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9 gennaio 2019

 

La struttura originaria di E. Severino

 

Siamo giunti a un punto importante, a quella cosa che Severino chiama contraddizione C. Come dicevamo la volta scorsa, la contraddizione C non è altro che il linguaggio stesso nella sua inevitabile contraddizione. Severino intende bene questa contraddizione perché, parlando, qualunque cosa io affermi, questa cosa che affermo è certo quella che è, però comporta infinite altre cose, che non sono lì presenti simultaneamente, non appaiono. Per usare le sue parole, non sono F-immediatamente evidenti, cioè, non compaiono come fenomeno, come ciò che si manifesta. Il fenomeno è ciò che appare, ciò che si manifesta, φανεισθαι, ciò che esce dall’ombra e si fa vedere. Dicevo che lui coglie bene la questione; in effetti, qualunque cosa si dica, questa cosa è fatta di relazioni. Lui parla del medio, della mediatezza: la mediatezza non è altro che relazioni, relazioni tra le cose, per cui c’è ciò che appare immediatamente che, però, non apparirebbe se non fosse fatto di mediazioni, cioè di relazioni. E, quindi, abbiamo queste due cose: ciò che appare, che non esisterebbe senza tutte le relazioni di cui è fatto, e tutte le relazioni di cui è fatto. La relazione tra queste due cose è ciò che non soltanto le tiene insieme ma fa di queste due cose un unicum, che è ciò che aveva inteso Hegel, perché la relazione tra queste due cose non è altro che la sintesi. Ciò che appare, il fenomeno, è autocontraddittorio, perché è quello che è in relazione a cose che non sono presenti; quindi, è quello che è ma, per potere essere quello che è davvero, occorre che siano presenti, che siano esplicitate, tutte queste relazioni. Solo a questa condizione è quello che è, sennò l’apparire di qualcosa di per sé è autocontraddittorio. Questa è una cosa che lui dice espressamente, lo vedremo a breve. Lui insiste sulle posizioni di S, cioè su tutti gli elementi, le definizioni, tutte quelle cose che fanno di S, cioè la proposizione “La totalità dell’essere è l’immediatamente affermato”; ecco, tutte queste posizioni occorre che ci siano, ma se ci sono è perché sono in relazione tra loro; se fossero irrelate non ci sarebbe nessuna relazione, nessuna posizione. Siamo a pag. 349, paragrafo 10, punto g) Conclusione provvisoria. Ciò che sinora è dunque da tenere fermo è che, in relazione a ognuna delle (passate) posizioni di S, rispetto alle quali la posizione di una o più costanti di S vale come ulteriorità effettiva, la contraddizione C – che appunto compete a ognuna di queste posizioni di S – è tolta ponendo quelle costanti… Se non ci sono è contraddittorio e, quindi, devo mettercele. Solo a questo punto tolgo la contraddizione. Diventerà poi un problema grosso quando si tratterà della struttura originaria, cioè dell’intero: come ce le metto tutte quante le posizioni in un intero? Non si può. Pertanto, la proposizione originaria, l‘originario, è autocontraddittorio. Lui affronterà a breve la questione utilizzando Hegel. Il processo o il divenire costituito da quell’incremento dell’orizzonte posizionale… Che avviene per aggiunta di tutte quelle cose che gli mancano. …che è determinato dal sopraggiungere delle costanti di S, è quindi lo stesso processo o atto di toglimento della contraddizione C… Il fatto di mettere tutte queste posizioni, queste costanti, ci dice che prima non c’erano, ovviamente. Quindi, il fatto stesso che io ce le metta sta a indicare che non c’erano. A pag. 352, paragrafo 12, La totalità dell’immediato come contraddizione originaria. Nella presente esposizione della struttura originaria apparirà in più modi che il piano base della struttura originaria è l’apertura originaria della contraddizione. Per base della struttura originaria potete intendere la proposizione “L’intero è l’intero”. Più oltre non si può andare. Ma per ora il significato concreto della contraddittorietà dell’originario è dato dall’accertamento – che d’altronde è finora solo preannunciato – della disequazione tra l’insieme s1…sn e la totalità delle costanti di S. Queste costanti s1…sn non pongono tutta la totalità delle costanti perché se ne aggiungono. Infatti parla di disequazione tra l’insieme s1…sn e la totalità delle costanti. Il fondamento è certamente l’apertura originaria della contraddizione… Il fondamento è la struttura originaria. …ma nel senso ben preciso che la posizione della totalità dell’immediato non è posizione di tutti quei significati (le costanti), la cui posizione è necessariamente implicata dalla posizione di tale totalità. Ciò che si manifesta è l’immediato; però, a questo immediato mancano tutte le costanti, tutte quelle cose di cui è fatto, che non sono immediatamente presenti, io vedo solo la cosa. Per esempio, io vedo Cesare nell’immediato, ma in ciò che vedo non c’è tutto quanto è Cesare, completamente, nell’intero, da quando esiste, mancano una serie di cose. Questa, come ogni altra contraddizione, può essere tolta solo togliendo ciò che la provoca: togliendo cioè la non posizione di quel complesso di significati, e cioè ponendo o realizzando la manifestazione di tale complesso. Cosa devo togliere? La non posizione, il non esserci di tutti questi altri significati. E come tolgo il non essere di tutti questi altri significati? Mettendoci tutti questi altri significati, ovviamente. Perché poi, se ci si pensa bene, è ciò che accade continuamente: io vedo qualche cosa e, chiaramente, se vedo qualche cosa è perché mi appare come immediato e attribuisco a questa cosa dei significati. Ma quali? Quanti? Questa cosa che io vedo è esaurita dai significati che io le attribuisco? E qui, per un verso, interviene Freud, e cioè attribuisco quei significati che riguardano me. Ma interviene anche Nietzsche, e cioè attribuisco solo quei significati - Nietzsche non lo dice ma glielo facciamo dire lo stesso – soltanto quei significati che mi servono al superpotenziamento; e, allora, quella cosa mi serve in quanto mi superpotenzia, sennò non mi serve a niente, forse neanche la vedo. Poiché la base o il fondamento di questo processo resta pur sempre la totalità dell’immediato… Perché è da lì che si parte, dal fenomeno. Per questo si chiama fenomenologia, perché parte dal fenomeno, da ciò che appare, non da ciò che immagino o che deduco, induco, ecc., ma da ciò che mi appare, dall’apparire delle cose. Questo è stato il genio di Husserl a porlo per primo, almeno in questi termini. …come piano base della struttura originaria… Il piano base è ciò che mi appare. …deve anche restar chiaro che questa originaria contraddittorietà del piano base non pregiudica in alcun modo la validità di ciò che su di esso si fonda. Il fatto che io veda Cesare senza vederlo tutto non toglie nulla al fatto che io lo veda nel modo in cui lo vedo. Infatti, per quanto riguarda il sopraggiungere di costanti del tipo imm. (sn+m) (sono le costanti che sopraggiungono), il fondamento dell’affermazione o posizione di questo sopraggiungere è la posizione della totalità dell’immediato come inclusiva della costante sopraggiunta. Il sopraggiungere di queste costanti è la posizione della totalità, perché sono queste costanti che mancano, per cui se sopraggiungono siamo a posto. (Affermare che la totalità dell’immediato è così inclusiva, significa che l’insieme delle connessioni L-immediate F-immediatamente note è inclusivo della connessione L-immediata costituita dall’implicazione di imm. (sn+m) da parte di S. Sì che tale insieme è fondamento di questa connessione appunto in quanto la include. Ed è chiaro che quell’insieme è fondamento di questa connessione secondo le modalità considerate nel paragrafo 18 del capitolo VII). Qui sta dicendo che quando sopraggiungono queste costanti, queste costanti sono incluse, fanno parte di S, ne diventano parte integrante. La cosa che a lui interessa è che soltanto il sopraggiungere di tutte queste costanti rende incontraddittorio l’immediato. Questo perché, se non sopraggiungono le costanti, questo fenomeno che appare è contraddittorio. Ad esempio, Cesare è l’immediato, l’intero, certo, però Cesare è quello che vedo perché è fatto di infinite relazioni, sia fisiche che psichiche, che fanno sì che compaia nel modo in cui appare. A pag. 354. Concludendo: la totalità dell’immediato può essere fondamento in un senso per il quale è necessario che essa valga come il realizzarsi della contraddizione C (in questo senso è l’orizzonte entro cui può sopraggiungere la manifestazione di nuove costanti di S); e in un senso per il quale essa, in quanto ha questo valore di fondamento, non è affetta dalla contraddizione C. La totalità dell’immediato, ciò che io vedo, è fondamento in quanto è necessario che valga come il realizzarsi della contraddizione C, perché è l’orizzonte in cui tutte le costanti possono intervenire. Lui dice che è necessario che sia autocontraddittorio, perché non contiene tutte le costanti. Come dire che quando io penso qualcosa, questa cosa che ho pensata non contiene tutto ciò che me l’ha fatta pensare. Tutto ciò che me l’ha fatta pensare non è evidente, anzi, il più delle volte non lo è affatto. E, quindi, mi trovo ad avere a che fare con un immediato che è autocontraddittorio, perché io credo che sia quella cosa ma non è quella cosa. Per essere quella cosa che io credo che sia dovrei incominciare a sapere – mi sto riferendo ai miei pensieri – intanto da dove arriva questa cosa, che cosa l’ha costruita, quali sono tutti gli elementi, tutte le relazioni di cui è fatta. Se non so questo non so niente. Infatti, le persone pensano in modo strano proprio per questo motivo, cioè immaginano che quello che pensano sia quella cosa lì e basta, senza tenere conto, e questo lo sapevamo già, di tutto ciò che ha consentito il dire quella cosa. Heidegger lo diceva molto bene: ciò che io sono in questo momento, quindi ciò che appaio, anche a me stesso, è il prodotto di una quantità sterminata di cose, è il risultato di una storia, che non è presente, o meglio, è presente ma non si manifesta. A pag. 356, paragrafo 14. La posizione di S è affetta dalla contraddizione C non solo in quanto non siano poste le costanti di S, ma anche in quanto non siano poste le costanti delle varianti (le covarianti) di S. Porre infatti un qualsiasi significato appartenente alla totalità dell’immediato… Che cos’è? Dare un significato a ciò che mi appare. Mi appare una cosa e dico “ah, è questo!”. …senza porre tutte le costanti di questo significato, importa che ciò che effettivamente si pone nella posizione di quel significato, non sia – analogamente a quanto si è detto per la posizione di S – quanto si intende porre. Ciò che io penso che quella cosa sia non è di fatto ciò che io penso che quella cosa sia. Potremmo dire così, in modo spiccio, che ciò comporta un immediato errore di valutazione, immediato e inevitabile errore di valutazione. Una tale posizione di quel qualsiasi significato è quindi un modo di realizzazione della contraddizione C. questo significato, che io pongo, è contraddittorio, inesorabilmente. In quanto la posizione di questo significato è un momento della totalità dell’immediato… È un momento, un aspetto particolarissimo. …la contraddittorietà di tale posizione è infatti contraddittorietà della posizione di S. Stando così le cose, diciamo che la posizione o la manifestazione di quell’orizzonte semantico che fosse costituito dalla totalità delle costanti e dalla totalità delle covarianti di S… Le covarianti sarebbero le varianti che sono diventate costanti. Erano delle varianti ma a un certo punto ci siamo accorti che erano delle costanti. …rappresenterebbe il toglimento assoluto della contraddizione C… Toglimento assoluto, dice. Questa è la condizione, e cioè che tutte le costanti siano presenti. Allora diventa incontraddittorio, allora ciò che penso è incontraddittorio.

Intervento: Quando io vedo ciò che mi appare ho un’idea, però, poi, subentrando queste costanti la mia idea può essere modificata?

Questo Severino lo ha già accantonato perché queste sono variabili, ma di queste variabili noi teniamo conto solo di quelle che intervengono come costanti. Pertanto, questo problema lo aveva già risolto. …(toglimento cioè non di questa o quella quantificazione di tale contraddizione, ma della totalità delle quantificazioni della contraddizione in parola). Cioè, di ciò che sta dicendo. Tale orizzonte semantico è – a parte le dovute precisazioni – la totalità del mediare. Questo orizzonte, che lui immagina, è la totalità del mediare, cioè la totalità delle relazioni (una mediazione è una relazione). In quanto la totalità del mediare è il toglimento assoluto della contraddizione C, la totalità dell’immediato, come piano base della struttura originaria, è la posizione assoluta di questa contraddizione, ossia ne è la realizzazione massima. L’immediato che mi appare è la massima espressione della contraddizione, perché ciò che mi appare, che è il fondamento – abbiamo visto che il fondamento è il fenomeno – è massimamente contraddittorio perché mi appare scevro da tutte le sue costanti. In altri termini … proprio in quanto la totalità dell’immediato è il fondamento della totalità del mediare… Ciò che mi appare è il fondamento della totalità delle relazioni, non è la totalità delle relazioni ma il suo fondamento. (e cioè di ogni sapere), proprio per questo la totalità dell’immediato è il massimamente contraddittorio. La totalità dell’immediato è il fenomeno, ciò che mi appare, è il massimamente contraddittorio. Adesso arriva la parte su Hegel. Il capitolo successivo si chiama La dialettica e, parlando di dialettica, si parla ovviamente di Hegel. Dice lo Hegel nella prefazione della Fenomenologia che “se il fondamento è ver, proprio per questo è anche falso in quanto è soltanto fondamento”. Proprio in quanto fondamento. Giustamente dice “sì, è il fondamento, ma il fondato? Cosa fonda questo fondamento?” È come se fosse una cosa messa lì vuota, in un certo senso. E anzi è ciò che soprattutto si presta ad essere confutato: “la confutazione consiste nel dimostrare la deficienza di esso; ed esso è deficiente perché soltanto universale o principio, soltanto inizio”. La confutazione consiste proprio in questo, nel mostrare che ciò che appare è quello che è per via di una serie infinita di relazioni che mancano. Quindi, quando io voglio precisare qualche cosa, nel volerlo precisare, in questa esigenza di precisare, sottolineo la mancanza di queste cose. Questo è quello che dice Hegel. D’altra parte, “la confutazione del fondamento… Cioè, il mostrare che il fondamento è contraddittorio perché non contiene ciò di cui è fatto. …ne è lo stesso sviluppo… Come confuto tutto questo? Confuto il fondamento inserendo tutte le costanti. …o lo stesso completamento della deficienza di questo”… Questo fondamento è confutabile perché, per poterne parlare, io devo dire altre cose, devo completarlo con altre cose, che non ci sono. …la confutazione è fondata solo in quanto sia “tratta e sviluppata dal fondamento stesso”; e cioè è lo stesso atto di fondazione, per il quale resta fondato un altro dal fondamento. Il fondamento fonda un qualche cosa che è qualcosa d’altro dal fondamento, sennò sarebbero la stessa cosa, sarebbero entrambi fondamenti, ma in questo caso cosa fondano? Cosa fonda un fondamento? Fonderà pure un qualcosa? Qui c’è la questione che pone Hegel. Provo a riassumerla semplificando molto. Prendete la tesi, ciò che si pone, il fenomeno: ha un’antitesi, dice Hegel, che è ciò che lo nega, ma cos’è che lo nega? È quello che ci sta dicendo qui. La tesi, la posizione, è il fondamento, perché da lì si parte, è il cominciamento; si parte dal fenomeno, non si può partire da nulla, si parte da ciò che appare, che può essere un pensiero, qualunque cosa. Ma questo pensiero, per potere esistere, deve mostrarsi con tutte le sue costanti, con tutte le sue definizioni, con ciò di cui è fatto, cioè, con le relazioni di cui è fatto. Le relazioni di cui ciò che mi appare, sono un’altra cosa rispetto al fenomeno; anche se il fenomeno è fatto di queste relazioni sono comunque cose diverse. Quindi, la relazione tra il fenomeno e ciò di cui questo fenomeno è fatto è esattamente ciò che Hegel chiama la sintesi. È sì il terzo elemento ma non nel senso che ci sono questi due e poi ce n’è un terzo; questo terzo è la relazione tra i due. È simultaneo, non c’è un prima questo, poi quest’altro, dopodiché si arriva finalmente alla sintesi. Non è così, è già tutto qui, nell’immediato. È noto che cosa si intende qui per “fondamento”: fondamento è l’inizio o il cominciamento della logica… Logica come la intende Hegel, cioè, come scienza della logica, scienza dell’inizio, scienza dell’originario, scienza della parola, potremmo dire tirandola un pochino. …e cioè la categoria del puro essere. Nelle prime battute del libro primo della Logica si precisa che “l’avanzare da ciò che costituisce il cominciamento non è altro che una ulteriore determinazione dello stesso cominciamento… Questo cominciamento, se non si determina in qualche modo, è niente. Quando incomincia a determinarsi, ecco che allora diventa qualcosa di saputo, sennò è puro essere, dice Hegel, puro fenomeno come puro essere. Potrei dire “Cesare è”, va bene, Cesare è, ma che cosa propriamente? È tutta una serie di cose, naturalmente. Quando incomincio a determinare ecco che questo incominciare a determinare, dice Hegel, non è altro che una ulteriore determinazione dello stesso cominciamento, è un modo in cui il cominciamento “incomincia”, è il modo in cui si dà questo incominciamento, determinandosi sempre di più ulteriormente. …sì che ciò che comincia continua a stare in fondo a tutto quello che segue”. Non scompare mai. Questo è Hegel. La tesi non scompare nella sintesi, per nulla, così come anche l’antitesi, non scompare niente, ma tutto - Hegel usa il termine Aufhebung – trasmigra nel passo successivo, ma è sempre lì, non scompare mai nulla. Cosa che ha fatto poi dire a Heidegger che tutto ciò che è nella mia storia è sempre qui presente, è ciò che mi costituisce in quanto risultato di tutte queste cose, che non sono scomparse ma sono qui e adesso. Pertanto “l’avanzamento non consiste nel dedurre semplicemente un altro, o nel passare in un vero altro”, stante che il cominciamento è “la base che è presente e si conserva in tutti gli sviluppi successivi, ossia è ciò che resta assolutamente immanente al suo ulteriore determinarsi”. Questo era Hegel: ciò che rimane sempre, ciò che appare, il fenomeno, in quanto è. È da lì che si parte, ma se prendo il fenomeno in questo modo rimane un nulla se non lo determino. Non solo non rimane nulla ma rimane assolutamente contraddittorio, perché dico che è ma è cosa? È quando ci sono tutte le determinazioni, quando tutte le posizioni di S sono presenti. Se non sono presenti dico che una cosa è quella non essendo quella cosa quella, cioè, mi contraddico. “Per questo procedere il cominciamento si libera allora da ciò che ha di unilaterale in questa determinazione, di essere cioè in generale un immediato e un astratto; si fa un mediato, e la linea dell’avanzamento scientifico diventa pertanto un circolo”. Da qui poi la questione del circolo ermeneutico. Questo processo non è lineare, non va verso una direzione, come è pensato, per esempio, il tempo: prima, adesso, dopo. No, per Hegel non è così, perché questo cominciamento, l’avvio, l’immediato, diventa quello che è davvero quando io ho aggiunto le determinazioni, quando cioè sono alla fine del percorso, del processo. È solo alla fine del processo che io ho il cominciamento “vero e proprio”. Pertanto, questo cominciamento non soltanto non scompare ma esiste propriamente alla fine del percorso, che fra l’altro è il modo in cui Hegel ha svolto la sua Fenomenologia dello Spirito: soltanto alla fine si capisce cosa stava dicendo all’inizio e lungo tutto il percorso, prima no. Questo vi dovrebbe rinviare immediatamente a Peirce. Vi ricordate la Primità, la Secondità e la Terzità, dove ciò che si pone per primo diventa quello che è in seguito alla Secondità (Secondness), perché la Secondità è quella che dà il significato al primo consentendogli di esistere; per cui senza il primo non c’è il secondo, ma senza il secondo non c’è il primo: è questo che dice Peirce. La Terzità (Thirdness) è la relazione tra questi due, non è il terzo momento che compare dopo i primi due ma è la relazione tra questi due. Che cos’è che fa da relazione tra questi due? La verità pubblica, è questo che li mette in connessione, che produce da questo elemento, il primo elemento, il suo significato. Da dove arriva questo significato? Dalla verità pubblica, dalla chiacchiera, direbbe Heidegger. È questo, cioè il mondo in cui questi segni sono inseriti, è questo mondo che dà a questi segni il loro significato, non ce l’hanno di per sé, il loro significato viene dalla verità pubblica. Come vedete, questo circolo, che è poi il modello del circolo ermeneutico, è sempre presente perché ci si accorge, almeno gli occhi più attenti, che ciò che segna l’inizio di qualche cosa di per sé è nulla se non è preso in un percorso, in un cammino lungo il quale questo elemento, questo punto di partenza può diventare appunto punto di partenza. Anche nell’aritmetica potremmo dire che è la stessa cosa: l’uno di per sé, tolto dalla combinazione numerica, è niente; quindi, l’uno è uno perché c’è un due, il quale è tale perché c’è un tre, e così via. Diciamo che in questo caso la serie numerica sarebbe la verità pubblica. Non esiste nessuna serie numerica di per sé, da qualche parte, in qualche cielo. È il mondo in cui questi segnetti, che noi utilizziamo per fare la lista della spesa, possono esistere. Dove è chiaro che “ciò che costituisce il cominciamento, in quanto vi sta come non ancora sviluppato e come privo di contenuto,… Questo è Peirce, mentre è Hegel che sta parlando. …non è, nel cominciamento stesso ancora veramente conosciuto,… Il fenomeno non mi dice niente finché non c’è un significato, finché non si avvia una catena. …e che solo la scienza, e propriamente la scienza nel suo intero sviluppo, è la sua perfetta, piena e veramente fondata conoscenza”. Qui scienza è da intendersi sempre nell’accezione hegeliana. A pag. 358. Diciamo dunque che, proprio perché la totalità dell’immediato è il vero fondamento, proprio per questo essa è la verità nella forma dell’assolutamente falso… Ciò che appare immediatamente, senza le mediazioni, cioè senza le relazioni, senza le posizioni di tutte le sue costanti, è assolutamente falso. Questo rende conto di come avvengono i giudizi delle persone: tutti i giudizi sono assolutamente falsi. Questo è inevitabile, però, è possibile cominciare a tenerne conto e vedere quali effetti si producono tenendo conto di questo. …nel senso che essa – in quanto è soltanto fondamento, ovvero è soltanto ambito del sapere immediato – è posizione assoluta, o integrale realizzazione della contraddizione C. È solo una posizione assoluta l’apparire immediato. Possiamo tralasciare alcune parti, ma l’essenziale per noi era questo: intendere come per ciascun pensatore, che sia possibile chiamare così, il confronto con una cosa del genere è inevitabile. Vale a dire, io dico qualche cosa, pongo qualche cosa, ma ciò che pongo di per sé è niente. È la stessa cosa che diceva Peirce: il segno, se non è preso in una concatenazione, in una mediazione, in una relazione di segni, non esiste, non è niente. Infatti, diceva specificatamente che non c’è il primo segno. Questo è interessante perché è in contraddizione con quanto sta dicendo qui Hegel, ma anche Severino: l’immediato, il fenomeno, sì, è vuoto ma Hegel lo pone come esistente. Infatti, è un’obiezione che lui faceva a pag. 357: …per lo Hegel il circolo sistematico lascia fuori di sé o, meglio, prima di sé, il piano fenomenologico, quel piano cioè che nella sua valenza più corretta è da intendere nel suo strutturarsi come totalità dell’immediato). Hegel non prende in considerazione questo immediato. Qui Hegel l’aveva vista giusta, perché se lo prende in considerazione, poi deve giustificarlo: come? da dove arriva? Peirce la risolve così: non c’è il primo segno; se parlo di primo segno è perché già ce ne sono uno sterminio. Ma questa è la critica che è stata posta anche a Hegel, cioè, questo primo elemento deve già in qualche modo contenere tutto ciò che ci sarà dopo, ma se contiene tutto ciò che ci sarà dopo non è più il primo elemento, non è più questa forma vuota. E qui, per quanto ne so io, stanno ancora dibattendo sulla questione.