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09-10-2013

 

Eleonora, che cosa intendi per “seguire una regola”? Quand’è che secondo te possiamo dire di seguire una regola correttamente...

Intervento: la regola può essere intesa come un’istruzione...

Possiamo porre la cosa in un modo molto semplice dicendo che seguire una regola non è altro che attenersi agli ordini forniti dall’istruzione. L’istruzione dà ordini, ovviamente, per potere seguire questi ordini è necessario che ci sia preventivamente un qualche cosa, un sistema, un programma, qualunque cosa che mette nelle condizioni di seguire degli ordini, e come può avvenire questo? Può avvenire solo se questi ordini si riferiscono a dei significati prestabiliti e soprattutto stabiliti, perché se io do un ordine e questo ordine viene equivocato, è chiaro che non posso più seguire questo ordine, quindi che il significato sia di ultima istanza non è sicuramente né una certezza, né una deduzione, né una derivazione, non è niente di tutto questo, è soltanto una “necessità” tra virgolette per potere utilizzare il comando come comando. Se io per esempio dicessi a Simona: “Simona si alzi, adesso!”, perché quest’ordine possa eventualmente essere eseguito, occorre che il significato di questi termini sia univoco. Questo ha anche dei risvolti retorici non indifferenti, però questo adesso non ci interessa, quindi il significato univoco è soltanto un espediente per potere formulare dei comandi che siano eseguibili, quindi che il significato sia univoco, come dicevo prima, non è qualcosa che è derivato, che arriva da qualche cosa, una sua prerogativa, una sua proprietà intrinseca, nulla di tutto questo, è una decisione, per usare il termine più appropriato. Per seguire una regola occorre che la sequenza di cui è fatta una regola sia costituita da significati univoci, codificati, questo per farla semplice naturalmente, se invece volessimo farla complicata allora potremmo avvalerci dei paradossi scettici. Il pensiero scettico ha incominciato a mettere in dubbio la possibilità della conoscenza, cioè che gli umani possano conoscere realmente le cose, tant’è che sono giunti a considerare che una proposizione che affermi la verità non è costruibile, non è costruibile perché tutto ciò che gli umani pensano è sempre soggetto a ciò che gli umani pensano, in fondo hanno detto molto prima di Barthes che non esiste il grado zero della conoscenza, ogni conoscenza è sempre viziata dalla caducità delle cose e dal fatto che qualunque cosa muta, cambia continuamente comprese le parole per descrivere questa cosa, e cioè si basano essenzialmente sul fatto che qualunque termine, qualunque parola è infinitizzabile, quindi non può rinviare a qualche cosa di definito, non può rinviare a una cosa sola. Il pensiero degli scettici era, ed è ancora oggi, contro la metafisica. La metafisica invece è quel pensiero invece che pretende, immagina, suppone, spera che le cose siano quelle che sono in base unicamente alle loro virtù, alle loro proprietà; il pensiero scettico si oppone a questo, le cose non sono quelle che sono per loro virtù perché queste virtù, se anche ci fossero non le conosceremmo perché le parole per descriverle sono mutevoli, hanno rinvii infiniti, si spostano. La ripresa fatta dalla filosofia analitica dei paradossi scettici non aggiunge in realtà niente più di questo, non solo non elimina i paradossi scettici, ma considera che questi paradossi siano ineliminabili, l’unico modo per eliminarli è la maniera di Moore, che dice che la percezione garantisce della realtà, ciò che io percepisco è vero e bell’e fatto, che non è una gran cosa, nonostante che moltissimi continuino a seguirla “se lo percepisco è vero”. Il realismo si basa su questo, non è andato molto oltre, quindi prendendo seriamente il discorso degli scettici, e dobbiamo anche tenere conto dell’obiezione che si rivolge agli scettici e cioè si applica ciò che loro affermano alle loro stesse affermazioni cioè se io affermo che non è possibile affermare nessuna verità su nulla allora anche questa affermazione incappa nella stessa sorte, nello stesso andamento, quindi anche l’affermazione che dice che non c’è nessuna verità affermabile non è una verità affermabile, solo che a questo punto potrebbe anche essere una conferma tutto sommato, cioè nemmeno questa affermazione è una verità, il che conferma quello che dicono gli scettici in definitiva. Alcuni si sono accorti che il pensiero scettico è come se fosse blindato contro ogni obiezione, in quanto ogni obiezione viene inglobata nel paradosso scettico. Ma come è possibile il paradosso scettico? Come è possibile costruirlo se nessuna affermazione può essere considerata una verità? Cosa obietteremo a uno scettico? Se lo scettico affermasse che nessuna proposizione può essere considerata vera, gli chiederemo perché mai dovremmo fare questo, e cioè considerare una proposizione assolutamente vera, perché? E questo ci rinvia a un’altra questione connessa con questa, e cioè “a cosa serve considerare un’affermazione vera?” serve a qualcosa o non serve a niente? E allora dobbiamo distinguere tra un “vero” metafisicamente inteso e un “vero” invece che ha l’unica funzione di costituire, per decisione, un significato univoco. In questo senso: diciamo che una certa cosa è vera all’unico scopo di poterla utilizzare all’interno di un discorso, “vera” cioè ha un significato. Ovviamente non ha nessun riferimento metafisico, cioè non è vera di per sé, o per qualche altra virtù magica o robe del genere “è vera perché io ho deciso di usarla come vera”, cioè di usarla come un qualche cosa che mi consente di connetterla con altre cose. A questo punto possiamo affiancare il “vero” a “significato di ultima istanza” o “identico a sé,” però tutte queste cose hanno l’unica funzione di potere consentire a degli elementi di essere utilizzati in un discorso. Quindi, o cerchiamo metafisicamente il senso delle cose, il senso della vita, il significato del significato, come qualche cosa che da sé deve dimostrare di esserlo, e allora i paradossi scettici ce lo impediscono perché il paradosso scettico, come dicevo prima, è una obiezione terribile, ineliminabile, ma alla metafisica, si ferma lì, se noi non siamo interessati alla metafisica dei paradossi scettici non può importarcene di meno. Ma perché è stata importante la metafisica e ancora oggi, nonostante molti la combattano in vario modo, rimane comunque un pilastro del pensiero? Perché è l’unico pensiero che ha detto che le cose stanno così. La metafisica è quella forma di pensiero che tenta di dire che le cose sono quelle che sono e quando ci riesce lo fa malamente, perché in realtà non c’è una spiegazione soddisfacente che riesca a porsi al riparo dai paradossi scettici, per cui tutte le teorie che dicono di opporsi alla metafisica la utilizzano inesorabilmente per potere affermare quello che affermano, nel senso che dicono che non c’è la metafisica, però poi la utilizzano comunque perché non sanno dire perché un certo elemento lo utilizzano in quel modo anziché in un altro. È a questo punto Eleonora che interviene la questione più notevole: se noi diamo un comando a una macchina, un comando di per sé non è sottoponibile a un criterio vero funzionale, cioè non è né vero né falso, quindi non ha nulla a che spartire con i paradossi scettici, diciamo che un comando in nessun modo può essere colpito da un paradosso scettico, quindi o un significato è tale per virtù propria e allora si produce il paradosso scettico, oppure è un comando, e allora niente paradosso scettico.

Eleonora legge un brano di Kripke sulla questione della “macchina”.

Le macchine in effetti quando vedono un “+”, in base a un algoritmo traducono questo “+” in un’altra cosa stabilita, sempre la stessa, come facciamo a sapere che è sempre la stessa? Non lo sappiamo, nel senso che se questo “+” è un elemento metafisico che deve essere identico a sé, allora certo non lo sappiamo, ma se questo “+” è soltanto il prodotto di un algoritmo, lui produrrà sempre la stessa cosa, come sappiamo che è la stessa? Perché l’abbiamo deciso. Poi obiezione allo scettico: tutto quello che ci sta dicendo contro il “+”, per esempio l’identità del “+” non significa niente, perché tutte le parole che sta usando, essendo ciascuna di queste infinite non conducono di fatto a quello che lui vuole dire ma a qualunque altra cosa compreso il suo contrario. Se metto dentro nella macchina che questo “+” è quello che è per una decisione, non siamo interessati a disquisizioni metafisiche. Il “+” è il “+”, ma dieci minuti fa era un’altra cosa; è quello che diceva anche Verdiglione in altro modo…

Intervento: Kripke dice: se questo programmatore utilizza questo termine, come fa a giustificare l’utilizzo di questo termine se questo termine in passato è stato inteso in un altro modo? In un certo senso non si è autorizzati a creare un programma se si usa l’argomento scettico perché distruggerebbe questo programma.

L’argomento scettico muove sempre dall’idea che si sta riferendo, lo scettico, alla metafisica, e quindi quella cosa deve rispondere da sé della sua identità, esattamente come se lo scettico dicesse “sì, ma il dieci di picche non può rispondere che è il dieci di picche, come fai a sapere che è un dieci di picche se lui non te lo dice?”

Intervento: sì, sta praticamente chiedendo qual è la sua essenza…

Esattamente, brava, e invece noi cosa diciamo allo scettico?

Intervento: che un programma deve partire da una decisione…

Da una decisione certo, ma le cose che ci dice uno scettico, lui stesso, come fa a sapere quello che dice?

Intervento: utilizza gli stessi termini come li usiamo noi…

Tra l’altro, ma non può in nessun modo affermare quello che afferma…

Intervento: quello che dice è altro…

Esattamente, è la questione della differenza da sé cara a Verdiglione. Cioè tutte le obiezioni di fatto sono costruite con argomentazioni, queste argomentazioni sono fatte di parole, queste parole hanno un significato, come facciamo a sapere che è lo stesso sempre, anche mentre lo diciamo? Quindi lo scettico di fatto per fare queste obiezioni dice delle cose che lui stesso non può affermare…

Intervento: sarebbe una contraddizione da parte dello scettico?

Sì, ed è molto più potente di quell’altra, cioè di applicare la conclusione al fatto che non è possibile costruire una proposizione vera. Ciò che mi interessa che tu intenda bene è la differenza tra il considerare qualche cosa metafisicamente, cioè che deve essere identico a sé per natura e allora sì, valgono tutte le obiezioni scettiche, oppure stabilisco che è quello che è in base a una mia decisione e quindi questa cosa non deve più rispondere di sé, è semplicemente un significato che io gli do in quel momento…

Intervento: Wittgenstein dice che non c’è un’oggettivazione della dimostrazione invece Dummett dice che di fronte a una dimostrazione non abbiamo altra alternativa che accettarla… cita molto il platonismo…

Quindi o accogli il platonismo oppure tutto questo non significa niente…

Intervento: non è così radicale però c’è una forza costrittiva… “l’essere una dimostrazione della realtà che si impone a noi”… e poi: “una dimostrazione matematica deve essere accettata da chi è fedele al suo significato…

Tu intanto, primo, devi accogliere il significato della lingua matematica, secondo, devi essere fedele a questa cosa, ecco, già troppe sono le richieste. È come se la lingua matematica fosse una lingua di natura che dice da sé e per sé la verità, anziché un gioco qualunque al pari di qualunque altro, al quale gioco poi lui ti dice che devi essere fedele per potere trarre le conclusioni che lui trae, e cioè che quella cosa è corretta. Sì, è corretta certo, anch’io se ho quattro assi e Simona ha due sette, vinco, è corretto perché abbiamo accettato di giocare a poker, di fare quel gioco, se Simona non accetta di giocare a poker con me non andiamo da nessuna parte. Insomma,  ricadi nella metafisica platonica e per la filosofia analitica non c’è soluzione, in un modo o nell’altro incappano nei paradossi scettici e non sanno più come venirne fuori, oppure puoi intendere invece che il significato non è tale per sua natura ma per una decisione, per un comando, e un comando non è sottoponibile alla metafisica, un comando è un rinvio determinato “vedi x É fai y”, e non c’è nessun aggancio a niente che sia al di fuori del sistema stesso, esattamente come una macchina.

Intervento: Dummett sta cercando di giustificare quello che ha detto…

Basta ricorrere alla metafisica, al platonismo e il discorso è bell’e fatto, però occorre, come dice lui, accogliere una serie di cose, se le accogliamo, ci crediamo eccetera allora ne segue che una proposizione, una dimostrazione è corretta e dobbiamo accettarla perché è corretta…

Intervento: sta dicendo che la dimostrazione viene prima di decidere che cosa è una dimostrazione…

Insomma la dimostrazione esiste perché dio lo vuole. Sono argomentazioni ridicole, non è casuale che i “continentali” spesso critichino gli “analitici”, proprio per queste storie. Dicevamo che una macchina non ha bisogno della metafisica, cioè non ha bisogno di sapere se una cosa è vera di per sé, o quella certa cosa debba dimostrare di sé di essere vera, di essere identica a sé, di essere proprio quella e non un’altra, perché è un comando, esattamente come un gioco e Wittgenstein è stato preciso su questo. I giochi linguistici se li è inventati dopo una partita di pallone, dove ci sono delle regole, i giocatori giocano a pallone con delle regole, se non ci fossero le regole possono dare i calci a una palletta ma non succede niente. Soltanto a queste condizioni è possibile stabilire un gioco, e cioè stabilendo delle regole; e queste regole da dove vengono? Sono identiche a sé? Sono di natura? O sono inventate per giocare? È ovvio che sono inventate per potere giocare, e il linguaggio non è altro che una sequenza di informazioni e di istruzioni per processarle. Non c’è nient’altro, tutta la filosofia analitica è un tentativo estremo, disperato, di giustificare la metafisica in qualche modo, e cioè di legittimare l’affermazione che una certa cosa è quella che è perché è così, perché se dovessero trovarsi di fronte all’eventualità che quella cosa non è quello che è per “natura” cioè per sue proprietà intrinseche non sanno più da che parte girarsi. Tutte le obiezioni che fa lo scetticismo alla metafisica sono assolutamente valide, ma nei confronti della metafisica, se tu invece parli di comandi allora lo scettico non sa più cosa dire perché sono comandi: sono veri, falsi? Non sono né veri né falsi, non solo, ma il “vero” e il “falso” lo possiamo stabilire in base a dei comandi: noi stabiliamo delle cose, delle sequenze e queste ci diranno che cosa è vero o falso all’interno di quel sistema, fuori da quel sistema “vero” o “falso” non significano assolutamente niente. Una macchina non ha bisogno della metafisica per funzionare, cosa significa “funzionare”? Significa processare dei dati secondo delle istruzioni che sono state stabilite dal sistema linguistico. Ponendo il linguaggio come una sequenza di informazioni e di istruzioni che viene trasmessa da umano a umano o da umano a macchina, non c’è più nulla di tutto ciò su cui si affanna la filosofia analitica, il linguaggio semplicemente dice come si costruiscono delle sequenze e come vanno combinate fra loro, nient’altro. Come abbiamo detto il linguaggio non è nient’altro che questo: informazioni e istruzioni per processare quelle informazioni, per che cosa? Per niente. E ciò che costruisce il linguaggio è vero o falso? Non è né vero né falso, però può costruire delle sequenze che stabiliscono in base a dei criteri che cosa è vero e che cosa è falso, stabilisce che cos’è il concetto di vero e di falso, cioè è “vero” ciò che può essere utilizzato per proseguire, “falso” ciò che non è utilizzabile per proseguire.