INDIETRO

 

9  Settembre  1999

 

Tenendo conto delle ultime cose che andiamo elaborando, stavo considerando che nelle conferenze ma non soltanto, si tratta non tanto di partire dalla struttura del discorso quanto dalla fantasia di ciascuno, spiego meglio: la volta scorsa dicevamo del discorso ossessivo, paranoico, si facevano alcune considerazioni, però la questione che mi stavo ponendo è se, per esempio, in un’analisi, ma non soltanto, si tratti di muovere dalla struttura del discorso in generale oppure da una struttura particolare. Sino ad oggi abbiamo seguito la prima via, cioè partendo dalla struttura del discorso in generale, cioè come funziona il discorso, però c’è l’eventualità che questo sia il punto d’arrivo. Muovere invece da una struttura particolare del discorso, cioè dal modo in cui viene praticato.

Questo può risultare essenziale, primo per rendere, per esempio, di fronte ad un pubblico il discorso che andiamo facendo meno astratto, secondo è quella di consentirci di ripetere in modo più preciso intorno non a come si costruisce, come si struttura un linguaggio ma il come lo si fa. Questo, naturalmente, comporterà una virata, diciamo così, come di fatto sta già avvenendo, più marcata verso l’aspetto clinico della nostra elaborazione, aspetto clinico di cui, peraltro, ci occupiamo poi in modo molto dettagliato nelle conferenze. Conferenze che, come abbiamo ormai stabilito, poggeranno, in prima serata, nel racconto di un caso clinico e nella seconda serata l’analisi di questo caso clinico.

Intervento: Io volevo sapere anche, qualcosa a proposito dell’eventuale collegamento tra l’analista della parola e il sogno, caposaldo freudiano.

Come usare i sogni? I sogni in un analisi vengono utilizzati come un racconto alla pari di qualunque altro, in più i sogni hanno un lieve vantaggio rispetto ad altri racconti, che muovono da una scena che, talvolta, non è riconosciuta dal parlante come propria, in alcuni casi viene addirittura sconfessato un sogno. Questo dà l’occasione per acquisire del materiale che, in altre circostanze, è difficile da reperire. Può mostrare, per esempio, una fantasia, un desiderio in modo più esplicito. Questa è la funzione del sogno, una portata particolarissima.

Intervento: intendevo dire come si situa per l’analista della parola? Perché è difficile, chi si ricorda le parole di un sogno? A volte sì, a volte no.

Si considerano un racconto e, quindi, questo racconto del sogno viene considerato alla pari di qualunque altro racconto.

Intervento: Viene sottoposto così, diciamo, ad una verifica linguistica.

Sì, se io sogno una certa cosa sono assolutamente responsabile di ciò che ho sognato, contrariamente a quanto avviene di solito, no? Ne parlavo l’altra sera con Cesare, l’aspetto fondamentale nel lavoro che andiamo facendo è che qualunque cosa io faccia, pensi, dica l’essenziale è che io me ne assuma la responsabilità e, quindi, mi riconosca responsabile di questa decisione. Se qualcuno fa una certa cosa e io reagisco in un certo modo, non è tanto se ho fatto bene o se ho fatto male, ma pormi come responsabile della mia azione. Questa responsabilità comporta una decisione, quindi mi comporto in questo modo perché ho deciso così.

Io ho sognato questo perché ho deciso così.

Intervento: È difficile dire "ho sognato così perché ho deciso così".

È la questione del discorso. Perché è il discorso che lavora. È una decisione mostrare una certa fantasia. Questa della responsabilità è sempre una questione in primo piano, una questione delle più ardue da affrontare ma soprattutto da accogliere.

Da qualche parte la maggior parte delle persone si sente totalmente irresponsabile in moltissimi casi.

Intervento: Però, la maggior parte delle persone si reputa irresponsabile delle cose perché non crede che sia arrivato così dal nulla, crede che sia il sistema.

Sì, certo. La struttura del discorso religioso. Il discorso occidentale funziona così. Bisogna porre le condizioni per cui una persona non sia più costretta a pensare così, ché altrimenti, effettivamente, è costretta a pensare così. Uno dice "penso così perché non c’è nessun altro modo possibile", tutti gli altri modi, quelli praticati, generalmente praticabili, sono perfettamente funzionanti, così come la rivoluzione, la rivolta.

Intervento:…

Ora, quindi, la questione su cui stiamo lavorando, dicevo, è questa: muovere dalla fantasia, muovere dal modo in cui un discorso è posto in atto. Freud ha elencato quattro modi prevalentemente, attraverso queste figure, ossessivo, paranoico, isterico, schizofrenico. Questi sono i modi in cui generalmente si svolge il discorso, però possiamo muovere da queste figure sempre tenendo conto che possiamo aggiungerne o toglierne all’occorrenza. Possiamo partire da qui. Questi sono i modi in cui il discorso viene praticato, cioè si costruisce. Sono delle costruzioni. Il discorso può costruirsi in diversi modi, questi quattro sono quelli che nel discorso occidentale sono più praticati.

Di questo occorre tenerne conto, per cui se una persona si trova nel discorso ossessivo o paranoico, muovere dalla costruzione che è fatta, cioè dell’utilizzo, fra virgolette, che viene fatto del linguaggio, più propriamente da come si è costruito, configurato. Perché è fondamentale, in un’analisi, dicevo non soltanto che venga individuata in modo più preciso possibile questa configurazione che si è costruito il discorso. Questo determina poi anche la condotta che terrà l’analista di fronte ad una costruzione oppure un’altra. Che cos’è questa condotta? Non è altro che la risposta alla fantasia del discorso che ha di fronte, in modo tale che il discorso che ha di fronte, trovi una sorta di argine.

Per esempio, detto in modo molto rozzo, è chiaro che bisogna elaborare molto meglio, ma con il discorso ossessivo l’analista deve mantenere la distanza ma senza superiorità, senza mostrarsi superiore. Nel discorso paranoico fa esattamente il contrario, mostra superiorità ma senza distanza. Detta così può apparire un po’ rozza la cosa ma, una cosa del genere che funzione ha? Sempre tenendo conto che, la funzione dell’analista è quella di porre le condizioni per cui una persona imponga il suo discorso, no? La funzione, dunque, di un’operazione del genere, di una condotta di questo tipo, verte intorno alla necessità, di fronte ad una fantasia, di fronte ad una configurazione particolare del discorso, di mantenere. È un po’ quello che dicevamo la volta scorsa, mantenere da una parte la paura ma dall’altra anche qualcosa che consenta di non fuggirla. Per esempio, nel discorso ossessivo la paura è quella di essere coinvolto, quindi mantenere la distanza, ma, al tempo stesso, ciò che teme di più è di essere sopraffatto, quindi, non c’è bisogno di esibire superiorità, lo metterebbe in condizioni in molti casi di fuga.

Intervento: Accade qualcosa di simile, credo, con il discorso paranoico, nessuno dei due accetta una sopraffazione, no?

È il contrario. Col discorso paranoico è preferibile mostrare una certa superiorità perché questa è la paura, soprattutto nel discorso paranoico. Ma ciò anche che attira, cioè il fatto di trovare qualcuno che sia più forte in modo da poterlo confutare, per esempio. Se, alzando il tiro, questa superiorità non può essere scalfita ecco che continua questa operazione, è comunque interessato alla sua fantasia di raggiungere l’altro e di scalzarlo dalla sua posizione, però senza distanza perché la distanza urta e, quindi, si sottrae.

Mentre in analisi, è essenziale che l’analisi prosegua, quindi bisogna fare in modo che non si sottragga.

Stavi dicendo che una condotta del genere mira a tenere la persona vincolata al suo discorso, perché frustra da una parte il tentativo di demolire e, al tempo stesso, lo stimola.

Diciamo che non trova mai il momento per dire: "Ho vinto", quindi l’ho abbattuto. Nel discorso, per esempio, paranoico è uno come gli altri, non è quindi una persona particolare, nel discorso ossessivo, invece, è quello di farlo cadere nella sua trappola. È preferibile che un analista non cada in qualche trappola, ma se ne mantenga al di fuori, perché soltanto da questa posizione può intervenire.

Quindi, ecco forse una serie di riflessioni che possono indurci anche a considerare una condotta di un analista rispetto a delle particolari configurazioni del discorso con cui si trova ad avere a che fare, visto che si tratta, dicevamo tempo fa, d’inventare una tecnica che non esiste. Un modo per intervenire più deciso, più sicuro. Quando dicevo tempo fa di reperire delle specie di algoritmi nel discorso che andiamo facendo, intendevo proprio questo.

Mostrare come esattamente occorre fare rispetto ad un particolare tipo di discorso visto che sono molto differenti i discorsi l’uno dall’altro non è possibile muoversi nello stesso modo.

Intervento:…

E, quindi, data la differenza notevolissima dei discorsi fra loro, non si tratta più a questo punto di muovere dalla struttura del discorso ma di porre le condizioni perché ciascuno di questi discorsi possa avvicinarcisi, qualcosa del genere.

Ciò che abbiamo inventato, possiamo considerarlo anche così, non è un punto di partenza ma un punto d’arrivo.

E, pertanto, muovere dalle fantasie. Da tutto ciò che scatena il modo in cui una persona agisce o reagisce e cioè che cosa lo pilota ciascuna volta a dire, fare e comportarsi in un certo modo.

La questione della tecnica, è fondamentale. Cos’è una tecnica? La tecnica analitica occorre che sia una serie di algoritmi, no? Questi algoritmi non sono altro che un modo di procedere in presenza di determinate condizioni che in questo caso sono la configurazione particolare del discorso. Ora bisogna anche tenere conto che il discorso non è così puro, per così dire, non è mai perfettamente ossessivo, perfettamente paranoico, ci sono continue variazioni di cui l’analista deve tenere conto. Ma si porrà sempre comunque di fronte alla fantasia che sta operando, come se fosse questo l’interlocutore, la fantasia, nient’altro che questo, e cioè ciò che sta pilotando il discorso.

Dunque una serie di algoritmi, di proposizioni. Di preposizioni che consentono di fronte ad una particolare configurazione di individuare immediatamente qual’è la fantasia che sta operando come muoversi, proprio anche come condotta, nei confronti di questa fantasia, ma soprattutto volgere tale fantasia su se stessa. Mi spiego meglio: immaginate una qualunque fantasia di qualunque tipo, questa fantasia tende a proiettarsi verso l’esterno, no? E cioè la supposizione che l’altro sia sempre e comunque un parametro con cui misurare la propria esistenza, che si diceva è una fantasia delle più diffuse.

Intervento: Molto noiosa, anche.

Sì, è tra le più praticate. Ma rivolgere su se stessa comporta che la fantasia, il pensiero sia portato alle estreme conseguenze, cioè in altri termini ancora, possa mostrarsi a tale fantasia, a tale discorso, che, in effetti, ciò che preme, ciò che pensa non è molto, come dicevo prima fare il verso, in un certo senso, mostrare che se vogliamo prendere le cose in senso drammatico, le cose sono sempre peggio di come s’immagina, e che le peggiori previsioni, le peggiori fantasie sono acqua di rose. Questo fare il verso è una questione che forse merita di essere ripresa perché io l’ho accennata molto così per sommi capi ma quando dico fare il verso ad una fantasia, intendo dire prenderla talmente tanto sul serio che la persona stessa che avete di fronte comincia a non riconoscerla. Prenderla sul serio è come se ciò che la persona enuncia fosse assolutamente vero e, quindi, occorre che si muova di conseguenza. Come se ancora voi stessi per la questione clinica psicotizzaste. Psicotizzare la questione comporta nient’altro che portarla alle estreme conseguenze, cioè tu credi questo allora se credi questo, allora necessariamente credi anche quest’altro e, quindi, devi muoverti di conseguenza. Ora nessuna persona fa una cosa del genere, non la fa perché per quanto le fantasie pilotino il discorso comunque non sono prese sul serio. Non sono prese sul serio perché non sono considerate come tali. Se uno considera la propria fantasia come qualcosa di reale non la prende sul serio, perché immagina che sia un’altra cosa. Prenderla, invece, sul serio è considerare la fantasia reale, ma reale nel senso che è effettivamente una costruzione del linguaggio. Quindi, se crede questo vuole che ci si attenga a questo, e se crede in quest’altro allora crederà in quest’altro ancora.

Questo intendo quando parlo di portare un discorso alle estreme conseguenze. Fare una sorta di verso alla psicotizzazione. Chiaro che, posta così in questi termini, non può giungere alla psicotizzazione. Se la fantasia è presa sul serio, non realisticamente, ma presa sul serio, dire che questa fantasia è posta come una struttura che comincia ad essere considerata, e considerare la fantasia come una struttura è esattamente il contrario della psicotizzazione.

Intervento:…

Esattamente. Diventa il reale.

Intervento:…

Esattamente. Infatti, si parlava di fare una sorta di verso della psicotizzazione, utilizzare una cosa del genere per evitare che accada la messa in atto.

Intervento: Stavo pensando che effettivamente è così, perché se ci avessi creduto più di tanto non sarei stata qui.

Nel senso che io ho un ottimo senso dell’ironia, l’unica mia ricchezza forse e forse questo mi ha salvato, proprio l’ironia, altrimenti avrei proprio preso sul serio tutto.

Sì, nel discorso che ho fatto io la struttura si dissolve quando ci sono le condizioni perché tale fantasia diventi, non soltanto l’ironia non è sufficiente, occorre anche che la fantasia si strutturi in un certo modo.

Intervento:…

Come si diceva tempo fa, forse la volta scorsa, Cesare diceva, no? Che, in effetti, in alcuni casi, portando una certa situazione al colmo, si trasforma in qualcosa di grottesco.

Intervento: Questo richiede una grande abilità da parte dell’analista.

Certo. Non sono affatto semplici. Però, trovare il modo, invece, per renderli semplici è una scommessa. Semplice e praticabile. Ché non si tratta di praticare l’analisi così come stiamo facendo ma, spingendola ancora di più, cioè caricando ancora di più alcuni aspetti. Dicevamo, forse la volta scorsa o quella precedente, che non si tratta, per esempio, nelle conferenze di porre una differenza tra la psicanalisi così come la stiamo praticando, caso mai porre la questione in termini radicali, cioè la psicanalisi è questa, non ce ne sono altre possibili.

Intervento:…

Ma, approfittando proprio di un’ignoranza da parte delle persone può essere preferibile anziché confondere le idee che già sono confuse, cioè dire questa è la vecchia psicanalisi, questa è la nuova, no: questa è la psicanalisi, chiaramente utilizzando delle figure note, note nella vulgata psicanalitica.

Intervento:…

Cioè, fare la stessa cosa anche nella pratica cioè prendere straordinariamente sul serio la fantasia, ma immediatamente caricandola. Caricandola resta una fantasia. Cioè, come avviene in taluni casi, cercare di smussarla, di ridimensionarla. Il più delle volte avviene così, invece no, portarla alle estreme conseguenze, nell’accezione che indicavo prima.

Intervento:…

In effetti, si tratta di mettere in atto una cosa del genere, cosa che, soprattutto nella prima parte dell’incontro, mostrare o, meglio, discutere qualcosa che può essere utile anche ad altri nella pratica analitica là dove si discuterà il caso analitico, in un certo senso.

Mostrare che cosa fa l’analista, come interviene e perché. La questione del perché un intervento anziché un altro è una questione antica nella teoria della psicanalisi. Trovare questi algoritmi di cui dicevo per risolvere il problema in modo radicale.

Intervento:…

Buona parte dei casi clinici inventati, dicevo, oppure alcune cose tratte dall’esperienza o prese anche da Freud. Utilizzare la famosa figura dell’auctoritas. I vari casi, può essere il caso di Dora o l’uomo dei topi. Un caso che reputiamo interessante rispetto alle cose che dobbiamo dire, e poi, l’analisi, l’analisi che consisterà propriamente nel mostrare come, in un caso del genere, occorra intervenire rispetto a ciò che si sta dicendo, cioè rispetto alla fantasia che è in atto. Per cui il lavoro che faremo giovedì sarà parallelo, in un certo senso, alle conferenze di modo che viaggino a fianco, però questo è dedicato espressamente alla questione clinica, che mi pare sia urgente.

Va bene, ci vediamo giovedì prossimo e proseguiamo con questa elaborazione e poi io vedo di preparare un depliant per giovedì prossimo.