INDIETRO 

 

 

 

9-1-2013

 

Intervento: volevo riprendere in termini linguistici ciò che Freud chiama “rimozione” e di portarla a quello che è cioè sequenze di giochi che funzionano, noi dicevamo della rimozione un conflitto di giochi linguistici per cui ciò che viene costruito è un compromesso che permette al discorso di proseguire, conflitto che è dato da due verità assolute che si oppongono. Se il principio di non contraddizione è ciò che identifica l’elemento e lo rende utilizzabile all’interno di una sequenza…

Non è che rende utilizzabile propriamente, impedisce che non lo sia, quindi accoglie solo quelli che non sono auto contraddittori perché se no appunto non sarebbero utilizzabili…

Intervento: a quel punto quando parliamo di giochi che vanno in conflitto fra loro parliamo del principio di non contraddizione cioè di quell’operatore che rende coerente le sequenze a partire dalla premessa decisa, questo per arrivare alla responsabilità del parlante perché tutto ciò che avviene è la costruzione di una realtà che è immaginata fuori dal discorso perché se no non produrrebbe tutte le magagne, tutto lo star male, il “cambiamento d’affetto”, come direbbe Freud, ad un certo momento ciò che è piacevole diventa spiacevole, si può parlare di rimozione in questo caso… però mi piacerebbe anche per rendere più esplicita la questione partire dalla “rimozione” come ne parla Freud questo per esempio “cambiamento di affetto” che dà l’avvio per esempio alla visione di un mondo tremendo oppure alla necessità di dovere esercitare a tutti i costi la propria verità che è in entrambi i casi la stessa questione, in modi differenti e quindi con esiti differenti, per esempio in un discorso paranoico e in un discorso ossessivo, se vogliamo ancora mantenere queste categorie, però mi sembrava che la “rimozione” così come la pone Freud e portarla al gioco linguistico e la “rimozione” invece come la intende Verdiglione cioè questa rimozione che c’è nella parola, nell’atto di parola, questa divisione che crea un elemento sempre altro da sé, io propriamente parto da più lontano perché mi sembra più semplice per un pubblico, non dall’atto linguistico che invece intende descrivere in qualche modo Verdiglione.

Il modo in cui Verdiglione ha posto la ripropone un problema antico, un problema che non è mai stato risolto. Circa duemila e cinquecento anni fa un tale Eraclito, in un suo frammento, perché è rimasto molto poco, disse: “φύσις crÚptesqai file”, che significa la “natura ama nascondersi”. Duemila e cinquecento anni dopo è arrivato Heidegger, il quale ha detto che l’Essere ama nascondersi. Gli antichi si ponevano la domanda fondamentale “ti to on” cioè che “cos’è l’ente?”. Dopo duemila e cinquecento anni la domanda è cambiata, non ci si chiede più che cosa è l’ente ma come esserne padroni, come governarlo. Questo è un percorso che ha portato dalla metafisica di Parmenide alla cibernetica. La cibernetica è il governo dell’ente, kibernetes era il nocchiero, il pilota della nave, da qui il latino gubernator, da cui in italiano governatore, hanno tutti la stessa radice: colui che pilota qualche cosa per un certo scopo. Lo scopo lo ha messo in luce piuttosto bene Nietzsche, lo scopo è quello di esercitare il potere, esercitare un potere su altri, sulle cose, sì certo, ma avendo potere sulle cose si ha potere sul prossimo, qual è il problema che è rimasto tale e quale? Riguarda proprio la governabilità delle cose. Già ai tempi di Gorgia la governabilità è stata messa in discussione incominciando a mettere in discussione la possibilità che, per esempio, l’Essere sia. Gorgia diceva che “nulla è, se qualcosa fosse non sarebbe conoscibile, se fosse conoscibile non sarebbe comunicabile”, e come argomenta il fatto che nulla è? Se nulla è, non c’è e chiuso il discorso, ma se qualche cosa è, allora questo qualche cosa, lui si riferisce all’Essere ma può essere qualunque cosa, o è eterno o è generato, oppure è eterno e generato insieme, ma se è eterno, non essendo generato è eterno e quindi non ha luogo, è ovunque, se non ha luogo non c’è nessun luogo che lo contenga, se non è in nessun luogo, non è da nessuna parte, quindi non c’è. Con questo sistema lui Gorgia ha incominciato a mostrare l’ingovernabilità delle argomentazioni nel momento in cui si suppone o si cerca di trovare a delle argomentazioni un supporto, chiamiamolo così, eterno, necessario. Ciò che è accaduto in seguito è curioso perché si è rimasti esattamente allo stesso punto, perché già allora c’era questa sorta di aporia “nulla è” quindi neanche ciò che sto dicendo, però di fatto sto dicendo, che è la tesi di De Saussure che in fondo non ha mai risolto, e cioè le parole sono prese nel divenire, divengono quindi si alterano, quindi cambiano, quindi mutano, quindi non sono individuabili, non sono identificabili, quindi non sono utilizzabili. Però di fatto diciamo, come avviene questo fenomeno? Il fatto che si alterino, cioè mutino continuamente, quindi non siano identificabili è ciò che Verdiglione attribuisce a quel processo noto come rimozione. Dunque queste cose sono e non sono. Problema antico, “non sono” perché non c’è la possibilità di individuarle, se io per esempio le individuo, le blocco, le isolo, allora essendo isolate da ogni altro contesto non sono dicibili, perché non sono all’interno di nessuna combinatoria, sono fuori dal linguaggio, se sono fuori dal linguaggio non sono niente. Se per converso queste cose sono all’interno della combinatoria e cioè connesse con tutti gli altri elementi allora ciascun elemento, e si torna a De Saussure, è quello che è preso in una relazione differenziale, cioè per differenza da tutti gli altri elementi e cioè è altro: si altera incessantemente preso in una sorta di vortice in cui le connessioni lo cambiano ininterrottamente. Se un elemento è connesso con un altro non è più esattamente quello prima, perché la connessione lo ha modificato, e quindi anche questo non può essere perché se così fosse nessun elemento sarebbe identificabile, dunque nessun elemento sarebbe utilizzabile e quindi dovremmo concludere che necessariamente le cose sono e anche non sono. Nessuno è mai uscito da questa aporia, è stata aggirata, è stata sviata in tantissimi modi, pochi l’hanno enunciata in termini precisi, però non è mai stata risolta. Posta in quei termini non ha nessuna soluzione. E perché non ha nessuna soluzione? Perché si chiede alla cosa stessa di dire di sé, e la cosa stessa non può dire di sé se non dicendo altre cose ovviamente, quindi mutando, quindi divenendo altro, e quindi la cosa stessa, che deve essere quella che è, necessariamente identica a sé per potere essere interrogata, perché se no è altro, se no interrogo altro ma se interrogo quella occorre che quella sia se stessa, ma questa cosa non può rispondere di sé, dicevo, se non dicendo di altro, ma per potere dire di altro occorre che parta da sé, quindi occorre che sia sé e sia anche altro simultaneamente, e cioè occorre necessariamente che le cose siano e non siano. È esattamente quello che dicevano gli antichi duemila e cinquecento anni fa, i sofisti intanto, e cosa è successo in duemila e cinquecento anni? Niente, a parte l’invenzione di qualche trabiccolo, ma aldilà di questo, per quanto riguarda il pensiero dobbiamo prendere atto che non è accaduto assolutamente niente, e cioè le aporie che hanno posto gli antichi, Protagora, Zenone, Gorgia per esempio, sono ancora lì, non è successo niente, come mai? Questa è una bella domanda. Dicevo che se posta in quei termini la questione non ha nessuna soluzione, però quando Freud è intervenuto nello scenario culturale, intellettuale del secolo scorso, ha incominciato a porre un questione che effettivamente non era mai stata posta in quei termini. Lui non si occupava sicuramente di filosofia, non sapeva niente in generale però ha incominciato, come sapete perfettamente, a prestare ascolto a un discorso e ha incominciato ad accorgersi che in ciò che si dice c’è qualche cos’altro: ci sono fantasie, c’è quella cosa che lui ha chiamato inconscio, eccetera e ha posto le condizioni perché altri, non lui, perché non lo ha fatto, potessero incominciare a interrogare il discorso e quindi il linguaggio in un altro modo. Ma come mai non si è mai usciti da questa aporia fino adesso? C’è stata una sorta di obliterazione alla quale la psicanalisi, nonostante il gesto di Freud, ha dato un forte contributo, e questo contributo è quello che permane a tutt’oggi e cioè l’idea che ci sia qualcosa che è buono e qualcosa che è cattivo, qualcosa che è bene e qualcosa che è male, per dirla in termini più estremi qualcosa che è e qualcosa che non è, dopo tutto ciò che è falso è ciò che non è. La psicanalisi ha contribuito e continua a contribuire immaginando che ci sia un modo corretto del discorso, anche le teorie più recenti e più avvertite comunque non abbandonano questa posizione, e cioè che esiste di fatto la nevrosi, la psicosi, anche se non usano questi termini e cioè pensiero corretto o giusto o sbagliato eccetera, ma in ogni caso alludono a un mal funzionamento di un qualche cosa che deve essere ricondotto a una corretta formazione, a una corretta configurazione. Una cosa del genere è assolutamente normale, viene considerata assolutamente normale, però ha degli effetti notevoli e, come dicevo, la psicanalisi ha dato un contributo in questa direzione. Freud ha scritto un libro che si chiama “Psicopatologia della vita quotidiana” una cosa del genere non è casuale. Ciò che andiamo facendo ormai da anni è che invece dovrebbe non risultare più possibile immaginare che possa darsi un pensiero, sano, malato o comunque un discorso che debba essere ricondotto a una qualche altra cosa, che si può anche fare certo, ma sapendo esattamente quello che si sta facendo. Considerate un caso di psicosi, mettere una persona nelle condizioni di accogliere benevolmente i giochi linguistici fatti dai più, perché poi si tratta di questo, ha un risvolto che può essere utile per la persona per non trovarsi in cattive acque, ma niente di più, così come posso insegnare a uno straniero a parlare l’italiano se vuole vivere in Italia, per metterlo in condizioni di avere a che fare con altri personaggi, cosa che può tornagli utile, ma non perché la lingua che lui usa sia malvagia o cattiva. Quando Verdiglione immagina, per esempio che una certa configurazione del discorso sia causata per esempio dall’insistenza di un fantasma materno all’interno della struttura, allude a qualche cosa che non va, che deve essere ricondotto alla corretta formulazione attraverso il riconoscimento dell’Altro all’interno del discorso. Tutto questo cosa ha a che fare con ciò che dicevo prima e cioè con il fatto che l’Essere non può essere e il non Essere, anche lui, non può essere in nessun modo, e cioè con ciò che dicevano i sofisti? È un’aporia vi dicevo che non è mai stata risolta, perché si continua e si è continuato per millenni a domandare alla cosa di rispondere, di dire di sé che cosa è, in un modo o nell’altro. O è isolata, quindi non connessa con niente e quindi fuori da ogni grazia di dio, oppure è connessa con tutti gli altri elementi e a questo punto si disperde in una miriade di reti, di relazioni e di connessioni per cui scompare, per dirla in modo molto spiccio. Sta qui il problema, dall’idea che le cose debbano essere in un certo modo necessariamente, che ci sia uno stato di cose che debba essere quello che è, che ovviamente è sempre quello che io voglio che sia, quello che mi conviene…

Intervento: la questione del bene e del male, dell’essere, del non essere è sempre di che cosa decide che cosa è e che cosa non è …

Seguendo Nietzsche potremmo dire che non è tanto la decisione, ma chi ha la forza, il potere di imporre la sua decisione. La soluzione all’aporia di cui dicevamo c’è, è stata trovata indirettamente da coloro che hanno costruito il calcolatore. La cosa in sé non ha nessuna possibilità di essere individuata, questo ovviamente gli informatici non lo possono sapere, ma ponendo tutto quanto come la conseguenza di istruzioni, allora effettivamente tutto il problema si dissolve perché la ricerca della cosa in sé è consentita da un bagaglio di dati e di informazioni che consentono la costruzione di sequenze, che consentono la costruzione di questa stessa domanda, quindi la ricerca della cosa in sé non ha, non solo nessun interesse, ma nessuna possibilità di essere soddisfatta perché può essere qualunque cosa e il suo contrario indifferentemente. La psicanalisi, di Freud e di chi ne ha fatto seguito, non ha mai inteso, e quindi ha necessariamente continuato a giocare fra ciò che è e ciò che non è, fra il bene e il male.

Intervento: Verdiglione ponendo nella sua teoria la differenza di un elemento da sé stesso, non voleva raggiungere questo obiettivo cioè far considerare che non c’è la cosa in sé?

Lui nega nel modo più fermo e più deciso che esista la cosa in sé…

Intervento: porre la questione in questo modo dovrebbe avere come obiettivo la dissoluzione della metafisica…

Come abbiamo detto tempo fa, la sua critica è una critica corretta nei confronti della metafisica, ma non va oltre, sì, ha distrutto la possibilità della metafisica, dopodiché ovviamente se si utilizzano gli stessi criteri, lo stesso metodo che lui ha utilizzato nella sua teoria, all’interno della sua stessa teoria, cioè si applicano sulla sua teoria, ecco che la stessa cosa che lui ha fatto con la metafisica, la si può fare con la sua teoria per via di quell’antico problema, e cioè che le cose necessariamente sono ma anche non sono, e cioè per potere affermare che le cose non sono occorre che siano, per potere affermare che ciascuna cosa è differente da sé occorre che le cose che sta dicendo in questa proposizione non siano altro da sé. Se una proposizione fosse effettivamente altro da sé non potrei individuarla, non potrei utilizzarla, quindi non esisterebbe, non potrebbe essere detta, non potrebbe essere pensata, non potrebbe essere in nessun modo, quindi se c’è una proposizione che afferma che qualunque cosa è differente da sé, allora vuole dire che qualcosa non è differente da sé, che è la formulazione del paradosso: cioè questa affermazione è vera se e soltanto se è vera la sua contraria. La sola via praticabile è porre gli elementi come delle istruzioni, comandi, comandi che costruiscono delle sequenze che non sono niente se non sequenze che possono permettere di costruire altre sequenze. Tutto qui, non c’è altro…

Intervento: è sempre l’eterna questione che chiede che cosa c’è fuori dal linguaggio…

Curiosamente i sofisti non si ponevano questa domanda, la famosa domanda antica “τίστί” il “che cos’è” non se la ponevano affatto, ai sofisti interessava unicamente utilizzare, piegare le argomentazioni a favore loro e quindi a disfavore altrui, e questo insegnavano facendosi pagare lautamente, ma erano attenti soltanto all’uso del linguaggio facendo con questo qualcosa che duemila e cinquecento anni dopo sarebbe stata la cosa che la scienza avrebbe fatto, e cioè non più domandarsi “che cos’è ciò con cui ho a che fare?”, nessuno scienziato si chiede che cos’è che maneggia, si chiede qual è il modo di governarlo, da cui appunto la cibernetica, e governarlo, e qui Nietzsche ha colta la questione con estrema sfacciataggine, per avere potere, non c’è nessun altro modo, su questo Nietzsche è straordinario: non esiste la ricerca pura, fine a se stessa, per se stessa, è sempre una questione di potere, potere sugli altri. Tuttavia il potere a questo punto non è più sugli altri, che è irrilevante, ma del pensiero su se stesso, in fondo è sempre un esercizio di potere del pensiero su se stesso, vedere fino a che punto può spingersi, fin dove può arrivare, interrogandolo fino alle estreme conseguenze, oltre ogni confine, oltre ogni limite.