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9 luglio 1998

 

Abbiamo iniziato ad affrontare la questione della recursione la volta scorsa. Proviamo a fare un esempio: supponiamo, come diceva Cesare, che io mi interroghi intorno al nulla, de nihilo. Ora, moltissimi hanno scritto intorno al nulla in vario modo, in varia foggia, ma quando parliamo del nulla questo significato che viene utilizzato ha un referente da qualche parte oppure no, come dire, ha un riferimento extralinguistico, si riferisce o descrive una qualche entità, oppure no? Generalmente, ciò che si è detto sia del nulla sia di qualunque altra cosa muove dall’idea che si tratti di descrivere o di reperire, di individuare, in alcuni casi di consolidare un qualche cosa che esiste e che si dà da qualche parte e che quindi che tutto ciò che si dirà dovrà avvicinarsi il più possibile a ciò che ad esempio, in questo caso il nulla, veramente è. Questo modo di procedere lo trovate ovunque, come abbiamo visto non è un buon modo di procedere, perché si parte male, dando per acquisito una sorta di ipostasi, una soggiacenza, ipokeimenon, ciò che sta sotto alla parola, nulla per esempio è un quid, di cui poi si potrà dire che è o che non è, ma in ogni caso è un quid, visto che se ne parla, di qualcosa si parla necessariamente, quindi è qualcosa… Questa ricerca del nulla ha impegnato molti e ha ingannato anche molti per varie aporie che si possono individuare intorno a questo. Dunque, il discorso intorno al nulla lo ha ipostatizzato, lo ha considerato cioè un elemento fuori dalla parola. Allora tutto ciò che può dirsene, essendo fuori dalla parola, è che è immobile e identico a sé, tutto ciò che può dirsene non ha altro scopo che avvicinarsi, come dicevo prima, a ciò che lui realmente è. Come voleva Popper, avvicinarsi sempre di più alla definizione, renderla più precisa, più rigorosa, in linea di massima attinente a uno stato di fatto, perché in caso contrario se non fosse questo l’intendimento allora qualunque cosa possa dirsi intorno al nulla è, come direbbe Vico, una picciola favoletta o, nella migliore delle ipotesi, un gioco che si è attenuto a delle regole stabilite. Per esempio, il gioco che fa la filosofia con il nulla cerca di attenersi ad alcune regole che sono state stabilite; tuttavia, non sapendo questo, immagina così come la quasi totalità di compiere una elaborazione il cui fine è quello di raggiungere una definizione sempre più precisa, quindi sempre più attinente del nulla. Ma attinente a che cosa? Verrebbe di fatto di pensare al nulla, ma questo nulla io lo costruisco al momento in cui lo elaboro. Mi sono trovato una volta a dire, riprendendo Gorgia, che nulla è fuori dalla parola, indicando con questo, che cosa? Indicando una regola del gioco, come dire, intendiamo con nulla ciò che è fuori dalla parola, ma intendendo questo già indichiamo anche la forma del paradosso, dicendo che nulla è fuori dalla parola poniamo una questione abbastanza bizzarra, quanto meno pleonastica, eccessiva, però giusto per inserire questo significante nulla visto che c’è... Però, ecco, che cosa impedisce di considerare che nulla, al pari di qualunque altro elemento, è in prima istanza un significante, un elemento linguistico, il quale per potere essere utilizzato occorre che abbia un significato e utilizzandolo produce un senso? Questo significato che ha il significante nulla non è un significato stabilito, è il semplice fatto che può essere utilizzato. Io ho detto tempo fa, parlando del significato, che ciascun elemento linguistico più che avere un significato è un significato, intendendo qui con significato unicamente la possibilità del suo utilizzo. Il significato del significante “nulla” non è altro che la sua utilizzabilità all’interno di strutture linguistiche. Ma dicendo questo diciamo ancora poco, in effetti qui siamo andati un po’ veloci, bisogna tornare indietro e parlare della recursione. Vedete se io parlo del nulla, parlo di qualcosa che già per molti potrebbe apparire una contraddizione: se parlo del nulla parlo di qualcosa, e il nulla dove è finito? Ma questa contraddizione da che cosa sorge? Cesare risponda a questo quesito... donde viene questa contraddizione, dicendo adesso parliamo del nulla, dunque parliamo di qualcosa?... (....) Qui già è inserita la nozione di spazio che invece di semplificare complica notevolmente... questa contraddizione su cosa si regge? Il fatto che dicendo nulla io immagino con questo significante un’assenza totale ma assenza totale non soltanto di ciascuna cosa ma anche del linguaggio e qui qualcosa si inceppa, apposta abbiamo indicato con nulla il fuori della parola e quindi la formulazione stessa del paradosso. Ora, a questo punto siamo costretti a dire che perché il nulla si dia occorre che esista il linguaggio, senza il linguaggio non c’è nulla, non può darsi, non può pensarsi, non ha nessuna possibilità e allora se questo nulla è una produzione del linguaggio quale ne sarà il senso? A questo punto possiamo dire, saltando una serie di passaggi ormai acquisiti, che sarà quello che la catena in cui è inserito produrrà e dunque il nulla non ha un senso suo, nel senso che non è un elemento che ha un senso, non ha una sua particolarissima entità ed essenza fuori dalla parola, ma essendo un elemento linguistico trae il senso di volta in volta dalla catena, dalla combinatoria in cui è inserito. Dicendo questo già ci sbarazziamo di qualunque possibilità di paradosso e di contraddizione; fatto questo non ci resta che vedere se questo significante può avere a questo punto, all’interno di qualche gioco, qualche utilizzo che abbia qualche interesse e quale sia. Tuttavia, sappiamo che è un significante che viene utilizzato molto spesso e viene utilizzato generalmente o come figura retorica oppure in disquisizioni logiche, non tanto linguistiche; in ambito retorico ha una sua valenza, dicevamo per esempio “lui ha detto delle cose”, l’altro risponde “no, non ha detto nulla”, qui nulla ha una valenza retorica che serve a rafforzare una direzione. In ambito logico invece la questione viene trattata in termini differenti e si cerca, come avviene spesso, di trovare che cosa il nulla veramente sia, e qui come abbiamo detto all’inizio, se ne sono dette varie però queste varie hanno sempre condotto a dei paradossi perché il nulla è stato considerato un qualche cosa e questo ha creato un qualche problema a qualcuno. Infatti, nel momento in cui io immagino un elemento fuori dalla parola e cerco di definirlo immediatamente sorgono paradossi di ogni sorta. In primis i paradossi dell’autoreferenzialità. La recursione in tutto ciò che cosa ha a che fare? Ha a che fare moltissimo, perché io l’ho posta in atto in ciò che vado dicendo. In quale modo? Dicendo per esempio che cosa il nulla non può non essere comincio, usiamo questa sorta di allegoria, a tornare indietro, non mi sono chiesto che cosa necessariamente è ma che cosa necessariamente non può non essere, e a questo punto mi sono trovato in condizioni di dovere rispondere che è un atto linguistico, perché sia qualche cosa occorre che sia una parola. Posto questo elemento come necessario, da questo momento in poi il discorso che vado facendo non può non tenerne conto, che, essendo un atto linguistico, qualunque affermazione io faccio in seguito non potrà uscire da questo. Dicendo per esempio che è un significante, quindi una produzione linguistica, un atto linguistico, mi trovo immediatamente costretto a eliminare in questo gioco tutta una serie di affermazioni che invece lo pongono come un qualche cosa fuori dalla parola; è a questa condizione, che cioè io lo ponga come elemento fuori dalla parola, che posso interrogarmi intorno al nulla così come viene fatto dalla più parte dei filosofi, in caso contrario no. Ad esempio posso trovarmi di fronte al paradosso, parlando del nulla parlo di qualcosa, ma come “nulla”? Sì, parlo di qualcosa, allora non parlo del nulla. Come dicevo tutto questo è possibile se io immagino che il nulla sia un qualche cosa che ha un senso di per sé, senza pensare che questo senso io lo sto costruendo; in questo caso allora il nulla è ciò che si oppone grammaticalmente a qualcosa, posso anche fare questo gioco eventualmente ma allora il nulla diventa soltanto una pedina di un gioco che è fatto di particolari regole, e di questo gioco una di queste regole è questa, che qualcosa si oppone a nulla, per esempio. E allora è come se io dicessi: “bene, queste sono le regole e gioco con queste regole!” e quindi devo costruire proposizioni che si attengano a queste regole. Queste regole non significano assolutamente nulla, sono regole del gioco, come il poker, e allora posso sbizzarrirmi a costruire queste proposizioni e vedere se è possibile con queste regole venirne fuori, ma è un gioco, un gioco di incastri, un gioco logico, niente più di questo. Ecco, allora, la recursione. La recursione è quella prerogativa di ciascuna proposizione di non poter non tenere conto del “da dove viene” per dirla così, qualunque sia la proposizione. Ora si tratta, come si diceva prima, di intendere se per esempio la recursione costituisce una struttura necessaria del linguaggio e se sì allora questo potrebbe rendere conto di buona parte di ciò che generalmente si intende con memoria, visto che di memoria possiamo parlarne poco e male, considerare se in effetti il linguaggio “ha una sorta di memoria”. Il linguaggio pone innanzi sempre elementi che hanno un significato se utilizzabili, la questione che possiamo porci è se può il linguaggio utilizzare elementi non utilizzabili. Direi che per definizione non può, perché se li usa in qualche modo sono utilizzabili. In questo modo avviene che tutto ciò che il linguaggio utilizza o meglio tutto ciò che il linguaggio pone in essere è utilizzabile. Una questione che può porsi è se ciascuna volta viene costruito come tale o “viene ricordato”. È molto più probabile che venga costruito, viene costruito attraverso un sistema che è quello delle funzioni ricorsive probabilmente. È una questione che mi sto ponendo adesso, ancora tutta da riflettere, da considerare, come dire che per il solo fatto che un elemento venga utilizzato è utilizzabile e quindi è un elemento linguistico e quindi viene utilizzato, questo è il sistema che ha funzioni ricorsive. Lo sto utilizzando, quindi è utilizzabile e quindi se è utilizzabile è un elemento linguistico, se è un elemento linguistico è utilizzabile e si torna avanti... e viene utilizzato, semplicemente. Però, questo può apparire una costruzione abbastanza fantasiosa, si tratta di procedere con l’elaborazione teorica e intendere se esistono delle strutture necessarie, cioè se s’è qualcosa che non può non essere. Roberto prova a cominciare tu io ho dato il là giusto per riflettere su una questione … (Sono fermo a...) Cosa pensavi a questo riguardo? (Aristotele nei Topici....) Sì uno lo utilizza come quantificatore universale e un altro come quantificatore esistenziale... Nella logica si considerano equivalenti, cioè affermare che tutte le cose ... x(f)x oppure che vi è una x che nega (f)x, per esempio, si considerano equivalenti, sono due forme di enunciare la stessa affermazione... Adesso la regola della logica le considera tali, poi ovviamente dipende da che cosa si intende esattamente. Quando dici “non accade nulla” non accade qualcosa? Vedi, in questo caso c’è un utilizzo di nulla e di qualcosa che può essere differente, se tu attribuisci a questi significanti lo stesso senso allora per la logica effettivamente sono equivalenti e non cambia niente, però retoricamente no, retoricamente possono avere una portata differente... Sì, essendo un quantificatore esistenziale certo restringe il campo. Esiste una x e questa x non accade, però di fatto per affermare che sono cose differenti non è semplice, cioè devi cominciare a tipizzare ciascuna delle due proposizioni in modo particolarissimo, attribuire un significato come faceva Russell, però poi ti perdi, ti perdi nel senso che poi ti ritrovi di fronte delle differenziazioni che attengono soltanto ad un gioco di cui tu hai stabilito le regole, come se tu stabilissi delle regole particolari per cui questa proposizione ha un certo senso e questa ne ha un altro. Il che va anche bene è un buon esercizio ma... (...) Sembra che tu più propriamente ti riferisca ad affermazioni retoriche, dove in effetti è vero quello che dici, c’è un gran utilizzo di quantificatori universali, ma che hanno lo scopo unicamente di rafforzare una affermazione, una negazione; se tu sottoponi ad una analisi logica molto rigorosa non significano niente... (Se tutti però sottoponessero le loro proposizioni al particolare però ci si potrebbe accorgere...) Sì, prendi per esempio una qualunque crisi di abbandono: A mi ha lasciato, B mi ha lasciato, quindi tutti mi lasciano. Questa è la struttura, certo, ovvio, e allora, sì, se tu potessi compiere questa operazione di cui dicevi semplicemente la cosa si arresterebbe alla considerazione che A mi ha lasciato e che B mi ha lasciato, e la conseguenza “tutti mi lasciano” non potrebbe farsi in nessun modo per cui non ci sarebbe la crisi di abbandono. (....) Retoricamente no, certo, ed ha una portata immensa, però in ambito propriamente retorico. Certo, inserire la logica all’interno di formulazioni retoriche o meglio considerare che ciascuna formulazione retorica ha una sua faccia necessaria, una sua condizione di esistenza. L’impianto logico è ciò che stiamo cercando di fare perché è ovvio che ad un certo punto tu sapendo benissimo che l’affermazione che hai fatto, l’affermazione che dice “nessuno mi ama”, è una affermazione retorica che muove da due considerazioni che di per sé non hanno nulla che costringa a quella conclusione. Certo, arresti tutto questo processo, puoi farlo purché funzioni questa ricorsività e cioè che questa conclusione cui giungi possa essere considerata un atto linguistico per cui è considerata per quello che è, soltanto... (....) Sì, però la questione può spostarsi e cioè che cosa impedisce di fare questa considerazione che potrebbe apparire molto semplice? Se A mi ha lasciato, B mi ha lasciato, cosa vuol dire questo? Vuol dire che A mi ha lasciato, B mi ha lasciato, finita. Sì, poi in ambito retorico, che funzioni ha questa affermazione, visto che sorge dal nulla e senza nessun fondamento logico? A cosa serve, a cosa serve concludere che se A mi ha lasciato allora mi lasciano tutti... (Serve per avere un alibi, per poter dire che tutti mi lasciano...) A cosa serve questa operazione? Sì, quindi muove dalla certezza che tutti quanti gli altri....(...) Sì, però questo è un girare in tondo, io ho chiesto a cosa serve pensare che tutti mi lasceranno? A pensare che tutti mi lasceranno. (“Tutti mi lasciano” mi fa cercare “A mi ha lasciato, B mi ha lasciato”...) Certo, in effetti in moltissimi casi funziona proprio così, c’è una certezza, qualcosa che si ritiene tale che deve essere provato e allora, come dicevi, ciascun elemento che interviene proverà, sarà una ulteriore conferma della conclusione a cui si dice di essere giunti ma in effetti si è posta come la premessa universale, certo, e quindi ci troviamo di fronte ciascuna volta ad una affermazione che tutto il discorso e tutta l’esistenza della persona devono contribuire a provare, a mantenere, a considerare, e allora ovviamente ci interessa sapere che funzione hanno queste affermazioni, visto che è così importante. Che funzione ha una affermazione? (....) Diciamo che in prima istanza ha la funzione di far esistere qualcosa, cioè di porlo nel linguaggio, a noi interessa intendere perché questa affermazione e allora abbiamo cominciato a chiederci che funzione ha una qualsiasi affermazione, giustamente quella di far proseguire il linguaggio. Posta in questi termini, potrebbe già di per sé sbarazzare di qualunque problema come dire, perché affermo che tutti mi abbandonano? Qual è la risposta? Perché mi piace. È una valenza estetica, nient’altro che questo. Perché mangio il gelato o le fragole o la panna e la grappa? Perché mi piace. Ecco, in molti casi la richiesta che si rivolge ad uno psicanalista è una cosa del genere: a me piace il gelato con le fragole, come fare a fare in modo che non mi piaccia più? Se voi riflettete bene, in molti casi ha la stessa struttura, come dire la persona fa una certa cosa, possibilmente quel che gli piace poi per qualche motivo interviene un altro discorso che rende il precedente non acconcio, e allora gli piace ma non lo vuole. Non è che in questi termini sia possibile fare un granché e in effetti posta in questi termini la questione non ha nessuna via d’uscita. Ora, la via d’uscita c’è laddove si pongono le condizioni perché la persona possa interrogarsi su cosa sta dicendo, per esempio, e quindi accorgersi che di fatto fa quella certa cosa perché gli va di farla, perché gli piace e gli piace perché gli produce un’emozione. La questione intono alla responsabilità è fondamentale, se io so che una certa cosa la faccio perché mi piace posso a questo punto, se mi rendo conto delle controindicazioni, posso non farla ma posso non farla, se mi rendo conto che sono io che la voglio fare, se io voglio passare col rosso lo faccio ma mi rendo conto che se arriva un tir dall’altra parte è preferibile che non lo faccia, mentre se invece penso che non sono io a voler passare con il rosso ma il destino, oppure sono le forze della natura oppure è il caso, oppure è non so che cosa ed io non posso fare niente allora... e quindi mi produrrò un malanno senza nessun motivo mentre potevo evitarlo. (Mi interrogo sulla colpa…) Sì, l’inconscio in molti casi funziona così, come giustificazione per qualunque cosa, è inconscio, ha fatto una cosa inconscia. Certo, in effetti non è così però c’è l’eventualità che questo scarico di responsabilità abbia a che fare con qualche cosa che continuamente interviene e cioè la necessità di non assumersi mai la responsabilità, non tanto delle azioni, non tanto civile o penale, ma la responsabilità di ciò che si fa, di ciò che si dice, di ciò che si dice in particolar modo come se … si avvertisse il pericolo: sono responsabile, allora sono responsabile di ciò che dico e quindi se io affermo che ho l’angoscia è perché mi va che sia così e tanto basta... così come avete assistito a queste ragazzette durante le conferenze, che cosa dicevano? C’era questo malanno che capitava fra capo e collo, l’anoressia, l’ansia, qualunque cosa sia non ha importanza, e domandavano al mondo intero come sbarazzarsi di questa sorta di corpo estraneo, perché loro non potevano fare niente, dio ha voluto così. La struttura è quella dell’indemoniata in attesa dell’esorcismo, dell’esorcista che va lì e gli parla..., la struttura non è molto lontana se ci pensate bene ciò che fa buona parte della psichiatria o della psicanalisi, è un esorcismo, utilizzando strumenti leggermente differenti, liberare dall’inconscio... (....) Se voi avete notato io descrivevo questi luoghi comuni sottolineando l’aspetto pubblico, esibizionistico; immediatamente dopo avveniva la rappresentazione, veniva rappresentato ciò che avevo appena detto, l’ansioso, il depresso devono assolutamente manifestare a tutto il mondo intero la loro depressione, la loro angoscia, e queste immediatamente si manifestavano a tutta la platea a sua disposizione, e tutti quanti quelli che immaginavano di provare la stessa cosa per una sorta di identificazione direbbe Freud: anch’io ho avuto questo, a te come prende? (....) Sì, però se fa un discorso nei termini in cui diceva Wittgenstein è un conto, ma nei termini in cui diceva Roberto non è esattamente così, una esibizione che per il solo fatto che nessun altro può conoscere, solo lui o solo lei conosce è un elemento di dolore....(....)

Cambio cassetta

… del valore delle cose che si dicono che non essendo capite non possono essere confutate, non possono essere negate, se io parlassi in coreano nessuno potrebbe confutare nulla di quel che dico. (...) Si aspetta dall’altra parte il riconoscimento, l’importanza del riconoscimento, certo, e per questo, come è avvenuto, devono esibire al pubblico, perché se nessuno sa nessuno riconosce niente. (Vorrei aggiungere un elemento. C’è un saggio, forse Il problema economico del masochismo o Lutto e melanconia in cui parlando di questa rappresentazione dice che è un fatto abbastanza strano che una persona esibisca quelli che sono i suoi peccati così platealmente, è come se non stesse esibendo sé ma l’altra persona nella quale si è identificato, è la rappresentazione dell’oggetto d’amore…) Questo in Lutto e malinconia, l’identificazione con l’oggetto perduto (...) Infatti, non intendono sbarazzarsi del loro privilegio perché supponiamo che io sia depresso, facciamo questa ipotesi per assurdo, allora io posso intrattenere tutti quelli che incontro con la mia depressione, se non ho la depressione allora un argomento formidabile che suppongo interessi il prossimo viene a mancare, e allora come faccio ad interessare gli altri? Se invece ho una bella depressione... per questo si inviperiscono se non interessano, è una catastrofe..., il depresso cerca di stupire con effetti speciali.