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9-11-2011

 

Riprendiamo alcune cose per precisarle, cose che sono rimaste poco chiare o non sufficientemente articolate. È la questione della realtà, e in genere alla realtà si contrappone la fantasia, fantasia che letteralmente è ciò che appare, invece la realtà è ciò che è. Oggi possiamo parlare di realtà virtuale, da qualche decennio, la realtà virtuale sarebbe la simulazione della realtà, ma di quale realtà esattamente? Questo tavolo che tocco, che vedo sarebbe o parteciperebbe della realtà, ma so che è un tavolo perché l’ho imparato, lo tocco e sento qualcosa che resiste al tatto e ho imparato anche questo, ho imparato la sua composizione chimica, ho imparato la sua composizione molecolare, ma tutte queste cose che ho imparate non sono il tavolo, tutte queste cose, la composizione molecolare, la composizione chimica, non sono il tavolo. La domanda “che cos’è il tavolo” è la domanda metafisica per eccellenza, che cosa realmente è, e quando mi trovo a dire che cosa realmente è, mi trovo preso in quel vortice di definizioni, di descrizioni, che girano intorno a questo tavolo senza coglierlo mai, perché sono sempre altre cose rispetto al tavolo, le parole che uso per descriverlo sono parole, ma nessuna di queste parole è il tavolo. Come si costruisce questa realtà a cui, come dicevo prima, appartiene il tavolo? Come viene costruita? Questa è la questione, perché il modo in cui viene costruita dice di che cosa è fatta la realtà intorno a me; è fatta di parole. Nel momento in cui incomincio a parlare, incomincio a sapere che questo è un tavolo, cioè lo posso nominare, dicevamo che da quel momento incomincia a esistere ma non soltanto perché lo nomino, ma perché nominandolo, incomincia a partecipare di una serie di connessioni, una rete di relazioni fra elementi che costruiscono letteralmente quella scena all’interno della quale c’è il tavolo, ed è soltanto a quel punto, quando io creo quella rete di connessioni che vedo il tavolo, prima non lo vedo perché non c’è un qualcosa come il tavolo da vedere. Per una mosca il tavolo non c’è, c’è per me, e incomincio a vedere il tavolo e quindi il tavolo esiste nel momento in cui il tavolo è preso in questa rete di connessioni linguistiche. Una volta che il tavolo è preso in questa rete di connessioni linguistiche succede un altro fatto importante: io vedo il tavolo, e ho imparato che ciò che vedo è altro da me, questo l’ho imparato, me lo hanno detto, e a questo punto è altro da me, quindi è fuori di me. Supponendo questo, supponendo quindi che questa realtà che è fatta di questa rete di connessioni sia fuori di me, da quella posizione, che pure è fittizia, che è virtuale, da quella posizione il tavolo o Cesare, che è lì di fronte a me, mi interroga, io posso aspettarmi delle cose, Cesare può dirmi delle cose che modificano le mie parole, il mio discorso. Questa realtà che io incomincio a produrre dal momento in cui la vedo, e nel momento in cui la vedo diventa realtà, questa realtà influisce anche su di me e cioè si crea una rete di connessioni fra tutto questo che è esattamente ciò che chiamiamo struttura, ma tutto questo è stato prodotto dalla scena in cui le cose incominciano a esistere, cioè incomincio a “vederle” tra virgolette, cioè esistono. In quel momento si pone la questione dell’esistenza, l’esistenza di cose che non sono io perché me lo hanno detto che non sono io quelle cose e quindi diventano altro, diventano la realtà esterna, ciò che comunemente si chiama in questo modo, “la realtà esterna”, che io modifico e che modifica me per via di questa rete di connessioni, della struttura in cui tutto ciò è preso, tutto ciò rientra all’interno della struttura. Ma com’è che imparo a parlare? Perché è dal momento in cui io incomincio a parlare che incomincio a vedere le cose, cioè le cose incominciano a esserci cioè a esistere, com’è che si fa a trasformare un pezzo di ferro in una macchina pensante? Così come la chiamava Turing. Occorre un dispositivo che sia in condizione di accogliere delle informazioni, memorizzarle, delle istruzioni e un sistema di procedure per eseguirle, cioè degli algoritmi, nient’altro, da quel momento quel pezzo di ferro diventa una macchina pensante. Com’è che io imparo a parlare? Esattamente allo stesso modo: si immettono informazioni e delle istruzioni e la procedura per eseguire queste istruzioni. La parola non è nient’altro che l’esecuzione di quelle istruzioni, queste parole costruiscono quella scena, quell’ambito all’interno del quale è possibile costruire, pensare quella cosa che chiamiamo realtà. Che di fatto è virtuale, ma non nel senso che è virtuale rispetto a una qualche altra cosa, come dicevo prima la realtà virtuale è una simulazione della realtà, ma la realtà della quale sarebbe la simulazione anch’essa è stata costruita, è stata prodotta nel momento in cui ha incominciato a vederla questa realtà, e ha incominciato a vederla perché l’ha inserita all’interno di un sistema, di una rete di connessioni all’interno della quale io stesso esisto, attraverso la quale e per la quale io esisto, voglio dire che io stesso che ho prodotto attraverso questo sistema questa cosa che chiamiamo realtà, faccio parte di questa realtà, non sono un elemento esterno, non potrei mai essere un elemento esterno, dovrei mettermi fuori dalla parola, cosa che non posso fare. La teoria di Freud, l’impianto teorico della teoria di Freud nota come psicanalisi è un impianto metafisico, metafisico perché per la maggior parte suppone ancora e si riferisce ancora a cose che immagina fuori da questa rete, da questa struttura, da questa rete di connessioni. Ci sono all’interno del discorso di Freud delle aperture, ci sono delle aperture che consentono, hanno consentito anche queste riflessioni naturalmente e allora a questo punto il discorso prende un’altra piega: ciò che lui intuisce e allude come un’altra scena in cui le cose accadono è la scena delle parole, quella scena che viene costruita dalle parole, tutto questo costituisce ciò da cui la psicanalisi può partire per costruirsi differentemente. È come se la psicanalisi avesse compiuto il suo percorso, l’avesse concluso, aprendosi verso questa altra scena che è una scena fatta di parole, e a questo punto la psicanalisi si consegna alla scienza della parola, esattamente così come raccontava Heidegger della filosofia, cioè della metafisica, che ha compiuto il suo percorso, è conclusa, e concludendosi si consegna alla tecnica. In questo caso la psicanalisi si consegna alla scienza della parola, quella parola che non solo ha costruita la psicanalisi, ma che costituisce anche quell’elemento che impedisce la caduta infinita, quel baratro, quell’abisso di cui dicevamo che per esempio incontro quando metafisicamente mi chiedo “che cos’è?” qualche cosa, quando comincio a chiedermelo cioè incomincio a pensare metafisicamente allora questa domanda viene presa in una serie infinita di rimandi e di rinvii senza nessuna possibilità di arrestarsi, però si arresta su un punto oltre il quale non può andare. Ciò cui ha alluso Freud, questo elemento oltre il quale non è possibile andare, è la parola, oltre la parola non c’è niente, e costituisce il limite, l’ambito entro il quale gli umani da quando sono esseri parlanti esistono, vivono, si muovono, fanno tutto quello che hanno fatto. Si tratta di procedere lungo questa strada che la parola apre, perché la parola è l’apertura stessa, perché la parola non può non essere e potremmo addirittura dire che il principio di non contraddizione. Il principium omnium firmissimum, cioè il principio più saldo di tutti, è la parola stessa, è la parola stessa in quanto n on  può negare di dirsi se non dicendosi, questa è la contraddizione che in nessun modo può essere superata, non può non esserci parola perché per porre questa questione deve esserci parola, e quindi non può non esserci, e questo è il principio di non contraddizione. Abbiamo a questo punto inteso meglio forse la questione riguardo a come si produce la realtà dal linguaggio. Si produce in questo modo: dal momento in cui incomincio a vedere qualcosa, incomincio cioè a fare esistere questa cosa, imparo che è fuori di me, e quindi la vedo, la vedo e non sono io ma è un’altra cosa, perché la vedo, solo che la vedo perché è presa all’interno di questa struttura se no non potrei vedere niente …

Intervento: io riconosco quel termine al momento in cui si connette con tutti gli altri elementi … se io non posso connetterlo con gli altri termini è un termine vuoto …

Nel parlare quotidiano anche se uno pronuncia una parola di cui io non so assolutamente il significato, comunque so che ha un significato perché se me lo ha detto qualcosa vorrà dire, quindi vuole dire qualcosa anche se non lo so, se per esempio uno dice un termine matematico che non so che funzione abbia, so che è un termine all’interno della matematica, quindi avrà una funzione, quindi servirà per fare delle cose, so già delle cose …

Intervento:  così anche il corpo umano Faioni questa realtà è prodotta dal linguaggio al pari del tavolo …

È l’esempio che facevamo sabato in libreria: un leone ha un corpo? No, non ce l’ha, lo agisce, fa delle cose ma non possiamo neanche dire che fa delle cose perché per lui non sta facendo delle cose, tutto questo lo stiamo dicendo noi …

Intervento: è interessante … anche la questione della malattia entra a questo punto nella rete di relazioni, cinquecento anni fa quello che oggi si considera una malattia non era avvertito come tale tutto ciò che gira oggi intorno al termine salute era tutta un’altra cosa …

Certo, ed è questa rete di relazioni che fa esistere quella cosa, se no non c’è, prima non c’era, non c’era niente, è un po’ come la questione della natura, la natura c’è dal momento in cui incomincio a parlarne e quindi sono già fuori dalla natura.

È ciò che dirò domenica, il titolo riguarda la formazione dell’analista come  sovversiva, cosa c’è di più sovversivo dell’abbandono totale e irreversibile del pensiero metafisico? A questo punto non c’è più la possibilità della metafisica e quindi è la sovversione in assoluto del pensiero che non può più essere come prima, la persona incomincia raccontando le sue fantasie e come talvolta si dice, dicono gli psicologi, che c’è un cattivo adattamento alla realtà e quindi bisogna che la persona si adatti bene alla realtà, questo è un invito alla psicosi, prende le parole come cose, anziché le cose come parole come di fatto è. Si immagina che i problemi provengano dalle fantasie, cioè da come le cose appaiono e che invece sono in un altro modo, e da qui la questione della fantasia e della realtà, realtà che interviene in quel modo bizzarro che ho descritto. Ma qualcosa che esiste nel momento in cui la posso vedere, e la posso vedere quando partecipa della struttura in cui è inserita, se no non la posso vedere, non c’è. La formazione di un analista passa attraverso questo, se non si intende questo si continua a girare in tondo e a continuare a chiedersi che cos’è questa cosa senza potere mai trovare una risposta, perché non potrà mai rispondere fuori da questa struttura che l’ha costruita rispondere che cos’è, non lo può fare.

Ciò che abbiamo fatto è qualcosa di molto radicale, le istruzioni che si trasmettono, perché si insegnano da persona a persona, queste istruzioni si insegnano insegnando a parlare, queste istruzioni sono quelle cose che eseguite costruiscono la parola e quindi a questo punto la parola non viene più dal nulla, viene da qualcosa che l’ha costruita, e ciò che l’ha costruita lo sappiamo anche grazie al lavoro che hanno fatto alcuni intorno all’intelligenza artificiale, Turing, Von Neumann e anche altri su come hanno costruito un qualche cosa che incominciasse a pensare, da un pezzo di ferro è diventata una macchina pensante …

Intervento: la questione della psicanalisi e della scienza della parola … se la psicanalisi ha subito le sorti che ha subito è in prima istanza anche colpa della psicanalisi stessa non ha saputo …

Darsi uno statuto scientifico che acquisisce soltanto quando incomincia a riflettere su ciò di cui è fatta, come sono fatte quelle cose che l’hanno costruita, inventata …

Intervento: c’è questa voglia di distinguersi dalla psicoterapia e tutto sommato comunque non ci riescono … la psicanalisi si occupa dei malanni e basta, non è un ricercatore, non è un intellettuale, non … credono che dietro alla parola ci sia qualche cos’altro e allora la parola diventa il veicolo di qualche cosa che non è parola anche se continuano a dire che la parola è originaria … la parola è qualche cosa che deve trasmettere qualche cosa il sintomo e altre cosa quel qualche cosa che non va non è costruito dalla parola, è la parola che lo dice certamente ma non è la parola che costruisce questa cosa … la parola è qualche cosa che serve per rendersi conto … è lo stesso modo di pensare … quando si parla anche di “sembiante” non è qualcosa di cui ne stiamo dicendo lì mentre ne stiamo parlando … un concetto per cui cose che si mettono lì … finché la psicanalisi non decide la crisi dei suoi fondamenti e da lì incominciare …

Questo potrebbe essere un tema da svolgere Sandro, la crisi dei fondamenti riferita alla psicanalisi anziché riferita alla matematica, che è già stata fatta ai primi dei 900, ed è anche un intervento politico …