma, quali sono le premesse da cui è partito per potere giungere ad affermare questo, come fa la logica, come ha fatto Freud, come faceva Wittgenstein, come facciamo noi…

Intervento: in fondo Wittgenstein si fermava di fronte a qualcosa che reputava indicibile, qualcosa che non poteva dirsi ma che se se lo fosse detto forse riusciva a compiere quel passo che è stato fatto da uno psicanalista che ha a che fare con “l’indicibile” che si deve dire…

Uno psicanalista ascolta il proprio discorso, che sia in ambito teorico oppure no, esattamente come ascolta il discorso di chiunque si trovi a parlare con lui…

Intervento: in questo caso anche Freud… come fosse una persona che viene in analisi, ascolta il suo testo come discorso…

Non solo ma ascoltare anche il proprio discorso come se fosse un testo scritto da qualcun altro, allo stesso modo, si ascolta sempre allo stesso modo che sia il proprio discorso che il discorso altrui, sta in questo lo psicanalista. Si può riassumere in due parole: applicare al testo di Freud il suo metodo, applicare al testo di Wittgenstein il suo metodo, cioè ascoltare il testo di Freud come se fosse un analizzante e quindi porre le stesse domande alla sua teoria che lui porrebbe a un analizzante; come Wittgenstein applicare il suo stesso metodo a ciò che lui stesso stava facendo e fare in modo che il testo di Wittgenstein si accorga di ciò che sta usando per potere compiere tutte queste operazioni, cioè della struttura che gli consente di fare funzionare il tutto: applicare ciò stesso che questi due personaggi hanno compiuto alla loro stessa teoria. Occorreva essere analisti per fare una cosa del genere, cioè essere stati già addestrati a compiere questa operazione.