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9-12-2009

 

Intervento: l’emozione costruita per sopportare la dura realtà ma ha una sua storia …

Apre a un’altra questione che viene posta spesso e cioè il timore che un percorso che segua la teoria del linguaggio possa togliere le emozioni, di fatto non toglie assolutamente niente perché considera che non ci sia nulla da togliere, e nulla da conservare d’altra parte, non essendoci questioni come il bene o il male non si occupa di togliere, non è che ha paura di una cosa per cui deve toglierla o fare chissà che, ma interroga, semplicemente interroga, pone questioni intorno a ciò che il suo discorso costruisce ma non per sapere se è bene o se è male, non è questo ciò di cui si tratta ma semplicemente che cosa lo ha costruito, per quale motivo, tutto qui, non c’è nient’altro … Intervento: l’irrazionalità e la realtà fredda e costrittiva della realtà mentre l’irrazionale è ciò cui ci si abbandona …  rendere tutto razionale sarebbe rendere tutto “materiale” e togliere lo “spirituale”, lo spirituale, l’emozione … valori fa parte di tutta serie di cose alle quali non si rinuncia che poi sono l’espressione della non responsabilità, di queste cose non sono responsabile non posso fare altro, non lo scelgo, non posso fare altro …

Infatti rifugiarsi nell’irrazionale spesso ha proprio questa connotazione, rifugiarsi nella totale assenza della responsabilità. Occorre considerare se in effetti non sia nient’altro che il linguaggio quella ragione che consente di costruire sequenze che abbiano un senso, almeno per chi le costruisce …

Intervento: per il discorso comune l’irrazionale non è linguaggio …

Vuole porre lei una questione intorno a quello che stiamo dicendo o anche sulle cose dette martedì alla conferenza, fra le varie cose che ha sentite c’erano questioni che non ha fatto in tempo a porre? Intervento: gli istinti poi vengono vestiti dal linguaggio e poi magari diventano qualche cos’altro … nel luogo comune tutto vestito dal linguaggio …

Può spingersi oltre, come la fame o la sete, vuole provare a rispondersi da sé? Possiamo pensarci insieme, proviamo a considerare l’istinto nell’accezione più tradizionale del termine e cioè come qualcosa di puramente naturale e fuori da ogni possibilità di controllo da parte dell’uomo, che è una definizione che vale fino a un certo punto, in effetti una persona può anche decidere di morire di fame se vuole però non per questo non dovrebbe sentire gli stimoli della fame, li sente, almeno così si dice, ora però lei ha detto una cosa interessante che ci mette sulla strada e cioè dal momento in cui c’è il linguaggio le cose, quelle che comunemente si indicano come le cose, cioè la realtà esterna, è la stessa oppure no? Questa è una domanda interessante perché c’è anche l’eventualità che da quando si installa, usiamo questo termine, il linguaggio, in effetti tutto ciò che circonda assume una connotazione differente perché può essere considerata, elaborata, messa a confronto con altre cose, può riflettersi, possono farsi tutte quelle cose che a un certo punto, potremmo addirittura dire che modificano le cose stesse e questo ciascuno per altro può rilevarlo facilmente, per esempio basta una giornata in cui una persona è di cattivo umore e le stesse cose che vedeva il giorno prima con benevolenza e simpatia le vede con fastidio, eppure le cose sembrano essere le stesse, è cambiato solo l’umore, cioè il modo in cui pensa di fatto in quel momento, quindi il suo pensiero ha modificato quella che si chiama la realtà; la domanda può spingersi ancora oltre e cioè fino a che punto il pensiero può modificare le cose? E questa è una questione complessa, può modificarle totalmente oppure rimane diciamo un nocciolo duro? Rimane la cosa in sé di kantiana memoria, oppure anche quella sfugge? Per taluni la cosa in sé di fatto non è coglibile in quanto tale se non appunto attraverso il pensiero e questo già pone una questione: se è coglibile solo attraverso il pensiero vuole dire che è coglibile già in modo artefatto, diciamola così, però a questo punto un’altra considerazione ancora, se è coglibile solo, come già molti hanno sostenuto, in modo artefatto, ha ancora qualche senso parlare di cosa in sé? Se in nessun modo può essere colta? Se non attraverso gli strumenti che possediamo, ha un senso logicamente continuare a parlare della cosa in sé, porla comunque come la “substantia” di cui parlavano i latini, o l’ipokeimenon, ciò che sta sotto comunque alla cosa che è lì comunque, ma come? Come individuarla? Come coglierla? A questo punto potrebbe anche sorgere una ipotesi e cioè che questa idea che ci sia qualche cosa sotto di fatto sia una superstizione, è anche possibile pensarlo, perché no? Certo il luogo comune si accontenta di cose molto semplici cioè ciò che tocca, ciò che vede, ma questo non è altro che applicare di fatto un criterio che non è necessario, un criterio di valutazione: io stabilisco che se il tatto mi da una certa sensazione allora c’è qualche cosa di solido e chiamo questa cosa realtà, ma potrebbe essere soltanto una decisione utilizzare questo criterio, che non è molto distante da un altro criterio che dice che la realtà esiste perché è garantita dal fatto che l’ha creata dio, anche questo è un criterio, possiamo considerarlo sgangherato fin che ci pare ma rimane pur sempre un criterio, un criterio di valutazione. La realtà diventa sempre più difficile da cogliere, mano a mano che ci si avvicina è come se sfuggisse sempre di più, mano a mano che si cerca di coglierla, di coglierne l’essenza appare sempre più sfuggente, sempre più lontana fino al punto in cui ho incominciato a considerare che appare, prima dicevo, una superstizione. In effetti la struttura che la costruisce non è molto lontana dalla superstizione che non è altro che un’inferenza in cui la premessa maggiore non c’è, per esempio se uno mi dice che il gatto nero porta sfortuna, perché possa darsi come dato provabile occorrerebbe stabilire una certezza e cioè un quantificatore universale che dice che “per ogni x, se ogni x è un gatto nero, allora succede un fattaccio” e questo è complicato da stabilire e allora nella superstizione così come nei proverbi manca la premessa maggiore, quella che dovrebbe sostenere il tutto, tutta l’argomentazione, e manca perché non è sostenibile ovviamente. La cosiddetta realtà pare essere inserita in un’argomentazione del genere, tutti parlano di realtà, sembra una cosa comune a tutti, che tutti quanti condividono ma di fatto nessuno riesce a stabilire con certezza che cosa sia e questa è un’altra bella questione, certo può essere utile sì, ma un conto è qualche cosa sia utile, altro è stabilirne l’esistenza con assoluta certezza e così molte cose, molti giochi linguistici sono utilissimi naturalmente, anche la realtà al pari di altri giochi linguistici può essere utile ma rimane a questo punto un gioco linguistico al pari di qualunque altro. Ecco, l’istinto, per tornare alla questione da cui siamo partiti, per stabilire un istinto occorre stabilire un qualche cosa che sia aldilà del linguaggio e cioè qualcosa che non sia contaminata, usiamo questi termini, dal linguaggio e che esista lì, puro e semplice fuori dal linguaggio, considerazione che ci impone immediatamente un’altra riflessione e cioè se sia possibile avere accesso a qualche cosa fuori dal linguaggio, un bel problema perché se è fuori dal linguaggio al momento in cui lo considero è già nel linguaggio, è già lì, è già in quello che dico, se paradossalmente fosse effettivamente fuori dal linguaggio non ci sarebbe nessun accesso, non avrei nessun modo neanche di pensarlo, neanche di pormi la questione, in nessun modo, per il solo fatto che mi ponga la questione partecipa dei miei pensieri, è già nel linguaggio, è già lì e quindi domandarsi se qualcosa esiste fuori dal linguaggio, di per sé, sarebbe una di quelle cose che Wittgenstein chiamava non sensi, perché per potere rispondere dovrei essere fuori dal linguaggio, ma fuori dal linguaggio con che cosa rispondo? Con che cosa considero? Valuto, giudico, concludo? Con che cosa? Con niente, per cui affermare che qualcosa esiste fuori dal linguaggio di per sé non è né vero né falso, non è niente, è un non senso, non significa niente e quindi anche l’istinto. Si parla spesso di istinto ma di fatto questo termine va preso così come moltissimi altri, come una figura retorica, un modo di dire qualche cosa, un modo per dire qualche cosa alla quale gli umani per lo più sottostanno e che appare essere comune un po’ a tutti, un modo di dire e niente più, non offre neanche questo nessuna certezza e nessuna garanzia. Qui occorrerebbe aprire un discorso ancora più complesso, su che cosa effettivamente offra una garanzia e cosa sia una garanzia, e cioè che cosa sia necessario, forse martedì ho fatto un accenno o forse no, però meriterebbe un po’ di considerazione anche perché a questo punto abbiamo posto delle questioni abbastanza precise ma rimane da precisare che cosa sia effettivamente necessario e perché qualche cosa è posto come necessario. Supponiamo che io voglia costruire una teoria del linguaggio, una teoria un cui giungo a considerare che qualsiasi cosa è un elemento linguistico, per costruire una teoria del genere mi occorrono dei parametri, occorre un concetto di verità, devo potere stabilire ogni volta che costruisco una proposizione se questa proposizione è vera o è falsa, perché se costruisco solo proposizioni false andiamo malissimo, ma come faccio?

Intervento: occorre che sia universale …

Certo, occorre che lo sia, ma come si fa ad avere un metodo così rigoroso, ferreo e sicuro …

Intervento: sempre controllare la premessa dalla quale siamo partiti …

Sì, ma non basta, occorre che questa premessa risulti necessaria perché se la premessa è arbitraria io posso controllarla ma …

Intervento: non deve essere contraddittorio …

Anche questo è necessario però occorre qualche cosa da cui muovere e che risulti assolutamente necessario, cioè che non ci sia niente di più necessario, e cos’è che risponde a questo requisito?

Intervento: il linguaggio, il linguaggio è una cosa necessaria perché senza linguaggio …

Sì, nessuno aveva mai considerato che in effetti la cosa più fondamentale che possa darsi per la costruzione di qualunque teoria, non solo qualunque teoria ma qualunque pensiero è quella cosa che è la condizione per potere costruire qualunque pensiero, di conseguenza qualunque teoria, e cioè che esista quella struttura che consente di costruire un pensiero e quindi di costruire anche per esempio il concetto di verità. A questo possiamo fornire una definizione di “necessario” che può essere molto utile: indichiamo con necessario ciò che non soltanto non può non essere ma ciò che se non fosse non sarebbe né quella cosa né nessun altra perché se togliamo il linguaggio togliamo la possibilità stessa di pensare e di fatto si toglie letteralmente ogni problema …

Intervento: non c’è neanche la possibilità di dimostrare il contrario …

Non c’è neanche più il concetto di dimostrare alcunché, ecco perché porre il linguaggio e quindi la sua struttura come il fondamento consente di costruire a questo punto una teoria che ha un fondamento necessario, indubitabile, il più potente che sia mai stato pensato e che non può essere eliminato perché eliminando questo fondamento elimina la possibilità stessa di eliminare alcunché, e quindi la stessa confutazione poiché confutare una cosa del genere significherebbe di fatto eliminare ciò stesso che consente di confutare questa affermazione. È un sistema autobloccante che non consente uscita, in effetti come andiamo dicendo spesso non c’è uscita dal linguaggio per questo motivo e questa teoria che abbiamo costruita negli anni, non è che l’abbiamo costruita in un quarto d’ora, siamo bravi, ma non così bravi, questa teoria fra le varie cose ha anche questa virtù, di non essere opinabile cioè da non dipendere da opinioni: uno può dire che non gli piace, questo è ammissibile ma non può in nessun modo negarla perché, come dicevo prima, è costruita in un modo tale per cui per negarla deve usare ciò stesso che vorrebbe negare e questo la logica non lo consente perché sarebbe come dire confermarla nel momento stesso in cui la si vuole negare. Per giungere a questo ci siamo avvalsi anche di molte riflessioni che hanno fatto i logici, sia antichi che moderni e anche i retori, i retori sono bravi, anche i sofisti che hanno mostrato come dimostrare o confutare qualunque cosa indifferentemente e indipendentemente da quello che sia, questo è un esercizio straordinario che qualche volta abbiamo fatto qui e ogni tanto rifacciamo perché mette nelle condizioni di sapere intanto pensare più rapidamente, e poi di potere valutare con estrema facilità che qualunque affermazione di fatto, anche quelle che si piccano di essere le più stabili e accreditate, di fatto sono arbitrarie cioè costruite su affermazioni totalmente arbitrarie che non possono essere provate in nessun modo. C’è una sola affermazione che non è arbitraria ed è quella che afferma che qualsiasi cosa è un elemento linguistico, qualunque altra affermazione è arbitraria. Questo non significa che sia male ovviamente, significa soltanto che non costringe all’assenso ma consente di interrogare, mentre affermare che qualsiasi cosa è un elemento linguistico è come affermare qualcosa che è giunto a fine corsa, oltre non si può andare, non si può andare perché non c’è uscita dal linguaggio per i motivi di cui si diceva prima, come posso uscire dal linguaggio? Con che cosa? Devo costruire dei criteri, dei metodi e questi metodi li ho costruiti con il linguaggio ovviamente per cui si trova nella condizione tale per cui un progetto del genere incomincia a girare su se stesso e non va da nessuna parte …

Intervento: perché nessuno ha mai considerato questa questione?

Perché mai nessuno lo ha fatto? Potremmo fare delle ipotesi sul perché nessuno l’ha fatto prima, di sicuro possiamo dire che …

Intervento: nell’ultima conferenza ha parlato di questo e cioè che solo uno psicanalista …

In effetti il linguaggio non ha bisogno per funzionare di interrogare se stesso né di domandare alcunché circa i suoi fondamenti, infatti chiunque parla ininterrottamente senza porsi nessuna questione tuttavia parla ininterrottamente, però non si accorge di quello che sta dicendo, di ciò che sta funzionando mentre parla e soprattutto del perché sta parlando, che era la prima domanda che ci ponemmo e saltando un po’ di passaggi possiamo anche dire che gli umani parlano per potere affermare ininterrottamente le loro verità, quelle cose che ritengono essere vere all’interno del loro discorso e non fanno nient’altro che questo all’infinito: affermare le cose che credono vere in un modo o nell’altro …

Intervento: …

Sì certo, occorreva ascoltare e per ascoltare occorre essere psicanalisti, però a questo punto si trattava di ascoltare non soltanto una persona che viene in analisi a raccontare delle cose, ma ascoltare la teoria stessa, per esempio quella a partire dalla quale ci si è formati, questo nessuno l’ha mai fatto …

Intervento: sì forse questo è l’elemento essenziale, non è tanto ascoltare ciò che la persona sta affermando ma interrogare il discorso che interroga …

Esattamente, chiedersi cos’è una domanda, e perché si accoglie una certa risposta …

Intervento: nessuno ha mai avuto l’ardire di interrogare la sua stessa domanda … da dove viene la domanda che mi sto facendo? Anziché cercare continuamente risposte da una parte o dall’altra …

Cioè perché gli umani non possono non continuare a fare domande, trovare delle risposte e quindi affermare delle verità e si torna al punto di prima …

Intervento: nella psicanalisi interrogare la propria teoria questa è una conseguenza almeno dovrebbe…

Intervento: il dualismo soggetto oggetto … lei diceva della cosa in sé … io penso qualcosa comunque sempre e questo qualcosa poi capacità di astrazione si stacca sempre di più sembra che non ci sia più alcun significante però magari siamo in un mondo dove i significanti esistono il linguaggio ci ha allontanato … qui è proprio un cancellare in modo radicale …

Quello che non serve in effetti, però lei muova sempre da una considerazione e cioè la prima risposta a qualunque domanda che riguarda il “che cos’è?” anzi la seconda, perché la prima dovrebbe essere una domanda circa il “che cos’è il che cos’è?”, se uno volesse essere preciso, ma una risposta a qualunque domanda su qualunque cosa è in prima istanza proprio un significante, cioè un elemento linguistico, è questa la prima cosa che sappiamo con assoluta certezza, poi possiamo domandarci se è anche altro, e qui ci si può sbizzarrire ma sempre tenendo conto che qualunque altra cosa noi diciamo che è, comunque saranno sempre significanti, ma tenere conto che in prima istanza è una parola può spostare la questione, anche la cosa in sé, la prima cosa che è, è una parola, e questo ha degli effetti, non è una cosa indifferente anzi forse è più importante di quanto generalmente si pensi e cioè il fatto che si ha a che fare sempre e comunque con parole, con concetti, con astrazioni, con argomentazioni però la domanda è “si ha a che fare anche con altro?” se sì, con che cosa?

Intervento: cosa c’è dietro alle parole?

Ecco, e se ci fossero solo altre parole? Questa è un’altra bella domanda che merita una bella risposta, occorre rifletterci, cosa c’è dietro alle parole? Ci sono altre parole o c’è altro? Per esempio quella realtà di cui si diceva …

Intervento: qualunque cosa uno individui comunque la deve dire …

Il fatto stesso che la individui è già un atto linguistico, se no non la individuerebbe, perché dovrebbe farlo? Non si porrebbe neanche la questione di individuare qualcosa, individuare è rendere unitario e non diviso letteralmente. Bene, abbiamo soprattutto poste delle questioni sulle quali rifletteremo ora e sempre e mercoledì prossimo le riprenderemo, meritano di essere considerate molto attentamente perché possono portare molto lontani.