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9-7-2014

 

Intervento: interessante certamente, uno strumento, però ci sono due punti cioè quando lei dice che tutto è esprimibile con il linguaggio io non condivido, un po’ a priori perché penso che nulla sia esaustivo, poi perché non credo sia tutto esaustivo a livello semantico … la poesia e poi la bellezza, perché se tutto fosse a livello semantico … Poi ho trovato interessante la chiave di lettura e mi chiedevo se si poteva applicare alla quotidianità … Per quanto riguarda il “senso della vita” è qualche cosa che diamo noi… la scelta delle cose, questa scelta riguarda o dipende dalle cose dell’infanzia, come i salmoni che vanno contro corrente, contro ogni pericolo…

La seconda parte delle sue considerazioni è l’argomento di cui volevo parlare questa sera, per quanto riguarda la prima parte, a Greimas non interessa stabilire delle affermazioni universali, semplicemente considera, questo a riguardo del fatto di ciò che è dicibile e di ciò che non lo è, che se qualche cosa appartiene al linguaggio, proprio perché appartiene al linguaggio e quindi è inserito all’interno di una struttura, è dicibile da questa struttura, non può non essere dicibile. La considerazione che fa Greimas è molto semplice in effetti e anche la lettura anagogica della Commedia di Dante, cioè quella spirituale, anche quella comunque è fatta di proposizioni, di sequenze, se no non sarebbe niente. Per quanto riguarda le emozioni queste vengono create appositamente, lo stile serve a questo, a creare emozioni. Nel testo lo stile si manifesta attraverso particolari connessioni, contiguità di elementi eccetera, per esempio nel cinematografo attraverso immagini e altre cose, usa altri strumenti ma l’idea è di produrre delle emozioni. Nel caso di un testo queste emozioni vengono prodotte da sequenze: lei legge e ciò che legge evoca delle cose, se uno è bravo riesce effettivamente a scrivere in modo tale che ciò che scrive evochi quello che addirittura lui vuole che sia evocato, se è bravo, se no non ci riesce, però questa evocazione rientra in ogni caso all’interno di un sistema linguistico, gli accostamenti per esempio che fa l’autore tra gruppi di parole o di proposizioni è fatto apposta per produrre altri gruppi, è come se “sapesse” tra virgolette, non lo può sapere con certezza certo, che costruendo una sequenza in un certo modo questa sequenza per connessione produrrà un’altra sequenza che è l’effetto che lui vuole ottenere. È un po’ come avviene, l’abbiamo visto, rispetto alle barzellette, ai motti di spirito, lì la cosa è molto più semplice ovviamente, non so se si ricorda delle isotopie nascoste, un bravo scrittore riesce a costruire un testo in modo da inserire delle isotopie nascoste nel testo ma reperibili, reperibili da chi lo legge e reperendo queste isotopie non sono manifeste nel testo, producendo queste isotopie produce l’effetto che lui vuole, perché questa isotopia nascosta che il lettore riesce a recuperare, è quella che produce in lui l’effetto che l’autore vuole che si produca. Non è un procedimento scientifico propriamente, così come si intende “scienza” comunemente, però in molti casi, come dicevo prima, se un autore è bravo riesce a fare questo…

Intervento: una manipolazione…

Qualunque romanzo in qualche modo la manipola, qualunque discorso che sente anche per strada potrebbe essere una manipolazione, anche se magari non è fatta intenzionalmente, con “manipolazione” in genere si intende questa operazione ma fatta per uno scopo, cioè il suo interesse. Non è facile manipolare, si può fare certo, la retorica in parte ha questo obiettivo, la manipolazione delle persone, cioè dire le cose in modo tale che ciò che si dice produca degli effetti che conducano chi ascolta a comportarsi nel modo che si vuole che si comporti, non è semplice, perché ci sono tante variabili. Dante conosceva la linguistica, infatti ha scritto molto sul linguaggio nel De Vulgari Eloquentia, era attento a questioni linguistiche, lui e altri che in quel periodo stavano lavorando sul linguaggio. Ora l’ultimo scorcio che vi proporrò questa sera riguarda una questione che mi è parsa importante per le aperture che può proporre. Greimas si pone una questione e cioè gli pare che tutto ciò che abbiamo detto intorno alle funzioni attanziali: soggetto, oggetto, aiutante, oppositore, destinante, destinatario, è come se cercasse di ridurle ancora in un certo senso, perché non è proprio così, tant’è che poi in un suo scritto che si chiama Del senso articola molto di più la questione degli attanti, fa moltissime precisazioni e non riprende più molto questo che sto per dirvi, però dice che c’è una sorta di opposizione in questa scena attanziale, quindi nel racconto, in un qualunque racconto, tra la stipulazione di un contratto e la rottura di un contratto, nel senso che qualcuno vuole qualche cosa però al tempo stesso questa cosa che vuole viene negata dice infatti: A /A negata. La A sarebbe la stipulazione del contratto che si oppone alla cancellazione del contratto, questa opposizione tra l’instaurazione del contratto sociale e la rottura di esso, la rottura del contratto assume un’altra significazione positiva l’affermazione della libertà dell’individuo, come dire che in questa rottura del contratto lui vede la manifestazione della libertà della persona, il soggetto può anche opporsi al comando o all’invito del destinatore, cioè il destinatore dice di fare delle cose ma lui può anche non farle, ma lui parla addirittura di scontro tra l’aiutante e l’oppositore questa lotta è immediatamente seguita dalla funzione adempimento” che significa vittoria dell’aiutante sull’oppositore cioè dalla distruzione del termine negativo a vantaggio dell’unico termine positivo tenete sempre conto che sembra che parli di persone ma in realtà questi attanti sono sememi, questo l’ha detto in modo molto esplicito e il semema non è altro che la relazione tra un nucleo semico e i semi contestuali, non è qualcuno, può anche essere qualcuno ma anche qualcuno è sempre comunque un semema, una parola, dice comunque che a suo parere c’è una sorta di lotta, una lotta che ha degli effetti risulta chiaro che il racconto, un racconto popolare russo sottoposto all’analisi funzionale che si propone di determinare la natura delle relazioni tra le funzioni entro una manifestazione del discorso, è in sostanza suscettibile di una duplice interpretazione rivelando l’esistenza di due tipi di modelli immanenti, la prima rende ragione di un modello costituzionale che sembra essere una forma protocollare di organizzazione dei contenuti assiologici contraddittori presenti come insoddisfacenti e inevitabili, la seconda rende invece esplicita l’esistenza di un modello trasformazionale che offre una soluzione ideologica, una possibilità di trasformazione dei contenuti investiti sta dicendo semplicemente questo: individua due strutture immanenti, l’ una che sembra essere quella tradizionale , quella sostenuta da tutti, quella avallata da tutti, condivisa, quella “protocollare dei contenuti assiologici”, cioè un sistema di valori ufficialmente riconosciuto quindi stabile, sicuro, fermo; l’altra invece vede in questa struttura di valori qualche cosa da combattere, qualcosa cambiare. Questa possibilità di una duplice interpretazione non fa altro che sottolineare il gran numero di contraddizioni che possono essere contenute nel racconto, esso è contemporaneamente affermazione di una permanenza e delle possibilità di mutamento, sarebbero i reazionari e i rivoluzionari per dirla in modo rozzo e buffo, affermazione dell’ordine necessario e della libertà che spezza o ristabilisce quell’ordine e tuttavia quelle contraddizioni non sono immediatamente visibili perché anzi il racconto dà un’impressione di equilibrio e di neutralizzazione delle contraddizioni, – dice lui, durante lo svolgimento del racconto che tutto fili liscio, non ci siano grossi intoppi, se ci sono, beh sì certo, ci sono, perché vengono creati per aumentare la tensione, per esempio quella funzione della tragedia che Aristotele chiamava “catastasi” che sarebbe l’effetto ritardante, cioè qualcuno impedisce all’eroe di raggiungere il suo obiettivo, poi c’è la “catastrofe” e la “catarsi” finale, questo in Aristotele, e Greimas non è Aristotele … ci sembra possibile raggruppare questo genere di racconti, generalizzando forse in modo eccessivo in due grandi classi: i racconti ove l’ordine presente è accettato e i racconti ove l’ordine presente è rifiutato – sono come un’altra classificazione molto generale, molto generica anche del racconto, secondo lui i racconti possono dividersi grosso modo in due posizioni dove nell’una l’ordine presente è accettato, nell’altra rifiutato - nel primo caso il punto di partenza sta nella constatazione dell’esistenza di un certo ordine e nel bisogno di giustificare e di spiegare quell’ordine, per esempio l’ordine che esiste e che è superiore all’uomo perché è un ordine sociale e naturale, per esempio l’esistenza del giorno e della notte, dell’estate e dell’inverno, degli uomini e delle donne, dei giovani e dei vecchi, degli agricoltori e dei cacciatori eccetera tutto questo viene spiegato a livello dell’uomo,- questo renderebbe conto di un ordine immanente naturale e quindi inamovibile, necessario, per esempio l’ordine del giorno e della notte, delle stagioni, l’ordine naturale delle cose – la ricerca e la prova sono comportamenti umani che hanno instaurato tale o tal altro ordine, la mediazione del racconto consiste nell’umanizzare il mondo, nel dare una dimensione individuale e storica, il mondo è giustificato dall’uomo, l’uomo è integrato nel mondo, - come dire che questa spiegazione naturalistica non fa nient’altro che dire che la natura è così, l’uomo è naturale dunque anche l’uomo segue delle leggi naturali inesorabilmente, quindi non può che attenersi a un ordine naturale che è preesistente e immanente, in questo modo verrebbe giustificato l’ordine esistente. Il richiamo alla natura è usato molto spesso per altro da quella che in politica una volta si chiamava la “reazione”. I reazionari sono coloro che vogliono mantenere le cose come stanno, spesso l’appello era proprio alla natura come qualcosa di stabile, di fisso e soprattutto che trascende gli umani e qualcosa rispetto alla quale gli umani non possono fare niente, possono gli umani cambiare le stagioni? Cambiare il giorno e la notte?, - nel secondo caso invece l’ordine esistente è considerato come imperfetto l’uomo come alienato, la situazione come intollerabile – pensate al marxismo – in questo caso lo schema del racconto si proietta come un archetipo di mediazione, una promessa di salvezza, occorre che l’uomo, l’individuo si sobbarchi la sorte del mondo che lo trasformi in una successione di scontri e di prove, il modello presentato dal racconto rende così ragione di varie forme di soteriologia - la soteriologia è la dottrina della salvezza, è un concetto religioso per lo più, - proponendo la soluzione di ogni situazione intollerabile e di mancanza - quindi queste due forme: una dice che la natura è così e quindi non si può cambiare e le cose devono stare come stanno, l’altra invece rileva che quest’ordine è intollerabile e che dunque deve essere modificato. Ora a questo punto ecco la questione, è come se Greimas qui “come se” perché non lo fa, lo sto facendo io, riducesse ancora gli attanti da sei a due, questa riduzione consente di porre l’accento sul motivo per cui si avvia un qualche cosa e il come questo motivo sia anche l’obiettivo di tutto il percorso, come dire ancora che ciò che funziona come “destinatore”, cioè ciò che muove tutto il processo narrativo nel caso di Greimas, desidera qualche cosa, vuole raggiungere qualche cosa, che potremmo dire a questo punto, essere quasi una sorta di ristabilimento dell’ordine. Lui lo dice a un certo punto: c’è la rivoluzione per ristabilire un ordine, c’è un ordine e questo ordine viene sovvertito per stabilire un altro ordine, lascia quasi intendere che un ordine sia necessario, un qualsivoglia ordine adesso non ci interessa di che tipo, lo stesso marxismo, la stessa rivoluzione francese hanno ristabilito un ordine, lasciamo stare in quale modo ma l’hanno ristabilito, ora pensate a questo, non pensate più ai personaggi, gli attanti come personaggi ma semplicemente, come dice Greimas, come sememi, come parole: c’è una parola che ad un certo punto viene messa in discussione, l’ordine sovvertito, questa parola sembrava che avesse una sua ragione d’essere, un suo significato preciso, una sua “natura”, questa natura, questo ordine stabilito viene in qualche modo, per qualche motivo, compromesso, viene sovvertito e si ristabilisce un ordine, un’altra parola. Che cos’è che ci induce a pensare tutto questo? Un elemento linguistico, una parola, compie un percorso per giungere a un qualche cosa, un qualche cosa che la conferma in un certo senso, conferma o la stessa parola oppure ne propone un’altra; badate bene, questo processo è qualche cosa che va al di là di ciò che avviene in un racconto, in una narrazione, certo lì è più evidente forse, anche perché è voluto esplicitamente ma anche in una teoria come quella marxista avviene esattamente questo, anzi qui da qualche parte nel testo di Greimas c’è proprio uno schema che riguarda esattamente la lotta di classe allora- : l’ideologia marxista a livello del militante potrebbe distribuirsi per il desiderio di aiutare l’uomo in modo parallelo, allora qui ci sono i sei attanti e dall’altra parte ci mette i personaggi – gli attanti non sono persone, personaggi sono delle funzioni, quindi il “soggetto” che è l’uomo, l’“oggetto” che è la società senza classi, il “destinatore” è la storia, il “destinatario” è l’Umanità, è l’Umanità che vuole destinare l’uomo in questo obiettivo alla storia, l’“oppositore” è la borghesia, l’ “aiutante” è il proletariato. Questo è lo schema che fa Greimas per rendere conto per esempio rispetto a un’ideologia come quella marxista del funzionamento delle sue funzioni attanziali. Ma proviamo ad astrarre la cosa da un racconto o da un’ideologia come questa, a qualcosa di molto più ampio e cioè al funzionamento del discorso in generale. Qualunque discorso può essere una teoria, può essere la costruzione di un romanzo, di una poesia, può essere un discorso con gli amici, può essere qualunque cosa, tutto ciò che gli umani dicono ogni volta che aprono bocca o anche se la tengono chiusa comunque pensano e non possono non pensare. Dicevo cos’è che funziona in un discorso come destinatore, colui che muove tutto il discorso? A questo punto dobbiamo porci prima un’altra domanda: che cosa vuole un discorso? Cosa cerca? Potrebbe apparire difficile rispondere a una cosa del genere perché potrebbe, almeno appare, che potrebbe volere un’infinità di cose, però c’è una cosa che ci dice Greimas che potrebbe tornarci utile, e cioè che ciò che vuole è giungere al suo compimento, alla sua conclusione, al “destinatario”, cioè al compimento. Nella favoletta che vi raccontavo l’altra volta era il matrimonio con la principessa, però qui la cosa di cui sto parlando è molto più ampia, che cosa vuole un discorso mentre si fa? Greimas dice che vuole il suo compimento, che nella favoletta è una certa cosa certo ma questo non toglie che anche in un discorso qualunque dicevo, anche nella costruzione di una teoria, compresa quella di Greimas il compimento, la conclusione, il “destinatario” è la conclusione, qualunque essa sia. Questo è il modo per rendere ciò che sta dicendo Greimas più generale, il più generico possibile, anche più astratto per qualche verso, però questa astrazione può esserci utile. Adesso torniamo alla riduzione a due attanti: Destinatore e Destinatario, che sono quelli fondamentali, uno muove tutto e l’altro è la sua conclusione, il suo fine, escatologicamente parlando (l’escatologia è la dottrina dei fini ultimi), ecco ridotto in questo modo cioè a due attanti abbiamo qualcosa che muove e qualcosa che compie un percorso, qualunque sia adesso non ci interessa, né per il momento ci interessano le fasi intermedie cioè il soggetto, l’oggetto, oppositore, eccetera, qui arriviamo a ciò che diceva Bruna prima, che cosa muove un discorso? Da dove viene per esempio una scelta, una decisione che una persona fa, importante o banale che sia non importa, una decisione che riguarda la sua vita futura oppure una decisione di comprare un paio di scarpe rosse o blu? Qui ci viene in aiuto qualche cosa che abbiamo accennato durante le conferenze e cioè la questione delle fantasie, la fantasia, un’idea, la fantasia non è altro che un’idea, un’idea che muove da altre fantasie, da altre questioni, da altri ricordi, scene, immagini, situazioni, ma in ogni caso in tutte queste cose c’è una caratteristica che le accomuna per potere funzionare nel discorso della persona, cioè queste cose devono essere state accolte dal discorso della persona, per potere diventare alla fine delle fantasie e costruire altre cose: devono essere state accolte come vere. A questo riguardo ci sarebbe e c’è moltissimo da dire, perché rispetto a questo modo di funzionamento del linguaggio la semiotica non ci è più molto utile, ma dovremo, e lo faremo, accostarci alla logica. È la logica che si occupa delle condizioni di verità degli enunciati, la semiotica no, perché è importante per la logica sapere quali sono le condizioni di verità degli enunciati? Perché solo se sono veri possono proseguire. Semplice, tutta la logica è stata costruita su questo, sulla necessità di sapere quali proposizioni e quali enunciati sono veri e quali no, perché quelli veri proseguono, continuano e su questi è possibile proseguire, cioè costruire altri enunciati, su quelli falsi no, perché questo? Vedremo più in là, però questo per dirvi il motivo per cui solo quegli elementi che vengono considerati veri sono accolti dal discorso e quindi possono essere utilizzati per costruire altre cose, queste altre cose sono la vita stessa della persona, ecco questo motivo lo vedremo quando ci occuperemo della logica, considereremo uno scritto di un certo Quine, Willard Van Norman Quine, filosofo americano, filosofo del linguaggio e anche un logico, in particolare La grammatica della logica che in qualche modo ci mantiene vicini a ciò che dice Greimas, però allo stesso tempo aggiunge delle cose intorno alla questione della verità. Vedete, quando Greimas costruisce i suoi attanti è ovvio che qualunque cosa accada, qualunque evento, l’autore utilizzi, per costruire il racconto, ciascuno di questi eventi deve avere una caratteristica, deve essere riconosciuto, per esempio dal soggetto da colui che sta facendo delle cose, come vero, solo a questa condizione questo evento avrà un significato all’interno del racconto, e cioè l’attante soggetto considererà questo evento, si comporterà di conseguenza, modificherà per esempio la sua azione, aggiungerà altre cose al racconto e via di seguito, solo a questa condizione e cioè che questo evento sia una proposizione vera …

Intervento: a un certo momento proprio nelle ultime pagine dove pone l’affermazione e la negazione poi dice ciò che rimane è l’affermazione…

Certo, lui parla dell’affermazione e l’affermazione è un qualche cosa che letteralmente si ferma, perché è considerato essere vero, ma qui “vero” significa soltanto “utile” “utilizzabile” dal discorso per costruire altre sequenze, altri racconti, altre cose. Ora quindi torniamo a Greimas, abbiamo un “destinatore” e un “destinatario” il “destinatore” supponiamo sia una fantasia, una qualunque, anziché essere il re che dà l’incarico al principe di salvare la principessa, supponiamo invece che sia una fantasia, un’idea, d’altra parte anche un re dà questo incarico al principe per una sua idea e cioè “la figlia gli è cara e quindi vuole tenerla per sé e non vuole che il drago se la mangi” molto freudianamente dovremmo sempre porre come “destinatore” proprio una fantasia, questa fantasia ovviamente ha un percorso prima di giungere al compimento e il compimento è la conferma della fantasia. Facciamo un esempio, torniamo all’esempio della fanciullina famosa, quella che crede che il papà non l’apprezzi eccetera, in questo caso il “destinatore” è la sua fantasia stessa, una fantasia in questo caso non riconosciuta come tale, sarebbe una sorta di isotopia nascosta, sarebbe in realtà il suo desiderio incestuoso, questo sarebbe il “destinatore” cioè ciò che muove tutto. Cos’è il destinatario qui? Il destinatario è la riuscita della fantasia, in questo Freud ci dà una mano perché ci dice che una fantasia che è prodotta da un desiderio rimosso, deve soddisfare due requisiti: da una parte mantenere comunque il desiderio rimosso, dall’altra costruire un qualche cosa che ne prenda il posto e che risulti non può inaccettabile, cioè una formazione di compromesso. Il destinatario è appunto la formazione di compromesso, il destinatore è il desiderio incestuoso, inconscio, direbbe Freud, il “destinatario” la formazione di compromesso, questa sarebbe la riuscita. Poi naturalmente possiamo trovare le altre figure cioè il “soggetto” è la fanciullina in questione, l’oggetto è il mantenimento di questa fantasia in modo da evitare il panico assoluto, l’“oppositore” potrebbero essere tutte le persone che dicono alla fanciullina che non è vero che è così, che le dicono invece che il papà le vuole bene eccetera, l’adiuvante sono tutte le prove che lei riesce a raccogliere e confermano che invece il papà non l’apprezza. A noi interessano solo due Attanti: ciò che muove e il suo compimento. Ora questo raccontino della fanciullina ci dice che questa struttura funziona anche nella costruzione di una così detta nevrosi, anche la costruzione di una nevrosi al pari di qualunque racconto, di qualunque discorso soddisfa, parrebbe, la teoria di Greimas sulle funzioni attanziali. Sto dicendo che anche una nevrosi viene costruita allo stesso modo di come si costruisce un racconto, certo la persona ovviamente non si rende conto della costruzione che sta facendo, ma può rendersene conto nel momento in cui incomincia ad articolare e analizzare il suo discorso, e allora si accorge dei passaggi che hanno consentito la costruzione letteralmente della sua nevrosi, e perché è stata costruita, quali sono gli elementi che l’hanno consentita vale a dire il destinatore e qual è il suo scopo finale, a che cosa letteralmente serve una nevrosi, e cioè il destinatario. Tutto questo a noi interessa perché, dicevo all’inizio, apre a una questione molto più ampia, l’ho accennata prima quando parlavo dell’eventualità di spostare l’attenzione dal romanzo, dal racconto, dalla fiaba o da quello che volete a un discorso, a un qualunque discorso, cioè un qualche cosa che è ancora più radicale di ciò che Greimas ha inteso costruire, vale a dire che cosa non può non accadere quando si parla, questo sarebbe l’ “oggetto” se volessimo applicare le funzioni attanziali a quello che sto facendo io in questo momento. Ciò che accade necessariamente quando si parla, ciò che sappiamo finora, è che un qualche cosa muove il discorso e questo discorso ha un unico obiettivo il “destinatario”, cioè il suo compimento. Potrei anticiparvi ciò che vedremo più in là rispetto a quando considereremo Quine, e cioè che il compimento di una proposizione logicamente, cioè in ambito logico, è un teorema, e il teorema è una proposizione vera, non è altro che un’altra sequenza ma è l’ultima proposizione che conclude la sequenza, ed è una proposizione vera. Proviamo a considerare adesso questi due attanti a cui abbiamo ridotto il lavoro di Greimas, proseguendo in qualche modo quello che lui stesso stava dicendo, cioè l’apertura di un contratto, la chiusura del contratto, e poi un’affermazione che si nega e che però nega anche la negazione e quindi si torna ad affermare, un processo intorno al quale sta lavorando sembrerebbe, sempre sembrerebbe, per porre l’accento sui due attanti fondamentali, quello che muove tutto e quello che rappresenta il suo compimento, il suo fine. Proviamo a considerare dicevo questi due attanti, il primo come la fantasia, un qualunque discorso non importa quale, il secondo il compimento di questa fantasia, in che modo deve compiersi? La logica ci direbbe che deve concludere in un modo vero, cioè la sua conclusione è affermare che è vero e potere fare questo, che “è vero” oppure che “le cose stanno così” e tutte le varie varianti perché il destinatario è necessario che sia qualche cosa che viene riconosciuto come importante, è l’obiettivo finale di tutto, per Marx, ci ricordava Greimas, è l’umanità, certo un concetto molto generico, molto vago, però qualcosa comunque ritenuto almeno da Marx importante. E questo ci porta a considerare che il destinatario è comunque qualcosa che all’interno dell’economia del discorso è importante, cosa vuole dire che è importante? Se dovessimo seguire Greimas quando ci parla del sema nucleare, cioè quanto di meno si può dire di un qualche cosa, se noi dovessimo dunque definire il termine “importante” cercandone il sema nucleare, cosa diremmo? Che deve essere vero. È la condizione necessaria perché qualcosa sia riconosciuto come importante per qualcuno, che sia vero, di meno non si può dire, certo di più se ne possono dire quante se ne vuole ovviamente, l’aggiunta di semi contestuali, come ci dice Greimas è praticamente infinita, però il nucleo semico, cioè quanto di meno si riesca a dire, è che perché qualcosa sia importante occorre che sia vero, cioè il sema sarebbe “vero”. E in questo parrebbe confermare ciò che dice la logica, come se in qualche modo tanto la semiotica, la linguistica direi quasi in generale, la logica, la filosofia del linguaggio stessero inseguendo un qualche cosa che, con metodi differenti, con criteri differenti, con linguaggi totalmente differenti in molti casi sembrano tuttavia puntare a uno stesso destinatario, in questo caso il “destinatario” sarebbe la costruzione di un qualche cosa che renda conto finalmente del come stanno le cose, di una sorta di necessità, questo potrebbe essere il “destinatario” in generale, la necessità, anziché l’umanità, come voleva Marx, la necessità trovare qualcosa che risulti necessario. Necessario è ciò che non può non essere, è come se ci trovassimo, lo vedremo più nel dettaglio quando parleremo di logica, di fronte a delle teorie che appaiono per alcuni versi convergenti pur essendo totalmente differenti, come dicevo prima, nei modi, negli strumenti, nel linguaggio stesso completamente differenti però in entrambi i casi c’è questa volontà di giungere a qualche cosa che possa essere considerato necessario, cioè che non possa non essere. Più in là vedremo se una cosa del genere è possibile oppure no, per il momento in base alle nostre informazioni che abbiamo acquisite qui non è ancora sicuro, anche perché lo stesso Greimas ci avverte che un qualunque termine, compreso il termine “necessario” è fatto da un nucleo semico, da semi contestuali, assolutamente nulla di necessario, quindi ci troveremmo di fronte a una sorta di contraddizione e cioè “necessario” non ha nulla di necessario. Sarebbe una situazione paradossale dalla quale potrebbe non essere facile uscire, cioè qualunque definizione potremmo dare, ci inventeremmo di “necessario”, questa definizione non sarà necessaria, tra le righe è questo che ci sta dicendo Greimas. Greimas dice che una qualunque parola è fatta a questa maniera: c’è un nucleo semico che è quanto di meno se ne può dire, poi questo nucleo semico ha una rete di semi contestuali, cioè di elementi che si agganciano al nucleo semico, per esempio se io dico che il tavolo è un piano orizzontale sostenuto da uno o più supporti, questa potrebbe essere considerata la definizione del nucleo semico, però se poi aggiungo che il tavolo è di legno, che è lungo un metro e mezzo eccetera, tutti questi semi contestuali rendono conto poi dell’uso che farò del termine “tavolo”, e tutto questo appare non necessario, né in Greimas, né in Hjelmslev, ed è importante perché anche lui ci aveva riflettuto a lungo sulla questione. Una definizione, questo lo diceva Hjelmslev in modo preciso, una definizione è sempre arbitraria, non può essere necessaria, e questo ci induce a considerare che la definizione di “necessario” non è necessaria. Con tutti i problemi teorici che una cosa del genere comporta, per esempio questo quando dico “necessario” che cosa sto dicendo? Una domanda legittima…

Intervento:  va inserito in un contesto…

Ovviamente, il contesto però modifica continuamente la parola. Il nucleo semico di “necessario” potrebbe essere semplicemente quello che indica talvolta la filosofia, la logica: “ciò che non può non essere”, però sempre Greimas ci mostra che ciascuno di questi termini che stiamo utilizzando per definire il nucleo semico di “necessario” tra virgolette perché come fanno i logici quando si dice il nome di una parola si mette fra virgolette, ciascuno di questi elementi a sua volta avrà un nucleo semico, semi contestuali eccetera. Quindi la cosa appare, se ci si riflette bene, molto complicata, può accadere di trovarsi di fronte a una sorta di rinvio infinito, cioè o ci atteniamo al nucleo semico che abbiamo stabilito, però a questo punto dovremmo chiederci perché abbiamo stabilito questo e non altro, in base a che cosa? A quello che ci è parso, che ci è sembrato, ma di fatto non c’è un motivo assolutamente certo per stabilire che il nucleo semico di una certa parola sia quello e non possa essere nessun altro, e qui anche Greimas si rifà all’uso, si rifà alla tradizione, si rifà a ciò che dice un dizionario, non c’è niente di più, quindi la questione pone come vedete notevoli difficoltà teoriche che vedremo più avanti, adesso è ancora prematuro, non abbiamo ancora gli strumenti per affrontarla in modo efficace. Per il momento ci basti questa apertura che abbiamo proposta questa sera, e cioè il passaggio dal funzionamento del racconto, del romanzo eccetera a un qualunque discorso che muova da un qualche cosa che chiamiamo “destinatore” per giungere al suo compimento che chiamiamo il “destinatario” sulla scia di Greimas, per adesso ci basti questo.