9-9-2015
Questa sera voglio parlarvi della conoscenza, perché la conoscenza riguarda in modo diretto la volontà di potenza, il “superpotenziamento”. Tutta la questione della scienza per esempio riguarda strettamente quello che dice Nietzsche a proposito del superpotenziamento, cioè l’incremento di potenza. La questione della scienza prima ancora della conoscenza di cui diremo adesso, come sapete è una questione antica. Si è posta spesso la domanda se la psicanalisi sia o non sia una scienza, ma forse la domanda più interessante sarebbe: perché mai la psicanalisi dovrebbe essere una scienza? Come forse saprete parlare di scienza in quanto tale non è appropriato, occorrerebbe parlare delle scienze. Quando si parla di “scienza” si parla di un particolare metodo che alcuni personaggi seguono, e la scienza attuale tendenzialmente segue due orientamenti metodologici: il “verificazionismo” e il “falsificazionismo”, poi c’è la posizione di Feyerabend, nota come anarchismo scientifico che non ha avuto un grande seguito. Il verificazionismo nasce nella Scuola di Vienna con Schlick, Neurath e molti altri tra in quali, almeno in parte, anche Wittgenstein. Il verificazionismo dicevo è un metodo che consiste nella possibilità di trovare dei criteri di verifica di certe affermazioni, cioè di certe conclusioni, di certi esperimenti. La critica rivolta al verificazionismo è che per quanto sia possibile costruire delle proposizioni che verificano certe altre, queste proposizioni di verifica non sono mai sufficienti, non sono mai esaustive perché è sempre possibile costruirne un’altra, questo comporta una sorta di infinitizzazione della prova che quindi non giungerà mai a dare la prova conclusiva. Questa è l’obiezione che anche lo stesso Popper muove al verificazionismo. L’obiezione di Popper considera il verificazionismo un sistema induttivo e il sistema induttivo non offre una garanzia di verità: poiché il sole è sorto tutte le mattine da che mondo è mondo, sorgerà anche domani, però non c’è nessuna garanzia che avverrà. L’altra corrente che invece ha avuto un grandissimo successo è quella di Popper, il falsificazionismo. Mentre il verificazionismo si basa su una forma logica nota come modus ponens, che dice “se a allora b, ma a dunque b, il falsificazionismo invece muove da quell’altra forma logica, nota già dagli stoici, l’ha inventata si pensa Crisippo, però non c’è la certezza neanche in questo caso, il modus tollens, che dice “se p allora q, ma non q, dunque non p” dove “p” è la condizione sufficiente di “q” ma “q” è la condizione necessaria di “p”. Questo significa in altre parole che se da “p” si verifica “q” allora “p” sarebbe dimostrata: se io ho una tesi che vuole dimostrare una certa cosa e in seguito a un esperimento questa tesi non è verificata dai fatti, e cioè quello che voglio che succeda non succede, allora questo falsifica l’antecedente, la tesi. Per cui non è che il falsificazionismo dia nessuna certezza ovviamente, né dimostri che una certa cosa è vera, la pone come “vera” fino a prova contraria. Ciò che ha reso celebre Popper non è tanto il metodo perché di fatto poi non comporta una certezza, ma di avere stabilito un criterio che consente di distinguere ciò che è scientifico da ciò che non è, perché ciò che è scientifico per Popper è ciò che è costruito secondo un certo metodo certo, ma deve potere essere falsificabile, per potere essere falsificabile deve essere inserito all’interno di un sistema che prevede che una certa tesi sia verificata dai fatti. Per questo per Popper la psicanalisi non è scientifica, l’ontologia non è scientifica, perché non c’è la possibilità di una falsificazione. Questo è il criterio di demarcazione, demarcazione tra ciò che è scientifico e ciò che non lo è. Naturalmente sono state mosse delle obiezioni anche a Popper, da Feyerabend in prima istanza, il suo scritto “Contro il metodo” è essenzialmente contro Popper, il metodo che viene utilizzato sia dal verificazionismo, sia dal falsificazionismo ma anche dall’empiriocriticismo, è un metodo comunque che è presupposto dagli scienziati, cioè gli scienziati muovono da alcuni assiomi che hanno in mente e su quelli costruiscono un metodo, che non offre una garanzia, potremmo dire soltanto che la costruzione di un metodo non è nient’altro che la costruzione delle regole per un certo gioco linguistico, così come si fa con il tre sette. Per questo Feyerabend obietta al metodo e soprattutto a coloro che ritengono che la identificazione di un certo metodo che porta a certi risultati dia la definizione di metodo corretto, di metodo giusto, non esiste nessun metodo giusto, dice Feyerabend. Ma la questione si fa più grave se si considera il falsificazionismo in termini logici, perché? Qui utilizziamo la logica come retorica, che forse è il modo migliore per utilizzarla, il falsificazionismo è sorretto, come dicevo, da questa forma logica nota come “modus tollens” anzi la formula corretta sarebbe “modus tollendo tollens” come dicevano i medioevali. Perché il “modus tollens” funzioni intanto occorre, e qui Nietzsche mi darebbe ragione, avere fede nel fatto che il “modus tollens” possa fornire un criterio di verità, occorre averne la fede, e infatti se non si ha la fede allora lo si interroga e interrogandolo succede questo: perché il “modus tollens” sia possibile, sia praticabile, è necessario che ciascuno degli elementi di cui parla “p” e “q”, nel caso dell’esempio che facevo prima, ve lo ricordo di nuovo “se p allora q ma non q dunque non p”, che ciascuno di questi termini sia esattamente quello che è, se questo non dovesse accadere tutto crollerebbe, ma tutto questo è sorretto da che cosa? Aristotele lo direbbe immediatamente “dal principio primo”, cioè il principio di identità, principio di non contraddizione. Ora sappiamo che per Popper ciò che non è falsificabile non è scientifico, infatti questo è il suo criterio di demarcazione, se qualcosa può essere falsificato allora è scientifico, se non può essere falsificato non è scientifico. Tutto questo si fonda sul principio primo, cioè sul principio di non contraddizione. Il principio di non contraddizione, come ampiamente ha mostrato Severino non è falsificabile, se si tenta di falsificarlo produce proposizioni auto contraddittorie. Se non è falsificabile allora non è un criterio scientifico. In questo caso allora questa figura logica “modus tollens”, che costituisce il criterio scientifico del falsificazionismo, si regge su un criterio che non è falsificabile e che pertanto non è scientifico. Quindi il falsificazionismo, che decreta ciò che è scientifico e ciò che non è scientifico, come può fare questo se si fonda su qualcosa che per la sua stessa definizione di scientifico non è scientifico? Questo è un modo per obiettare al falsificazionismo che usa la logica, la logica su cui si impiantano o vorrebbero impiantarsi tutte le metodologie scientifiche. Una metodologia scientifica che non poggi sulla logica crolla immediatamente, che non poggi sul principio primo in definitiva. Quindi il falsificazionismo come criterio di demarcazione scientifica deve la sua esistenza a qualcosa che non ha nessuna possibilità di essere un criterio scientifico, perché non è falsificabile. Sto dicendo che non è scientifico per la definizione che dà Popper di scientifico e cioè che deve essere falsificabile, se il principio primo fosse falsificabile il modus tollens non potrebbe essere utilizzato in nessun modo, il principio primo non è falsificabile perché se lo fosse allora qualunque cosa varrebbe quanto il suo contrario, ma non può essere falsificato perché falsificandolo appunto produce affermazioni auto contraddittorie. Poi c’era anche un’altra obiezione, quella che tiene conto della meccanica dei quanti e cioè del fatto che in quel caso specifico il falsificazionismo non garantisce niente, perché so dove si trova particella, ma non posso valutarne la velocità, cioè il campo del vero e del controllabile non coincidono: è vero che una particella ha una certa posizione ma non posso controllarne la velocità: posso verificarne la velocità senza la posizione? Ovviamente no, e questa è stata un’altra delle obiezioni che è stata rivolta al falsificazionismo di Popper. Questo per darvi un’idea di come funziona la scienza che non è altro che un gioco linguistico al pari di tutti gli altri, per questo la domanda più corretta non è tanto chiedersi se la psicanalisi sia oppure no una scienza ma “perché dovrebbe essere una scienza. La scienza dovrebbe, per sua definizione, dare la prevedibilità degli eventi, io ho una certa teoria, metto in moto una serie di meccanismi che devono produrre come effetto quella cosa, cioè se la teoria è corretta, questo nel falsificazionismo, allora si verifica quel fenomeno, se non si verifica allora la teoria è scorretta, cosa che, dicevo, già nella meccanica dei quanti non funziona più e anche in altri casi. Prendete per esempio il modus tollens degli stoici: “se è giorno c’è luce, non c’è luce dunque non è giorno” però non è così automatico che non sia giorno. La “conoscenza” vi dicevo, per questo ho fatto questo breve excursus sulla scienza: (pag. 412 di Nietzsche di Heidegger) La “conoscenza” è ritenuta nella storia dell’Occidente quel comportamento e quell’atteggiamento del “rappresentare” mediante il quale il vero viene colto e serbato come possesso (questa è la conoscenza per Heidegger) una conoscenza che non sia vera non è soltanto una conoscenza non vera ma non è affatto conoscenza. Nell’espressione “conoscenza vera” diciamo due volte la stessa cosa (nel senso che se è conoscenza è vera se no non è conoscenza) il vero e il suo possesso, in breve la verità nel senso dell’essere vero che è stato riconosciuto costituiscono l’essenza della conoscenza. Domandando che cosa sia la conoscenza si domanda in fondo della verità e della sua essenza, e la verità? Se questa e quest’altra cosa vengono prese e tenute per ciò che è, chiamiamo allora questo “tenere per tale” un “tenere per vero”, il “vero” vuol dire qui “quello che è”, “cogliere il vero” significa “prendere” “rendere” “passare ad altri” e mantenere l’ente nel rappresentare e nell’assentire così come esso è (questo è “tenere per vero” come avevamo già visto tra l’altro, “tenere per vero” significa che lo prendo per quello che è, che non significa che è quello che è ma lo prendo per quello che è, nel senso che lo rappresento così) il vero e la verità stanno in intimo riferimento all’ente, la domanda che chiede dell’essenza della conoscenza è in quanto domanda del vero e della verità una domanda che chiede dell’ente (quando ci si chiede se una certa cosa è vera è dell’ente che si sta parlando) la domanda che chiede dell’ente “che cosa esso sia come tale” domanda oltre l’ente ma al tempo stesso rifacendosi a esso (il fatto che vada oltre l’ente, cioè che cerchi un qualche cosa che dia garanzia, per esempio se “p” allora “q” questo “q” che arriva dopo “p” è qualche cosa che garantisce “p”, infatti se “p” è falso allora è falso anche “q”) la domanda della conoscenza è una domanda metafisica (è una domanda metafisica nel senso che di un qualche cosa chiede ragione prendendo un’altra cosa, la quale altra cosa dovrebbe dare ragione della prima) Se il pensiero della volontà di potenza di Nietzsche è il pensiero fondamentale della sua metafisica e l’ultimo pensiero della metafisica occidentale allora l’essenza della conoscenza cioè l’essenza della verità dovrà essere determinata partendo dalla volontà di potenza (qui sta dicendo una cosa importante per Nietzsche, certo, ma non soltanto perché in effetti per Nietzsche la volontà di potenza è l’essenza della verità, così come l’essenza dell’essere, l’essenza dell’ente, vi ricordate che Nietzsche aveva messo l’ente di sopra e l’essere di sotto, dando quindi la priorità all’ente, a questo punto non avendo più la necessità di trarre da altro la propria essenza, la propria enticità, da cosa la trae? La trae dalla volontà di potenza, è la volontà di potenza che dà valore all’ente, che lo pone come un valore) la verità contiene e da ciò che è l’ente in mezzo al quale l’uomo stesso è un ente, precisamente in modo tale da comportarsi in rapporto all’ente, in ogni comportamento l’uomo si attiene quindi in qualche modo al vero, la verità è ciò cui l’uomo aspira, ciò che egli esige che domini in ogni fare o non fare, in ogni auspicare e donare, esperire e plasmare, patire e recuperare, si parla di una volontà di verità (parlare di volontà di verità è parlare di volontà di potenza, per Nietzsche è la stessa cosa, perché voglio la verità? Per sapere? Sì, ma perché voglio sapere? Per dominare il mondo, per dominare su tutto, quindi per “potenziare” la potenza) L’uomo è il veneratore ma quindi anche il negatore della verità (qui una citazione di Nietzsche) La verità è già conseguenza di un’illusione (perché per lui, per Nietzsche, la verità è un’illusione) cosa è detto con ciò? Niente di meno che la verità stessa è un’illusione, una finzione, perché solo se le cose stanno così la venerazione della verità può essere la conseguenza di una illusione, se però nella nostra vita vive una volontà di potenza, se la vita significa potenziamento della vita, realizzazione sempre più alta della vita e quindi vivificazione del reale, allora la verità se è solo illusione, immaginazione, dunque qualcosa di irreale diventa derealizzazione, impedimento, annientamento della vita (è per questo che dice che l’uomo vuole la verità ma volendo la verità si annienta, perché la verità è appunto derealizzazione, diventa impedimento, perché la verità è un’illusione) ma la verità allora non è una condizione della vita appunto un valore ma un disvalore, ma che succede se cadono tutte le barriere tra verità e non verità e se tutto vale indifferentemente lo stesso ossia è ugualmente nullo? Il nichilismo diventa allora realtà, Nietzsche vuole il nichilismo oppure vuole riconoscerlo e superarlo come tale? Vuole superarlo. Se di conseguenza la volontà di verità dovesse essere propria della vita, la verità in quanto la sua essenza rimane illusione non può essere il valore supremo ci deve essere un valore, una condizione del potenziamento prospettico della vita che vale più della verità, in effetti, dice Nietzsche che l’arte vale più della verità (perché l’arte, per Nietzsche, è quella sorta di potenziamento che non ha necessità di verità, cioè non ha necessità di adeguarsi a qualche cosa). La fiducia nella ragione e nelle sue categorie nella dialettica quindi il valore che si da alla logica dimostrano soltanto la loro utilità provata dall’esperienza per la vita non la loro verità (“usare la logica come retorica”, perché la logica con tutti i suoi passaggi, tutti i suoi giochi, tutti i suoi artifici non giunge a niente, cioè non dice né può dire come stanno le cose, come diceva già Wittgenstein rispetto alla dimostrazione, per cui la logica è una forma di retorica, differente, con regole diverse ma è una retorica) Che ci debba essere un bel po’ di credenza, che si possa giudicare, che manchi il dubbio riguardo a tutti i valori essenziali è questo il presupposto di ogni vivente e della sua vita quindi è necessario che qualcosa debba essere “tenuto per vero” non che qualcosa sia vero (questo è tutto il discorso che abbiamo fatto e che ha fatto Heidegger, della necessità di “tenere per vero” cioè tenere fermo un elemento non perché quell’elemento è fermo ed è vero ed è quello che è, semplicemente, usando proprio la parola di Nietzsche, è un “comando”: tu sei quello che sei) Il mondo vero e il mondo apparente questa antitesi viene da me ricondotta (qui è Nietzsche che parla) a rapporti di valore, noi abbiamo proiettato le nostre condizioni di conservazione come predicati dell’essere in generale, abbiamo trasformato la necessità di essere stabili nella nostra credenza per prosperare, nel fatto che il mondo vero non è un mondo mutevole che diviene ma che è (questo è l’artificio per potere procedere, per potere procedere nel divenire, e ciò che è diveniente necessita di questa credenza, è un altro modo per dire che non c’è uscita dalla metafisica, in nessun modo, perché ho la necessità di stabilire che un elemento sia quello che è per potere procedere da lì verso un altro elemento e questo elemento è quello che è sempre in base a qualche altro elemento. Qui c’è un’altra citazione di Nietzsche) Il giudizio di valore “io credo che questo e quest’altro sia così” come essenza della “verità” (riprende Heidegger). Ogni parola, ogni corsivo, ogni variante e l’intera disposizione delle parole sono qui importanti, l’osservazione introduttiva rende superflui interi volumi di teoria della conoscenza se soltanto vi adoperiamo la calma, la resistenza e la radicalità della meditazione che un tale detto risulta per essere capito. Si tratta della definizione dell’essenza della verità (vi rileggo le parole di Nietzsche: il giudizio di valore “Io credo che questo e quest’altro sia così” come essenza della verità. Un giudizio di valore “io credo che sia così” questa è la verità, infatti dice Nietzsche: si tratta dell’essenza della “verità”). Nietzsche scrive qui la parola “verità” tra virgolette ciò vuol dire in breve la verità come la si intende comunemente da lungo tempo ossia nella storia del pensiero occidentale e come anche Nietzsche stesso non può non intenderla fin dall’inizio senza essere consapevole di questa necessarietà e della sua portata e tanto meno del suo fondamento (sta dicendo di nuovo che non c‘è uscita dalla metafisica).La definizione dell’essenza della verità che da Platone, Aristotele in poi domina da capo a fondo non soltanto l’intero pensiero occidentale ma in generale la storia dell’uomo occidentale fino alle azioni quotidiane, le opinioni e le rappresentazioni abituali, suona in breve: la verità è la correttezza del rappresentare dove “rappresentare” significa l’avere dinnanzi a sé l’ente percependo e opinando, ricordando e progettando, sperando e rifiutando, il rappresentare si conforma all’ente, si adegua e lo riproduce, “verità” significa l’adeguazione del rappresentare a che cosa l’ente è, a come è (questa è la definizione di verità nel discorso occidentale, né più né meno. Un altro capitolo: “La metafisica occidentale come logica”) Domandiamo della definizione nietzscheana dell’essenza della conoscenza, la conoscenza è cogliere e tenere saldo il vero, la verità e il coglimento della verità sono condizione della vita (tenete sempre conto che per Nietzsche le condizioni della vita sono le condizioni del super potenziamento, del “divenire”) La conoscenza si attua nel pensiero asseverativo che come rappresentazione dell’ente regna in tutti i modi della percezione sensibile, dell’intuizione non sensibile, in ogni specie di esperienza e di sentire ovunque e sempre in tali comportamenti e portamenti l’uomo si rapporta all’ente, ovunque e sempre ciò a cui l’uomo si rapporta viene percepito come essente, (qualunque cosa che è, è un essente, perché c’è oltre a essere un ente, cioè essere qualcosa, è qualche cosa ma è presente anche, in questo senso “essente”) “Percepire” vuol dire qui “prendere fin dall’inizio come essente in questo o in quel modo, come non essente o come altrimenti essente”. La metafisica occidentale cioè la meditazione sull’ente in quanto tale nel suo insieme, fin dall’inizio e per la sua intera storia determina l’ente come ciò che può essere colto e definito secondo i riguardi della ragione e del pensiero, in quanto ogni pensare abituale ha di volta in volta il suo fondamento in una figura della metafisica, il pensiero quotidiano e quello metafisico poggiano sulla fiducia di questo rapporto cioè sul fatto che nel pensiero della ragione e nelle sue categorie si mostri l’ente in quanto tale (questa è la scienza, questo è quello che fa la scienza, la scienza muove da questa idea che una data cosa sia quella che è, perché la mia percezione, che è fatta in un certo modo me lo mostra in questo modo, la mia percezione e tutte le fantasie annesse e connesse ovviamente, mi danno la fede che la cosa sia così e devo pensare che sia così per poter conoscere, manipolare, elaborare l’ente, la metafisica occidentale si fonda su questo primato della ragione, la ragione non è altro che la fede nel rapporto tra l’ente e la mia percezione, nel fatto che appunto la ragione e le sue categorie mostrino l’ente per quello che è). La metafisica occidentale si fonda su questo primato in quanto il chiarimento e la determinazione della ragione può e deve essere chiamata “logica” , si può anche dire: la metafisica occidentale è anche logica, l’essenza dell’ente in quanto tale viene stabilita nell’orizzonte del pensiero le cui leggi del pensiero sottointeso costituisco la logica. La fiducia nella ragione e nelle sue categorie, nella dialettica quindi il valore che si dà alla logica dimostrano soltanto la loro utilità provata per l’esperienza per vita non la loro verità. Soltanto ciò che il pensiero razionale rappresenta e pone al sicuro può pretendere il suggello di “ente essente” e cioè in seguito alla fede nella ragione allora il pensiero che si dice, si proclama razionale da il suggello di “ente essente” di qualche cosa in base alle sue categorie, in base alla sua fede in queste categorie, che non sono il vero (l’ha ripetuto varie volte ma ciò che io credo essere vero, ciò che stabilisco essere vero, è ciò che comando essere vero) Il tribunale unico e supremo nel cui orizzonte e sotto la cui giurisdizione si decide che cosa sia essente e che cosa non essente è la ragione, la ragione ha la predecisione estrema su che cosa vuol dire essere. Questa fiducia nella ragione e nel pensiero così intesa sta al di qua della valutazione di volta in volta vigente dell’intelletto, il rifiuto dell’intellettualismo della degenerazione dell’intelletto sradicato e privo di fini accade ogni volta richiamandosi al sano intelletto umano dunque d’accapo a un intelletto cioè ricorrendo al razionalismo (come dire la critica al razionalismo è razionalista) Se un procedimento, una misura, una istanza sono provati o affermati come logici valgono come corretti cioè vincolanti, ciò di cui si può dire che è logico impressiona (quante volte nella discussione se uno riesce a formulare una cosa in modo logico questa cosa è immediatamente creduta vera. Perché? Perché si confà alle leggi del pensiero rispetto alle quali esiste una fede salda e incrollabile, questa fede nelle leggi del pensiero è una fede metafisica) Logico qui non vuol dire pensato secondo le regole della logica scolastica ma calcolato in base alla fiducia nella ragione. La verità della conoscenza consiste nell’utilità della conoscenza per la vita, con ciò è detto in termini assai chiari: vero è ciò che frutta una utilità pratica e la verità va valutata soltanto secondo il grado di utilizzabilità, la verità non è affatto qualcosa per sé che poi viene anche valutato ma consiste soltanto nella valutabilità di un utile conseguibile. (questa è per Nietzsche la verità, ma precisa subito dopo) “Che cosa è utile” significa qui solamente che rientra tra le condizioni della vita, è utile per la volontà di potenza (per questo dice che la volontà di potenza è ciò che determina la verità, ma la determina soltanto per questo scopo, perché la verità in sé è niente, ma diceva prima “la logica impressiona” quindi è utile, ecco perché dicevo “usare al logica come retorica” perché è potente come retorica, ma come retorica, non come strumento di conoscenza di questa ipotetica realtà delle cose o verità. Come sapete la logica distingue tra “validità” e “correttezza” di un enunciato. Un enunciato è valido ma non necessariamente corretto, perché è valido unicamente per la sua forma logica, perché sia corretto occorre che oltre la validità della forma logica sia anche una validità semantica per cui un enunciato valido può anche non essere corretto, ma un enunciato corretto è necessariamente valido. Tutte queste regole, che passano come leggi del pensiero, in realtà sono soltanto degli strumenti utilizzati per costruire delle sequenze che si adeguino alla fede che si ha in queste procedure, si è acquisita una fede in queste procedure, ma si è acquisita da quando? Da quando gli umani hanno avuto la necessità, e qui Nietzsche mi darebbe assolutamente ragione “hanno avuto la necessità di imporsi su altri”, a questo serve la logica, a imporsi su altri, questo è propriamente nietzscheano). Nietzsche non vuole dire che le conoscenze della fisica sono vere perché e in quanto sono adoperabili per la vita quotidiana, per esempio per la fabbricazione di un impianto elettrico che d’inverno riscalda le stanze e d’estate le rinfresca infatti le utilizzazioni pratiche sono già la conseguenza ulteriore del fatto che la conoscenza scientifica è in quanto tale utile, lo sfruttamento pratico diventa possibile soltanto in base all’utilità teorica. Che cosa significa allora qui “utilità”? significa che la conoscenza scientifica e il pensiero della ragione pongono e hanno posto come essente qualcosa cioè la natura in un senso che pone al sicuro fin dall’inizio il padroneggiamento tecnico proprio dell’età moderna cioè il passaggio dalla scienza alla tecnica. La scienza dice “come” acquisire quegli elementi per il superpotenziamento, la tecnica è quella che li accumula, li mette a riparo e li produce (la tecnica nella definizione di Heidegger più comune non è altro che la produzione di mezzi in vista di fini, e quindi il padroneggiamento è il porre al sicuro, “porre al sicuro” sarebbe ciò che lungo il divenire a un certo punto viene fermato saldamente e acquisito e messo al sicuro. “Messo al sicuro” come? Attraverso la scienza che non è altro che possedere e mantenere qualcosa). Qui correttezza significa adeguatezza del rappresentare all’ente (qui “correttezza” non è nell’accezione di cui vi dicevo prima, l’accezione della logica formale) in ciò è insito prima di ogni altra cosa questo che il rappresentare vero è un rappresentare l’ente (se è vero è perché rappresenta l’ente non il contrario) ma come ciò possa accadere, come sia possibile la correttezza e in che cosa essa quindi consista? Questo è ancora un problema soprattutto rimane da domandare se la correttezza consista nel fatto che le rappresentazioni nella psiche si presentino come immagini copia degli oggetti esterni alla psiche, c’è da domandare se la corrispondenza speculare delle nostre rappresentazioni interne con gli oggetti esterni possa mai essere stabilita, e da chi? L’adeguazione speculare degli oggetti può essere stabilita seguendo un’unica via che, a tal fine, gli oggetti stessi arrivino in essa a darsi ma questo accade unicamente se ce li rappresentiamo cioè se ne abbiamo in noi delle rappresentazioni, si ripropone da capo se queste rappresentazioni degli oggetti sulle quali deve essere valutata l’adeguatezza sia l’immagine copia degli oggetti oppure no, in breve e guardando all’essenziale rimane da domandare come vada concepita l’essenza della correttezza che coglie a sua volta sotto a un riguardo l’essenza della verità, come sia da intendere l’adeguatezza all’ente (quando si parla di verità come adæquatio rei et intellectus, questa adeguatezza di che cosa è fatta? Chi la stabilisce? In base a che cosa?).