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8 novembre 2017

 

M. Heidegger, Essere e Tempo 

 

Siamo a pag. 394. L’affermazione: “l’Esserci è storico”, apparirà come un principio fondamentale di carattere ontologico-esistenziale. Esso è ben lontano dall’essere una semplice constatazione ontica del fatto che l’Esserci rientra nella “storia universale”. La storicità dell’Esserci è il fondamento della possibilità della comprensione storiografica, la quale, da parte sua, porta con sé la possibilità della comprensione adeguata e della genuina realizzazione della storiografia come scienza. Sta dicendo che la storicità dell’Esserci è qualcosa che non riguarda semplicemente il fatto che l’Esserci compare storicamente, per esempio, il fatto che io sono nato nel 1950. Non è di questo che stiamo parlando. Il fatto che io possa dire che sono nato nel 1950 viene dal fatto che l’Esserci è storico, e cioè che io posso pensare queste cose, posso capire quanto mi hanno detto quando sono nato e come. Tutto questo sapere che ho immagazzinato in tutti questi anni che mi porto appresso, tutto questo è la mia storicità. Non solo questo ma anche il fatto di parlare la lingua italiana. Sarebbe ingenuo pensare che questo parlare la lingua italiana non abbia influenza, non incida nel nostro modo di pensare, ogni cosa contribuisce alla storicità. L’interpretazione temporale della quotidianità e della storicità consolida la visione del tempo originario quanto è indispensabile per scoprirlo come la condizione della possibilità e della necessità dell’esperienza quotidiana del tempo. È ovvio che noi abbiamo una cognizione del tempo perché l’abbiamo imparata e queste cose che noi abbiamo imparate fanno parte della nostra storicità. In realtà Heidegger dice una cosa molto semplice. Sta dicendo che la questione della storicità, della scienza storica, ecc., è possibile perché l’uomo è storico, cioè, si porta appresso un bagaglio di informazioni e conoscenze che sono quelle che gli permettono di potere pensare al tempo, per esempio, come una successione di eventi, di stati. Lo ha imparato e tutto ciò che imparato fa parte della sua storicità. Se non ci fosse questo non ci sarebbe niente. L’Esserci, in quanto ente per il quale ne va del suo essere… Questa è una cosa sulla quale Heidegger insiste sempre: l’Esserci è quell’ente per il quale ne va del suo essere: Cerchiamo di pensare bene questa cosa perché è fondamentale. L’Esserci è un ente ma non un ente qualunque ma è l’ente per il quale ne va del suo essere. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che questo ente, l’Esserci, è ciò che consente, proprio in quanto Esserci, in quanto storico, di pensarsi come ente. Quindi, soltanto per l’Esserci, per questo ente particolare, può andarne del suo essere. Soltanto per questo ente, che è l’esserci, può essere messo in discussione, può essere problematizzato, può essere pensato l’essere. Innanzi tutto e per lo più, la Cura è un prendersi cura preveggente ambientalmente. Impiegando se stesso in-vista-di-se-stesso… Cioè, l’Esserci impiega se stesso ma l’impiegare qualcosa, da parte dell’Esserci, è sempre un impiegare in vista di. Ora, l’Esserci può occuparsi di qualunque ente - in questo istante io mi sto occupando di questo ente particolare, che è la sigaretta – ma l’Esserci qui è l’ente che prende cura di sé, cioè l’Esserci può anche essere in vista di se stesso. Impiegando se stesso in-vista-di-se-stesso, l’Esserci “fa uso” di sé. Si pone, cioè, come un utilizzabile e come qualunque utilizzabile se ne fa un qualsivoglia uso. Facendo uso di sé, l’Esserci ha bisogno di se stesso, cioè del suo tempo. Come può l’Esserci fare uso di sé se questo Esserci non fosse un Esserci storico, che quindi ha acquisito tutte le informazioni necessarie per prendersi cura di sé? Avendo bisogno del tempo, l’Esserci fa i suoi conti col tempo. Ovviamente, non può prendersi cura di qualcosa se non è storico, perché non avrebbe nessuno strumento per farlo. Togliete la storicità all’Esserci e questo scompare, perché l’essere è tempo. È temporalità, vale a dire, io sono qui, in questo momento, ma non sono spogliato di tutto un sapere, fantasie, immagini, cose che ho acquisito in tutti questi anni e prima ancora attraverso la lingua che parlo. Io sono tutte queste cose, è grazie a tutte queste cose che, per esempio, posso parlare del tempo, sia del tempo intesso come clima sia inteso come storicità, come temporalizzazione. Fare i conti col tempo è costitutivo dell’essere-nel-mondo. Lo scoprire prendendo cura che caratterizza la visione ambientale preveggente, mentre fa i conti col suo tempo, lascia venir incontro nel tempo l’utilizzabile e la semplice-presenza che scopre. (pagg. 394-395) Sta dicendo che mentre fa i conti con il tempo, fa i conti cioè con ciò che è di fatto, a questo punto può anche lasciar venire incontro delle semplici presenze, sempre per via del fatto che l’Esserci è storico, cioè si porta appresso tutto ciò che sa. L’ente intramondano diventa così accessibile come “essente nel tempo”. Un ente qualunque diventa accessibile come essente nel tempo. Badate bene, questa frasetta, che sembra molto banale, è molto profonda, perché dice che un ente intramondano, cioè una qualunque cosa, è accessibile solo in quanto essente nel tempo, è accessibile solo in quanto è presa nel tempo, che io sono, perché io sono un ente storico, se non lo fossi non ci sarebbe accessibilità a nessun ente, a nessun altro ente, nemmeno a me stesso. Questo viene in parte anche da Husserl, che parlava delle “cose stesse”. L’accesso alle “cose stesse” non si dà perché io non posso sbarazzarmi della mia storicità, di tutto ciò che sono, che sono stato e che sto facendo, non lo posso fare. Quindi, l’unico accesso che ho alle cose presenti è attraverso la mia storicità, se non ci fosse questa storicità non ci sarebbero neanche le cose presenti. Passiamo a pag. 396, al Capitolo Quarto, Temporalità e quotidianità. § 67. Il contenuto fondamentale della costituzione esistenziale dell’Esserci e lo schizzo della sua interpretazione temporale. Secondo capoverso. Per rievocare fenomenologicamente i fenomeni raggiunti nell’analisi preparatoria, può bastare un rimando ai momenti della loro elaborazione. La determinazione della Cura risultò dall’analisi dell’apertura che costituisce l’essere del “Ci”. La Cura, dice, ha a che fare con l’apertura che costituisce questo essere del Ci. Il Ci sarebbe il qui, sarebbe la storicità. Quindi la Cura è in definitiva ciò che rende conto della storicità del Ci. La delucidazione di questo fenomeno condusse all’interpretazione provvisoria della costituzione fondamentale dell’Esserci, dell’essere-nel-mondo. Sta solo dicendo che è una cosa importante. La struttura della mondità, la significatività, si rivelò però connessa con ciò rispetto a cui si progetta la comprensione appartenente in linea essenziale all’apertura, cioè col poter-essere dell’Esserci, in-vista-di-cui esso esiste. (pagg. 396-397) Anche questo è importante. L’Esserci è sempre l’in vista di cui esso esiste, cioè, l’Esserci esiste come un essere in vista di qualcosa, che è come dire che vive di gettatezza, è gettatezza pura e semplice o, come diceva in altre pagine, pura possibilità.

Intervento: Pura possibilità e poter essere sono la stessa cosa?

Il poter essere autentico è il poter essere pura possibilità. La temporalità dell’apertura in generale. La decisione, già chiarita nel suo senso temporale…  È sempre una decisione anticipatrice, anticipatrice nel senso che è una decisione che prendo nel momento in cui sono gettato innanzi, nel momento in cui progetto qualcosa. Anticipo nel senso che è gettato innanzi. La decisione, già chiarita nel suo senso temporale, rappresenta un’apertura autentica dell’Esserci. L’apertura autentica dell’Esserci è il decidere, perché quando decido qualcosa io mi getto in avanti, anzi, il decidersi stesso è un essere gettato in avanti. Questa costituisce un ente tale che, esistendo, può essere il suo “Ci”. (pagg. 397-398) Questo ci dice un’altra cosa interessante, e cioè che la decisione interviene come il Ci, cioè, è qui, la decisione mi situa qui, in questo “attimo”, come dirà più avanti. Mi situa qui nel presente ma proprio nel momento in cui avviene una decisione, cioè, avviene questa gettatezza… La decisione, anche letteralmente, taglia qualche cosa, quindi, la decisione interviene e, nel momento in cui interviene, allora è come se io potessi vedermi situato. Mi vedo situato perché, in quanto Esserci, io sono soltanto in questa decisione, sono soltanto nella decisione di essere possibilità per qualche cosa. Adesso Heidegger parla della temporalità della comprensione. il senso temporale della Cura fu delineato soltanto nei suoi tratti fondamentali. Esibire la costituzione temporale integrale della Cura significa interpretare in senso temporale i singoli momenti della sua struttura, cioè comprensione, situazione emotiva, deiezione e discorso. Questi sono i momenti della struttura della Cura. La Cura è “fatta” di questi momenti, i quali non si succedono l’uno all’altro ma sono momenti coesistenti. Ogni comprensione… Ricordate, la comprensione ha a che fare con l’apertura, con l’aprirsi di una possibilità. Infatti, come ricorderete, l’interpretazione seguiva la comprensione. Ogni comprensione ha la sua tonalità emotiva. Sta dicendo una cosa abbastanza semplice, per un verso, e complessa per quell’altro. Ogni comprensione, cioè, ogni apertura verso una possibilità, non avviene senza un’emozione, una sensazione. Freud dice qualcosa di molto simile quando dice che ogni volta che mi si affaccia qualcosa di nuovo, questa novità è sempre associata a qualche cosa, a un’emozione, che può essere bella o brutta, gioia, felicità, paura, non importa, ma è sempre accompagnata da un’emozione. Per Heidegger questa emozione è fondamentale, come sappiamo è l’angoscia quella autentica, mentre quella inautentica è la paura, questo lo vedemmo già a suo tempo. Dunque, dice che Ogni comprensione ha la sua tonalità emotiva, che è uno dei problemi che incontrò Husserl: quando io mi approccio alle “cose stesse” devo tenere conto anche della mia tonalità emotiva che mi sbarra l’accesso alle “cose stesse”, perché è un altro medium che metto in mezzo. Ogni situazione emotiva è comprendente. Quindi, ogni comprensione ha la sua tonalità emotiva; ogni situazione emotiva è comprendente: Badate, in quest’ultima frase non parla di tonalità emotiva come nella prima, parla di situazione emotiva, che è comprendente, cioè, ogni situazione dove io provo delle emozioni vuol dire che qualcosa si sta comprendendo, sempre nell’accezione di Heidegger. La comprensione emotivamente situata ha il carattere della deiezione. Qui aggiunge un elemento. La comprensione, quando è emotivamente situata, cioè è situata dentro un’emozione, ha il carattere della deiezione. Sì, perché quando la comprensione si situa in una emozione, tranne l’angoscia che procede dall’Esserci, che guardando se stesso trova la nullità; tolta l’angoscia ogni emozione è metafisica, cioè, si basa sull’idea che qualche cosa sia quello che è, per cui produce un certo tipo di emozione. È per questo che dice che la comprensione emotivamente situata ha il carattere della deiezione. La comprensione deiettiva ed emotivamente tonalizzata si articola, quanto alla sua comprensibilità, nel discorso. Questa comprensione deiettiva, emotivamente situata, cosa fa? La ritroviamo nel discorso, il discorso è la manifestazione di tutto ciò. La rispettiva costituzione temporale di questi fenomeni riconduce sempre a quell’unica temporalità che, come tale, garantisce l’unità strutturale possibile di comprensione, situazione emotiva, deiezione e discorso. Si tratta sempre e soltanto di questo, e cioè questa costituzione temporale, storica, di tutti questi fenomeni procede sempre e comunque dalla storicità che è insita nell’Esserci. Poi, fa dei sotto paragrafi. Il primo è a- La temporalità della comprensione, poi parlerà de La temporalità della situazione emotiva, quindi de La temporalità della deiezione e da ultimo de La temporalità del discorso. Prova a riflettere sulla temporalità, su come si costituisce la storicità di tutti questi elementi che costituiscono la Cura, il prendersi cura. Il prendersi cura di qualcosa, come sappiamo, è quanto di più proprio sia dell’Esserci, anzi, Heidegger pone la Cura come l’essere dell’Esserci. Col termine comprensione intendiamo un esistenziale fondamentale; non quindi un determinato genere di conoscenza, distinto ad esempio dallo spiegare e dal capire, e neppure, in generale, un conoscere nel senso della conoscenza tematica. La comprensione costituisce invece l’essere del Ci… Questo Ci, questo “qui”, in cui io sono, è in virtù del fatto che si dà una comprensione. Quando dice che la comprensione costituisce l’essere del Ci… Forse, è meglio che prima legga tutta la frase. La comprensione costituisce invece l’essere del Ci in modo tale che, in base ad essa, l’Esserci può, esistendo, dar luogo alle diverse possibilità del vedere, del guardarsi attorno, del semplice osservare. È soltanto perché c’è questa comprensione che costituisce l’essere del Ci, cioè il fatto che il Ci sia, che consente, e questo è importante, la possibilità di vedere, di guardarsi intorno, di osservare. Soltanto se c’è comprensione è possibile osservare, vedere, guardarsi intorno. Quindi, capite che questa comprensione è qualcosa che è molto prima di qualsiasi interpretazione. Io vedo qualcosa, la interpreto, la vedo buona o brutta e cattiva, ecc., ma prima che io possa fare questo, dice Heidegger, c’è stata una comprensione, cioè, c’è stata un’apertura verso questa cosa, un aprirsi verso questo qualcosa che non è niente altro che il mio essere qui, è perché io sono qui che questa cosa mi si apre davanti agli occhi, cioè, mi appare. Sono qui, non nel senso di adesso, in questo momento, ma sono sempre qui rispetto a un qualche cosa, ed è proprio perché io sono lì, davanti a questo qualche cosa, che questo qualche cosa può apparirmi, ma io sono qui, non come puro occhio di dio, sono qui con tutto ciò che mi riguarda, cioè, con la mia storicità. È grazie a questa storicità che io mi posso prendere cura di qualche cosa. Quindi, badate bene, io posso vedere, osservare, ecc., soltanto grazie alla comprensione, potremmo dire, alla temporalità della comprensione. Questa comprensione comporta la temporalità, la mia temporalità, il mio essere storico, è ciò che mi consente di comprendere, di aprirmi verso qualche cosa e. di conseguenza, potere guardarlo, osservarlo, altrimenti non vedo e non osservo niente. Ogni spiegazione, in quanto scoprimento comprensivo dell’incomprensibile, è radicata nella comprensione primaria dell’Esserci. La comprensione, intesa in senso originariamente esistenziale, significa: essere-progettante per un poter-essere in-vista-di-cui l’Esserci sempre esiste. Ciò che abbiamo detto rispetto alla comprensione adesso Heidegger ce lo riassume in questa frasetta. Prima parlavo della comprensione come l’aprirsi verso un qualche cosa che è la condizione per poterlo osservare, perché non posso osservare qualcosa se non mi si presenta niente, ma mi si può presentare qualche cosa, dice Heidegger, per via di una comprensione, e cioè di un’apertura, qualcosa si è aperto. Quindi, essere progettante per un poter essere, io sono un essere progettante, sempre preso in un progetto, ma un progetto di che? Di poter essere un poter essere in vista di. Questo è il progetto: è un poter essere sempre in vista di. Quindi, io sono un essere che è progettante un poter essere in vista di qualche cosa, e l’essere sempre in vista di qualche cosa è esattamente l’Esserci. L’Esserci è un essere progettante in vista di qualche cosa, anche là dove pone se stesso come il progettato, quando si rivolge a se stesso, che sarebbe il modo più autentico di porsi, per Heidegger. La comprensione apre il proprio poter-essere in modo tale che l’Esserci, comprendendo, sa sempre in qualche modo ciò di cui esso è all’altezza. Ma questo “sapere” non è la scoperta di un fatto, bensì il mantenersi in una possibilità esistentiva. So che posso farlo perché è una delle infinite possibilità. Il corrispondente non-sapere non consiste in una mancanza di comprensione… Non può mancare la comprensione, se manca la comprensione non appare niente. …ma dev’essere inteso come un modo difettivo dell’essere progettato del poter-essere. Per dirla in modo spiccio, un modo della deiezione, cioè, io penso di non potere fare una cosa per sentito dire, perché penso debba essere così, perché si fa così, ecc., in definitiva, fantasie; non viene dalla mancanza di comprensione, assolutamente no. L’esistenza può essere problematica. Affinché questo “essere in questione” sia possibile, occorre un’apertura. Senza la comprensione, dice Heidegger, non potrei nemmeno pormi la questione, né questa né nessun’altra. A fondamento della progettante autocomprensione in una possibilità esistentiva sta l’avvenire in quanto advenire-a-sé partendo dalla rispettiva possibilità secondo la quale, via via, l’Esserci esiste. (pagg. 398-399) L’autocomprensione, cioè, qualcuno vuole comprendersi, sapere di sé. Da dove arriva questa possibilità? Per Heidegger semplicemente dal fatto che è una delle possibilità dell’esistenza, una delle possibilità esistentive, attraverso le quali l’Esserci esiste. L’Esserci non è altro che possibilità e fra tutte le possibilità c’è anche questa. L’avvenire rende ontologicamente possibile un ente tale che, comprendendosi, esiste nel suo poter-essere. Qui parla di avvenire e non di ad-venire. L’avvenire si suppone abbia il senso tradizionale del termine, come adventura, come le cose che stanno per arrivare ma che ancora non sono. Quindi, L’avvenire rende ontologicamente possibile … cioè, fa esistere, fa essere qualche cosa… un ente tale che, comprendendosi, esiste nel suo poter-essere… un ente che nell’avvenire, come si comprende? Si comprende nel suo poter essere, parlando di avvenire, io potrò essere quella cosa là, potrò essere bellissimo, bravissimo, simpaticissimo. Il progettare, in fondo ad-veniente, non ha primariamente una conoscenza tematica della possibilità progettata… Cioè, non è riferito a qualche cosa in particolare. …ma si getta in essa come possibilità. L’ad-venire è il gettarsi come pura possibilità, che non è l’avvenire nel senso di ad-ventura, letteralmente le cose che stanno per arrivare. Comprendendo… Ricordate che cos’è la comprensione per Heidegger? Esser progettante per un poter essere in vista di cui l’Esserci esiste. Comprendendo, l’Esserci è sempre così come può essere. Se l’Esserci si pone come progetto gettato è sempre così come è, perché è quella cosa lì; quindi, si progetta ma si progetta per quello che di fatto già è, cioè, un progetto gettato. L’esistere originario e autentico è risultato essere la decisione. L’autenticità è decisione, perché? È semplice. Pensate alla deiezione, al Si, alla chiacchiera, dove per Heidegger non c’è decisione autentica perché io faccio le cose che ho sentito dire, quelle che fanno tutti, quelle che ho visto alla televisione, sul giornale, dicono che è così, quindi è così; non ho deciso io, non ho pensato queste cose per decidere che è effettivamente così, me le bevo tutte. La decisione no, la decisione è, in pratica, l’unico modo autentico per esistere, cioè, per uscire dalla chiacchiera. Certamente l’Esserci, innanzi tutto e per lo più, resta indeciso, cioè chiuso rispetto a quel suo poter-essere più proprio in cui esso può rispettivamente portarsi solo in quanto isolato. Nell’inautenticità l’Esserci rimane chiuso rispetto alla sua decisione, non decide niente, si beve tutto quello che gli raccontano. Dal che consegue: la temporalità non si temporalizza costantemente a partire dall’avvenire autentico. Accorgersi della temporalizzazione della temporalità significa accorgersi che la mia storicità è presente qui in quello che sto facendo adesso. Quindi, non si temporalizza costantemente a partire dall’avvenire autentico, non è così automatico che qualcuno si accorga di essere temporalità mentre è qui, adesso, e fa certe cose, occorre una decisione, che l’Esserci prende di rivolgersi a se stesso, trovare quella nullità, quindi accorgersi della voragine, dell’abisso, in cui si trova. Per designare terminologicamente l’avvenire autentico, usiamo l’espressione anticipazione. Già ci fa capire di che cosa si tratta: l’anticipazione è l’essere gettato, è la gettatezza che anticipa. Quando io decido, decidendo, io sono gettato innanzi, sono gettato in questa anticipazione che la mia decisione comporta, perché ciò che decido sta per farsi. Essa indica che l’Esserci, esistendo autenticamente, si lascia advenire a sé come poter-essere più proprio, e che l’avvenire deve essere raggiunto non a partire dal presente, ma dall’avvenire inautentico. Quindi, l’anticipazione indica che l’Esserci, esistendo autenticamente, si lascia advenire a sé, quindi, si lascia gettare, come poter essere più proprio. È quello che vi dicevo prima: nell’anticipazione ogni decisione anticipa ciò che io sto per essere, quindi, indica anche che l’avvenire deve essere raggiunti non a partire dal presente ma dall’avvenire inautentico. C’è una questione interessante qui, che attraversa tutta l’opera. C’è un richiamo dell’inautentico come ciò a partire da cui si raggiunge l’autentico. Questo lo avevamo già visto: non è che l’autentico sia raggiungibile immediatamente, senza passare dall’inautentico, nasciamo nell’inautentico, nella chiacchiera, nel si dice, ecc.  È soltanto attraverso un atto di volontà che ce ne traiamo fuori e decidiamo di pensare anziché berci tutto quello che ci viene detto dai media. Quindi, è da questa idea dell’avvenire inautentico, che viene dal presente e poi c’è il futuro, è da questa idea che questo avvenire, come anticipazione, deve essere raggiunto, dall’idea, quindi, della chiacchiera, dall’idea comune del futuro. In effetti, se non ci fosse questa idea della chiacchiera, dell’avvenire come un accadimento futuro, non avremmo neanche le basi da cui partire. E qui c’è Husserl, quello della Lebenswelt, il mondo della vita, cioè, tutte le cose più elaborate, più sofisticate, ecc., vengono da un discorso che è il discorso di tutti, è il discorso comune. Lo scienziato che si fa le sue ricerche in laboratorio, ecc., si muove sapendo una serie infinita di cose che ha apprese dal discorso comune, cioè dalla chiacchiera. Per esempio, sa che se prende un alambicco e lo molla per terra, questo si spaccherà. Come lo sa? Lo sa perché è così, perché lo sanno tutti, è un sapere comune. Il suo sapere poggia su un discorso comune, che non è fondato né fondabile. Questa è una questione importante, perché tutta la scienza, anche la più elaborata, poggia su delle basi che sono costituite dalla Lebenswelt, dal mondo della vita, dal discorso comune, che è fatto di cose che non sono né fondate né fondabili, perché sono quelle cose che si sono apprese quando si è appreso a parlare, sono quelle cose che tutti danno per acquisite ma che non hanno un fondamento dimostrabile, si sa che è così… E, appunto, ecco la deiezione, la deiezione a fondamento dell’autentico. L’autentico non può sbarazzarsi della deiezione. Questa è una delle cose importanti in Heidegger: la deiezione è sempre presente ma, per Heidegger, è possibile tirarsi fuori dalla deiezione e vivere in modo autentico… Ma occorre una volontà per farlo, la volontà di andare contro il Si, di allontanarsi dal si dice, si pensa, si fa, ecc. l’Esserci è, di fatto, costantemente davanti-a-sé, ma non costantemente anticipante secondo la possibilità esistentiva. L’Esserci, di fatto, è sempre avanti a sé, essendo gettatezza, ma, dice lui, non costantemente anticipante, non necessariamente questo essere avanti a sé ha a che fare con una decisione. È per questo che dice non costantemente anticipante secondo la possibilità esistentiva, cioè, secondo la possibilità autentica dell’esistenza. È sempre avanti a sé ma, usando le sue stesse parole, può obliare questo fatto e non tenerne affatto conto. L’Esserci è sempre un progetto, non c’è un Esserci che non sia un progetto, anche nella deiezione è comunque sempre un progetto, semplicemente non lo accoglie, lo cancella a vantaggio della sicurezza, della tranquillità, del benessere, ecc. Quindi, questo sarebbe l’avvenire autentico, cioè, è questa anticipazione. Difatti, lui parla di decisione anticipatrice, decisione che è sempre anticipatrice, se io decido qualcosa anticipo sempre qualcosa. Mentre sono gettato in un progetto anticipo sempre qualche cosa, necessariamente. La comprensione inautentica si progetta su ciò di cui ci si può prendere cura, su ciò che è fattibile, urgente o indispensabile nelle occupazioni e negli affari quotidiani.

Intervento: Principio di realtà…

Il principio di realtà è un termine che Freud utilizza per indicare qualche cosa che è prossimo a ciò che Heidegger indica come il mondo, lo storico, cioè, tutte quelle cose che mi fanno essere quello che sono in questo momento. Tornando a ciò che dicevamo Heidegger dice che la comprensione inautentica si progetta… su che cosa? Su ciò che devo fare domani, pagare le bollette, devo cambiare una lampadina, ecc., tutte cretinate, però, sono questi i progetti: la comprensione inautentica si rivolge a questo, è sempre un’apertura, una comprensione, altrimenti non potrei nemmeno pensare all’esistenza della lampadina. Ma ciò di cui ci si prende cura è tale in-vista del poter-essere prendentesi cura. Come dire che per quanto mi dimentichi dell’Esserci, in quanto progettualità, il mio prendermi cura della lampadina da sostituire è comunque tale in vista del mio poter essere prendentesi cura. Cosa vuol dire questo? Qualunque progettualità, di qualunque tipo, anche quella più inautentica, è sempre e comunque in vista di qualche cosa, per esempio, di sostituire la lampadina. Ma questo essere in vista di è, per Heidegger, sempre in vista di poter essere prendentesi cura, cioè, poter essere un qualche cosa che si prende cura di qualcos’altro. Qualunque sia il mio progetto, comunque questo progetto sarà sempre un prendermi cura di qualche cosa che in vista di un poter essere prendentesi cura, un poter essere qualcuno che si prende cura di qualcosa. Questo fa sì che l’Esserci advenga a sé nel corso di un prendersi cura che è-presso ciò di cui si prende cura. Adviene a sé, cioè, è gettato nel corso di un prendersi cura che è presso ciò di cui si prende cura. Questo prendersi cura non è un atto volontario ma è un trovarsi presso ciò di cui ci si prende cura, cosa che riecheggia ciò che diceva in altri libri, e cioè che l’Esserci è il prendersi cura di qualche cosa. La Cura diceva che è l’essere dell’Esserci, è l’essere prendentesi cura che determina l’Esserci. Quindi, qualunque cosa io faccia o non faccia, questo prendermi di cura di qualcosa che faccio o non faccio è sempre un qualcosa che mette in mostra il prendentesi cura, che non può evitare. L’Esserci non può evitare  di essere un prendersi cura di.