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8 ottobre 1998

 

(Rispetto alla non necessità della difficoltà come bisogna intendere?) Dicevo che ad un certo punto non è più necessaria la difficoltà, cioè le cose diventano semplici, certo. (...) La complicazione viene dal fatto che per esempio si cerca nel discorso di reperire un elemento che sia fuori dal linguaggio. È questo che complica la vita, per così dire, e quindi a quel punto ciò che dovrebbe funzionare da garante, e pertanto da base di tutto quanto, si rivela invece catastrofico perché tutto poggia inesorabilmente lì sopra creando insicurezze, attese, tutto ciò che ho indicato come discorso religioso... Sì, la difficoltà quindi diventa necessaria a partire dal fatto che un elemento è posto fuori dal linguaggio, allora sì è inesorabile...(....) Diciamo che non è più necessario crearsi delle difficoltà, le difficoltà appunto le crea credendo che qualche cosa faccia da garante alla parola... (Cosa costruisce la negazione della proposizione nulla è fuori dalla parola e cioè qualcosa è fuori dalla parola... la negazione di una procedura, cioè di una proposizione, necessaria instaura l’ontologia, cioè il “che cos’è” e solo la curiosità per la proposizione stessa instaura il gioco…) Infatti, una proposizione come questa, che afferma che nulla è fuori dalla parola, può essere confutata, cioè è possibile costruire un discorso che la confuta ma soltanto come discorso religioso; allora sì, allora può confutarla, può provare che questa proposizione è falsa ma all’interno unicamente di una struttura religiosa. È per questo che io ho sempre affermato che questa proposizione non è né provabile né confutabile ma è non negabile. (Sì, ma retoricamente questa proposizione viene negata perché non viene accolta in quanto procedura cioè in quanto necessaria, ma non viene accolta in quanto necessaria perché non se ne accolgono le regole del gioco e non se ne accolgono le regole del gioco perché sono le regole che pertengono al gioco che la nega, le cui regole sono quelle di un gioco che rimanda continuamente al che cos’è, quindi al qualcosa, sempre a qualche altra cosa, come dire che non ascolta se…) Sì, l’unica questione su cui può reggersi una  argomentazione religiosa per confutare questa proposizione riguarda una questione che poi ogni tanto qualcuno solleva e cioè la questione dell’origine del linguaggio, cioè da dove viene il linguaggio, perché che il linguaggio esista occorre che venga da qualche parte e questo “da qualche parte” e questo “qualcosa” che lo fa esistere è un elemento che è fuori dal linguaggio, cioè chiaramente è lui che fa esistere il linguaggio, può essere dio o qualunque altra cosa. E quindi potremmo affermare che perché il linguaggio esista occorre che qualcuno o qualcosa lo faccia esistere se no non esisterebbe e questa è l’unica prova che può farsi per confutare la proposizione che noi stiamo asserendo. Naturalmente dicevo che questa è un’argomentazione religiosa perché muove dalla supposizione che qualcosa esista senza poterne dire nulla, senza un atto linguistico,  come dire occorre che esista qualcosa ma non so dire né che cosa né come né dove né quando... esattamente come fa qualunque religione. Questa è l’unica confutazione possibile, però appunto è una confutazione religiosa e gli strumenti di cui disponiamo sono sufficienti per dissolvere qualunque struttura religiosa, quindi anche questa confutazione; tuttavia, è confutabile in qualche modo, un discorso religioso può confutarla. Naturalmente poi incappa in difficoltà notevoli, perché è costretto poi a ipostatizzare un quid che abbia costruito o inventato il linguaggio e questa è soltanto un’ipotesi, non è necessaria, la si può credere oppure no, cioè è negabile mentre la proposizione che afferma che per esempio non c’è uscita dal linguaggio non è negabile. (....) Martedì dicevo che il luogo comune per eccellenza è il discorso religioso, il discorso religioso è quello che obietta generalmente a ciò che andiamo facendo che, come dicevo prima, se il linguaggio esiste esiste perché qualcuno l’ha costruito, inventato. Prima con Cesare si discuteva di un aspetto che può essere importante e cioè il costruire, sempre tenendo conto del progetto che ci anima, proposizioni che risultino immediatamente accessibili e immediatamente efficaci. Forse, la questione va affrontata in questi termini, a partire da questa confutazione “possibile” del discorso che andiamo facendo, che è l’unica possibile, un non senso, che poi per altro verso è riconducibile poi all’altra proposizione che afferma che se le cose ci sono è perché qualcuno, o qualche cosa non ha importanza, ce le ha messe, che è come dire ancora che qualunque elemento necessariamente rinvia ad un altro ma ad un certo punto la catena deve arrestarsi, deve finire e da lì tutto è cominciato. Costruire un esempio di ciò che andiamo facendo, tenendo conto di questo, non è altro che costruire un discorso che renda impossibile una obiezione del genere, lo faremo questo esempio, perché diceva Cesare molte persone a cui fa questo discorso chiedono un esempio, qualcosa che sia immediatamente accessibile ed efficace, quindi persuasivo. Ora, evidentemente, non è un’operazione semplice, però la questione su cui vanno a finire tutte le obiezioni riguardano ciò che sto facendo, e quindi in definitiva l’idea che anche il linguaggio non si sia costruito da sé, non esista da sé ma esista per qualche altra cosa. Questo è il fondamento di ogni discorso religioso, ciascuna cosa non può essere costruita da sé ma esiste per altro, per altro che è fuori di sé. Noi non ci siamo mai spinti tanto in là, anche perché cercare una cosa del genere è autocontraddittorio, nel senso che si tratterebbe di trovare quel elemento che è fuori dal linguaggio ma se è fuori dal linguaggio come posso venirne a sapere qualcosa? In nessun modo. Pertanto, se ne è nel linguaggio allora è vincolato da tutte le regole e le procedure di cui è fatto il linguaggio e infatti si diceva che il linguaggio produce se stesso. Ma chi ha inventato o costruito il linguaggio? Questa è una domanda che potremmo dire un non senso, cioè chiede al linguaggio di reperire lui, perché chiaramente può farlo soltanto attraverso il linguaggio, un elemento che sarebbe fuori dal linguaggio. E come può il linguaggio trovare un elemento fuori dal linguaggio? In nessun modo. In questo senso dicevo che, parafrasando Wittgenstein, è un non senso, però risulta importante tutta la questione proprio perché indica qual è la struttura del discorso religioso e cioè, torno a dire, l’idea che ci sia la necessità che ciascun elemento esista per un altro. Questo può funzionare finché si arriva al linguaggio, quando si arriva al linguaggio c’è l’intoppo, non esiste alternativa, chi l’ha costruito? Ma se voi doveste per esempio costruire, come si diceva prima, un esempio di ciò che andiamo facendo, o meglio ancora volgere queste proposizioni non negabili in un esempio, come dire “adesso vi faccio un esempio”, come la costruireste? L’esempio per definizione semplifica, cioè rende più semplice qualche cosa che apparentemente è complessa, quindi sfrondare di tutto ciò che non è necessario per intendere e se possibile utilizzare altre figure più conosciute, più note, come analogie, metafore, ecc., anche un’analogia può essere utile, “così come...”. Chiaramente non ha nessun valore probante, è soltanto un esempio, l’esempio non prova niente, come dice la parola stessa semplifica la comprensione di un processo, di un fenomeno. Cesare ha già qualche idea? (…) Ma se mi dicesse che nulla è fuori dalla parola e io le dicessi “mi faccia un esempio”, a che cosa andrebbe il suo pensiero? (Come posso sapere che nulla è fuori dalla parola se non con il linguaggio stesso?) Quindi lei utilizzerebbe per fare l’esempio una prova al contrario, supponiamo che esiste qualcosa fuori dalla parola e allora mostra l’impossibilità di uscirne. Sì, questo è un modo sicuramente, però forse è possibile di costruire qualcosa di più forte di una tesi al contrario. Questo retoricamente è un procedimento piuttosto comune, si costruisce la tesi contraria, si prova che non è sostenibile e quindi è automaticamente confermata la precedente, però è un sistema indiretto di prova che un logico potrebbe anche obiettare che dicendo che la contraria è falsa non è così automatico che quell’altra sia vera. (...) Sì, però lo prova con la dimostrazione al contrario, quindi prova che è falsa la tesi contraria e quindi che cosa prova esattamente? Perché se la tesi contraria è falsa questo comporta automaticamente che l’altra sia vera? Perché potrebbe anche accadere che io riesca a provare una tesi contraria come falsa ma senza che l’altra risulti per questo provata vera… (Come in un corpo se manca il cuore ...) è un po’ debole. Un’analogia è un sistema abbastanza rapido, facilmente accessibile... L’esempio perché in questo caso sia efficace occorre che sia molto potente e deve in qualche modo tenere conto anche  di quest’aspetto religioso e l’obiezione che viene fatta e quindi sono due le cose con cui dobbiamo confrontarci, l’una l’abbiamo affrontata la volta scorsa, l’inutilità di una proposizione come questa, e l’altra la sua falsità, come dicevo prima è falsa. Perché il linguaggio esista occorre qualcuno che la faccia esistere, qualcuno o qualcosa, e quindi l’esempio in qualche modo direttamente o indirettamente deve coinvolgere questi due aspetti vanificando sia l’una che l’altra obiezione. (Tanto tempo fa mi ero divertita a giocare con la cosa, il caos, e il caso e come cambiando l’ordine dei fattori intervenisse la realtà di quel termine. Chi aveva inventato e nominato in modo così preciso?  Mi sembrava che riflettere sull’inventore del nome fosse di qualche interesse in questo percorso….se non altro che come divertimento…) L’anagramma? Sì, va bene, però fino ad ora siamo rimasti soltanto all’esempio che non è altro che una prova al contrario. È complicata questa cosa, per cui sembra che fuori da una prova al contrario non si riesca a trovare una comunicazione sufficientemente robusta però, vede, la prova al contrario mostra la non possibilità di una cosa, non la sua necessità. Eppure la dobbiamo trovare … sì, magari questa è una cosa che può esserci molto utile magari per proseguire. Cosa direbbe lei dunque per la prova al contrario… (Sostenere che qualcosa è fuori dalla parola non potrei farlo se non con il linguaggio, senza linguaggio non potrei conoscere ciò che è fuori dalla parola, non potrei affermare nulla…) L’intervento del paradosso è abbastanza robusto, in effetti, cioè mostrare che la tesi contraria è paradossale più che falsa, è meglio mostrare il paradosso anziché la falsità, cioè dire per esempio che qualcosa è fuori dal linguaggio è una contraddizione in termini. (Mi interessa intendere perché la necessità di questo no…) Retoricamente uno degli strumenti più efficaci per fare accogliere immediatamente una tesi è quella di mostrare che la contraria è falsa ma è risibile, è ridicola, retoricamente funziona in modo molto efficace. Ora, quindi, occorre costruire un discorso molto breve che indichi molto rapidamente e in modo straordinariamente potente, per non essere in nessun modo contraddetto, la risibilità della tesi contraria. A questo punto la tesi è accolta immediatamente, come se uno dicesse “ma guarda, non ci avevo mai pensato, è proprio così”, non può più fare un passo indietro perché il passo indietro comporta il ridicolo e il ridicolo come è noto è un’arma retorica molto potente… Certo, ma noi siamo supportati da un aspetto che è quello logico che risulta, e man mano lo renderemo sempre più potente, assolutamente inattaccabile; poi interviene l’aspetto retorico che rende risibile la tesi contraria; a questo punto il discorso è efficace. Questo potrebbe bypassare la questione dell’esempio, però rimane comunque un’interrogazione. Quindi per il momento dobbiamo convogliare gli sforzi retorici su due aspetti, l’uno rendere la prima affermazione assolutamente inattaccabile, in nessun modo; secondo, rendere risibile la tesi contraria, assolutamente buffa, uno deve essere costretto a pensare di essere uno stupido se ha pensato una cosa del genere, questo è efficace. Cesare, costruisca il discorso che ho appena indicato  (…) In qualche modo però ha già dato un avvio, la tesi contraria, cioè quella che suppone che esista qualcosa fuori dalla parola, non possiamo confutarla, bisogna però trovare la forma retorica che la renda ridicola, stupida, come dire costruendo un sillogismo, una semplice indicazione: se è così allora questo ma questo è assolutamente ridicolo e non sostenibile, quindi… La logica ci da un fondamento solidissimo, la retorica ci consente di renderlo assolutamente, come dire?, in un modo che è impossibile non accoglierlo immediatamente. Dobbiamo dire qualcosa per cui l’altro dica fra sé e sé “guarda che scemo che sono…non posso più  sostenere che qualcosa può essere fuori dalla parola perché è ridicolo sostenerla”. Come si ridicolizza una tesi? Mostrando l’assurdità nel sostenerla. Che cosa una persona generalmente ritiene assurdo, insostenibile? È questo che funziona, cioè intendere che cosa funziona come insostenibile, come assolutamente inaccettabile: utilizzare non quell’elemento ma la struttura, la sua struttura, perché la prima parte della proposizione in effetti è accolta da tutti, solo che poi di fronte a questo è come se la tesi opposta non fosse negata ma rimangono lì e da qui un certo smarrimento, cioè non si può negare ma non si vede come utilizzarla. Invece una proposizione come quella che faremo deve rendere conto immediatamente evidente l’utilizzo. La risibilità della tesi contraria deve essere molto breve, molto semplice, ma includere dentro di sé una quantità sterminata di elementi che sono tutti impliciti e necessari. Ora, rimane che logicamente è una operazione così un po’ surrettizia, retoricamente molto efficace, logicamente occorrerà che troviamo un sistema più efficace come se avessimo una doppia verità, un po’ alla Averroè, una per la massa, l’altra per i logici. Ora, chiaramente, è come se noi disponessimo simultaneamente di una posizione e dell’altra, perché come dicevo prima il logico potrebbe torcere un po’ il naso di fronte a una dimostrazione al contrario, non prova necessariamente vera, però a noi d’altra parte interessa che rimanga non negabile, cioè provabile. La provabilità è al di là di ciò che noi andiamo facendo, perché per provare qualche cosa occorre che utilizziamo il linguaggio e quindi questo ci stabilisce il fatto che non è negabile, non ci interessa che sia provabile, non ci interessa perché la stessa prova è assolutamente vana, non poggia su niente, qualunque prova, qualunque dimostrazione non è attendibile se non è all’interno di un gioco e quindi con assiomi prestabiliti e assolutamente arbitrari. Il nostro punto di forza è la non negabilità e quindi il negare questo deve risultare ridicolo, deve essere risibile, deve essere un’idiozia, questo è necessario. Però, tutto sommato, anche del logico che dice “non lo puoi provare” ci importa poco; no, noi non possiamo provare nulla, non possiamo provare la prova e quindi è già morta lì, non ci interessa. Cioè, dobbiamo stabilire un metacriterio di prova e poi un metametacriterio, e così via all’infinito (…) Logicamente non è proprio una prova, una prova è costruita in un certo modo, è costruita partendo da un certo numero di assiomi e poi si procede utilizzando regole di inferenza stabilite, si introducono formule ben formate fino all’ultima formula che è la tesi. (…) Quindi, la questione della prova non ha nessuna portata esattamente (….) Sì, bisogna fare uno sforzo retorico notevole, che cosa rende risibile una credenza? È un po’ questa la questione, soltanto uno sprovveduto potrebbe non accorgersi di una cosa del genere. Adesso non fraintendetemi, ma quando Bill Gates inventò il sistemo operativo noto come Window, lui ha costruito questo sistema seguendo un criterio ben preciso, il sistema, ha detto lui, “deve essere a prova di cretino”, cioè un cretino deve essere in condizioni di usare un computer, parole testuali. Quindi, l’esempio che vi facevo vale a indicare come questa proposizione retorica che dobbiamo costruire deve essere assolutamente accessibile a chiunque ma, pur mantenendo l’assoluta accessibilità a chiunque, deve essere assolutamente potente e inattaccabile, come dire che chiunque sia l’interlocutore, un logico matematico o il meno preparato, deve funzionare esattamente per entrambi allo stesso modo. Anche i programmatori utilizzano Window perché è molto comodo, esattamente come lo utilizza uno che lo usa come macchina da scrivere, è uguale. Questo è un bel compito e mi ci metto anch’io perché non è facilissimo… che uno si vergogni ad avere pensato in un altro modo, così deve succedere  (…) (La risposta potrebbe essere perché mi piace che sia così.) e quindi il rinvio “perché sono un cretino” (Ma se uno è masochista?) Per i masochisti poi studieremo qualcosa. Per i masochisti abbiamo il nerbo di bue. (Ancora più bello! Il masochista vuole soffrire ma passare per cretino…, gli umani sono particolarmente seccati da una cosa del genere. Ciò che questa operazione deve tenere in conto è evitare la cosa contraria cioè che passiamo noi da questa altra parte, cosa che potrebbe accadere così: “tutto il mondo pensa in un certo modo, solo tu e quindi solo tu hai capito come stanno le cose? Sei tu il più intelligente di tutti?” Questa è un’argomentazione che si può utilizzare ed è abbastanza robusta ma deve essere abbattuta, annientata. Sono molto le cose di cui bisogna tenere conto…, più è seguito il luogo comune più è solido.