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9-3-2000

 

Qualche considerazione intorno alle cose dette?

 

Intervento: il fatto della necessità, si vive in una certa società con la quale abbiamo un certo rapporto… lei diceva, che la necessità diventa religione se blocca un discorso, se diventa un ostalo per poter proseguire… una volta accettato ciò che io ritengo necessario, non è che mi blocchi il discorso…

Sì, intanto occorre distinguere tra “necessario” che è ciò che non può non essere e ciò che è funzionale a qualche cosa, in questo caso parlerei di ciò che è funzionale, una scelta, una decisione che è funzionale ad un certo gioco, non direi che è necessaria perché con necessario intendiamo ciò che non può non essere, ma è un elemento che è funzionale ad un certo gioco, ora certo questo non comporta che necessariamente che il gioco debba, che il pensiero debba arrestarsi, è una questione di responsabilità, cioè di considerare la scelta che si fa e il gioco rispetto al quale questa scelta è funzionale, poi abbiamo detto tante volte ciascuno può fare ciò che ritiene più opportuno, importante è che ci sia una responsabilità, cioè sapere che cosa si sta decidendo e per quale motivo, poi come dico non c’è nessun impedimento a fare qualunque cosa, ecco questo introduce una questione di cui volevo dire questa sera cioè la domanda, in effetti il pensiero che si arresta non è altro che un pensiero che suppone di aver trovato la risposta alla domanda, come dire devo fare questo per questo motivo e quindi ho risposto alla domanda. Però merita di riflettere intorno al domandare, dicevamo l’altra volta che l’analista domanda, domanda così come domanda il linguaggio, nel senso che domanda altre proposizioni, domanda una risposta, ora la domanda che c’è nel linguaggio, potremmo porla in questi termini e cioè come la costruzione di una proposizione la quale proposizione ha come fine un’altra proposizione, quest’altra proposizione cioè la seconda proposizione interviene come ciò che dice della necessità della prima, adesso mi spiego meglio, prendete questa stessa domanda che io mi sono posto, cioè che cos’è la domanda, è una domanda e quindi abbiamo già l’esempio, una domanda quindi è una proposizione ovviamente, cioè “che cos’è una domanda?” questa è una proposizione, fatta sotto forma di interrogazione, questa si attende un’altra proposizione ovviamente, questa seconda proposizione è ciò che rende la prima e cioè la domanda “che cos’è una domanda” necessaria, in questo senso, instaura, trova ciò che non può non essere rispetto alla domanda iniziale, cioè la prima proposizione, ora ovviamente mi riferisco a un domandare teoretico e qui occorre distinguere o la domanda si pone in termini teoretici e cioè si attende una proposizione che enunci ciò che non può non essere, oppure è una domanda retorica. Domanda retorica sono tutte le domande che non sono domande teoretiche, e cioè tutte le domande che non si attendono qualche cosa che deve necessariamente essere, nel senso che una qualunque domanda che si formuli, che poi una domanda è sempre della forma dell’implicazione “se… allora”, se questo allora quest’altro, anche se non è formulata direttamente in questi termini, qualunque domanda dicevo è una domanda retorica in quanto si aspetta qualunque cosa, non ha importanza che cosa o meglio è importante rispetto al gioco che sta facendo, l’unico criterio è che la risposta sia coerente con il gioco che si fa, però non c’è nessuna richiesta di necessità, per questo distinguo tra domanda, che domanda del linguaggio, domanda teoretica, domanda che chiede ciò che necessariamente è e non può non essere, da una qualunque altra domanda che invece è una domanda retorica, e dico retorica anche in accezione antica del termine, cioè una domanda che non si aspetta propriamente non necessariamente ciò che domanda, faccio un esempio molto banale il domandare dell’ufficiale dell’anagrafe il nome e l’età, si attendono una risposta ma questa risposta è differente da quella che si aspetta il fanciullo che domanda alla fanciulla come si chiama e quanti anni ha, pur essendo la domanda la stessa ma la risposta, il modo in cui interviene la risposta, ciò che significa la risposta è totalmente differente, ciascuna risposta che viene formulata e che ciascuna persona si formula è strettamente connessa con il gioco che in quel particolare momento si va facendo, per questo tante volte non ha nessuna importanza la risposta in quanto tale ma il modo per esempio in cui si formula, intervengono una quantità enorme di elementi, per cui potete considerare qualunque domanda una domanda retorica, anche quando uno si chiede faccio bene o faccio male a fare una certa cosa? è sempre e comunque una domanda retorica, la cui risposta è vincolata alle regole del gioco che va facendo in quel momento, altro è invece il domandare del linguaggio, ciò che intendiamo con il domandare del linguaggio e cioè una domanda circa ciò che è necessario che sia, se io mi chiedo che cos’è una domanda e me lo pongo in ambito teorico, come sto facendo allora la risposta che cerco non è altro che una proposizione che rende il domandare necessario e cioè che stabilisce che il domandare è un atto che appartiene al linguaggio e cioè un atto tale per cui qualunque elemento che interviene si attende un altro elemento necessario, esattamente così come stiamo proseguendo, come abbiamo cominciato a fare da qualche anno a questa parte e cioè porci questioni e attenderci risposte che si attengano al criterio del linguaggio e cioè che siano necessarie, con criterio del linguaggio intendo il fatto che qualunque cosa sia questa necessariamente è un atto linguistico. Ora ciò che fa l’analista nella conversazione analitica è porsi come il linguaggio, e il linguaggio che cosa fa? domanda, domanda cioè come se dicesse, adesso dico un po’ così, che ciò che si è detto non è sufficiente, anche tutte le risposte che una persona si dà generalmente non sono sufficienti, non sono sufficienti non perché manchino rispetto a qualche cosa ma perché comunque altre proposizioni possono essere costruite, al punto in cui, c’è la considerazione oltre che la constatazione che ciascun atto linguistico, non termina, non termina sull’ultima cosa, sull’ultima parola, sull’ultima spiegazione, ultima qualunque cosa, ma ha comunque sempre un altro rinvio di cui io non posso non tenere conto, anche se non lo utilizzo ma non posso non tenerne conto, cioè non posso non sapere che comunque ciò che ho stabilito è assolutamente gratuito e se mi fermo lì mi assumo la responsabilità. Come dire non c’è nulla di costrittivo in ciò che ho fatto l’ho fatto per una mia decisione, di fare così anziché cosà, con tutto ciò che questo comporta. Però ecco dicevo del domandare, quindi fare le veci in un certo senso del linguaggio, lungo l’analisi l’unica cosa che può farsi è questo cioè continuare a marcare che qualunque affermazione si faccia questa affermazione ne implica delle altre che non sono né di minore né di maggiore valore, sono altre proposizioni esattamente come la precedente, ed è quando si instaura questa processo di infinitizzazione come abbiamo detto altre volte, che c’è un effetto per così dire di analisi, e cioè la persona si trova effettivamente nel linguaggio e non può più tornare indietro, per cui allude ciascuna volta che è possibile costruire un’altra proposizione che ha lo stesso valore, ché è questo che fa il linguaggio costruisce proposizioni che hanno lo stesso valore e il valore cambia a seconda del gioco che si va facendo ovviamente ma anche questo gioco al di fuori del linguaggio non ha nessun valore. Però è necessario che ci sia la domanda oppure no? Così come l’abbiamo posta come una proposizione che attende da un’altra proposizione una verifica della propria necessità (la necessità della domanda o della proposizione?) la necessità della domanda che non è altro che una proposizione, che ha questa particolare forma, è come chiedersi se è necessaria l’elaborazione e cioè di un elemento che non può non essere; può non essere ovviamente dal momento che la più parte delle persone non compie nessuna elaborazione teorica. Cosa c’è di necessario in tutto ciò? Visto che abbiamo appena detto che la domanda ha questa prerogativa e cioè ci si attende dalla seconda proposizione, quella che rende necessaria la risposta l’attestazione per così dire della propria necessità, ma potremmo dire che ciò che è necessario nella domanda è il fatto che una proposizione necessariamente ne richiede un’altra, tempo fa, accennammo alla questione riguardo al desiderio, forse la questione non è così lontana, abbiamo indicato con desiderio la necessità che ciascuna proposizione ne attenda un’altra, per così dire, ora il domandare ha a che fare con il desiderio ovviamente, se uno non desidera non domanda, il fatto di domandare qualcosa è la messa in atto di un desiderio qualunque esso sia, come dire che ciò che rende necessaria la domanda è che la domanda si costituisce come proposizione e questa “necessariamente” fra virgolette ne domanda un’altra e non può non farlo perché ciascuna proposizione è un atto linguistico, in questo modo la domanda risulta strutturale all’atto di parola, posta in questi termini ovviamente… (c’è una differenza fra desiderio e domanda che comunque fanno proseguire il discorso, difficile dal desiderio giungere all’atto linguistico, mentre la domanda l’abbiamo posta in termini strutturali e quindi funziona) sì è più facilmente evidente, sì passando dalla domanda è di più facile accesso anche la questione del desiderio (noi parliamo di domandare e chiaramente sono verbi performativi così come il desiderare o immaginare) anche il desiderare un verbo performativo (sì però quello che fa è un altro desiderio ed è molto più lungo arrivare all’atto linguistico) sì, sì certo (d’altra parte non possiamo negare che il desiderio sia una domanda) l’aspetto più importante in una analisi è quello di volgere delle proposizioni in domande, uno fa un’affermazione e questa affermazione può e deve essere volta in una domanda in una interrogazione, è un modo questo per incominciare a instaurare il domandare nel discorso, fino al punto in cui la domanda diventa strutturale, ovviamente per cui non c’è la domanda necessariamente con il punto interrogativo perché ciascuna proposizione è già presa nel domandare, è già presa in un’altra proposizione, come se la proposizione fosse disponibile alla proposizione successiva, che è quella che produce, cosa che generalmente non avviene, per questo volgere un’affermazione, una qualunque proposizione in una domanda con il punto interrogativo, il primo passo ma in alcuni casi è indispensabile, fare in modo che una persona cominci ad accorgersi di alcune cose. Sì cosa pensate? (mi interrogavo su qualcosa che lei ha detto martedì scorso a proposito della regressio ad infinitum) che cos’è la regressio ad infinitum? (…) deve riproporre il discorso perché non ricordo assolutamente niente (parlava di Tommaso che affermava che non è possibile questa regressio perché suppone la causa prima come qualcosa fuori dalla parola) (ecco io non intendo come l’ascoltare delle proposizioni che intervengono sia la ricerca della causa prima e quindi un qualcosa che è inteso come qualcosa fuori dalla parola) (se è posto come naturale la causa prima non è posta come linguaggio e cioè come regola grammaticale) esatto sì, in effetti se riflette bene all’interno della struttura del linguaggio non c’è nessun regresso all’infinito, il timore della regresso all’infinito muove proprio dalla presupposizione che si dia qualche cosa fuori dalla parola, questa la ponevo proprio come la condizione, sì perché all’interno del linguaggio non c’è un regresso all’infinito (c’è una progressio) sì una continua produzione di proposizioni ma il ritorno indietro all’infinito non si dà (se uno immagina che questa è una produzione e ascolta la produzione di significanti la posso chiamare regressio ad infinito non capisco perché abbia come presupposizione il fatto che immagino che possa essere fuori dalla parola, io intendo dei significanti) che cos’è una regressio ad infinitum? Cosa si cerca? Se uno fa questa operazione la regressio ad infinitum cosa sta cercando? Perché va indietro? (non va indietro, sa che non può andare indietro) si chiama regresso… (è un nome sbagliato potremmo chiamarla progressio, è come il ricordo, altro performativo) però con regressio ad infinitum si intende una certa cosa, d’accordo che possiamo intendere tutt’altro però si intende sia filosoficamente che grammaticalmente un ritorno indietro alla ricerca di una causa, ora la regressio ad infinitum non è altro che un ritorno, un andare indietro per cercare la prima causa, questo vuol dire regressio ad infinitum, ora chiaramente questa operazione può farsi se si suppone la causa prima fuori dal linguaggio se no io non cerco le cause all’infinito ché la causa se proprio vuole parlare di causa è il linguaggio (quello che mi interroga in tutto ciò è questa produzione che interviene laddove un termine si interroga o una questione si interroga e quindi comincia una produzione di storie, di termini che chiaramente si pongono uno appresso all’altro, questo gioco che io chiamo gioco di parola che è estenuante) estenuante? (sì estenuante, è un appellativo come vero o falso) sì però estenuante ha una connotazione particolare, diverso per esempio da divertente (anche diverso da vero o falso, questo è un aggettivo qualificativo che mi qualifica quello che è questa produzione di parola che in qualche caso giunge a rendere la domanda teoretica riguardo a quella questione da cui ha preso l’avvio, non fa porre delle questioni, rende molto lungo il percorso prima di interrogarsi sul senso per esempio) Sandro ? (stavo pensando alla questione delle responsabilità? Come possiamo inserire la questione della responsabilità… la responsabilità nei termini in cui ne parliamo riguarda un aspetto logico o retorico?) cosa si è risposto? (è una procedura anche questa… non c’è nulla che non sia un atto linguistico, si formula come principio di responsabilità, parliamo di responsabilità ma è quasi come ci fosse qualche cosa a fianco a quello che si dice, mentre è quello che determina tutto, mi chiedevo se questa questione della responsabilità se posta nei giusti termini dà l’impossibilità di riprendere la questione, ma ricorrere alla causa prima è chiaro che ciò di cui vado in cerca è qualcosa non mi riguarda ma non riguarda tanto me, riguarda il linguaggio, si parla di responsabilità personale mentre invece si tratta di responsabilità del linguaggio che non è assumibile, per cui la causa prima è un modo di eluderlo, poi ciascuno in qualche modo nel suo discorso la elude, se qualunque discorso potesse in qualche modo sostenersi…) certo il linguaggio è l’unica cosa che risponde di sé (mi chiedevo se in qualche modo questa non è la procedura per eccellenza è un altro modo per formularsi il principio di responsabilità) come potrebbe formularsi? (…) cioè dice che il linguaggio risponde soltanto di sé e di null’altro, e che null’altro è fuori dal linguaggio (sì una cosa del genere ma formalizzarla questa cosa… se la proposizione non tutto è linguaggio è ciò che mette in discussione che tutto è linguaggio, come dire che l’obiettivo del discorso occidentale è che non c’è responsabilità, per cui c’è l’incapace, il responsabile tutta una serie di cose, si sostiene su che cosa sull’elusione della responsabilità che come dicevo prima è del linguaggio, è linguistico, è il linguaggio che produce se stesso e quindi è da formalizzare…) la formalizzi, cosa aspetta? Bisogna cominciare a inquadrare un po’ la questione. Abbiamo detto dei tre principi, di identità, non contraddizione e terzo escluso (queste sarebbe il quarto dei principi, il principio dei principi) sì, anche se anche questo principio è da richiamarsi a quello che afferma che qualunque cosa questa è necessariamente un atto di parola, anche i principi aristotelici occorre che si richiamino a questo… (…) lei dice in questo modo, principio di responsabilità: qualunque cosa questa è necessariamente un atto linguistico….ché solo nel linguaggio si è responsabile di sé, questo necessariamente, anche perché uno può essere responsabile solo di ciò che esiste, e ciò che esiste è solo il linguaggio, esiste necessariamente….sì qualche aggiunta? Tanto cosa vuol dire che si è responsabili? (non parlo che si è responsabili ma parlo per esempio di questa regressio in cui si cerca la causa, ma cosa ti rispondi? Quando si diceva appunto che è il linguaggio che produce se stesso e quindi tutto ciò che esiste è un atto di parola, tutto ciò che esiste è la parola che è responsabile della domanda perché è nei confronti di ciò che esiste) il linguaggio è responsabile di qualunque cosa esista, inincominciamo ad avvicinarci (la responsabilità la chiamo decisione e quindi ad un certo momento non può che non essere che un atto linguistico ciò che interviene, però mi chiedevo di fronte all’elaborazione che produce il proprio discorso) un momento, però affermare che qualunque cosa è necessariamente un atto linguistico è una decisione oppure no? e una decisione è un atto che non può essere fatto altrimenti? No, intanto parliamo di costrizione logica (al momento appunto in cui sia una costrizione logica si gioca già questo gioco perché intervengono atti linguistici, non c’è quella verifica per cui interviene è “un atto linguistico o non è vero?” vado avanti, quando interviene la domanda perché è estenuante ciò che sta intervenendo? La mia domanda è utile ciò che sta intervenendo o tiro per le lunghe questo gioco che non finisce più e non mi sto a chiedere che senso ha? Che funzione? Nella decisione è già implicita che è una produzione di parola quella che…)però se si pone in questi termini anche se è implicita non è praticato (non è praticato proprio per questo gioco) allora non serve a niente (è come sentire dei rumori pazzeschi e continuare) esatto, è possibile rispondere fuori dal linguaggio? Se sì con che cosa? e se no allora qualunque risposta è un atto linguistico quindi solo il linguaggio risponde, da qui la responsabilità, la responsabilità non è altro che rispondere qualcosa, per cui l’unico responsabile abbiamo detto è il linguaggio, non ce ne sono altri possibili, salvo le infinite rappresentazioni che possono farsi, retoriche ma logicamente non c’è responsabilità cioè non c’è risposta se non dal linguaggio, il linguaggio domanda e il linguaggio risponde (trovare il modo di connettere la responsabilità alla domanda teoretica) (a quel punto non ci sono chances né per la responsabilità né per la colpa) sì è un modo interessante, sì la responsabilità anche nel discorso comune è sempre una questione molto viva e molto presente e soprattutto posta nei termini del luogo comune la responsabilità è sempre della causa prima, da qui l’affannosa ricerca della causa prima, quindi la regressio ad infinitum, se invece è responsabile del linguaggio la ricerca è bella finita… sì Cesare? (…) però bisogna tener conto che la persona è il linguaggio, a questo punto il problema è dissolto (…) è chiaro che la persona è una figura retorica non è nient’altro che linguaggio, ciò che dice ( la causa prima è la ricerca di un responsabile che sia la causa di tutto, come dire che anche una persona che è in analisi non può ricercare la responsabilità se non all’interno del suo discorso…) sì stiamo dicendo che le persone non sono altro che parole, questa è una delle cose più ardue da mandare giù e da considerare, sì dice giustamente Cesare il responsabile è il linguaggio e io cosa c’entro? Questa proposizione prevede questa: tutto è linguaggio ma io no. Sì in effetti è poi questa la questione considerare che le persone sono parole, compresa la propria persona cosiddetta…