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9 aprile 1998

 

Ciascuno pensando generalmente argomenta in un modo o nell’altro, individua cioè tutti quegli elementi che gli sono indispensabili per giungere alla conclusione che ritiene necessaria. E allora in questo frangente Cicerone viene bene perché lui era abile nell’argomentare, molto abile. Occorre essere abili, almeno quanto lui, dico almeno perché in assenza di questa abilità accade di trovarsi a pensare delle cose e poi crederci con estrema facilità, cose che si pensano o cose che altri dicono, che appaiono essere assolutamente vere, assolutamente necessarie. Ma perché appaiono tali? Perché non si trova un modo per accorgersi che potrebbe non essere così e molto facilmente anche... (...) Questo è un altro discorso, io posso utilizzare una cosa senza credere in quella cosa, credere che sia necessariamente così, io mi trovo ad utilizzare un sistema metrico decimale senza credere che questa sia il metro universale delle cose.

Intervento: Il fatto che io non voglia credere diversamente implica che quella cosa sia abbastanza importante nel mio discorso...

Sì, certo, come abbiamo già visto qualche volta fa una credenza si forma così in effetti, perché è utile. Comunque, dicevamo che Cicerone ha acquisito una certa abilità, perché lui andava sempre nel foro a discutere cause di vario genere, ogni tanto le vinceva ogni tanto le perdeva a seconda dei casi, però, però era molto abile e questo ci è utile, ci è utile perché a questo punto si tratta di confrontarsi con le sue argomentazioni, come una sorta di esercizio. Per esempio, Cesare:

Intervento: Lui sosteneva che bisognava morire quando è all’apice della felicità...

Ci dimostri che è assolutamente così... (Io sosterrei il contrario, direi...) Eh no!, deve provare in modo assolutamente inconfutabile che sia assolutamente così, e cioè che per ciascuno la felicità maggiore è morire…  (Mi è difficile sostenere che sia così perché io direi l’opposto…) Lei non deve dire nulla, nel senso che né l’opposto né il verso né il retto sono veri, e quindi in teoria potremmo sostenere sia l’una cosa quanto l’altra  in modo altrettanto ferreo... ( Io direi che posso scegliere il momento della mia morte perché lo ritengo il più opportuno…) E perché non dovrebbe essere così? (Dipende dal momento opportuno…) Questo per ciascuno, ovviamente... ha mai pensato che un momento di grandissima felicità, o meglio, non ha mai pensato in quel momento che sarebbe stato bello poterlo fermare, per sempre? (...) Ma se lei raggiungesse l’apice della felicità pensabile, immaginabile, qualunque altra cosa seguisse non sarebbe a quell’altezza, sarebbe comunque deludente e quindi lei passerebbe la sua vita in piena delusione, vivrebbe malissimo nel ricordo di una cosa che è stata e non sarà più… (Dipende da come io intendo questo apice) Supponiamo che ...(...) non precipiti, non precipiti la morte... però in quel momento lei ha raggiunto tutto ciò che poteva raggiungere e nulla al mondo che seguirà sarà altrettanto bello, altrettanto degno altrettanto entusiasmante, altrettanto meraviglioso... supponiamo che lei abbia questa certezza. A questo punto, passato questo momento di estrema felicità, lei ha la consapevolezza che tutto ciò che seguirà non sarà a quella altezza e supponiamo anche che lei decida che la sua abilità trae un senso unicamente dal raggiungimento di quella felicità che lei ha raggiunto e che quindi lei ha trovato il senso della sua vita, come se avesse compiuto la sua esistenza. Allora, a quel punto, che ne è del senso della sua esistenza? È già stato dato, è già stato compiuto, qualunque altra cosa possa accadere non potrà mai essere il senso della sua esistenza, quello che ha raggiunto. Ciascuno in cuor suo, che lo sappia o no, che lo voglia o no, ha una sorta di ideale e può anche non saperlo, anzi il più delle volte non lo sa, se è fortunato capita nella vita di poterlo riconoscere, una volta che lo ha riconosciuto a questo punto si trova di fronte a qualche cosa che lo trascina fortissimamente, è come se dicesse “ecco questo è ciò ho sempre voluto dalla mia esistenza e l’ho raggiunto”. Ma c’è un problema, in effetti: proprio in quel frangente e cioè che ciò che ha ottenuto cioè la sua immensa felicità, all’occasione anche la gloria, la fama, la ricchezza, tutte le cose che gli umani ritengono più confacenti a loro, e come dicevo prima sa che ciò che seguirà non potrà essere la stessa cosa, non potrà più darle quel senso per cui lei è sempre esistito, come se da quel momento lei esistesse per niente, perché ciò che era necessario alla sua esistenza lei lo ha ottenuto. A questo punto può domandarsi “adesso cosa faccio?”, non c’è più nulla che abbia un minimo di interesse rispetto a quest’altra cosa, certamente era l’unica ad avere un senso e quindi, di fronte alla certezza assoluta che nulla che possa accadere potrà destare per lei il minimo interesse, la sua stessa esistenza cessa di destare il minimo interesse e pertanto se la toglie....

Intervento:…

Tu sei partito bene però poi, dicendo che in effetti siamo nella retorica pura, la questione è che come hai fatto tu non c’è modo di negare una cosa del genere, non è possibile, per cui tu dici che il senso non è raggiungibile, io ti dico invece che l’ho raggiunto... E’ chiaro che se tu muovi delle obiezioni logiche ad un discorso del genere, questo discorso ovviamente crolla… (A me non interessava dire se il senso sia raggiungibile o non raggiungibile, a me interessava dire che provare che è negabile retoricamente…)  Perché in questo caso questa sorta di prova retorica ha il valore di una prova, per esempio, dell’esistenza di dio, cioè è chiaro che non può reggere di fronte ad un’argomentazione logica perché crolla tutto, però, però retoricamente regge, regge perché per una persona che ritiene una cosa del genere non fa una grinza, tutto questo discorso è assolutamente coerente, segue un andamento abbastanza logico, almeno sufficientemente o soddisfacentemente logico, non è almeno all’apparenza autocontraddittorio e quindi è vero

Intervento: E’ facile confutare così quello che dice una persona… per me la felicità può anche non essere il conquistare glorie e onori, legioni ma essere felice anche perdendole, purché il mio pensiero sia libero...

Qui entriamo nella seconda parte della questione e cioè che cosa è il bene e che cosa è degno per gli umani, cosa è più degno. Lei cosa direbbe? Cosa è più degno per gli umani? (Liberi nel pensiero, il bene degli umani è essere padroni del proprio pensiero, non essere dipendenti da nessuna religione...) Ma lei crede queste cose più o meno fermamente di quanto Cicerone credesse alle sue? (Suppongo uguale!) E da questo dovremmo trarre Cesare? (Io volevo dimostrare che Cicerone è confutabile...) Al pari di quanto dice lei o meno? (Al pari di quanto dico io) Certo, cosa differisce queste due valutazioni? (Quello che dico io dovrebbe portare ad una maggiore libertà) Ma quello che lei dice è sempre qualcosa che lei opina certamente, come Cicerone proponeva le sue opinioni o è una certezza assoluta che lei afferma? (Il discorso religioso ha sempre portato a dei misfatti, se io non ho un nemico per chi mi batto? Tutto questo è relativo perché se attaccano una persona a me cara…) Funziona così, tutti quanti quelli che son lì, almeno la più parte, non hanno nessuna voglia di combattere, né da una parte né dall’altra, tranne alcuni comandanti, però funziona in questo modo, il cameratismo è importantissimo fra i militari tant’è che i greci invitavano moltissimo all’omosessualità proprio perché si creassero legami molto forti tra i ragazzi e allora cosa succede? Che l’amante di uno dei due viene sbudellato e quell’altro se ne ha a male e diventa cattivissimo, diventerà una furia....(...) Sì, ma Cicerone, come ciascun altro, giungeva a certe conclusioni perché per lui erano assolutamente certe, erano assiomi su cui sosteneva tutta la sua argomentazione al pari di come fa ciascuno quando sostiene la propria opinione, fa esattamente la stessa cosa e cioè muove da assiomi, da cose in cui crede che dà non solo per certe ma per incontrovertibili, anzi naturali, talmente naturali che chiunque sostenesse il contrario non sarebbe neanche degno di appartenere al consesso degli umani ed è così che ciascuno pensa in linea di massima. E’ così che si costruisce qualunque teoria, dalla teoria più sofisticata alla più banale, una teoria scientifica, una teoria giuridica, psicanalitica viene costruita esattamente allo stesso modo, a partire cioè da qualche cosa che si ritiene indubitabilmente certo, esattamente come fa Cicerone. Ed è per questo che è interessante una cosa del genere, perché può all’occorrenza mostrare come si forma un modo di pensare e come si consolida e come accade di trovarsi a esistere tenendo conto di questo principio che è assolutamente arbitrario...

Intervento:…

Cicerone si era formato praticamente con gli stoici, anche se era un eclettico poi in definitiva. Come dicevamo all’inizio era molto abile nell’argomentare e quindi questa sorta di esercizi gli era piuttosto congeniale ma non possiamo annoverarlo sicuramente fra i sofisti in quanto esercizio per lui non era altro che un modo per raggiungere ciò che lui riteneva essere vero. Ma ciò che più interessa è in effetti, come si diceva prima con Cesare, potere accorgersi di tutto ciò che nel proprio discorso funziona come principio, ciò su cui vengono costruite tutte le proposizioni che costituiscono tutto ciò che io penso, non è che una volta accortomi di tutto ciò cambi tutto, cambia solo un elemento e io continuo a fare grosso modo le stesse cose, soltanto non posso affermare nulla anche per quanto riguarda me, non posso affermare nulla se non come elemento di un gioco, sapendo perfettamente che è di questo che si tratta. Quando lei dice “io penso così” può essere una piccolissima variante però può essere significativa affermare invece non “io penso così” ma accorgersi che in questo momento sto giocando questo gioco, non è che “io pensi così”, “io non penso né così né cosà”. Per esempio, se facciamo questo gioco per cui devo confutare quello che dice Roberto  non è che ciò che io sostengo contro Roberto sia ciò che io credo, ciò che io penso; io non credo e non penso, costruisco soltanto delle proposizioni che all’interno di alcune regole vanno a incrinare... ma non penso che sia questo e neanche che sia cosà (...) Questa sorta di esercizio che facciamo adesso così in modo un po’ spiccio conduce poi all’impossibilità di potere come si suole dire “pensarla in un certo modo”: io non penso che sia così né che sia in un altro modo, nel senso che non credo questo, posso sì affermarlo, posso negarlo, posso fare qualsiasi cosa ma le cose che io penso non possono costituire in nessun modo il fondamento per una costruzione religiosa per esempio, dove con “religiosa” intendo una cosa che credo fermamente… (Ma allora cosa è cambiato nel pensiero da Cicerone ad oggi?) Rispetto a che cosa? Cosa è cambiato nel pensiero? Nulla, perché si aspettava che fosse cambiato qualche cosa? Nulla, è sempre esattamente allo stesso modo, certo con qualche piccola variante, qualche aggiunta, ma la struttura è la stessa, non è variata. D’altra parte, leggendo Cicerone lei stesso avverte che le questioni sono le stesse, sono gli stessi processi, quelli che lui seguiva, per esempio il processo a Verre, Mani pulite, concussione, la stessa storia, le arringhe di allora potrebbero essere fatte ancora oggi, non più in latino ma in italiano, italiano sgrammaticato così viene meglio (Il vantaggio di un discorso come questo di intendere ...) Anche il discorso religioso ha fatto dei danni? Saprebbe? (Se uno pensa al nazismo secondo me...) Lei quindi ammette l’eventualità che possa non essere così, è una captatio benevolentiæ oppure è un dubbio che lei ha? (...) Non è questo che occorre fare ma come si diceva prima come esercizio. In effetti, questo comporta l'impossibilità come si diceva di poter credere una qualunque cosa, anche quella che appare come la più sicura, la più certa, di fronte al fatto che i nazisti abbiano fatto del male che potrebbe, in cuor suo, negare una cosa del genere? Eppure, affermo una cosa del genere, cioè che i nazisti hanno fatto del male, perché muove da alcune considerazioni che ritiene assolutamente  naturali, ovvie; sono soltanto regole di un gioco, al di fuori di questo quello che hanno fatto o non hanno fatto è nulla, è assolutamente nulla. Di questo occorrerebbe tenere conto anche per questioni meno vaste ma molto più spicce, più quotidiane ma che hanno la stessa struttura, cioè si costruiscono allo stesso modo. Da qui questa sorta di esercizio che vi avevo detto di fare (...) Era questa la questione, non è che ci interessi Cicerone in quanto tale. (Dipende dal punto di vista … il male) Ma che dipenda da ciò che si ritiene essere il male questo è una tautologia. Dire questo però non è che ci porta molto lontani, abbiamo affermato una tautologia, e cioè che ciascuno pensa a un bene o a un male e quindi commisura le cose che avvengono in base a questo suo criterio, ma non è tanto questo che ci interessa di stabilire, quanto il fatto che invece accade che ciascuno abbia una sua idea di bene e di male e in base a questa stabilisca delle norme della sua esistenza e se è in suo potere anche di quella altrui. Ma neanche questo è un bene e neanche il male poi ovvio che possono degli elementi che servono all’interno di un gioco per ovviare a certi inconvenienti ma come d’altra parte un giurista un po’ assennato sa, le regole del diritto non sono naturali, sono una costruzione...

Intervento:...

Intervento: Come è difficile distinguere…

Non è difficile, o meglio, da una parte è impossibile, dall’altra è facilissimo. Impossibile se lei vuole stabilirlo come un criterio prettamente logico, allora non troverà nessun parametro sufficiente a stabilire questa nozione; facilissimo, se invece accoglie la regola che afferma che fare in un certo modo è bene, e quindi è il bene, se accoglie quella opposta allora è male. Quindi o è impossibile oppure è facilissimo, non è difficile, a meno che uno non abbia un momento di ripensamento, è un attimo e va a parare da qualche parte. (....) Non è che la confutazione sia un obiettivo è soltanto un esercizio, non è che la meta della nostra esistenza sia confutare il prossimo... (Il mio discorso deve proseguire e posso affermare tutto quello che mi aggrada.) No, non lo può fare, nel senso che, anche se teoricamente, potrebbe farlo ma non avrebbe nessun senso: lei può anche affermare “questa porta è nera” e allora? Vale a dire, lei può affermare una cosa del genere se ha un utilizzo, e quindi abbiamo una limitazione, lei può affermare soltanto proposizioni che hanno un utilizzo; la seconda limitazione è ancora più forte: lei non può uscire dal linguaggio, quindi non può pensare cose che sono fuori dal linguaggio, non può dire quello che vuole dal momento che ciascuna volta che lei parla è comunque vincolato alle regole del gioco in cui si trova in quel momento. Se fa un certo gioco necessariamente deve utilizzare quelle regole e non altre, questo è un altro limite, molto forte. Come si diceva, non può giocare a poker utilizzando le regole degli scacchi, se vuole giocare a poker deve utilizzare quelle regole necessariamente, quindi la sua libertà è condizionata. (....) Questa limitazione nella migliore delle ipotesi, nella peggiore invece ci sono ulteriori limiti, al punto da non potere più fare niente, nel senso che qualunque cosa diventa segno, per esempio, di una certa cosa e quindi non deve farsi, è segno del male, è segno della cattiveria, è segno della sconsideratezza, e allora non può più fare nulla, ma è una limitazione che viene imposta per così dire. È come se facesse un gioco le cui regole impediscono di fare tutta una serie di mosse, di operazioni, che sono tantissime, per cui la differenza rispetto a ciò che andavo dicendo prima è che ignora che sta facendo un gioco, immagina che queste limitazioni vengano da qualche cosa che non conosce, non sa. È così in effetti è strutturato il pensiero in linea di massima, è molto difficile accorgersi che si sta facendo un gioco...

Intervento: Cicerone partendo da questa premessa che può essere la morte o la vita, la morte come male e la vita come bene, questa dualità continua che conduce il gioco…

Si pone comunque in ciascuno “faccio bene o faccio male a fare così?”.

Intervento: Questo modo di procedere è come nei discorsi platonici, delle due l’una e pare che non ci siano altre strade, questa continua soppressione di un’altra strada per cui non c’è la possibilità di trovare altre strade... bene, male o corpo anima proprio per arrivare a unificare, a trovare il vero…

Sistema binario, dunque, è vera l’una cosa o l’altra… la logica funziona così e quindi? (....) Pone sì una esclusione, esclusione in quanto un elemento esclude necessariamente un altro.

Intervento: Però se io considero che se un elemento esclude un altro elemento perché lo affermo e non posso non farlo,  ma non ha nessun attributo di esistenza....

Sì, è la distinzione che facevamo tempo fa fra logica e retorica, fra ciò che costituisce un elemento del linguaggio e non può eludersi in nessun modo perché ne è la sua stessa struttura, e quindi non posso toglierlo perché per toglierlo in ogni caso devo usarlo nel linguaggio e quindi devo utilizzare ciò stesso che voglio eliminare; e invece  l’aspetto retorico dove ciascuna proposizione è arbitraria cioè non ha questo carattere di necessità. È come dicevamo la più parte degli intoppi che il discorso occidentale ha incontrati e intervengono da una sorta di sovrapposizione fra la logica e la retorica, e quindi costringe per così dire a immaginare proposizioni assolutamente arbitrarie come necessarie, e quindi a quel punto occorre attenercisi, ma non c’è nessun motivo per farlo. Curioso che lungo un itinerario analitico ci si scontri continuamente con questo e cioè con la necessità di appoggiare le proprie affermazioni a dei luoghi comuni, “tutti pensano così” “nessuno oserebbe negare una cosa del genere” e quindi sono nel giusto, può non essere facilissimo opporre qualche obiezione a una certezza del genere, perché come dire è sostenuta da  argomentazioni difficili  a scuotersi, come dire tutti gli umani pensano così da sempre e quindi è il modo, neanche corretto o sbagliato, è il modo in cui gli umani pensano e quindi anch’io penso così, cosa devo fare, non sono mica un marziano! E allora non c’è niente da fare! Questa è un obiezione che viene posta talvolta, cosa potremmo dire a questo punto?

Intervento:…

Non è la maggioranza, è l’umanità intera, da quando esiste, è un po’ diverso dalla maggioranza, la stessa struttura da sempre, dunque gli umani pensano così... se gli umani hanno sempre pensato così allora è il modo in cui pensano gli umani.

Intervento:…

Il discorso religioso è qualunque discorso che si fondi sull’idea che esista almeno un elemento fuori dal linguaggio. Cosa implica una cosa del genere?...soprattutto comporta un fatto così buffo che cioè è sorretto su un paradosso, tutta la sua esistenza poggia su un paradosso, cosa che può affermarsi come vera se e soltanto se non lo è. Non sembra bizzarra una cosa del genere? Bizzarro che tutto il discorso occidentale sia fondata su un paradosso, tutto ciò che ne è seguito è un tentativo più o meno interessante, più o meno elaborato di risolvere questo paradosso. Tutte le varie dicotomie, logica/retorica, mente/anima, ecc. è un tentativo di risolvere questo quesito.