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9-10-2003

 

Intervento: Cos’è l’esperienza?

È un discorso che facevamo tempo fa, muovendo dal luogo comune, cioè ciascun elemento è connesso con altri da inferenze, si trattava di verificare se il linguaggio consente la conoscenza di queste cose ma non la loro esistenza, questo è il punto, perché in effetti molti sarebbero disponibili a questo: cioè nulla sarebbe conoscibile se non ci fosse il linguaggio, ma questo non significa che non esista, sì perché infinite cose esistono che io non conosco per esempio, ma esistono lo stesso…

Intervento: l’induzione e la deduzione

Esiste un teorema di deduzione cioè un teorema che dimostra la validità di questo criterio che si chiama deduzione, lungo la dimostrazione si usa l’induzione e per dimostrare il teorema di induzione è necessaria la deduzione, in un rinvio continuo, in effetti…

Intervento:…

La questione dell’esperienza è importante perché in effetti infinite cose non conosco, però potrei conoscerle con l’esperienza, non sono mai state dimostrate, non è che questo mi induca a pensare che non esiste l’Australia perché so, che volendo, posso andarci e quindi averne esperienza, avendone esperienza l’affermo, quindi ho la possibilità dell’esperienza. L’esperienza non è altro che il verificare qualcosa con i propri sensi, nient’altro che questo, e quindi occorre riflettere sulla nozione di esperienza. L’esperienza per potere darsi necessita in ogni caso di un sistema inferenziale in cui inserirla, perché se no sarebbe esperienza di nulla, se è esperienza di qualche cosa allora l’esperienza è inserita in un sistema inferenziale cioè è connessa con un’altra cosa e questa connessione è il linguaggio che la produce, per cui in effetti la possibilità di esperire qualche cosa parrebbe seguire l’esistenza di un sistema inferenziale, però anche qui potremmo tornare alla questione della conoscenza, e cioè io posso conoscere qualcosa solo se esiste un linguaggio, però questo non inficia nulla il fatto che comunque le cose esistano di per sé fuori dal linguaggio, che io le conosca oppure no è irrilevante, e quindi torniamo alla questione dell’esistenza, già, ché è questa che dobbiamo smantellare: l’esistenza, l’esserci delle cose che il luogo comune afferma esistere fuori dal linguaggio. Un elemento ecco potrebbe essere questo: certo io posso dire dell’esistenza, indubbiamente posso dire che una certa cosa esiste, ma cosa mi consente di affermarlo? L’esperienza diretta o il sentito dire, più o meno affidabile, consideriamo l’esperienza diretta cioè i sensi: questo esiste perché lo vedo, lo tocco, me lo metto in tasca ecc. come dire che risponde ad alcuni requisiti che sono quelli che decidono il fatto che io possa affermare che una certa cosa esiste oppure no, anche se taluni potrebbero affermare che le cose esistono anche al di fuori dei miei sensi, fuori dall’esperienza o dalla possibilità dell’esperienza, ché il problema non è tanto se la cosa viene posta in termini logici precisi, che a quel punto se qualcuno scende su questo piano della logica allora accoglierà anche tutte le deduzioni logiche che discendono da questo, il fatto che accoglie questo gioco e quindi perché qualcosa esista necessariamente occorre provarlo, a questo punto chiaramente l’ultima prova è riducibile all’esperienza e allora l’esperienza o viene data come dato di fatto oppure anche questo deve essere provato come criterio assoluto e questo non può farsi. Ma la cosa più complicata non è tanto discutere con persone che compiono ragionamenti logici precisi, ma con persone che invece di questi ragionamenti non sanno niente e allora interviene una “dimostrazione” retorica, come dire che queste argomentazioni devono essere ridotte utilizzando argomentazioni retoriche, e allora porre la questione dell’esistenza semplicemente come un’affermazione, cioè io posso dire che qualcosa esiste ma questa cosa che dico in realtà non ha nessuna possibilità di essere provata, cioè nessuna possibilità di potersi affermare e allora io dico qualche cosa e cioè che x esiste ma di questa affermazione non posso farmene nulla…

Intervento: come dire che io l’ho imparato sarebbe più semplice

Sì, introdurre la questione del gioco a questo punto può diventare utile, in effetti dire che ciò esiste è funzionale ad un certo gioco, è funzionale per esempio alla lingua italiana, è funzionale a un certa cosa, questa funzionalità è ciò che dà al termine esistere il suo valore, il suo utilizzo, al di fuori di questo utilizzo parlare di esistenza non significa niente, cioè l’esistenza è qualche cosa in quanto inserita all’interno del gioco linguistico che la utilizza, e allora dico “questo orologio esiste” perché se mi serve devo prenderlo per vedere che ore sono ecc. però io affermo che x esiste, posso affermarlo ma non posso provarlo, ora che cos’è un’affermazione che posso fare ma che non posso provare, io dico qualcosa ma non lo posso provare che cos’è questa affermazione? Non lo posso provare, cioè se qualcuno mi chiedesse perché, non saprei cosa rispondere. L’artificio retorico sta nel costringere l’interlocutore a fornire lui una prova, visto che afferma questo allora lo provi, è ovvio che non lo può fare e allora utilizzerà questa formula che noi conosciamo bene “ma allora se significa questo si nega tutto”, siamo avvezzi a una cosa del genere, e allora vi invito a questo punto alla cautela, ché non potete rispondere: non si nega tutto ma soltanto la possibilità di dire stupidaggini, però vi sconsiglio di utilizzare questa formulazione e di usare eventualmente un sistema più adatto…

Intervento: l’orologio io lo tocco e questa è una prova

Quindi l’esperienza è un criterio di prova? Si tratta di valutare se l’esperienza sia un criterio di prova oppure soltanto un gioco che viene accolto, certo, per lo più, quasi universale, quasi, ma non è un criterio di prova, è differente parlare di regole di un gioco o di un criterio di prova, totalmente differente, il criterio di prova è quello che giunge ad affermare con assoluta certezza che le cose stanno così e non possono stare altrimenti, mentre le regole di un gioco semplicemente consentono di giocare quel gioco, non consentono di stabilire niente, servono a fare un gioco. Si tratta di mostrare che l’esperienza come criterio non ha alcuna validità universale, ma è un gioco e quindi si attiene a delle regole, mostrare che sì certo un gioco potremmo anche dire molto diffuso, forse il più diffuso di tutti che poi in fondo è la realtà ma che questo non lo rende necessario, perché per essere tale deve essere provato essere necessario e non lo si può fare, è semplicemente una regola utilizzata dai più, il fatto che i più credano una certa cosa non la rende automaticamente vera, non è il numero delle persone che accolgono una certa tesi a renderla vera anche se retoricamente funziona così, il fatto che qui siamo in cinque mentre la domenica in piazza San Pietro siano migliaia non rende quello che dice il Papa più interessante di quello che diciamo noi… ha qualche dubbio?

Intervento:…

Può esserci questo inganno, il fatto che la più parte delle persone pensino in un certo modo rende questo modo di pensare vero, ma è un artificio retorico…

Intervento: bisogna dimostrare logicamente

Se lo chiederà sì, se no può utilizzare degli esempi retorici, il fatto che molte persone credano una certa cosa non la rende vera, né più vera di altre, in certe epoche si è creduta con assoluta certezza una certa cosa e poi si è cessato di crederla; ora ciò che segue all’esperienza diretta viene generalmente ritenuto vero, perché tutto ciò che il corpo rileva, viene creduto necessariamente vero e allora torniamo alla questione del corpo, e cioè al fatto che tutto ciò che il corpo esperisce viene ritenuto vero necessariamente, nessuno ha mai pensato a una cosa del genere, si può porre come interrogazione “come mai?”, e allora lì possiamo intervenire e mostrare il perché tutto ciò che il corpo esperisce viene ritenuto vero, cosa significa qui ritenuto reale se non che è necessariamente vero? E come avviene che viene considerato reale? Appunto perché è considerato assolutamente vero, ma occorre un criterio di verità, perché io mi fidi dell’esperienza occorre che abbia un criterio di verità, perché è un atto di fede in fondo, qual è questo criterio di verità? Da dove viene un criterio di verità? Cosa lo può stabilire? E a questo punto non può affermare “l’esperienza!”, perché l’esperienza segue al criterio di verità nel senso che io mi fido della mia esperienza, so che questo affare qui è consistente, per cui se ci batterò la testa mi farò male, mi fido di questo perché? Ritenere vero qualcosa non è nient’altro che questo: giungere alla conclusione che mi consente di affermare che se ci batterò la testa mi farò male, anche senza batterla…

Intervento: costruisce una proposizione coerente e non contraddittoria

Sì, io posso sapere che se picchio la testa contro il titanio mi farò male, magari non ho mai visto il titanio in vita mia, però mi fido, se mi dicono che quell’affare è di titanio eviterò di andarci a sbattere contro magari. Cioè si fida automaticamente di questa esperienza, di questo dato dell’esperienza, ma il fatto di fidarsi così ciecamente della propria esperienza, cosa che per altro conduce poi alla rovina in alcuni casi, rimane che segue al fatto che le percezioni del corpo sono ritenute essere assolutamente vere, non avere bisogno di ulteriori conferme, la persona non si accorge in effetti che il suo discorso compie una serie di inferenze, non se ne accorge ma le compie e giunge a quelle conclusioni “quindi mi farò male” così come non si accorge di infinite cose, non si accorge per esempio, parlando, di un’infinità di cose che sta dicendo, se gliele si fa notare magari se ne accorge. Non accorgersi delle cose non è rilevante per fare proseguire il discorso, se non è rilevante per questo scopo non ce se ne accorge, ora sappiamo che il discorso prosegue comunque anche se non sa nulla, non si accorge di nulla ma può tranquillamente continuare a non accorgersi di niente, la persona fa delle inferenze, trae delle conclusioni riguardo ai suoi dati esperienziali, certo in molti casi diventano automatismi…

Intervento:…

Esattamente, ma questo non li rende di meno prodotti di inferenze, esattamente così come quando incontra una persona che conosco dico “buongiorno” non ho bisogno di fare tutto il discorso: allora quella persona c’è la possibilità che io la conosca, se la conosco allora io so che quando conosco una persona e la incontro allora devo salutarla perché questo saluto è segno di educazione e perché se non la saluto allora questa persona potrebbe pensare che ce l’ho con lei etc. e faccio tutta una serie di cose, tutto questo non avviene, qualche volta sì, ma per lo più non avviene, semplicemente la saluto…

Intervento:…

Certo che c’è, è implicita, ma non me ne accorgo, quando incontro il giornalaio “buongiorno” ma questa cosa avviene automaticamente, non c’è nessun pensiero, questo per dare conto di come le cose avvengano con automatismi senza che ci sia nessun pensiero, tenendo conto di tutto ciò che ha costruito questa cosa, e la stessa cosa avviene per la percezione, la percezione comporta tutta una serie di cose già acquisite e quindi si volgono in automatismi “l’ho imparato”, “me l’hanno insegnato” “ho avuto una esperienza alla quale ho dato un certo significato che mi porto appresso”, esattamente così come avviene nell’installarsi del linguaggio, avvengono una serie di percezioni, di sensazioni, di emozioni, dicevamo addirittura che quel momento, chiamiamolo così, è la condizione, l’avviarsi della condizione per avere le emozioni e quindi il linguaggio cosa fa? Le ripete, perché lì ha avuto la possibilità di produrre altro linguaggio che è esattamente ciò che deve fare, non fa nient’altro che questo, e quindi che cosa farà? Continuerà a cercare quella cosa per produrre altro linguaggio, e continuerà a cercarlo, e sarà sempre un attesa, rispetto a certe situazioni, certe immagini, certe sensazioni, certe emozioni costituiranno sempre un’attesa che quella cosa si verifichi e quindi ci sia una produzione di linguaggio. Pensate all’amore, nell’accezione più ampia, l’amore per una persona, per un’idea, per una cosa… perché accade? Cosa succede? Di che cosa è fatto l’amore se non dell’attesa che si verifichino certe cose che io desidero fortemente, o che avverto essere quelle cose che mi daranno la felicità, il benessere e tutto quello che si vuole, perché mi attendo quelle cose? Perché per tutta la vita rimango in attesa che si verifichino certe cose? A che scopo se non perché non sono altro che quelle cose che si sono verificate e che hanno prodotto linguaggio? Il linguaggio continua ad aspettarsi che si producano all’infinito, ora è chiaro che poi per ciascuno l’esperienza e il modo in cui si è installato, per dirla così, il linguaggio è differente, esprime esperienze, sensazioni, immagini, odori, sapori, colori, uno sterminio di cose, da quelle cose che ha avuto le prime emozioni continuerà ad aspettarsi per tutta la vita la stessa cosa, d’altra parte il linguaggio potrebbe fare altrimenti? Teoricamente sì, ma di fatto esiste una sorta di percorso che fa il linguaggio per cui appare che in alcune situazioni cerchi di evitare tutta una serie di giri per andare immediatamente all’obiettivo, quando fa questo? Quando il raggiungimento di quell’obiettivo è funzione di altro, ma non è l’obiettivo stesso a produrre linguaggio, supponete “sto cercando l’orologio, lo vedo, è lì sul tavolo, ho un appuntamento ad una certa ora, guardo l’ora, sono le sette, ora il fatto che io veda questo orologio in realtà per riconoscerlo comporta tutta una serie di procedure, di inferenze: è tondo, è bianco, ha la catenella, è mio, e quindi tutte queste cose avvengono automaticamente, il riconoscimento è immediato, è immediato chiaramente anche data una serie di circostanze, perché se io lo smarrisco in un negozio di orologi dove ce ne sono a migliaia uguali al mio ecco che sarebbe meno immediata la cosa, però essendo qui e sapendo che non ci sono altri orologi di questa fatta ed essendo il posto dove sto io, il procedimento è immediato. Però non mi interessa nulla, il fatto di riconoscerlo non produce di per sé, su questo oggetto, nulla, dicevo è funzione di un'altra cosa, è un’altra cosa che mi consente di costruire altre proposizioni e cioè per esempio l’appuntamento che ho, ecco che allora questo è funzionale a sapere che ore sono, perché sapere che ore sono questo sì, mi da fare: sono in anticipo, allora posso fare ancora questa cosa, sono in ritardo, ecco bisogna che mi muova oppure sono in perfetto orario, insomma il riconoscimento di questo aggeggio in quanto tale non significa niente, è soltanto funzione di altro, ecco perché non presto nessuna attenzione a tutta la costruzione…

Intervento: agganciandomi alla dimenticanza e a come l’avevamo posta qualche tempo fa l’appuntamento non è funzionale al gioco che io vado facendo e quindi non produrrebbe tutta quella serie di proposizioni che produrrebbe il fatto…

È possibile, oppure sono interessato a ciò che accadrà quando andrò all’appuntamento…

Intervento: sì… ma stavo parlando di colui che si da le martellate sulle dita allora non vedrò l’orologio…

Dicevo che riguarda l’amore, nell’accezione più ampia del termine, c’è l’eventualità a questo punto che non sia nient’altro che questa attesa che il linguaggio mantiene, qualche cosa che produce quelle emozioni, perché sono quelle, quelle che ha prodotto, ha prodotto all’inizio e continua a cercare…

Intervento: il salto di quell’elemento che non è rilevante che non riesco a capire

Sì certo, questo accade, per esempio vedere una cosa, una persona per un sacco di tempo e non considerarla minimamente, ma ad un certo punto ecco che avviene che quella cosa o quella persona diventa addirittura irrinunciabile, occorre verificare che cosa è accaduto, nulla magari di grandioso, però è come un programma, programma che necessita di un input per essere avviato, può essere uno sguardo, un abito, un atteggiamento, il timbro della voce, qualunque cosa, qualcuno può dire che queste cose può avere avuto modo di osservarle anche prima, è verosimile, però per chi le ha osservate è in quel momento che hanno funzionato, si è accorto di qualche cosa, certo rimane questo salto di cui dicevi, ad un certo punto qualcosa di colpo apparentemente senza nessun motivo diventa irrinunciabile…

Intervento: perché quello il semplice appellarsi al criterio estetico dimostra una certa debolezza dell’affermazione, a livello retorico non è molto efficiente

Non è solo una questione estetica, anche, certo, se in effetti l’estetica “l’estesia” non è altro che la sensazione, ora che cosa innesca un interesse? Se come stiamo dicendo è l’attesa di certe cose che si ritrovino da qualche parte, cioè le stesse sensazioni, emozioni ecc. può accadere, così come, accade che un qualche cosa funzioni da innesco, perché quelle emozioni, quelle sensazioni erano agganciate, sono state necessariamente agganciate anche ad altre cose, retoricamente si può fare l’esempio di un sorriso, di una carezza, di una sensazione piacevole, qualunque cosa, l’attesa è che questa sensazione si ripeta. Tu dici è un’argomentazione debole, sì, può essere debole così come è debole in effetti l’illusione che sia così, perché in effetti poi si manifesta essere altro, non è mai esattamente così, perché altri elementi si sono verificati nel frattempo, perché le situazioni sono differenti, perché semplicemente quell’elemento è inserito in una combinatoria che è differente e quindi ha un senso diverso, quindi io posso cercare di riprodurlo, certo la persona lo fa all’infinito, perché il linguaggio non cerca nient’altro che questo: riprodurre situazioni che consentano il proseguimento del linguaggio, cioè la costruzione di altre proposizioni, dà lì ha preso l’avvio e da lì continuerà a cercarle continuamente, del resto come abbiamo detto mille volte sono le emozioni più forti, perché non mediate da altre esperienze e quindi risultano totalizzanti, assolute, come se il linguaggio avesse percepito che lì c’è la possibilità di proseguire, poi certo ci sono cose che danno altre possibilità, però quella rimane…

Intervento: è l’elemento che meglio si presta alla prosecuzione, quel tipo di donna che non trovi mai…

Sì, quella che è più funzionale…

Intervento: ecco che a questo punto mi sto immaginando le varie obiezioni potrebbe dire lo spettatore allora accade che non ci si innamori mai della donna tipo, la tipologia della donna vagheggiata non è mai quella effettiva… sento i discorsi in classe a me piace la bionda e poi invece si sceglie la piccola e nera…

Sì, quella magari più a portata di mano, c’è anche questa eventualità… è una possibilità…

Intervento:  la scelta cade sempre su quello che non si cerca

In quel caso specifico del ragazzo con la ragazza temo che la prima cosa sia quella più probabile. Poi possono intervenire anche altre fantasie, uno ha il suo ideale poi magari lo ravvisa da qualche parte e poi lo teme, per esempio, ci possono essere tante cose…

Intervento: potrei dire che non si sceglie mai la persona cercata perché si può proseguire

È una possibilità anche questa certamente…

Intervento: anzi si aprono molte più possibilità successive…

Che cosa fa sì che una persona si innamori di un’idea per esempio, per cui uno diventa comunista anziché fascista? È giunto a un credo politico attraverso una serie di ragionamenti, sia in un caso che nell’altro, ma c’è qualche cosa in più che ha deciso, che cosa?

Intervento:…

Sì ma da dove viene? Perché una certa ideologia comunista da maggiori emozioni per esempio di quella democristiana?

Intervento: il comunismo è sempre stato combattente

Anche il fascismo…

Intervento:…

Sì, però questo che dice lei va bene ma sposta la questione, cioè perché mi dà emozione una cosa che è contro e invece a quell’altro da un’emozione una cosa che invece non lo è…

Intervento: e no, una cosa che è contro produce del nuovo mentre l’essere inglobati comporta qualche cosa che esiste già e quindi non produce nulla di muovo in quanto tale…

Intervento: come fai ad affermare che qualcosa di nuovo produce linguaggio?

Non sempre, non necessariamente, però con questo discorso si renderebbe difficile intendere come mai in Italia si è votato DC per trent’anni di fila. Occorre trovare qualcosa di più radicale nel senso che si agganciano le emozioni a partire da una sorta di… chiamiamolo modello, provvisoriamente, questo modello è fatto in un certo modo ed è l’attesa che si verifichi una certa scena, ora è questo che decide…

Intervento:…

Non è questione di ignoto o di noto, è assolutamente irrilevante, deve qualche cosa che collima con un certo modello, se collima allora vado in quella direzione, il modello è ciò che chiamavamo scena originaria, cioè quella scena, quella serie di scene che hanno prodotto emozioni più forti, l’attesa è sempre di quello, si aspettano quelle e quindi tutto ciò che per qualche via, per qualche motivo, non ha nessuna importanza, per il momento ma si aggancia a questa scena, lì in quella direzione si va, è matematico, non c’è altra scelta perché è il linguaggio che ci va e questo decide il fatto che uno sia comunista, fascista, democristiano, liberale, anarchico…

Intervento: ...la scena

Rimane lì, riprodurla può dire tante cose ché rimane come sfondo, poi si può addirittura cercare di demolirla, per esempio, perché il godimento che propone per qualche motivo è intollerabile…

Intervento: intollerabile in che senso?

Se dovessi riprodursi per esempio quella scena fatta in quel modo, in quei termini, non sarebbe tollerabile e allora…

Intervento: non produrrebbe linguaggio…

Sì, non chiude niente, la produce lo stesso però è…

Intervento:…

Sì, quando c’è qualche cosa che si desidera fortissimamente ma allo stesso tempo si desidera fortissimamente, una certa condizione che urta contro quell’altra allora uno dei due si elimina…

Intervento: mio padre è fascista ma io ho un rapporto conflittuale con mio padre e faccio il comunista come dire che la scena fosse quasi una sorta di parricidio compiuto nella scelta… la scena sullo sfondo è la scena del parricidio come dire che la scena è funzionale a quello che per me è il riferimento della scena, il padre il riferimento della scena quella figura attorno a cui è costruita la scena, senza quell’elemento non ci sarebbe scena o sarebbe un’altra

Sì, anche questo è possibile…

Intervento: mi viene in mente quello che avviene per esempio nelle conferenze dove non si può negare molte cose di quelle che andiamo dicendo sono anche abbastanza semplici però interviene “non hai ragione” cioè viene negato immediatamente ciò che andiamo dicendo, è come se nel sistema operativo proprio funzionassero così le questioni, come dire di qui c’è l’autorità il certo dio: io accetto un dio perché mi piace come dire che io ascolto quel dio e l’altro ha torto. Torto o ragione

L’avevamo accennato, ma si tratta di riprenderla in termini precisi e cioè il fatto che l’aggancio alla realtà “la realtà è un’altra, le cose stanno così” ora l’idea di questa realtà è strettamente connessa con la scena originaria, per darle un nome, poi vedremo di precisare, come dire: la condizione perché si verifichi, si manifesti questa scena è che le cose stiano così, che esista questa realtà e quindi rinunciare a questa realtà, e in effetti così spesso viene enunciata dal pubblico, è l’idea che scompaia tutto, cioè non c’è più niente da aspettare a questo punto, non c’è più niente da attendere, l’attesa di cui dicevo prima, che si riverifichi questa cosa, le condizioni perché si verifichi è che le cose che esperisco siano quelle, tutto deve rimanere così allora, solo a quella condizione io posso continuare a cercare questa cosa e quindi tornare al godimento pensato come assoluto, ecco perché si oppone a questa cosa: “non è possibile che sia così”

Intervento:…

Esatto, non c’è più niente, ma fantasmaticamente occorre intendere: cioè non c’è più la possibilità che si verifichi quella scena e quindi c’è l’impatto, il rifiuto…

Intervento: fino a non vedere l’orologio

Esatto, quando noi dimostriamo in termini logici una cosa molto semplice e inevitabile è come se non fosse visibile…

Intervento: perché non è più funzionale…

No, perché è un pericolo.