INDIETRO

 

9-5-95

 

Salto logico non deducibile

 

Allora la volta scorsa abbiamo accennato ad un problema, ad uno scolio… è il caso che ripeta il problema oppure è chiarissimo per tutti? Allora dicevamo questo, che in questa ricerca che stiamo compiendo, siamo partiti da una proposizione che abbiamo accolta perché dimostrava una particolarità, che è quella di non poter essere confutata in nessun modo, ora da questa proposizione siamo partiti per dire che cosa necessariamente questa proposizione implicava, e ci siamo imbattuti in questo problema, che procedendo in modo analitico, per fare il verso a Kant, ci siamo trovati di fronte a questa difficoltà e cioè a dovere giustificare in qualche modo un salto logico, che in nessun modo è deducibile, derivabile, dalla proposizione iniziale e quindi è come se ci trovassimo costretti ad immettere un elemento assolutamente e arbitrariamente, in modo assolutamente arbitrario, perché non deducibile, non derivabile, e allora ecco il quesito, come è possibile rendere necessario questo passaggio, se vogliamo accoglierlo senza che sia un gesto totalmente arbitrario, come dunque rendere necessario qualcosa che per definizione non lo è? Ora questo problema può risolversi in un modo molto semplice, con un sofisma, sì poi vi dirò perché con un sofisma e quindi che cosa intendiamo con sofisma. Dunque qual è la questione? Come tutti i sofismi ha una soluzione molto semplice “gli umani parlano” dicevamo, questa asserzione può essere quantificata molto banalmente, quanti? Tutti in quanto umani parlano, ma questa quantificazione ha una prerogativa che è quella di procedere per induzione, cioè non sappiamo mai quanti e, se tutti, se non all’infinito, come ciascuna induzione che si rispetti. E allora ecco ci troviamo in una situazione tale per cui il gesto stesso di dire, pronunciare questa proposizione, è arbitrario, cioè non necessario, come dire, che è non necessario in quanto non è derivabile da nulla, è un gesto, ma è necessario perché senza questo gesto, tutto ciò che segue non può esistere. In altri termini ancora si tratta di considerare che questo gesto, del dire qualcosa, incominciare a dire, è la parola che incina (che incomincia -traduzione simultanea dal toscano per incominciare) dunque questo gesto è quello che rende possibile, qualunque cosa segua, dunque questa affermazione è il gesto che consente a qualunque inferenza di prodursi, senza questo primo gesto non segue nulla, ed ecco quindi che come vi avevo promesso abbiamo risolto il problema in modo tale che questo passo, che non è in nessun modo derivabile, risulta tuttavia necessario, non è derivabile da nulla, questa parola che incomincia non è derivabile da qualche cosa, incomincia, ma è necessaria perché senza questa parola non c’è possibilità di fare alcunché senza questo incominciamento. Allora dicevamo che si tratta di un sofisma, perché? Cos’è un sofisma? Proviamo a dare una definizione, definizione che certamente tiene conto di ciò che è stato detto a questo proposito ma aggiunge qualcosa di più, riguarda sì, un sapere certo, un sapere potremmo dire non fondabile, né fondante, e che tiene conto di un aspetto particolare, il sofisma. Che cosa sa? Sa soltanto ciò di cui non può non sapere, per potere dirsi. Il sofista, il saggio sa soltanto ciò di cui non può non sapere, per proseguire a parlare. E di cosa si avvale il sofista? Quindi propriamente di questo, tiene conto di ciò di cui non può non tenere conto se vuole proseguire a parlare o meglio ancora, di ciò di cui non può non tenere conto riflettendo intorno a ciò che gli consente di parlare, e si avvale di che cosa? Della logica, della retorica, della linguistica, della psicanalisi, di qualunque cosa, di qualunque strumento e se ne avvale in modo assolutamente non rispettoso dei canoni in cui questa disciplina è inserita. Perché non rispettoso? Perché non ritiene che nessuna di queste discipline sia fondata o fondabile e pertanto se ne avvale come uno strumento qualunque, per potere giocare il gioco del linguaggio.Ora dunque ascoltare con un sofisma una questione, è tenere conto che questa questione è un fatto linguistico e di questo deve tenere conto in primissima istanza, prima ancora di qualunque altra cosa, cioè per esempio, rispetto alla questione della giustizia. Che cos’è la giustizia? Ecco in prima istanza è un fatto linguistico, muovere da questa considerazione, consente di produrre sofismi che chiaramente non si attengono a nessun criterio particolare, ma salvo quello da cui non possono uscire, che non c’è uscita dal linguaggio e quindi ciascun elemento, come dicevamo già tempo, ha un referente nella parola, non ha un referente fuori, in questo senso non è fondato da qualche cosa che lo garantisca e questa stessa operazione di fondazione avviene nel linguaggio e pertanto nella parola. Perché ho indicato questo modo, questo sofisma? Perché di fatto che cosa stiamo facendo ultimamente e soprattutto negli ultimi mesi, in modo proprio esplicito, da quanto abbiamo cominciato a leggere Wittgenstein? Stiamo facendo esattamente questo, inventando una Sofistica, che della prima, quella avvenuta duemila e qualche anno fa, riprende il gesto, il gesto di audacia assoluta, audacia e spregiudicatezza nei confronti del linguaggio in prima istanza e pertanto di qualunque disciplina. Cos’è la spregiudicatezza in questo caso? La spregiudicatezza è rinunciare e pertanto non attenersi ad alcun atto di fede, questo intendo con spregiudicatezza, non la eliminazione di tutto ciò che non è necessariamente connesso con la questione da cui siamo partiti, per nulla, ma il considerarlo come una produzione, qualcosa che è possibile produrre con il linguaggio, di qualunque cosa si tratti, quindi la produzione di un fatto linguistico o un atto di parola. Per questo vi invito a rileggere come dicevo l’altra volta Austin, che coglie in modo molto preciso la questione, sia nei Saggi filosofici ma anche in Come fare cose con le parole si accorge che di fatto le cose che si fanno con le parole sono altre parole e questi fatti, sono fatti linguistici e lo stesso credere che questo fatto linguistico corrisponda a una qualunque realtà, è un altro fatto linguistico, e di questo ci invita a tenere conto per via dei risvolti che tutto ciò ha. Dunque considerare questo, cioè che ciò che stiamo facendo è esattamente l’invenzione della Sofistica e intendo Seconda qui, in accezione che è molto prossima a quella che indica Verdiglione quando parla di Secondo Rinascimento, secondo non nel senso che segue ad un primo, in un ordine cronologico, ma nel senso che in quanto c’è un secondo, che esiste un primo, è la seconda riflessione che consente alla prima di instaurare tutta la sua portata. D’altra parte se voi leggete i manuali di filosofia, dedicano pochissimo spazio ai Sofisti, come se fosse così una cosa da niente, non Heidegger che tuttavia è molto più attento a queste cose, e anche Nietzsche, leggete il suo scritto su Teognide di Megara, e su questo gesto iniziale che metaforicamente viene attribuito al pensiero greco, metaforicamente in quanto non è che sia … è un mito e Heidegger, soprattutto Heidegger quello delle discussioni su Eraclito, Anassagora, Anassimene ecc.. e Colli, sulla sapienza greca e Untersteiner, tutti coloro che hanno colto in questo gesto cioè, in questo avvio del pensare greco, un gesto straordinario, qualcosa… in effetti è incominciato il pensiero così come è pensato o pensabile oggi. Dunque dicevo, cominciare a riprendere questo gesto, occorre ricominciare anzi soprattutto riprendere e considerarlo quanto meno, con audacia e spregiudicatezza, senza dover rendere omaggio ad alcunché, né alla metafisica, né al discorso comune, né al discorso della scienza, cioè senza la necessità di rendere omaggio a fatti linguistici, ritenendoli, chissà per quale motivo, prioritari rispetto ad altri. Mi sono dunque accorto, che con l’avvio di queste letture intorno a Heidegger, di fatto abbiamo avviato questo, ed è questo che ci occuperà. Abbiamo parlato in varie occasioni dei Sofisti e avremo modo di riprendere la questione in termini più precisi ma, non tanto rispetto ai Sofisti, quelli che furono detti tali, anche, ma soprattutto per riflettere intorno al modo che hanno avviato e che occorre che proseguiamo. Prendete così questa soluzione che vi ho proposto del problema enunciato la volta scorsa, non significa niente, nel senso che non ha nessuna garanzia, nessun referente, è un gioco linguistico, un sofisma lo abbiamo chiamato e pertanto una soluzione che per definizione non è fondabile, e in questo seguendo un po’ l’indicazione, anche di Wittgenstein, la soluzione di un problema non è altro che la riformulazione, cioè un’altra formulazione del problema, il problema rimane ovviamente, rimane trasformato, ma questa soluzione non risolve niente, è un gioco di prestigio, come ciascun atto linguistico, se volete, un gioco di prestigio, fa comparire qualcosa, disponendo altrimenti…la differente disposizione sintattica e frastica degli elementi. Questa altra disposizione produce che cosa? Un’altra proposizione, non è che valga più o meno di quella precedente, è un’altra proposizione. Già De Saussure aveva avvertito che nel segno, cioè la relazione di significazione tra il significato e il significante, varia, laddove varia il significante anche il significato cambia pur essendo questa relazione arbitraria. Arbitraria solo questa relazione, evidentemente, non il segno. Cosa comporta tutto questo? Queste riflessioni? E l’avvio dunque di una Sofistica? Perché stando a ciò che abbiamo detto da sempre, non stiamo costruendo di fatto nessuna teoria, cioè un sistema di proposizioni organizzato in modo tale che consenta almeno di rendere conto di altre proposizioni, no, non c’è nessuna costruzione di questo tipo, è un puro e semplice gioco di prestigio, la questione centrale è che, c’è l’eventualità che sempre più stiamo considerando, che di fatto si tratti di, chiamiamolo gioco di prestigio, adesso uso questi termini così rozzi, gioco di prestigio in ciascun caso anche senza accorgersene. Gioco di prestigio è un gioco per cui da una parola se ne produce un’altra che in nessun modo si riesce a derivare. Quando i prestigiatori, li avete visti i prestigiatori? a me sono sempre piaciuti fin da piccolo, non sono mai riuscito a far giochi di prestigio però, fa qualche cosa che ad un certo punto produce un evento assolutamente, sì, apparentemente sì, non derivabile dal gesto precedente, uno fa così ma è difficile che esca fuori un coniglio, non si intende la connessione, ecco produce qualcosa di assolutamente inatteso, inedito, non derivabile, tutta la questione connessa con la derivabilità l’abbiamo “incinata” quando leggevamo delle cose di Plotino, di Proclo, di Porfirio, dei neo platonici e della necessità di stabilire la derivazione come necessaria, che originariamente era una emanazione, era giustificata dall’emanazione se no, loro stessi che erano tutt’altro che stupidi, si accorgevano benissimo che qualunque tipo di derivazione era assolutamente gratuita a meno che, a meno che non ci fosse un’emanazione di dio ed allora ecco che giustificava questo ogni cosa, rendeva possibile, la garantiva. Lo stesso Tommaso si accorge perfettamente nel De Ente et Essentia che la derivabilità è una chimera, assolutamente improponibile, se non è garantita da qualcuno, poi è un discorso che nel proseguo si è molto banalizzata; quando mi sono accorto di ciò che stavo facendo, ho avuto una grandissima facilità, ancora maggiore nel leggere, nel riflettere perché di fatto mi sono accorto della direzione che il discorso aveva preso, e prendendo questa direzione è chiaro che ciò che avviene mentre leggo, ad esempio, è altro da ciò che avveniva prima, in quanto c’è un’attenzione, un attenzione a che cosa? Non al contenuto, a ciò che la persona vuole dimostrare, ma al come questo avviene, cioè attraverso quali vie quale argomentazioni, sì certo queste sono cose che già da tempo stiamo facendo, però, si tratta di farle in termini più radicali. Questione per altro verso non di questi ultimi tempi, abbiamo sempre detto che ciò che interessa non è tanto ciò che una persona dice in quanto tale, ma come lo dice, cioè il modo attraverso quali vie, lungo quali storie, perché è questo, come che mette in evidenza immediatamente le credenze, le superstizioni, per esempio, la religiosità di un discorso, l’atto di fede per esempio in un discorso. Perché è stato abbandonato il pensiero dei Sofisti? È stato abbandonato con Platone prima, Aristotele poi, per lo stesso motivo per cui lo abbandona Guido Sommavilla, Societas Jesus, perché non consente nessuna fondabilità del pensiero solo per questo, perché non consente nessuna fondazione, nessuna fondabilità del pensiero, solo per questo. Voi leggete i dialoghi platonici, da Platone dedicati ai Sofisti, prendete il Teeteto, l’Eutidemo, l’Ippia il Sofista e altri, non c’è nessuna obiezione che Platone possa muovere, che Socrate, ma Socrate è Platone, Socrate di fatto è un sofista, che di fatto possa muovere all’argomentazione dei sofisti, salvo questa, che questo pensiero non consente nessuna fondabilità, questione che poi Aristotele riprende in termini precisi, sia nella Metafisica, sia nelle Confutazioni Sofistiche, contenuti nell’Organon. Ecco, sono da rileggere per vari motivi ma soprattutto perché risulta immediatamente evidente qual è il problema connesso con il pensiero dei Sofisti e cioè che tale pensiero non è gestibile, né utilizzabile, né indirizzabile, né può essere in nessun modo il fondamento su cui costruire per esempio, uno stato, un governo, una religione, qualunque cosa che debba per definizione ritenersi fondato o fondabile. Adesso non è che ci interessi stabilire che o se tutto ciò che è seguito a questa condanna dei Sofisti, abbia prodotte cose interessanti oppure no, non ci interessa minimamente, ciò che ci interessa è che a questo punto ci sono le condizioni per non trovarsi più nella necessità forse, di dover ritenere il proprio discorso o fondato o fondabile e quindi di dovere attenersi ad un atto di fede. Siccome ci stiamo confrontando con questa eventualità, ecco che a questo punto possiamo accogliere, il pensiero, il discorso della sofistica promuovendo appunto la Sofistica, molto più radicale e più estrema della prima e più ardua sicuramente, anche perché tutto sommato abbiamo qualche elemento in più, rispetto ai Sofisti di duemila anni fa, non moltissimi occorre dire, qualche, e qualche elemento ci è sto fornito dalla linguistica, dalla semiotica, dalla logica, dalla psicanalisi anche, di tutto ciò dicevamo all’inizio ci avvaliamo, senza che questo porti ad un discorso scientifico. Ciò che veniva accusato era questo che il discorso dei Sofisti non poteva condurre a nessuna scientificità, non c’era nulla di scientifico, o detto altrimenti di fondabile, nulla di credibile, potremmo dirla così, anche se erano abilissimi a far credere qualunque cosa ma “di credibile” nel senso che non costruiva nulla che potesse costituirsi come atto di fede, ma un gioco, un gioco, per altro anche difficile, e incessante, incessante perché non avendo un fondamento è costretto a muoversi continuamente, come un pescecane, non se l’aspettava questa? I pescecani sono costretti a muoversi ininterrottamente perché se si fermano, non riescono a respirare, e poi vanno a fondo perché sono sprovvisti di vescica natatoria.

Intervento: anche di scienze naturali sa?

So moltissimo, ecco e quindi costretti a muoversi continuamente in questo caso con il pensiero evidentemente, non è che corressero, come dire che non trovando nulla su cui arrestarsi, nulla su cui fermarsi, il pensiero, il dire del sofista è inarrestabile, non poteva non muoversi direi per definizione, non poteva fermarsi, né poteva muoversi in un’unica direzione, per questo erano costretti a conoscere tutto, e questo anche veniva loro rimproverato, una conoscenza superficiale di tutto, superficiale vale a dire che nessuna delle conoscenze di cui disponevano era tale di condurre a una fondazione, ad un fondamento, a una base, a qualcosa che fosse certo. Poi va be, si muovevano anche perché giravano, di città in città, anche perché li cacciavano via, e quindi erano costretti ad una certa mobilità. Li cacciavano perché insegnavano… la stessa accusa che fu rivolta a Socrate, perché le cose che insegnavano andavano contro l’insegnamento religioso e contro l’insegnamento dello stato, in quanto indicavano che nessuna dottrina può instaurarsi legittimamente e pertanto appena veniva all’orecchio del capetto del posto la preoccupazione immediatamente era quella che potesse il Sofista, così come Socrate, corrompere i giovani e far perdere i sani valori, che invece occorreva che avessero, e quindi erano costretti sempre a cambiare zona, quindi senza patria, senza fissa dimora, senza luogo, senza radici, senza origini, senza niente, ciò, l’unica cosa di cui disponevano se lo portavano sempre appresso, cioè la loro intelligenza, la loro abilità

Intervento: come vivevano?

Adesso lo stabiliamo, vivevano così, andavano in una città, contattavano giovanotti e promettevano, e mantenevano le loro promesse, di insegnare ad argomentare in modo tale, da potere dimostrare e confutare qualunque cosa. Ora questo allora aveva o meglio era un pregio straordinario, perché consentiva a chiunque di vincere tutti gli agoni dialettici che si svolgevano nel foro ma non soltanto, di vincere le cause, sapere difendersi in modo brillante ed efficace. Ecco perché chiedevano cifre enormi per insegnare questo

Intervento: Socrate?

Sì, compie un’operazione per cui ciò che facevano i Sofisti lui lo fa, ma dando a questo insegnamento non più l’impronta di assoluta spavalderia e spregiudicatezza, ma un’operazione scientifica. È chiaro che tutto il pensiero di Platone, di Aristotele viene dai Sofisti, sono stati loro i primi ad insegnare a pensare, poi altri hanno formalizzato questo modo, rendendolo accademico appunto e quindi accessibile a tutti ma come spesso accade quando una cosa è accessibile a tutti, è anche pilotata, perché a questo punto Aristotele e altri prima di lui, hanno indicato nella logica e anche nella dialettica in parte, anche l’uso corretto sia della logica, sia della dialettica e cioè hanno indirizzato questo per che cosa? Per la fondabilità, in definitiva per instaurare, per consolidare la certezza e la sicurezza della necessità di una deduzione logica, e quindi della necessità per esempio dello stato, che per Aristotele discendeva da una necessità logica e di moltissime altre cose, in questo senso pilotato, per i Sofisti no, tutto ciò non aveva nessuna direzione. Uno imparava a dimostrare e confutare per che cosa? Per far soldi, non gli importava assolutamente nulla di che cosa una persona dimostrasse o confutasse, assolutamente niente, ma tuttavia la promessa che facevano i Sofisti la mantenevano, effettivamente insegnavano questo, e anche molto brillantemente, tant’è che la voce si spargeva e i vari Parmenide, Gorgia, Protagora avevano uno stuolo di persone che li seguiva dunque andassero. Si spargeva la voce appena si avvicinavano alla città, tutti si precipitavano, Parmenide, descritto da Platone come vecchio e terribile, terribile perché Sofista, cioè chi è il Sofista? È una persona che in nessun modo può essere persuasa, né convinta di alcunché, nemmeno di ciò che lui stesso pensa. Ora non avendo questa prerogativa, si trova in una posizione particolare che ha almeno due aspetti di un certo interesse, il primo aspetto è che in nessun modo è manipolabile, indirizzabile e trattabile, non perché avesse un caratteraccio, magari qualcuno ce l’aveva anche, ma non è questo, ma in nessun modo orientabile, e quindi persuadibile, questo è un aspetto, l’altro è che in nessun modo poteva temere alcunché, neanche rispetto alle cose che lui stesso diceva o pensava, intendo dire questo, che non può essere persuaso nemmeno da una sua paura, per esempio, paradossalmente. Dicevamo tempo fa, proprio alla Libreria Araba Fenice, se qualcuno ha paura, ha paura di qualcosa anche se questo qualcosa, non lo individua immediatamente, e quindi almeno in questa cosa crede, almeno questa, se gli togliamo anche questa in effetti non è nemmeno pensabile di avere paura con tutto ciò che segue. Ecco questo secondo aspetto è un aspetto su cui mi sono trovato a riflettere effettivamente dal momento che la mia formazione è prettamente psicanalitica e la psicanalisi come è noto si occupa di fare questo, almeno così dice la vulgata, di togliere le angosce, le paure, gli affanni, gli acciacchi di ogni sorta. Ma in che modo questo avviene per lo più? Nel modo tradizionale, cioè quello della conversione, che è quello religioso, cioè: “cessa di credere questo perché la verità è questa, perché le cose stanno così, non cosà come pensi tu”. Questo è il modo tradizionale e fino ad oggi non ne è stato pensato nessun altro, eppure forse c’è un modo assolutamente più radicale di porre le questioni che non passa attraverso la necessità di un atto di fede. In alcuni scuole di psicanalisi avviene propriamente questo, cioè un addestramento, voi pensate agli junghiani, l’analisi transazionale, quella dell’oggetto di Winnicott… per indicare il modo estremo di religiosità, viene proibito di leggere testi che non siano quelli voluti dalla scuola, viene inculcato un metodo, inducendo a pensare che questo è il metodo e questa è la verità e quindi a credere, che sia proprio così, questo è il sistema della conversione, cessa di pensare il falso e comincia a pensare il vero, smetti di fare l’ebreo e comincia a fare il cristiano, e viceversa…dunque una conversione, finalmente ho capito come stanno le cose, prima non sapevo, adesso finalmente so, la questione che ci siamo posti fin dall’inizio, era se fosse possibile pensare altrimenti, tutto faceva sembrare che non lo fosse e invece sì, e invece c’è questa eventualità, può non essere semplicissimo certo, ma d’altra parte questa è la scommessa e l’invenzione della Sofistica va in questa direzione, porre questa eventualità in termini concreti, tali che sia praticabile. Ecco dunque la formazione psicanalitica che induce effettivamente a pensare che un modo di pensare almeno inadeguato, prendete le varie formulazioni che vengono fatte in ambito psicanalitico anche se non in modo così rozzo e grossolano come quelle che indicavamo prima, ciascun pensiero psicanalitico si pone come teoria, (interventi vari) dunque prendete una qualunque teoria, questa teoria vi consente di riferire immediatamente a una qualunque proposizione un altro fatto, un altro fatto che si pone necessariamente come lo stato delle cose, uno stato di fatto, le cose stanno così, ma al di là di questo, ciò da cui siamo partiti era questa considerazione, cioè se fosse praticabile un pensiero dove questo atto di fede implicito e necessario diventasse invece non necessario, ciascuno può farlo evidentemente, nessuno glielo impedisce, ciascuno è libero di credere quello che vuole ma la scommessa è questa. Come avviene tutto ciò? Ecco l’esempio che vi ho fatto all’inizio della soluzione del problema posto la volta scorsa è emblematico, qual è l’operazione compiuta per fare questo? Una molto semplice e cioè una questione che si è posta e cioè a quali condizioni io affermo che gli umani parlano? Che parli, certo, ma quindi che faccia questo gesto, il gesto risulta quindi necessario, deducibile, è un’implicazione necessaria perché altrimenti, non avverrebbe assolutamente niente e pertanto come avevamo promesso la volta scorsa, la soluzione comporta un elemento che è deducibile ma non derivabile. Dunque si è trattato semplicemente di questo di riflettere su qual è la condizione per potere fare una cosa del genere, per potere dire una cosa del genere, molto semplicemente, e dunque non c’è nessun apporto di nessuna teoria e una cosa che chiunque può fare, poco poco che si soffermi a riflettere. Che cosa impedisce di compiere questa operazione? La ricerca della causa, e la certezza che debba esistere una causa, vale a dire, causa in questa accezione, come l’elemento da cui il successivo è derivato e pertanto derivabile, mentre ciò che abbiamo indicato con necessario è semplicemente questo, che se non c’è questo elemento, io non posso dire, non posso neanche farmi questa domanda, in questo senso è necessario, non che sia derivabile, la derivabilità non ci interessa, almeno in questa accezione. Dunque un’operazione semplicissima, che è resa complicata da una certezza che ciascuna cosa deriva da un’altra, che se ciascuna cosa si muove ci deve essere un primo motore immoto, non in moto, immoto, cioè non mosso da altro, che è già un modo comunque interessante di porre la questione. Da che cosa è mosso in effetti questo gesto di cui parlavo all’inizio, questo gesto iniziale? Da qualunque cosa io decida, da qualunque cosa e il suo contrario, cioè non è derivabile da niente, avviene. Avviene ed è la condizione per cui qualcosa accada. Ma avviene nel senso che non c’è nulla di fatalistico in tutto ciò, se noi ci chiediamo perché avviene, già ci troviamo situati, in una struttura da cui non veniamo più fuori, dicevamo l’altra volta, martedì scorso, che a rigore di termini, termini di cui stiamo riflettendo, chiedersi il perché delle cose, non ha alcun senso, non ha alcuna portata. Questo chiaramente non ci impedisce invece di domandarci un sacco di cose, da qui poi sorse il problema di cui ci siamo occupati all’inizio, dunque sappiamo che chiedendoci il perché delle cose, possiamo giungere dove vogliamo, questo sappiamo con assoluta certezza, in qualunque posto o qualunque contrario, non è che non possiamo o non dobbiamo chiederci il perché, possiamo farlo benissimo, tenendo conto di questo dettaglio, che ho appena enunciato, poi ciascuno può chiedersi qualunque cosa, come avviene evidentemente. Lacan aveva sfiorato la questione poi però si è perso, accennando al…poi la inchioda nei suoi reticoli e nelle sue determinazioni, l’avete letta la Lettera Rubata? Ecco lì la prima parte allude a una eventualità che non è lontanissima da ciò che stiamo dicendo e cioè che l’enunciazione di un significante comporta un significato, ma di questo significato se ne dico lo pongo nella posizione di significante, quindi sopra la barra, e questo significante avrà un altro significato, e così via all’infinito, che era già un modo, un avvio della questione, poi invece si è arenato, dando lui un significato a questa successione che inchioda in una sequenza stabilita e surdeterminata e quindi prevedibile, tant’è che la serie dei gamma che lui chiama così, interviene sempre in un certo modo, in una certa posizione, in una certa combinatoria, leggete questo saggio. Ma dicevo un avvio tutto sommato, un accenno alla questione certo poteva riprenderla in ben altri termini, non è andata così, quando non va così in effetti? Quando senza accorgersi e questo voi potete farlo in ciascuna teoria, è abbastanza semplice reperirlo, sorge la necessità di un fondamento, stabilire almeno un elemento che sia quello. Può anche farsi come fece Peano un’altra operazione, che è quella che poi fa anche Kant, rispetto al giudizio sintetico a priori, l’assiomatizzazione di Peano è un giudizio sintetico a priori, ricordate i cinque assiomi di Peano: Numero est classe. Zero est numero. Ecc…. ciascun successore di un numero è un numero e così via, e poi inserisce da ultimo la formula ricorsiva che consente di costruire ogni formula matematica e con questi cinque assiomi ha costruito la matematica, ma ciò che ci interessa qui è che questi cinque assiomi sono per lui idee primitive, non ulteriormente scomponibili, derivabili, è così. Ora certa può dirsi che per Peano non erano dei dogmi, lo sono stati per altri, come per Kleen (?) per esempio e altri dopo di lui, ma porre delle idee primitive, non ulteriormente scomponibili e quindi non ulteriormente derivabili è come porre delle regole per un gioco, ma tenendo conto che queste regole sono assolutamente e totalmente arbitrarie non che sono necessarie, in quanto tutti gli umani pensano questo e quindi deve essere necessariamente così, come qua e là sembra pensare Kant, forse anche un po’ di più che qua e là, restano…

Intervento: Assioma e postulato sono la stessa cosa?

No anche se talvolta vengono un po’ sovrapposti, però esiste una distinzione fra, la nozione di assioma è antichissima, Axiomata le dignità, ancora Vico le chiamava “le degnità” le cose degne di essere poste, l’assioma in logica matematica ma non soltanto è una formula ben formata, necessariamente vera e pertanto una tautologia, che non può essere dimostrata perché la dimostrazione è una serie finita di formule ben formate che muove da questo assioma e che giunge all’ultima formula che è nota come teorema, ma non può essere dimostrato in quanto si pone come regola del gioco, si può dirla così…

Intervento:

Postulato è una cosa che si afferma ma a partire da altri elementi e che pertanto può, anzi in alcuni casi deve essere dimostrato…l’assioma no, Euclide…sono una serie di postulati che la geometria postula e che vengono dimostrati. L’assioma no, l’assioma è soltanto una regola per giocare, è come stabilire nel gioco della dama, quando ci sono due dame sovrapposte, possono muoversi in tutte le direzioni, ecco può metterla così: è dimostrabile? Come si fa a dimostrare una cosa così, è una regola per giocare

Intervento:

Ma è dimostrabile anche la deduzione, anche l’induzione sono dimostrabili, sono teoremi, poi è arrivato Gödel che ha dimostrato l’incompletezza, per un verso e l’indecidibilità, ma questa è un’altra questione… di cosa stavo parlando? Delle idee primitive certo che vengono poste in questo caso come regole per giocare esattamente come sono per Wittgenstein, le regole grammaticali, la struttura grammaticale la sintassi ecc.. e non pertanto strutture necessarie che renderebbero conto della natura degli umani e quindi derivabili da tutto questo tutta una serie di considerazioni circa l’umana natura e la sua condizione, ecco fatto questo preambolo ci resta da cominciare in modo molto deciso, la settimana prossima ci sarà un’assemblea generale, buona notte a tutti…